Da giovane era stato il figlio ribelle e avventuroso di un padre violento e militarista; amava la musica, suonando e componendo con estro; leggeva instancabilmente, e la conversazione con i filosofi era nella sua giornata la cosa più importante; dichiarava il re primo servitore dello stato e la «corona un cappello che lascia passare la pioggia». Eppure, in una politica europea già spregiudicata, Federico il Grande inaugurò un cinismo aggressivo, strumento della volontà di potenza entrata - secondo alcuni storici - nei geni maligni dell'Europa futura; era sleale e ingrato, «il malvagio uomo» lo chiamava Maria Teresa d'Austria. Si reputava un philosophe strano philosophe che disprezzava l'umanità. Figura doppia, contraddittoria, enigma sfuggente, e quindi soggetto ideale per una biografia.
Si laurea in lettere nel 1981 con una tesi in storia medievale all'Università di Torino. Successivamente perfeziona i suoi studi alla Scuola Normale Superiore di Pisa e nel 1984 vince il concorso per un posto di ricercatore in Storia Medievale all'Università degli studi di Roma "Tor Vergata". Nel 1996 vince il Premio Strega con il romanzo "Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo". Dal 1998, in qualità di professore di Storia Medievale, insegna presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale "Amedeo Avogadro". Oltre a saggi storici, è anche scrittore di romanzi. Collabora con il quotidiano "La Stampa", e lo speciale "Tuttolibri", la rivista "Medioevo" e con l'inserto culturale del quotidiano "Il Sole 24 Ore". Dal 2007 collabora ad una rubrica di usi e costumi storici nella trasmissione televisiva "Superquark". Il governo della Repubblica Francese gli ha conferito il titolo di “Chevalier de l’ordre des Arts et des Lettres”.
I ragazzi, in genere, studiano la storia a scuola e si annoiano, non capiscono le connessioni tra gli eventi, fanno casino sulla cronologia, non capiscono bene come interagiscono i protagonisti, non riescono a fare i collegamenti temporali e a comprendere le ripercussioni delle scelte politiche sul corso degli eventi. Se leggessero Barbero, forse, scoprirebbero quanto la Storia sia appassionante.
Federico il Grande (1712-1786) è un sovrano del quale in Italia si conosce poco: noi appassionati di musica sappiamo che fu un flautista eccellente, un compositore di buon mestiere, e fu lui a scrivere il celebre thema regium su cui Johann Sebastian Bach compose poi l’Offerta musicale, non a caso dunque dedicata proprio al re di Prussia. Si sa pure che fu un grande comandante militare, e che grazie a lui il regno di Prussia divenne una delle grandi potenze europee. Gli scolari più attenti se lo ricordano magari anche quale ammiratore di Voltaire e della cultura francese; in francese anzi egli scrisse un subisso di versi e prose che oggi a dir il vero non legge più nessuno; ma i monarchi poeti godono spesso di cattiva stampa quali autori di versi: a giudicare da ciò che ne riporta Barbero, come poeta Federico ad ogni modo non valeva quasi nulla. Giustamente l’autore analizza i motivi della “grandezza” che gli è attribuita: essi sono, in sostanza, più storici e simbolici che personali. Come uomo, Federico fu piuttosto meschino: a causa anche di traumi giovanili e d’un’educazione dissennata impartitagli da un genitore decisamente stupido, crebbe e soprattutto fu da adulto e re un uomo freddo, anaffettivo, cinico e piuttosto volgare; eccellente stratega, dichiarava però guerra in modo piratesco, se ne infischiava dei trattati, rideva della parola data, e insomma rassomigliava più a un presidente americano che a un monarca del Settecento; anche come uomo di governo (si dimentica, in genere, che le guerre occuparono solo una parte della prima metà del suo lungo regno) risultò un misto d’efficienza, rigore, scrupolo e ottusaggine impicciona e caporalesca, caratteristica questa, d’altronde, che lo accomunava al suo collega di assolutismo illuminato Giuseppe II d’Asburgo. La grandezza di Federico sta dunque in altro: e precisamente nell’essere stato, con la fondazione della potenza militare prussiana (non dello stato né del regno prussiano, che già esistevano), il padre nobile della Germania moderna e in parte anche del nazionalismo tedesco: