Un giovane prete viene mandato - forse per scontare una colpa - a trascorrere i mesi invernali in un paese sperduto sull'Appennino. Lo attende una manciata di case sprofondate nel gelo, dove una piccola comunità contadina trascorre le giornate tra il lavoro nei campi e qualche svogliata partita a poker. Le visite ai malati e le confessioni dei fedeli si susseguono monotone, solo una cosa riesce ad appassionare un po' alla volta il la squadra di calcio del paese. Ma un evento drammatico è destinato a scuotere la sonnolenta vita della comunità: la morte - apparentemente accidentale - di un bambino che faceva il chierichetto.«Impossibile non commettere errori quando tutti si aspettano che li commetterai», dice con superbia il protagonista del romanzo. Ed è impossibile per il lettore non verificare, quasi con ammirazione, quanto la forza della meschinità riesca a sradicare ogni certezza. Con uno stile asciutto, che procede per continui affondi, Luca Ricci ci mostra come l'ambizione muova il mondo, e come la cattiveria possa diventare un'arte.
Luca Ricci è considerato uno dei migliori scrittori italiani di racconti. Tra le sue opere ricordiamo L'amore e altre forme d'odio (2006, Premio Chiara), Come scrivere un best seller in 57 giorni (2009), Mabel dice sì (2012) e Fantasmi dell'aldiquà (2014). Tiene corsi di scrittura per la Scuola Holden e la Scuola del Libro, e cura per “Il Messaggero” la rubrica settimanale di libri Ricci & Capricci.
”Prima del calcio di rigore”, 1972, regia di Wim Wenders, dal romanzo di Peter Handke.
Politically incorrect, irriverente, frizzante, divertente, amabilmente perfido, degno del Max Aub di Delitti esemplari, di un marchese De Sade convertito, Luca Ricci racconta malignità e malvagità, più per accenni che per descrizioni, ed è un vivo piacere.
Un prete così fa bene alla chiesa, alla religione e alla fede; un prete così mette voglia di entrare in chiesa ad annusare nell'aria stagna una puzza d'incenso e di cose imbalsamate, per mescolarsi fra le vegliarde... talmente minute, raggrinzite, che le si scambierebbe per macchie sui banchi: ecco la forza lavoro, la tipologia dei fedeli su cui può contare la Chiesa nell'emisfero settentrionale del pianeta Un prete così è un fuoco d'artificio nella sonnolenta vita di Chiavalle, un paesello grigio e noioso come solo l'Appenino tosco-emiliano sa partorire (Silvio D'Arzo docet).
E chissà, forse Cristo non è mai andato oltre, s’è fermato a Eboli, senza salire a nord: a Chiavalle non pare essere arrivato. Il nostro prete io narrante è annoiato dalla vita di quella che è meno che provincia, un borgo di contadini, nel quale lui non trova nulla di genuino, di innocente, nessuna “anima semplice”: dov’è finita la solidarietà, appunto, cosa ne è stato della semplicità? Infatti, a Chiavalle due gambe prestate al calcio non rappresentano più braccia dolorosamente strappate all’agricoltura, ma semplicemente la prospettiva di soldi facili.
Mi viene da pensare che solo un toscano (toscanaccio?) poteva generare un così soave grumo di cattiveria. E forse è proprio per lo stesso motivo che entusiasma il mangiapreti che sono. Sanamente disturbante, piacevolmente cattivo, un breve romanzo, ma ancor più racconto lungo, di mancanza di pudore, e assenza di limite interiore. Luca Ricci merita sicuramente una conoscenza migliore, voglio leggere altro di suo.
Nero, nerissimo mi verrebbe da dire, ma forse ancora di più livido, piovigginoso, sporco di acquerugiola nera che impasta terra e acqua.
Di nuovo la mia sfacciata sicurezza e i suoi tentennamenti prima dell'ubbidienza, le nostre voci che s'intrecciano nella consueta penombra che avviluppa le sagrestie dopo la funzione serale, e che nella pieve di Chiaravalle diventa una specie di acquerugiola nera, di fuliggine corposa che macchia i vestiti.
