Traduzione dei racconti di Harold Brodkey Stories in an Almost Classical Mode - Il prodigo sognatore - Sulle onde - Contabilità - Hofstedt e Jean e altri - Il tiro a segno - Innocenza - Gioco - Una storia in modo quasi classico - Suo figlio, tra le braccia, nella luce, lassù - Pubertà
RACCONTA UN SACCO DI BUGIE SE VUOI UNA VITA FELICE
Ho letto che Brodkey è considerato il Proust americano – poi ho letto che è l’anello mancante tra Proust e David Foster Wallace. Adesso mi aspetto di leggere che lo si ama o lo si odia, tanto per restare nei commenti che non significano nulla, e niente aggiungono o spiegano.
Anche questa volta Brodkey sceglie un titolo bello e perfetto: storie in modo quasi classico, dopo primo amore e altri affanni. Che meraviglia.
In queste pagine, ci sono bambini che trovano illuminazioni. Ci sono ragazzini di undici, dodici, tredici anni che cominciano a diventare uomini, alla soglia dell’adolescenza, nel rito di perdita dell’innocenza, nell’età in cui si è con la mente più acuta degli angeli.
C’è tanto sesso: oltre il famoso racconto con la lunghissima descrizione di un cunnilingus (‘Innocenza’), che non dura tutto il racconto come qualcuno mitizza, ma fa parte di una lunga scopata piena di tutto, amore incluso, splendido racconto – oltre questo, c’è una masturbazione di gruppo (scout), c’è la scoperta del piacere sessuale col proprio sesso.
Ci sono frammenti di luce alla deriva, come ombre di foglie, dettagli della giornata, ugualmente transitori.
C’è grande capacità di maneggiare le sensazioni e le emozioni, e il ricordo in modo magistrale.
Ci sono persone che hanno la schiena trafitta da un pesante abbozzo d’ali, che si trasformano, crescono, diventano, vivono.
Ci sono pochi fatti, poche cose che succedono, e non se ne sente la mancanza: Brodkey racconta la vita, che è quello che conta, chi ha bisogno dei fatti?
Quando ero piccolo ogni tanto riuscivo a mettere le mani su un barattolo di latte condensato: facevo due buchi, uno per fare entrare l’aria e l’altro per bere – e comunque, dovevo succhiare forte, perché il latte era davvero condensato, difficile da estrarre. Se ero vorace, se mi lasciavo prendere dall’ingordigia, finivo un po’ stomacato dal troppo zucchero, dall’eccesso di sapore forte e intenso. Invece, se ero ragionevole, il piacere era assicurato. Molto spesso leggere questi racconti mi ha riportato a galla questo ricordo.
Non sono tutti alla stessa altezza, qualcuno fatica ad andare giù: forse perché il protagonista quando diventa adulto fa di professione il regista, e Brodkey dipinge una caricatura del metteur en scene, finta e banale; forse perché in un altro racconto, lo scrittore e professore Hofstedt è davvero antipatico e somiglia troppo a certi personaggi di Philip Roth. Qua e là, mi aspettavo un personaggio esprimersi con una battuta del tipo ‘Mi fanno male i capelli’, e certo non in memoria di Amelia Rosselli. Però non è successo, è stato piuttosto Brodkey a esprimersi con un mani da prete azteco che mi ha lasciato perplesso.
In queste zone del libro, Brodkey secca invece di asciugare, recide invece di sciogliere, esaspera invece di ammorbidire, insiste invece di sfumare.
Ma la sensazione vincente e dominante è quella del piacere, del dolce denso e corposo di un latte condensato. Mi piace il salto rapido di un buon racconto, l'emozione che spesso comincia già nella prima frase...
PS Gordon Lish è stato editor di Brodkey e di Carver: due pesi e due misure, il minimo che si può commentare.