nel bene e nel male. Il soprannome gli fu dato dai suoi stessi sudditi mentre era ancora vivo, e d’altronde, fra molti giovani del tempo (anche grazie alla propaganda di Voltaire) Federico diventò un mito vero e proprio. L’autore analizza e racconta questo personaggio contraddittorio ma centrale nella storia del suo secolo con uno stile semplice, conversevole, assai accattivante, adatto a rendere piacevolissima la lettura sia per l’appassionato di storia settecentesca sia per chi n’è digiuno; e anche, secondo me, per chi ritenga di non amare i libri di storia. Barbero inoltre parla diffusamente del rapporto di Federico il Grande con la musica. Ormai non più valido è quel che nota riguardo al fatto che, col medievale Alfonso X di Castiglia, Federico sia l’unico re di cui si trovino in commercio alcune opere musicali registrate in disco; a loro si sono aggiunti anche due o tre Asburgo secenteschi, e c’è in giro pure qualcosina di Enrico VIII d’Inghilterra, perlomeno il grazioso pezzo per liuto Pastyme in goode Companie. Giova piuttosto ricordare quanto scrivesse sulla sua corte e sul suo rapporto con l’arte dei suoni un osservatore colto e cosmopolita come il musicologo Charles Burney, che visitò Berlino nel 1772. Se il giudizio del dottor Burney sul Metastasio, da lui incontrato e frequentato a Vienna, fu l'opposto di quello, frettoloso e sciocco, di Vittorio Alfieri, il disagio provato dal viaggiatore inglese nell'universal caserma prussiana è il medesimo del poeta astigiano; al contrario di principi, duchi ed elettori renani, bavaresi o sassoni, il re di Prussia non seppe dargli nessun'accoglienza cerimoniosa ma insieme bonaria e cortese: ogni visitatore che entrava a corte vi era perquisito come un potenziale facinoroso; l'uomo d'oggi, avvezzo alle ossessioni securitarie dei politici attuali, troverebbe ciò normale: l'uomo del Settecento se ne sentiva intimamente offeso. Fosse per malumore o per diretta esperienza dei fatti, Burney ridimensionò quindi anche le qualità musicali di Federico il Grande: ne lodò senza riserve le capacità d'esecutore come virtuoso del flauto, ma ne biasimò senza riserve il gusto ristretto e conservatore. Alla corte di Berlino si sonava solo vecchia musica flautistica, composta da Quantz (che Burney incontrò e trovò molto piacevole) o dal re stesso; il repertorio non si rinnovava, e il monarca bandiva tutto ciò che non fosse di proprio genio e tutto ciò a cui non era stato abituato dalla giovinezza: il che provocava una stasi e un imbarbarimento nel clima musicale del regno. A quanto pare, il vecchio Fritz, letto il libro, se ne risentì molto, e per precauzione il Nostro si guardò bene dal rimetter piede nei suoi stati. Noterella erudita e curiosa. A complemento invece di quanto scrive Barbero a p. 167, giova osservare che il dono d’un cappello consacrato e d’una spada fatto dal Sommo Pontefice Clemente XIII al maresciallo Daun dopo la vittoria di Hochkirch non era un generico “riconoscimento tradizionale per i generali che avevano sconfitto gli eretici”, ma l’omaggio cosiddetto dello stocco e del berrettone benedetti, risalente almeno ad Urbano VI, il primo di cui è sicuramente attestato che elargisse quest’onorificenza nel 1386. Come attesta Gaetano Moroni nel suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, la notte di Natale il Papa benediceva una spada e una berretta di velluto rosso decorata con una colomba, che durante il rito era tenuta da un chierico alta sopra lo stocco dentro il suo fodero, e le donava in una cerimonia solenne a un condottiero che avesse difeso la cristianità: se questi era presente, cantava anche la quinta lezione del Mattutino di Natale, col berrettone in capo, brandendo lo stocco sguainato e indossando un piviale affibbiato all’omero destro a guisa di clamide al modo degli avvocati concistoriali; soltanto l’imperatore aveva il privilegio di portar il piviale aperto sul petto, come i chierici ordinati. Ai tempi del Moroni, che scriveva a metà Ottocento, si trattava d’una pratica ancor viva; l’ultimo insignito nella storia fu infatti il generale Kanzler, che nel 1870 aveva difeso Roma contro gl’invasori piemontesi; dopo Pio IX nessun Papa ha più concesso quest’originale onorificenza.
