First published in Italian in 1968, The World Saved by Kids was written in the aftermath of deep personal change and in the context of what Elsa Morante called the “great youth movement exploding against the funereal machinations of the organized contemporary world.” Morante believed that it was only the youth who could truly hear her revolutionary call. With the fiftieth anniversary of the tumultuous events of 1968 approaching, there couldn’t be a more timely moment for this first English translation of Morante’s work to appear.
Greeted by Antonio Porta as one of the most important books of its decade, The World Saved by Kids showcases Morante’s true mastery of tone, rhythm, and imagery as she works elegy, parody, storytelling, song, and more into an act of linguistic magic through which Gramsci and Rimbaud, Christ and Antigone, Mozart and Simone Weil, and a host of other figures join the sassy, vulnerable neighborhood kids in a renewal of the word’s timeless, revolutionary power to explore and celebrate life’s insoluble paradox.
Morante gained international recognition and critical acclaim for her novels History, Arturo’s Island, and Aracoeli, and The World Saved By Kids may be her best book and the one that most closely represents her spirit.
Elsa Morante began writing short stories which appeared in various publications and periodicals, including periodicals for children, in the 1930s. Her first book was a collection of some of the stories, Il Gioco Segreto, published in 1941. It was followed in 1942 by a children's book, La Bellissime avventure di Caterì dalla Trecciolina (rewritten in 1959 as Le straordinarie avventure di Caterina). She married the novelist Alberto Moravia in 1941, and through him she met many of the leading Italian thinkers and writers of the day as Pier Paolo Pasolini, Dario Bellezza, Sandro Penna, Attilio Bertolucci, Umberto Saba and many others.
«O pudore d'una infanzia uccisa perdonami questa indecenza di sopravvivere»
Gennaio 2013: per la prima volta si rappresenta La serata a Colono (qui contenuta nella parte seconda, La commedia chimica). Grande Carlo Cecchi, al teatro Carignano di Torino, con la regia di Mario Martone (con Antonia Truppo, Antigone e Angelica Ippolito, la suora).
Parodia, dice il sottotitolo; e in alcuni momenti lo è anche nel senso più facile, come quando il «piccolo proprietario benestante vedovo» che si crede – ed è – Edipo è raggiunto dalla suora che porta la medicina e la riconosce come la figlia Ismene: «Che notizie ci porti?» «Tutte buone notizie! In famiglia tutti bene!» (nell’Edipo a Colono di Sofocle Ismene arriva portando la notizia della lotta fratricida a Tebe tra i figli di Edipo, Eteocle e Polinice). Scena che segna anche il punto dove la “tragedia” del padre dialoga davvero – in modo allucinato e ironico – con la pietosa “commedia” della figlia; dove si toccano l’alta lingua «magniloquente» fatta di «manierismi» di Edipo e lo stile colloquiale e dialettale di Antigone.
Perché, in fondo, tutti monologhi sono. Deliri, voci individuali perse nella loro dura impossibilità di dialogo: sia l’allucinazione mitica del padre, sia l’accudimento fedele della figlia (siamo «in un corridoio attiguo al reparto Neuro-deliri»). E naturalmente deliri, voci individuali sono quelle dello straordinario Coro dei ricoverati, che nasce dalla negazione stessa della coralità, da un insieme di voci «tutte monologanti contemporaneamente» (e che Martone ha fatto diventare corpi che si muovono nello spazio del teatro: disturbo, fisicità, condivisione elementare, nel dolore, nel lamento naturale comune).
Morante, in questa tragedia-poema-delirio-parodia si misura con il più proverbiale pessimismo greco: «non nascere, ecco la cosa migliore, e se si nasce tornare presto là da dove si è giunti. E quando passa la giovinezza con le sue lievi follie, quale mai pena manca? Invidie, lotte, battaglie, contese, sangue, e infine, spregiata e odiosa a tutti, la vecchiezza» (Edipo a Colono, appunto). Attraverso le ere, le civiltà, i cicli naturali, sale la protesta (che è anche, nello stesso tempo, assurda appassionata preghiera) contro la maledizione di LUI, il Sole, «Febo – o Ra – o Iaveh – o Coatl – o qualsiasi altro voglia essere quel nome». La vita.
