Questo libro, il più celebre di Savinio e per molti il suo capolavoro, fu pubblicato per la prima volta nel 1942, in quegli anni della guerra che segnarono per lo scrittore l’apice dell’intensità creativa. Il successo fu immediato. Ma il suo vero pubblico questo libro dovrebbe raggiungerlo oggi, per la sua impressionante concordanza con la sensibilità di anni come i nostri, che si trovano – senza loro merito – ad aver bruciato ogni essenza della Storia. Mai tanto congeniale sarà stato per noi ascoltare Savinio come in questo «invito alla confessione», invito «tutto dolcezza e perfidia», che evoca i ritratti fantomatici di alcuni esseri quanto mai diversi – da Isadora Duncan al torero Bienvenida, da Nostradamus a Jules Verne –, sospinti verso di noi dalla risacca del tempo. L'edizione originale di Narrate, uomini, la vostra storia era accompagnata da un risvolto nel quale è facile riconoscere una delle più memorabili pagine di Savinio. Lo riproduciamo qui, come introduzione a questa galleria di «ritratti pietosi e terribili»:
«Una volta i ritratti erano fatti dai pittori. Tempi senza paura. Chi sa se Arrigo VIII oggi vivo, avrebbe ancora il coraggio di farsi fare da Holbein quel ritratto che in una sala del palazzo Corsini, a Roma, lo eternizza in tutta la sua verità? Di poi l'uomo non osa più farsi ritrattare dai pittori, ma si rivolge agli specialisti del ritratto, che fanno di lui un'immagine approssimativa e eufemistica. E questa paura si capisce. Nel vero ritratto l'essenza del personaggio prende stanza e si ferma per sempre, e il committente, perduta ogni ragione di vivere, s'incammina falotico e svuotato, verso la morte. Nasce da qui l'opinione degli antichi, che chi si fa fare il ritratto, finisce di vivere. Dei ritratti dipinti da Alberto Savinio, un critico ha detto che sono "altrettanti giudizi". A maggior ragione questa definizione si affà ai ritratti che Savinio non traccia col pennello, ma con la penna. Dei personaggi anche più spubblicati dalla fama, la storia serba un'immagine reticente, vestita di panni impermeabili, devitalizzata. Narrate, uomini, la vostra storia è un invito alla confessione. A questo invito tutto dolcezza e perfidia, non hanno saputo resistere né Felice Cavallotti, né Eleuterio Venizelos, né Antonio Stradivari, né Vincenzo Gemito, né Giuseppe Verdi, né il poeta Lorenzo Mabili, né il torero Cayetano Bienvenida, né Jules Verne, né Carlo Lorenzini, né il mago Michele di Nostradamus, né Paracelso, né la danzatrice ed eugenista Isadora Duncan; e in piena fiducia hanno vuotato in questi ritratti pietosi e terribili, tutta quanta la loro essenza fisica e metafisica. Ormai, i personaggi qui sopra nominati non li ritroverete più in nessun altro luogo, fuori che nelle pagine di questo libro; nel quale essi si stanno come il defunto nella tomba di una volta, assieme con la vedova, i guerrieri, i servi, i cavalli arsi sul rogo, e le armi, le cibarie, ecc.».
Alberto Savinio, nome d'arte di Andrea Francesco Alberto de Chirico (Atene, 25 agosto 1891 – Roma, 5 maggio 1952), è stato uno scrittore, pittore e compositore italiano. Nato in Grecia, terzo figlio dell'ingegnere ferroviario Evaristo de Chirico e Gemma Cervetto, fratello del pittore Giorgio de Chirico e di Adele, primogenita, morta nel 1891, studiò pianoforte e composizione al conservatorio della sua città natale, dove si diplomò a pieni voti nel 1903.
Potrei dilungarmi a considerare l'acume senza pari della prosa saviniana, la sua lievissima impeccabilità, l'erudizione dilettantesca, la cornucopia del vocabolario... Oppure potrei più dignitosamente riassumere (ed è quel che farò): mai come leggendo Savinio i miei neuroni fanno la ola. In questo libro specialmente, un tripudio! Gioia pura della mente. Che goduria.
è strano: nell'epoca di internet dove per un personaggio storico di cui vogliamo sapere di più ci affidiamo alle informazioni di google, è difficile riuscire ad immaginare una narrazione che riempia il personaggio per farlo vivere (cantare, direbbe forse Savinio). ho letto altri racconti di vite, ma questi sono unici. come ci è riuscito Savinio? un costante dialogo con le storie di questi individui lo ha condotto ad una irrilevata amicizia con loro? mi sconvolge. non riesco ad immaginare il processo di costruzione di un tale libro se non presupponendo la presenza in Savinio di una mente superiore. non mi sta dicendo esplicitamente "Felice Cavallotti nacque il...", ma l'informazione è implicita e superata, ne esce fuori un racconto vivo, complesso, strambo pure. Savinio parla con la Storia. forse è riuscito a parlare con l'Assoluto.
"Narrate, uomini, la vostra storia", Alberto Savinio, 1942.
CLA-MO-RO-SO.
Questo libro è clamoroso, nel senso più originario del termine: "rumoroso". E quale rumore? Quello dei miei applausi mentre lo leggevo.
Quindici biografie, quindici "ritratti pietosi e terribili" su carta. Da Isadora Duncan al torero Bienvenida, da Nostradamus a Jules Verne, fino a Paracelso; quindici personaggi tra loro diversi ma sospinti verso di noi "dalla risacca del tempo." Lampi di esistenza che non ritroveremo più in nessun altro luogo "fuori che nelle pagine di questo libro."
"I quali personaggi noi li abbiamo trattati come libretti d'opera, e la nostra fatica è consistita più che altro a metterli in musica." Così lo stesso Savinio nella introduzione. Ed è esattamente così. Alberto non scrive, ma scolpisce nella carta. Ogni rigo è capolavoro di scelta semantica. Ogni capitolo come se fosse Musica. Savinio dirige come maestro d'orchesta.
Capolavoro da un milione di stelle.
"(...) e gli uomini si tengono stretti tuttora il significato delle parole, senza pensare che le parole sono stati loro stessi a inventarle."
"La prospettiva del desiderio falsa la direzione, mostra nel futuro ciò che invece è nel passato. [...] L'illusione c'illude che avanziamo verso i nostri desideri, mentre in verità questo nostro avanzare è un ritorno. La nostra aspirazione più grande, il nostro desiderio più profondo è di ritornare alla condizione che ha preceduto la nostra nascita; e poiché non ci è consentito rientrare nel grembo di nostra madre, ci contentiamo di una metafora, e rientriamo nel grembo della terra." (Arnoldo Böcklin, p. 44)
"Il male è insopprimibile nel mondo. Perché non nasconderlo dunque sotto una faccia uniformemente angelica? Inutile cercare altro significato alla parola ipocrisia, di quello contenuto nella parola civiltà." (Isadora Duncan, p. 255)