E' inutile, Barbero - che parli dei barbari a Adrianopoli, di costumi medievali o della vita di Federico II di Prussia - è un signor narratore. Bella prosa, leggibile da tutti e che attrae anche chi, di storia, sa poco o nulla e che soddisfa sempre anche chi di storia ne sa già qualcosa.
Il saper rendere con semplicità fatti storici richiede, a monte, preparazione ricerca e grande capacità di sintesi. Il rischio è quello di restare in superficie e non approfondire, e qui interviene il mestiere dello storico a decifrare - in una maniera o nell'altra - i fatti dandogli una interpretazione, e una profondità (e importanza) storica.
Federico II rimane un personaggio estremamente contraddittorio, come molti grandi della storia. Fu, per antonomasia, il sovrano illumista, amico e confidente degli intellettuali illuministi più celebri del suo tempo (Voltaire, ovviamente e come noto, su tutti) e, contemporaneamente, sovrano biecamente assolutista e militarista convinto, il vero creatore alla fin fine della potenza militare prussiana che sconvolgerà gli equilibri dell'intera Europa nei secoli a venire. Genio militare totale, dotato di grande intelligenza eppure rinchiuso in un cinismo e in una disillusione profondissime che lo spinsero col tempo in una sfiducia assoluta verso il genere umano tutto (lui escluso, ovviamente) e in una misantropia divenuta poi parte della sua leggenda.
Non doveva essere per nulla simpatico, Federico. Umanamente arido come le pianure sabbiose della Prussia, incapace di affetto o fiducia verso tutti coloro che gli gravitavano intorno eppure straordinario organizzatore, superbo comandante militare, attentissimo amministratore, grande accentratore. Fu l'epitome di tutto quel periodo che i libri di storia chiamano assolutismo illuminato, che sarebbe stato spazzato via alla fine dalla Rivoluzione Francese del 1789. Federico morì solo qualche anno prima, eppure non si accorse (come tutti i suoi colleghi re e imperatori, peraltro) che il suo mondo stava irrimediabilmente crollando (o, meglio, che stavano crescendo le forze che l'avrebbero portato al collasso).
In definitiva, devo dire splendida biografia, godibilissima per qualunque lettore.
Agile e smilzo volumetto su un grande personaggio storico. Sapevo poco di lui (Voltaire e Sans souci), quindi mi è stato molto utile. Fa venire voglia di saperne di più ergo è un ottimo libro :)
Finalmente capire qualcosa di più della Prussia e della sua particolare storia, attraverso la brillante capacità dell’autore di raccontare aneddoti e eventi capitali.
Una lettura interessante, resa ancora più coinvolgente dalla prosa scorrevole e accattivante del professor Barbero, su una figura storica che desta curiosità e repulsione al tempo stesso ed è ancor oggi ritenuta, per certi versi, controversa. Chi era davvero colui che meritò l’appellativo di Federico il Grande ? Despota illuminato, re filosofo, discreto poeta, flautista eccezionale, generale brillante e spregiudicato, il “méchant homme” descritto dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria… È difficile dare una risposta unica e definitiva. Quest’opera, che passa in rassegna la vita di Federico dalla giovinezza, trascorsa all’ombra di un padre-padrone, fino alla solitaria vecchiaia, vuole offrire un’immagine dell’uomo dietro al mito. Attraverso gli occhi di Federico si ripercorre anche la storia della Prussia e quella dell’Europa, in particolare nel periodo della guerra di successione austriaca (1740-48) e la guerra dei sette anni (1756-1763), teatro di numerose e sanguinose battaglie da cui il re prussiano riuscirà sempre in un modo o nell’altro a cavarsela, contribuendo a conferirgli quell’aura di invincibilità. E si avvicendano, tra le stanze e i giardini del palazzo di Sans-souci, altri personaggi di spicco dell’epoca come il filosofo Voltaire, l’italiano Francesco Algarotti e il compositore e musicista Bach. La storia raccontata dal professor Barbero ha un che di speciale, per cui non vorresti mai smettere di leggere o ascoltare.
