Il Solus ad solam è il diario cui, tra il settembre e l'ottobre del 1908, D'Annunzio affidò, come in un lungo colloquio con la donna amata e per sempre perduta, la cronaca del drammatico epilogo della sua tormentata relazione con la contessa Giuseppina Mancini. "Libro di follia e di dolore, di disperazione e d'amore", esso costituisce, tra le opere di Gabriele D'Annunzio, un caso unico. D'Annunzio, infatti, vi appare quale veramente fu: un uomo tenero e malinconico, dolce e appassionato e, nello stesso tempo, un uomo "falso" ed egoista, sensuale e "perverso": un uomo capace di compiere gli atti più affettuosi e più generosi e sempre pronto, senza peraltro sentirsi diverso, ad affermare, con un gesto o con una parola, i suoi diritti di essere superiore cui, anche in amore, tutto è permesso e concesso. Nato come opera privata, da innamorato a innamorata - fu pubblicato soltanto postumo - il Solus ad solam è quindi un documento fondamentale per conoscere l'uomo D'Annunzio. Inoltre, in quanto opera letterariamente elaborata, è anche un formidabile specimen di scrittura dannunziana, nel complesso momento in cui il prosatore, pur compiacendosi dei suoi più tipici versi espressivi, già tentava quei modi intimistici che di lì a pochi anni avrebbe messo proficuamente a frutto nelle Faville.
Gabriele D'Annunzio, Prince of Montenevoso (12 March 1863 – 1 March 1938), was an Italian poet, playwright, orator, journalist, aristocrat, and army officer during World War I. He occupied a prominent place in Italian literature from 1889 to 1910 and later political life from 1914 to 1924. He was often referred to under the epithets Il Vate ("the Poet") or Il Profeta ("the Prophet").
D'Annunzio combined in his work naturalism, symbolism, and erotic images, becoming the best interpreter of European Decadence in post-Risorgimento Italy.
His love affairs, relationship with the world-famous actress Eleanora Duse, heroic adventures during World War I, and his occupation of Fiume in 1919 made him a legend in his own time.
Lei era Giuseppina Mancini –Giusini- contessa infelice di marito beone e fedifrago. Non particolarmente bella, né colta, né brillante. Lui era il Vate. Tutto cominciò la notte dell' 11 febbraio 1907, alla Capponcina (la villa toscana di D’Annunzio), dopo una corte durata più di un anno. Una data fatale che ricorrerà nella vita del Vate sino alla fine. Lo stesso giorno, undici anni dopo, D’Annunzio piloterà -pensando a lei- il Mas della Beffa di Buccari. Trentun anni dopo, stesso giorno, prossimo a morire, rievocherà quei «ricordi dolci e laceranti, la mia ultima felicità». Fu una storia-calco delle tante avventure dannunziane. Corte serrata, piccoli doni e soprattutto lettere, una montagna di lettere. Eppure qualcosa di speciale deve aver rappresentato, se D’Annunzio riesce a trarsela dietro sino alla morte. E quel qualcosa di speciale credo consista nel fatto che l'avventura con Giusini si conclude nel più dannunziano dei modi: marito e padre di lei sul piede di guerra; insormontabili sensi di colpa e –soprattutto- la follia finale. Impazzisce, Giusini, e deve essere internata, dopo una rocambolesca fuga dalla casa di lui. Che potrebbe salvarla, ma arriva con dieci minuti di ritardo per un banalissimo guasto alla macchina. L’epistolario-diario raccoglie tutta la vicenda, che appare discretamente veritiera, pur considerando il gusto per l’autocelebrazione del Nostro. Oggi il carteggio completo, che sembrava andato disperso, fa parte del patrimonio del Vittoriale. Col carteggio sono ricomparse, l’11 febbraio –secondo una tradizione inaugurata dal Vate- le undici salve di cannone sparate dai bastioni sul Garda.
Solus ad Solam (blz. 21-154): Dagboek over zijn hunkering naar zijn vriendin de gravin Giuseppina Mancini die paranoïde geworden was. Centraal staat zijn hunkering, het onbegrip dat ze geen contact meer wenst, de idee dat de liefde die ze mogen ervaren hebben de ziekte zal oplossen,... Eigengereide visie. De contacten met de arts zijn ook bijzonder, van beroepsgeheim geen sprake. ***
Nocturne: 'Mijn ogen zijn omzwachteld.' Blind geschreven dagboek na vliegtuigcrash in WO I.
