This timely new book explores the formation of the Radical Feminist Movement of the 1960s and 1970s, its prominent leaders and organizations, and the issues it sought to address.
Radical A Guide to an American Subculture provides a current, comprehensive introduction to the Radical Feminists of the 1960s and 1970s, familiarizing readers with the individuals, organizations, actions, and philosophies that comprised this now-historic movement.
Of course, the feminists of the 1960s and 1970s stood on the shoulders of the crusaders who came before. Thus, the book looks at important historical events that paved the way for Radical Feminism, also examining the influence of the Women's Suffrage, Civil Rights, and New Left Movements. Specific social and political issues that concerned the Radical Feminists are explored, including sexuality, sex roles, contraception, and abortion; equal opportunity; feminism in the media; and women in leadership. Finally, the work scrutinizes the fate of the Radical Feminists and their legacy, discussing how their work affected the women's movement overall and how it affects the women―and men―of today.
Diverse ripetizioni (a volte di intere frasi...) e toni un po' troppo celebrativi. Il libretto resta tuttavia assai utile e interessante per capire origine e idee di un movimento a suo tempo di frangia e minoritario, ma che ha poi esercitato un peso non indifferente, forse sottovalutato, nelle idee e nelle politiche generali prima degli Stati Uniti, poi degli altri paesi, industrializzati e non, in un processo tutt'oggi ancora in corso. Le femministe radicali, con alcune differenze al loro interno, affermavano che l'oppressione femminile fosse parte integrante dell'oppressione capitalistica, o addirittura il suo aspetto principale: "siamo noi donne il vero proletariato", dicevano quelle che, vale sottolinearlo, erano soprattutto figlie della classe agiata di pelle bianca, a cui i vantaggi economici familiari avevano consentito di studiare e dedicarsi all'attivismo politico. Le femministe radicali affermavano che la distruzione dell'ordine capitalistico e del patriarcato, due mali inscindibili tra loro, avrebbe portato a una società armonica, socialista, libera, priva di classi sociali e di differenze di genere. Alcune andavano più in là: le donne dovevano isolarsi dai maschî, irrimediabilmente schiavi della loro brama di possesso e violenza, per creare comunità unicamente femminili, solidali, prive di gerarchia; qui c'era un'ulteriore divergenza tra quelle che reclamavano il lesbismo, non tanto come orientamente sessuale quanto come scelta politica e quelle che, invece, in un singolare afflato puritano, proclamavano il celibato e l'astinenza come vera affermazione femminile a fronte della sopravvalutazione (maschile) della sessualità. Condannato come tutti i movimenti estremi a sparire rapidamente nella sua forma organizzata e militante già a metà anni Settanta, vittima di croniche frammentazioni interne e dell'intransigenza verso qualunque compromesso, diversi temi del femminismo radicale gli sono tuttavia sopravvissuti e, anzi, hanno trovato largo spazio negli anni a venire: non è difficile riconoscerli nelle molte convenzioni internazionali firmate e sottoscritte da numerosi Stati, spesso con voto unanime dei parlamenti. Non tanto, ovviamente, la feroce critica al sistema capitalistico, quanto piuttosto la volontà di imporre mutamenti culturali nel quotidiano dei rapporti tra i generi e di regolare la relativa produzione simbolica, in particolar modo quella dell'immagine visiva, con un accento marcato, se non a tratti ossessivo, sulla questione della violenza. Resta da interrogarsi sulle ragioni di questa singolare e pronta ricettività nei confronti di tali istanze da parte di un potere politico che, come sua composizione, è ancora quasi interamente maschile.