La solitudine di Federico Federico II, re di Prussia, detto già dai suoi contemporanei Federico il Grande, è uno dei personaggi più controversi della moderna storia d'Europa. Re filosofo, letterato e musicista, salito al trono nel 1740 con la promessa di una grande era di riforme illuministiche, si rese protagonista di spregiudicate guerre di aggressione. Amico di Voltaire, appassionato della cultura francese al punto di non saper quasi parlare tedesco, grazie alle sue vittorie militari fece della Prussia una potenza europea, gettando le basi per l'unificazione tedesca e diventando l'icona del militarismo germanico. Cambiò il corso della storia europea, dando alla Germania un nuovo orientamento religioso e geografico. alleottodellasera.rai.it
Dei remoti ricordi scolastici qualcosa mi era rimasto, tuttavia ho affrontato la lettura di questo libro con una sorta di “pregiudizio favorevole” e un’ immagine ben precisa davanti agli occhi: la tomba di Federico a Sans Souci, Potsdam. Conoscevo bene la storia delle tumulazioni (non ce ne fu una sola, infatti) di Federico il Grande ed in quanto amante dell’arte cimiteriale (e dintorni: funerali, peripezie cadaveriche, “strane” morti…) considero l’approdo a Sans Souci una delle più belle storie funerarie mai raccontate. L’ho pure visitata, quella tomba, cogliendone tutta la suggestione. Anche Barbero si sofferma su questo dettaglio biografico. “Ho vissuto da filosofo e voglio venir seppellito da filosofo, senza pompa, senza fasti e senza cerimonie. Se morirò a Berlino o a Potsdam, non voglio essere esposto alla frivola curiosità del popolo. Piuttosto, voglio essere seppellito a mezzanotte, tre giorni dopo la mia morte. Mi si porti a Sans Souci, solo con la luce di una lanterna, senza che qualcuno mi segua, e mi si seppellisca in una buca che ho fatto preparare sulla terrazza”. Queste erano state le ultime volontà del re di Prussia, e questo avvenne, sia pure dopo oltre 200 anni dalla morte, nel 1991, quasi a suggello della riunificazione tedesca. Nulla dice Barbero, tuttavia, delle patate che i tedeschi vanno a portare sulla tomba di Federico. Oltre a qualche fiore, sono l’unico omaggio –il più bello- lasciato su quella semplice lapide (che è affiancata, secondo le sue volontà, dalle lapidi dei suoi levrieri... non la moglie, non i parenti... solo i suoi cani) presso la terrazza di Sans Souci. Perché le patate? Perché fu proprio Federico II a introdurre in Prussia la coltivazione della patata come alimento, salvando dalla fame migliaia di prussiani. ---- Il libro è interessante, ricco di aneddoti, godibilissimo, ma sullo stile ho qualche riserva: un po’ sciattarello, quasi da ragazzino in vena di battute. Sicuramente molto poco in linea col carattere teutonico del protagonista.
Tutta la storia di Federico raccolta in queste poche pagine, va dalla sua infanzia alla sua morte passando per gli studi, il considerarsi un re filosofo, il ribelle al padre e l’improvviso cambiamento di carattere nel momento dell’incoronazione, tutto questo raccontato con uno stile da saggio storico e non da romanzo, quindi semplice, asciutto e lineare, senza periodi lunghi e complessi, privo di fronzoli e aggettivi in eccesso, ma trasudante dell’entusiasmo caratteristico di Barbero e della sua passione, palpabile nelle pagine. Federico il grande è un’importante figura per il suo paese, la Germania, la sua eredità si ripercuoterà per secoli sulla cultura tedesca e Barbero in questo suo libro, riesce a racchiudere, in un numero limitato di pagine, una figura complessa e non perfettamente chiara, riuscendo a far percepire al lettore l’alone di misticità che avvolge la figura del re mentre questo è ancora in vita e come i generali stranieri abbiano paura di lui che sembrerà per molto tempo infallibile in battaglia. Questo alone di misticità sopravviverà allo stesso Federico per diverso tempo: da brividi, a pensarci, è la scena descritta negli ultimi capitoli, in cui Napoleone, dopo aver conquistato il territorio appartenuto tempo prima a Federico, andrà sulla sua tomba assieme ai suoi generali e levatosi il cappello sottolineerà che se lui fosse stato ancora vivo il loro esercito sarebbe stato sbaragliato. Il vantaggio di libri come questo è quello di riuscire a trattare argomenti storici e la cultura di un’altra epoca, senza un pesante impegno dettato da uno stile unicamente didattico, ma simile a una “chiacchierata culturale” che permette di memorizzare fatti storici, ma specialmente concetti e ideologie (spesso innovative per il loro tempo) di determinati personaggi, con la capacità di farti appassionare alle grandi figure della storia che hanno lasciato un segno con la loro vita nella loro epoca e a quelle successive.