* Eerste Offerande (blz. 155-207): Het begraven van een gevallen kameraad staat hier centraal. Beschrijving van het verdriet van de eerste dagen. ***
* Tweede Offerande (blz. 208- 309): *** Afwisseling tussen herinneringen aan strijdtaferelen en de strijd in zijn bed tijdens herstelproces.
* Derde Offerande (blz. 310 - 410): ***
Het Geheime Boek (blz. 411 - 477): *** "Ook al ben ik zo veelomvattend en altijd zo intens met zo veel verschillende inspanningen bezig, ik gruw van de beperktheid van mijn leven, ik haat mijn onnavolgbaar genoemde leven, ik vervloek het onrecht dat mij verminkt en fnuikt, mij aantast en havent, mij verwringt en breekt. Niettemin deed het me goed om 'tot alles in staat' geacht te worden toen ik bewees te weten dat morele ordes de breedtegraden volgen, dat regels en codes tijdelijk zijn, dat waarheden gemakkelijk verzwikken en verzwakken, dat de enige maat van energie het gevaar is, dat de verzaking en gehoorzaamheid de twee oren van de veranchtelijkheid zijn."
In quest'anno 2011 ho voluto complicarmi ancora di più la vita, imponendomi di leggere a gennaio solo libri dall'Elenco 1, a febbraio solo dall'Elenco 2, a marzo dal 3, e così via: lo scopo è quello di smaltire libri "in attesa" da troppo tempo, l'inconveniente è che in teoria non sarò "libera" di leggere le ultime novità prima di agosto: vedremo se non mi stuferò prima.
Inizio l'anno con questa rarità trovata inaspettatamente alla rivendita di libri usati, il Solus ad solam di Gabriele D'Annunzio, che per la prima volta mi incuriosì, suppongo, dopo che ne lessi nella biografia Il vivere inimitabile? Non so ricostruirlo con certezza perché si tratta davvero di anni e anni fa, e d'altronde ero convinta che non sarei mai riuscita a soddisfare il desiderio di leggerlo, visto che è un'opera minore del poeta scarsamente conosciuta, fino al fortunato ritrovamento risalente allo scorso ottobre.
Solus ad solam sarebbe, come dice già il titolo, una specie di "diario" privato che D'Annunzio scrisse nel settembre-ottobre 1908 alla donna amata del momento, la contessa Giuseppina Mancini, destinandolo teoricamente ai soli occhi di lei, un colloquio "da solo a sola", appunto, in un periodo particolarmente critico della loro relazione prossima alla fine in circostanze alquanto drammatiche. Come spiegato nell'ottima e interessante introduzione di Federico Roncoroni, la povera donna, infelicemente sposata e certo probabilmente psicologicamente piuttosto fragile, finì col non reggere di fronte allo stress della relazione, clandestina per modo di dire e quindi oggetto di molte chiacchiere nell'alta società fiorentina, al turbinio di sensazioni nuove provate accanto all'Immaginifico, alla gelosia furibonda per i continui tradimenti di lui, e in sostanza all'enorme fatica che dovette essere stare dietro a un uomo come D'Annunzio (non è un caso se pure tutte le altre, a cominciare dalla Duse, uscirono devastate dall'esperienza). La notte del 5 settembre 1908 ebbe una specie di black out mentale che la portò a vagare per le vie di Firenze non si sa bene dove e con chi, e nei giorni successivi, rientrata fortunatamente sana e salva a casa, cadde in una specie di delirio paranoico, che la portò a trascorrere qualche annetto in una casa di cura per malati mentali (la buona notizia è che ne uscì, guarita, divorziò dal marito e si spense a 90 anni negli anni Sessanta). D'Annunzio, impedito dalla stretta sorveglianza dei parenti della donna, contrari alla loro relazione, non ha modo di avvicinarla, e registra quindi sulla pagina le angosce e le ansie di quei giorni, in un lungo lamento rivolto alla donna malata e ormai dimentica, nella sua follia, di lui.