Ero considerato una bella mente Harold Brodkey è uno scrittore estremamente dotato, dà l'impressione di riuscire a comunicare esattamente quello che vuole. Nei racconti sembra che attinga a piene mani dalla sua vita e ai miei occhi costruisce il mito di una persona che riesce nell'intento di piegare il destino in suo favore o almeno di saper cogliere l'onda al momento giusto. Lo invidio molto per questo. Il protagonista del primo racconto è un regista che all'inizio di una giornata di lavoro viene informato che la sua nonna è morta, dice che non gliene importa. Il racconto si svolge parallelamente sul piano della giornata lavorativa (attori, cameraman, tecnici delle luci...) e nella sua mente, che ripercorre infanzia e adolescenza con la nonna, alla quale deve formazione e fortuna. Qui Brodkey si presenta come ebreo di origine russa, consapevole, capace, molto intellettuale. Parla con delicatezza di bambini e bambine, racconta in modo buffo del ragazzino che viene spinto dalla famiglia ebrea a farsi strada fra i boy-scout come veicolo di integrazione sociale e lui ci va, senza molta convinzione ma cogliendo il lato ludico della cosa; gli viene anche spiegato che cosa vuol dire scopare: “I miei genitori non farebbero mai una cosa del genere”. Sugli adulti il tono è decisamente più sarcastico: Il tiro a segno sembra la sceneggiatura di un film di Woody Allen, con una protagonista che a vent'anni è membro segreto del partito comunista e attraverso innumerevoli storie sessualsentimentali, parlando moltissimo, anche con lo psicanalista, (“per controllare la sua paura, Ann fece finta che il soggiorno fosse pieno di psicanalisti”). conclude che sta diventando borghese, “Come mai, Fennie?“ gli chiese. ”Dimmi, come mai?“ Un racconto notevole è quello della sua storia di sesso e amore con Orra Perkins, studentessa di Harward, “Era quasi pelle e ossa, una ragazza–tulipano né alta né bassa. Vederla alla luce del sole era vedere il marxismo morire. Non sono il solo ad averlo detto”. La totalità del racconto è dedicata alle gesta erotiche dei due e riesce a essere divertente e sensuale al tempo stesso, risultato non facile. Il racconto più toccante è quello del tredicenne figlio di una coppia senza salute, che si trova a gestire la madre che non vuole accettare malattia e morte e riversa il tutto sul figlio. Il ragazzino riesce nell'impresa disperata di distogliere la sua attenzione dall'ingiustizia del destino e a incanalare la sua energia e volontà di ferro nel mostrare a tutti come è brava e costruttiva per il tempo che le rimane. Nel leggere, si affaccia una certa sospensione della credulità ma è anche vero che lo spirito di sopravvivenza di un tredicenne può produrre intelligenza strategica sufficiente. Infine, Brodkey sembra sempre superiore ai problemi dell'essere umano medio, ma il tono è così brillante e la qualità dei racconti è tale che non si può fargliene una colpa. Oppure non ha un ego smisurato ma distilla per i suoi lettori una morale come quella che lui offriva alla madre: tutto è possibile, se ti impegni davvero.
In questo periodo mi capita spesso di incontrare recensori che scovano scrittori neo-"proustiani". Checchè ne scrivano, non lo è, Brodkey. Anche se i ricordi, la memoria li maneggia con una capacità di ricostruire emozioni e flussi mentali veramente sorprendente. La sua però, rispetto al tempo perduto, non è una ricerca. E' un dolorosissimo esorcismo. Il racconto sulla madre è splendido proprio perché è infarcito di una sofferenza asciutta, senza sbavature, che non cerca consolazione per se, nè commozione per il lettore. La figura paterna in un altro racconto, notevole anche quello, ha un'altra tonalità, ma neppure lì ho trovato niente di "proustiano". L'elegia del tempo perduto è quanto di più lontano. La qualità migliore della scrittura sta negli aggettivi: si alzano come traccianti coloratissimi, nel panorama volutamente piatto o volutamente frammentato della narrazione; oppure nel buio di senso. Una aggettivazione ricchissima che in certi casi è una mitragliata di aggettivi. E sono aggettivi che per quanto inconsueti e spiazzanti sembrano "naturali", perfetti. Emozionano e bloccano il pensiero attorno ad un'immagine, una suggestione: un bellissimo effetto. C'è da dire che in certi racconti esagera, con gli spari. Ed in certi altri invece si affaccia anche un po’ di noia, ma in una raccolta così vasta, ci sta. Il racconto migliore una volta tanto è il più famoso e si chiama Innocenza. Il titolo calza benissimo nonostante venti pagine e più siano dedicate alla moviola mentale parallela ad un rapporto orale, vissuto come un dono d'amore di un uomo ad una donna, malata della sua straordinaria bellezza. Uno dei racconti sull''amore dei corpi più autentici (e pedagogici) che abbia mai letto. Da corso di (ri)educazione, sessuale e non solo (soprattutto per i maschietti). Una gran bella raccolta di racconti insomma. Grazie infinite a chi mi ha consentito di scoprirli.