Interessante saggio sulla vita di una figura storica spesso lasciata in disparte, soprattutto per le influenze che i suoi pensieri e le sue azioni hanno avuto su Hitler, ma che è stata fondamentale per la successiva storia della Germania. Il professor Barbero ha dato ancora una volta prova della sua capacità espositiva e di divulgazione con un saggio completo e non particolarmente complicato, ricco di spunti interessanti
La vita di Federico il Grande re di Prussia si legge come un romanzo se la racconta Alessandro Barbero, che sa incuriosire e affascinare come pochi quando si rivolge ai non addetti ai lavori. Personaggi, eventi politici e alleanze, guerre e strategie militari sono riportati con precisione, ma mai noiosi grazie a una narrazione semplice e ricca di ironia quando merita.
Sovrano assolutista, come lo erano Maria Teresa d'Austria e Caterina di Russia, sue contemporanee, Federico era un uomo dai mille contrasti: affascinante, ma anche cinico, sleale e ingrato; nutriva un totale disprezzo degli uomini, indipendentemente dalla classe sociale, perchè come era solito affermare "non sono fatti per la verità" e "il grosso della nostra specie è stupido e cattivo". Era anche un "philosophe", affascinato dalle idee illuministe e grande amico di Voltaire, che consultava spesso per i suoi innumerevoli scritti poetici sui più disparati argomenti. Trascorse circa 10 anni sui campi di battaglia e fu protagonista, vincendole, di due delle grandi guerre combattute nel Settecento; ed è soprattutto grazie ai suoi successi militari che venne definito dai suoi contemporanei il Grande. Oggi sappiamo che davvero Federico con la sua politica ha cambiato il corso della storia non solo della Prussia, lasciando "un'impronta che ha influenzato la storia dell'Otto-Novecento con una forza impressionante, e anche terrificate in un certo senso". Consigliato.
Questo è un libro comico. Non solo, è pure una profonda riflessione sui segni che lasciamo sul prossimo, sulla gloria, sul dovere. È, tra le altre cose, un libro storico. 200 paginette in cui si ride, si piange, si esulta e ci si incazza contro chiunque (soprattutto Enrico, cazzo Enrico stai zitto) parli male di Fede perché AO VUOI VENIRE A GOVERNARE AL POSTO SUO??? SAPRESTI FARE DI MEGLIO?
Quindi io in sostanza ho da dire solo una cosa, che è CI VEDIAMO A POTSDAM RAGAZZI HO TROVATO LA NUOVA TAPPA PER L'INTERRAIL VADO AD ONORARE MIO PADRE FEDERICO II DI PRUSSIA
“Federico ha lasciato un’eredità avvelenata alla Germania col suo assolutismo, il suo fanatico culto del dovere che perde di vista la questione morale; oppure, al contrario, Federico è la leggenda intorno a cui si può costruire un’identità tedesca”. Ecco, questa è una delle riflessioni che conclude il libro: un libro che ripercorre, in modo approfondito ma semplice, la storia e le imprese di Federico II di Prussia, dal ritratto del suo carattere difficile e forte, fino alle battaglie che lo videro coinvolto nella Guerra dei Sette Anni e che plasmarono la Prussia e la Germania per sempre.