Una vicenda strappalacrime, quindi: l'opera non fu mai pubblicata mentre D'Annunzio era ancora in vita, solo nel 1939, un anno dopo la sua morte, la Mancini, ristabilitasi, affidò il manoscritto ad un'amica perché ne curasse la pubblicazione. E così, siamo di fronte a un testo che finalmente ci consente di entrare nell'interiorità dell'uomo D'Annunzio, al di là di tutte le pose, dell'immagine di sé sapientemente costruita, della magniloquenza, dell'ossessiva ricerca della corrispondenza tra vita e arte, dei fiori, degli apparati, dei profumi, di tutto il bric-à-brac consueto? Qui davvero egli si spoglia di tutte le maschere e dà sfogo ai suoi sentimenti più sinceri, al suo dolore più autentico?
L'introduzione provvede a smontarci questa immagine un po' troppo sentimentale. Sì perché, non sia mai che l'uomo D'Annunzio perda mai di vista il suo essere, prima di qualsiasi altra cosa, il personaggio D'Annunzio: il curatore dimostra come quello che si vuole far apparire come espressione non mediata della sofferenza provata sia invece ricercatissimo e sorvegliatissimo nella forma e nella scrittura, costruito nei minimi dettagli, e letterariamente "perfetta". Alcuni particolari degli avvenimenti vengono sapientemente modificati per renderli ancora più "romanzeschi", "dannunziani" (tanto che la vicenda servirà persino da spunto al poeta per il suo successivo romanzo Forse che sì forse che no), le date spostate, ecc. Insomma, senza voler apertamente accusare il Solus ad solam di falsità, perché via, non mi sento di negare che quello possa essere stato davvero un momento di grande angoscia per Gabriele, è chiaro che totalmente autentico e cristallino nella sua "spontaneità" non è. E se poi pensiamo che mentre Gabri scriveva righe tanto struggenti alla e sulla Mancini, era già in pole position in direzione del suo letto la nuova amica, Natalia de Goloubeff... Ma va bene! Questo è il punto! D'Annunzio non lo leggiamo certo per la sua delicata vena intimista e sommessa. Lo leggiamo (lo leggo) perché come cesella frasi preziose, ardite, immaginifiche come lui ce ne sono pochi, perché di fronte a tanta autoesaltazione, coscienza di sé, superomismo imperante cosa puoi fare se non battere le mani ammirato? Si era mai visto un uomo che nel diario privato destinato all'amante malata e lontana si mette a descrivere una sua conquista occasionale e di come quest'amante di una notte, per mezza pagina, non faccia che magnificare le sue doti di amatore, e che giustifica la cosa dicendo che in realtà andando a letto con l'altra era Giusini (la Mancini) che amava, come (fantastico, si autocita anche in questa circostanza!) Andrea Sperelli ne Il piacere? Certo che è un maiale, ma qui raggiungiamo le vette del sublime! E noi possiamo dirlo tranquillamente, non siamo noi d'altra parte le poveracce che gli sono impazzite dietro (e comunque, a pensarci bene: ma che figata dovette essere, per l'amante di turno, essere al centro delle attenzioni di un uomo come D'Annunzio?? Ma vuoi mettere, trovarne uno così?). Io non credo neppure che egli fosse totalmente insincero e falso, no: penso che fosse paradossalmente veramente sincero e autentico nella sua estrema artificiosità, nella sua profonda insincerità e nello sconfinato egocentrismo.
E va bene, questa recensione progressivamente l'ho presa sempre più a ridere, ma d'altra parte l'introduzione stessa ti predispone a leggere l'opera stando sempre pronto a cogliere in fallo D'Annunzio ogni qual volta fa partire la sparata o si discosta dalla verità dei fatti. La verità è che ritroviamo anche qui, come accennavo prima, la consueta eleganza, ricercatezza e musicalità della prosa dannunziana, che a piccole dosi (il libretto è sottile e scorrevole, pur se, non essendo stato pensato realmente per la pubblicazione, in alcuni punti ripetitivo) è una gioia per orecchie disabituate, che la vicenda, non importa più ormai quanto infiocchettata e idealizzata, è davvero appassionante e coinvolgente. Ancora una volta, complimenti al curatore per l'introduzione esauriente e interessantissima.