La più complessa delle opere di Elsa Morante è un gioco vitale, un intrigante miscuglio di canzoni, spartiti, poesie, commedia e racconto. Un inno gioioso ai Felici Pochi (F.P.), inconsapevoli, spontanei, divergenti e indomabili, esaltato dallo sguardo malinconico di una quarantenne-quasi-cinquantenne provata dal dolore e incapace di riconoscersi nella vecchiaia. Il mondo può essere salvato solo dai ragazzini, la Grande Opera, la macchina micidiale e incomprensibile della storia può essere rovesciata, nella consapevolezza che il senso supremo è che si tratta soltanto di un gioco.
Do 5 stellette, perché non si può dare meno punti a Elsa Morante, ma Il Mondo salvato dai ragazzini non è assolutamente una raccolta di storielle veloci. Nelle sue strofe si alternano rime, suoni, versi, nomi importanti, e a unire tutte le cose che sembrano non avere un senso, c’è un grande rifiuto per l’irrealtà e desiderio di restare sempre veri e puri, come gli I.P.
La disgregazione folle di una convenzionale forma libresca. Un inno alla gioventù di un '68 imperituro che si risveglia nelle nuove generazioni, che trae vigore dalle battaglie dei giovani d'oggi. Un manifesto, come la Morante stessa lo aveva definito. C'è Arturo in queste pagine, compare anche nelle parole di un Edipo reinventato che ha tutto e nulla di Sofocle, completamente immerso in un teatro destrutturato come quello che negli anni novanta Sarah Kane avrebbe messo in scena. Ma qui il Re... la Stella del cielo ha conosciuto la legge - quella che ad Elsa e a tutti noi ha spezzato il cuore (fuori dal limbo non v'è eliso) -, se n'è andato dalla soffusa e inattaccabile "isoletta celeste" ed è entrato, dirompente e vigoroso, nel caos di una modernità figlia di due guerre mondiali; si è inserito nella folla per ricordare ai giovani e agli adulti disillusi che la voce di chi canta saprà sempre trovare un modo per sopraffare quella dei tiranni e dei dittatori, di quegli Infelici Molti che ristagnano in una felicità apparente, mangiando sulle schiene dei reietti.
"Pure se ci fa tremare per gli spasimi e la paura, tutto questo, in sostanza e verità, non è nient'altro che un gioco."
Con mio grande rammarico, posso dire che l'unico libro di EM che ho apprezzato è stato 'L'isola di Arturo', e questo probabilmente perché ho vissuto a Procida gli anni della mia preadolescenza, il che mi ha permesso di comprendere l'esperienza del suo protagonista. Mi aspettavo molto da questa raccolta, che mi è stata raccomandata con calore da più persone. Ma mi sono smarrita nella sua 'rilettura' dell'Edipo a colono (esattamente come mi era capitato per le Erinni in 'Riunione di famiglia' di T.S. Eliot), non riuscendo a trovare la giusta 'maniera' di lettura: lasciarmi trasportare dalla corrente, ignorando ala mia conoscenza di Sofocle, oppure fermarmi su tutti i piccoli scogli che 'agganciano' l'archetipo? E lo stesso dubbio mi ha tormentato anche riguardo agli altri 'poemi', la salita sul Golgota e il 'manifesto' giullaresco che dà il titolo alla raccolta. Alla fine, posso dire di aver trovato alla mia 'misura' soltanto la 'canzone degli F.P. e degli I.M.'.
"Il cervello è una macchina furba e idiota, che la natura ci ha fabbricato studiandola apposta per escluderci dallo spettacolo reale, e divertirsi ai nostri equivoci. Solo quando la macchina si guasta: nelle febbri, nell'agonia, noi cominciamo a distinguere un filo dello scenario proibito. Nella mia cecità spasmodica e corrotta adesso io vedo cose nascoste alla innocente salute, agli occhi intatti..." (Edipo, La serata a Colono, p. 63)
"Certi attacchi d'allegria sono uguali alle note musicali che non possono restare sole: d'istinto una nota s'attacca ad un'altra nota per l'accordo; e un accordo ne vuole un altro e un altro e un altro, e vanno al tema; e allo sviluppo; e al ritornello."