Devo confessare che ho comprato questo libro quasi per errore ma ho deciso di leggerlo comunque. Nonostante parli di un'epoca storica della quale conosco pochissimo, bisogna rendere il giusto onore a Barbero che con la sua capacità narrativa (ho seguito tantissimi suoi interventi al Festival della Mente di Sarzana ma non avevo mai letto suoi libri) è riuscito a farmi comprendere benissimo contesto storico e personaggi che ne definiscono le vicende. Abbiamo tutti sentito parlare, probabilmente, della Guerra dei Sette Anni, ma quanti di noi riuscirebbero a delineare tutte le conseguenze che questa ha avuto sulle sorti europee e, perché no, mondiali? Libro davvero interessante anche per i non esperti, confermata la grande capacità di Barbero di appassionare chiunque alle vicende storiche di cui si occupa.
Meraviglioso, uno dei libri credo meno noti di Barbero che qui è ispirato e leggerissimo. Potrei rimettermi a rileggerlo dall'inizio anche adesso talmente è piacevole assorbire queste pagine.
Barbero ha raggiunto una certa notorietà che gli permette di fare un po' quello che vuole. Nel senso che, come storico, può permettersi sortite in temi e periodi che più gli aggradano.
Questa volta si concentra sulla figura di Federico II di Prussia detto anche "il Grande". Personaggio affascinante e molto discusso. Quasi sicuramente omosessuale, amante della musica (compositore flautista donò un tema a Bach per una delle sue fughe) e della filosofia (grande amico di Voltaire ed autore di saggi filosofici), ma anche fortemente misantropo ed un generale senza scrupoli (rimangono nella storia il suo bombardamento di Dresda e la depredazione della Sassonia, nonché l'invasione di territori circostanti senza casus belli semplicemente come azione "preventiva"). Se per i suoi contemporanei è stato un campione dell'illuminismo, prima, e de facto un tiranno quando asceso al potere, nei secoli è stato celebrato per le sue vittorie prima da Napoleone e poi eletto a culto da Hitler ed il nazismo.
Barbero si concentra molto nella prima parte del libro sulla giovinezza di Federico: il rapporto burrascoso con il padre-padrone, tedesco fin nel midollo, quello altrettanto conflittuale con la madre, inglese di nascita ed assai raffinata, la sorella Guglielmina, forse unica "amica" e le ribellione giovanili finite in prigionia e con la perdita del compagno, il principe von Katte. Ovviamente il lavoro di Barbero è volto a darci una visione completa del personaggio, in maniera tale da avere gli strumenti per poi "leggere" la seconda parte del libro, quella che si concentra sugli eventi storici che tutti conosciamo (sono sicuro che anche voi li conoscete a mena dito): la guerra con l'acerrima rivale asburgica per la conquista della Slesia, il ruolo centrale nella Guerra dei Sette Anni praticamente contro mezza Europa, la dedizione alla prosperità della sua Prussia (lo stato germanico che un secolo più tardi guiderà l'unificazione tedesca).
In generale, il libro rimane un'ottima lettura, soprattutto se si è a digiuno della figura e del periodo storico (il cuore del Settecento). Però, c'è un però. Barbero non mi ha convinto appieno. La mano dello storico non può essere e mai sarà obiettiva, però c'è un "pick'n'choose" che non ho gradito. Ad esempio, Barbero sorvola sulla presunta omosessualità di Federico (cosa data orami per acclarata dal consesso degli storici, per capirci alcuni ne hanno fatto persino una icona queer https://www.queerportraits.com/bio/fr...) sbrigandola con "forse era omosessuale ma si sa che ebbe frequentazioni femminili da giovane". Omettendo il rapporto più da innamorati che fraterno con il tenente von Katte (chiaramente il suo amante, qua per chi fosse interessato https://en.wikipedia.org/wiki/Sexuali...). Non so se Barbero abbia qualche problema con l'omosessualità, non credo, ma anche nella seconda parte del libro direi che gioca con le luci ed ombre. Federico è stato un mito per i suoi contemporanei e per chi è venuto dopo di lui. Un generale che, alla testa di eserciti molto più piccoli, ha tenuto testa alle potenze dell'epoca (Francia, Austria, Russia) tutte insieme. Si capisce bene da dove derivi la leggenda. E però sembra quasi che Barbero indulga in questa interpretazione, dando la netta impressione che Federico la Guerra dei Sette Anni l'abbia combattuto da solo. Che il contributo della Prussia fu determinante non solo in Europa (il primo ministro britannico Pitt disse "L'America è stata conquistata in Germania") è risaputo, ma Federico riuscì dove riuscì anche grazie all'impianto militarista lasciato dal padre (qua Barbero lo riconosce) ma anche grazie al contributo inglese sul continente con la difesa dell'Hannover (che distolse i francesi dall'attaccare i prussiani, mentre secondo Barbero la sconfitta di Rossabch fece così cagare sotto i francesi da non voler più affrontare Federico), alla tenuta del fronte orientale grazie al fratello Enrico (solo citato come vittorioso in un'ultima insignificante battaglia quando la guerra era ormai risolta).