Luca Ricci scrive una storia in cui la prima cosa a essere sporca sono i pensieri e le azioni del protagonista, che manipola, occulta, blandisce. Niente di strano, niente di inimmaginabile fin qui, se non fosse che a tirare i fili di questa storia di chierichetti morti misteriosamente, contadini abbindolati, donnette ambiziose e rigoristi infallibili, di questa storia divisa fra monti e campagna, Chiaromonte e Chiaravalle sperse nell’Appennino, ambizioni di successi e facili denari, a tramare nell’ombra mimetizzato dall’abito che indossa, non sia altri che l’ultimo arrivato in paese: un giovane prete ambizioso e in cerca di rivalsa sociale. Il disegno divino è ignoto, ma quello che cela le bassezze umane si rivela lentamente, chiedendo al lettore un atto di fede, nell’arco delle poco più di cento pagine necessarie a Ricci per tessere la sua tela. Bello e convincente questo primo incontro con Ricci, un incontro che inseguivo da tempo e che non delude le aspettative, che mi spinge a proseguire per un po’ ancora a ritroso (Amori eccetera credo sarà il mio prossimo) prima di decidere di affrontare qualcosa della sua produzione più recente: Gli autunnali o Gli estivi, stagioni di un autore che nel frattempo dai racconti (dei quali nell’ambiente è considerato maestro) è passato ai romanzi.
È sempre una soddisfazione immensa finire di leggere un libro con la sensazione che sì, hai scelto bene, era veramente bello! Non è solo per i soldi che hai speso, sebbene, data la mia avarizia, anche questa considerazione sia importante, è perché in quel momento puoi dirti che non hai sprecato tempo appassionandoti a vicende, personaggi, intrecci che si sono rivelati, alla fine, una delusione, non hai dedicato loro invano la tua totale partecipazione, emotiva e "fisica" (perché, quando leggo un romanzo, io lo "vivo", lo "interpreto", lo "mimo", lo "recito", infatti preferisco essere sempre da sola).
La persecuzione del rigorista, di Luca Ricci, di cui parlavo qualche post fa, è veramente un bel libro: l'ho iniziato la notte fra il 21 e il 22 maggio e l'ho finito durante il viaggio di ritorno da Roma in treno. Come dissi (a F), io non ho una mente granché speculativa, ma ho capito questo: il protagonista, il prete, poiché dentro di sé l'ha negato, non riesce ad accettare il fatto che esista ancora qualcosa di puro, inviolato, "trascendente", "perfetto", che si incarna, nella metafora, nel contadino che non sbaglia mai un rigore. E si impegna per rovinare, "sporcare" questa realtà, per rendere il mondo non "come dovrebbe essere", ma "come è", come conclude alla fine soddisfatto, credendo, a torto, di essere riuscito nel suo intento.
Comunque le parti più "belle" sono dove viene tracciata l'atmosfera, la materia umana così desolatamente squallida, gretta, che abita il paesino teatro degli avvenimenti. Non esistono personaggi positivi (forse solo il contadino-calciatore), e il prete cavalca tutte le loro insoddisfazioni. A me, naturalmente, stanno mille volte più "simpatici" questi personaggi "negativi" che gli eroi. Alle volte si rimane quasi "disgustati" dal cinismo, dal disprezzo che il protagonista mostra per i suoi simili, e questa è una reazione buona (vuol dire che l'autore ha colpito nel segno, no?). Alcuni punti, alcune motivazioni che si svelano poco a poco, e vengono buttati lì quasi per caso, incidentalmente, dal prete (che narra in prima persona), ti fanno letteralmente sobbalzare e rileggere quelle righe per vedere se hai proprio capito bene (mi riferisco alla storia del chierichetto*). Bello, bello, bello.
La pervicacia con cui il protagonista e voce narrante del libro (che a me ha fatto pensare immediatamente al don Giulio di Moretti) si accanisce sul povero contadino-rigorista, più che a una pura e semplice invidia, mi sembra provocata dal rifiuto che quella “infallibilità” possa essere il risultato di una sorta di “grazia”, una opzione che, nel suo mondo del tutto privo di purezza e dove nulla è gratuito, è impensabile. Anche se alcuni elementi, specie alla luce della cronaca degli ultimi anni, sembrano un po' scontati (mi riferisco alla figura del vecchio prete pedofilo), quello che si apprezza nel libro di Ricci è la scrittura vivace, fresca, moderna e precisa, che si accorda perfettamente con l'intreccio innervato da una intelligente cattiveria, privo di qualsiasi assillo per il politicamente corretto eppure attento a conservare una sorta di altera eleganza, schivando con destrezza le trappole opposte, ma ugualmente nefaste, della caricatura e della moraleggiante satira di costume.
Metti due luoghi e due stagioni: Sperduto Villaggio invernale sull'Appennino (letterario) contro Bella Giornata al Lago, nel caldo Giugno (reale). Alcune ragazze ballano in spiaggia davanti a me, ma a causa di questa prosa avvolgente io sono altrove, sono completamente immerso in quel villaggio a vivere una storia che sa di antico. Non riesco a staccarmi dalla pagina. E anche quando lo faccio, chiudo gli occhi perché mi voglio gustare il momento ancora un po'. Stile, ritmo, umanità, orrore, sentimento: Luca Ricci batte topina-in-bikini-che-balla 1-0.