Insomma, quello che voglio dire è che Barbero gioca con il lettore. Prima costruisce il personaggio dietro la leggenda, poi indulge egli stesso in questa leggenda. Il risultato è uno scritto sicuramente affascinante ma anche un po' troppo "romanzato" per quelli che sono i miei gusti in fatto di saggi storici. Sembra quasi che, uscito dal suo campo di maggior expertise, il Barbero narratore abbia la meglio sul Barbero storico.
Però, alla fine, è un peccato minore che poco guasta l'atmosfera del libro, dato che Barbero, oltre ad essere uno storico dimostra di essere anche un narratore di prim'ordine.
Ditemi che anche voi siete alla ricerca del libro con le lettere e i pettegolezzi di corte della sorella Guglielmina! E se lo trovate, fatemene avere una copia al più presto!
Che dire, il Barbero storico e divulgatore non si smentisce mai: può scrivere un'opera enciclopedica estremamente tecnica, fatta per specialisti e storici di mestiere, oppure volumi come questi che sono estremamente fruibili e adatti al pubblico generalista; volumi che, a mio avviso, dovrebbero essere distribuiti gratuitamente nelle scuole per riaccendere una certa passione per la Storia.
In questo interessantissimo libro, Barbero ci porta in un viaggio affascinante attraverso la vita di Federico II di Prussia, noto anche come Federico il Grande, un uomo la cui eredità continua a influenzare ancora oggi il corso della storia europea. Grazie alla sua maestria narrativa e alla sua capacità di trasportare il lettore nell'epoca tumultuosa in cui visse Federico, attraverso una combinazione di rigore storico e narrazione avvincente, l'autore ci presenta un ritratto vivido e sfaccettato di questo sovrano straordinario, esplorando sia la sua vita personale che le sue imprese politiche e militari.
Una delle qualità più sorprendenti di questo saggio storico è la sua capacità di far emergere la complessità e la contraddittorietà del personaggio di Federico. Barbero evita l'agiografia superficiale, presentandoci un Federico non solo come un genio militare e un riformatore illuminato, ma anche come un uomo tormentato dalle sue ambizioni e dalle sue passioni, un uomo intento a navigare tra trionfi e tragedie, tra momenti di grandezza e di disperazione.
Alessandro Barbero però non si limita alla sola biografia del personaggio e dei suoi legami familiari, ma ci fornisce anche un quadro dettagliato del contesto storico in cui il sovrano di Prussia visse e operò. Attraverso una narrazione ricca di dettagli e analisi approfondite, l'autore ci guida infatti attraverso le intricanti alleanze, le guerre e le trasformazioni politiche che caratterizzarono il regno di Federico, offrendo al lettore una comprensione decisamente più profonda del suo impatto sulla storia europea. Consigliatissimo!
Federico II di Prussia, per gli amici «Il Grande», è la causa dell’espansionismo di Hitler, che come lui aveva in testa tre ossessioni maniacali, vale a dire: 1. la fissa per i cani; 2. la claustrofobia da spazio vitale (Lebensraum); 3. l’ansia da invasione della Polonia?
Nel piacevolissimo «Federico il Grande», edizioni Sellerio, Alessandro Barbero (sempre sia lodato) la domanda se la pone e se anche non arriva ad una risposta, comunque si interroga sul perché della «grandezza» del personaggio.
«Grande» per chi?
«Grande» non certo per i parenti, che se non fosse stato il sovrano, l’avrebbero volentieri rinchiuso in una stanza costringendolo a guardare per tutta la vita Eurovision Song Contest.
«Grande» non certo per alleati e nemici, perché lui stesso riteneva i trattati della semplice carta straccia.
«Grande» forse per i tedeschi, per aver iniziato la trasformazione della Prussia da terra di confine cavalier-teutonica a Stato che, soprattutto dolo la Guerra dei sette anni, si siede al tavolo dei grandi per decidere spartizioni territoriali, che neanche a Risiko e per aver fatto da enzima a quel patrio senso di appartenenza prussiano, che ben presto farà rima con «tedesco».
Forse l’orizzonte semantico dell’aggettivo «grande», in relazione a personaggi politici, aveva un’estensione diversa da quella che abbiamo ora?
Una cosa è certa, se Federico è stato grande è perché ha dato, nel bene o nel male, una svolta alla storia e con lui si deve quindi per forza fare i conti, cosa che lui stesso fece per tutta la vita, al punto di vedersi attaccata l’etichetta di «tirchio».
Letto perché volevo provare l'Alessandro Barbero scrittore. Meraviglioso come le sue conferenze: 150 pagine sono sufficienti a Barbero per restituire la complessità della figura di Federico il Grande. Peccato solo l'assenza di mappe e di una bibliografia essenziale per chi volesse approfondire. Conclusa la lettura si corre ad ascoltare Offerta musicale di Bach.
Read because I wanted to test Alessandro Barbero as a writer. Wonderful as his lectures: 150 pages are enough for Barbero to depict Frederick the Great's complexity. It's a pity that there are no map and bibliography. When the book is over you want to listen to Bach's Musical Offering.
Uno dei migliori libri di Barbero che abbia letto. Coinciso, scorrevole, interessante. Proprio in questi giorni mia figlia, che studia al liceo, mi ha ripetuto la lezione relativa alle guerre di successione e la guerra dei 7 anni, trattate nel libro di testo in mezza paginetta, senza mai nominare Federico il Grande (di cui, prima della lettura di questo volume, ignoravo l'esistenza).
Ho consigliato a entrambe le mie figlie di leggere questo libro (e anche a mio marito, i miei colleghi, e chiunque mi sia capitato a tiro ultimamente). Se i manuali di storia assomigliassero a questa opera, gli studenti non odierebbero tanto la materia. Sono lieta che il Prof. Barbero possa godersi la pensione e abbia più tempo per scrivere queste interessanti biografie!
Breve saggio biografico sulla figura di Federico il Grande, secondo re di Prussia (o in Prussia, per il suo essere re di un territorio non appartenente de jure al Sacro Romano Impero Germanico). Più che un saggio mi è parsa la versione letteraria di una delle sue conferenze - gustosissimo da leggere, ma troppo focalizzato su anedottica e pettegolezzi. Personalmente avrei preferito un po' più di chiarezza sulle battaglie - tipo quando cita "l'ordine obliquo" ma lo liquida in due righe e invece si tratta di innovazione geniale - e sul contesto socio-economico dell'Europa dell'Illuminismo.
Un Barbero quasi al suo meglio. Veloce biografia di uno degli ultimi re dell’ancient regime. Sembra, nella scrittura di Barbero, che l’autore voglia far emergere la natura più illuminista ed illuminata di un sovrano, che non è stato più che un tipico sovrano dell’inizio dell’ età moderna. Non sono così sicure che si possa ascrivere l’origine del nazismo nelle radici del governo di Federico il Grande. Sa tanto di lettura distorta della storia
Bellissimo. Ritratto a tutto tondo di un Grande dell'Europa, non solo settecentesca. Un figura mondiale, globale, Federico il Grande, appunto. Come sempre nei libri di un certo livello, gli episodi meramente storici e cronologici sono sempre descritti con abbondanza di citazioni di fonti e condendo il tutto con gustosi aneddoti (sempre con base storica, mai per "sentito dire") che gettano una luce diversa, e più diffusa, sul personaggio, o l'avvenimento, in questione. Imperdibile.
Libro tratto da un podcast di Radio2 (all'epoca trasmissione radiofonica) che credo sia un vero capolavoro. Narrare la Storia come un grande romanzo, mettendo al centro l'uomo più che gli eventi, in maniera leggera ma per nulla superficiale, è una dote rarissima. Capolavoro.