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Il padrone

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Nell’autunno del 1964, dopo cinque anni di silenzio, Parise pone fine a un nuovo romanzo, Il padrone, che gli appare simile a una favola «minuziosa e crudele». Da una favola, in effetti, sembra uscita la ditta commerciale (ma non sarà difficile riconoscervi la casa editrice dove Parise lavorò a lungo) in cui il giovane protagonista, appena sbarcato dalla provincia in una grande città, trova lavoro: un palazzo di vetro che, con la sua cuspide aguzza, esercita una irresistibile forza di attrazione. E da una favola parodistica o da un cartoon sembrano usciti i personaggi che lo popolano: il malinconico, nevrotico dottor Max, il padrone, diviso fra la passione per la filosofia e l’ansia di scalzare il potere del padre, il vecchio Saturno; Uraza, sua madre e principale alleata, che nell’enorme massa di capelli soffici e fiammeggianti ha un potentissimo strumento sensorio; la fidanzata Minnie, che accompagna ogni gesto con un’onomatopea da fumetto; il fedele autista-infermiere-spia Lotar, incarnazione della forza bruta e della più ottusa fedeltà; e la folla di collaboratori e dipendenti, dall’immenso e infido dottor Bombolo agli inermi Pluto e Pippo. Ma, soprattutto, rinvia a una favola filosofica il gelido incantesimo che imprigiona la ditta trasformandola in una immane trappola mortuaria: far parte del suo organismo significa infatti essere proprietà del dottor Max, e dunque – prigionieri delle involuzioni e delle allegorie del suo pensiero – rimuginare senza tregua su cambiamenti di umore e repentine simpatie e antipatie, sopravvivere a misteriose e inestirpabili malattie, diventare insomma una cosa. Segnata dalla poesia della «crudeltà espressiva» e del «taglio chirurgico» (Montale), questa favola ferocemente sarcastica suscita un’angoscia antica e profonda: se infatti non c’è realtà senza padroni e senza gerarchia, la sola libertà, come ha dichiarato Parise in un’intervista, «coincide con la morte».

268 pages, Paperback

First published January 1, 1965

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About the author

Goffredo Parise

80 books22 followers
Goffredo Parise è stato uno scrittore, giornalista, sceneggiatore, saggista e poeta italiano.
Nasce a Vicenza l'8 dicembre del 1929; la mamma Ida Wanda Bertoli, ragazza madre, cerca con grandi sacrifici di riempire il vuoto della mancanza del padre. Nel 1937 muore il nonno e la madre sposa il giornalista Osvaldo Parise, direttore del «Giornale di Vicenza»; il piccolo Goffredo, sempre alla ricerca di una figura paterna, gli si affeziona ed è ricambiato e Parise dopo otto anni lo riconosce come figlio.
Goffredo appena quindicenne partecipa alla resistenza in provincia di Vicenza; finita la guerra frequenta il liceo e in seguito si iscrive a vari indirizzi universitari senza arrivare mai ad una laurea (sarà laureato «ad honorem» solo nel 1986 dall'Università di Padova).
Tramite alcune conoscenze il padre adottivo lo introduce al mondo della carta stampata. Goffredo incomincia a scrivere per quotidiani come «l'Alto Adige» di Bolzano, «l'Arena» di Verona e il «Corriere della Sera» e in questo periodo il giovane capisce la sua vera passione: l'inclinazione a scrivere storie. Parise nel 1950 si trasferisce a Venezia e in una stanza in affitto scrive il suo primo libro, il «cubista» Il ragazzo morto e le comete, pubblicato dall'amico Neri Pozza (il quale però suggerisce cambiamenti che Parise si rifiuta di fare).
Dopo un'iniziale stroncatura sia dalla critica sia dal pubblico, Parise pubblica nel 1953 il libro La grande vacanza, con una lusinghiera recensione sul «Corriere della sera» di Eugenio Montale: «...affascinato dall'abilità di Parise e dal suo calarsi nell'infanzia senza modi nostalgici e crepuscolari»; questo libro viene definito nel 1968 da Carlo Bo autentica poesia.
Nel 1953 si trasferisce a Milano, dove lavora alla casa editrice di Livio Garzanti, e dove conosce Leo Longanesi che lo incoraggia a continuare a scrivere. Con il romanzo Il prete bello (1954), lo scrittore acquisisce grande notorietà non solo in Italia, ma, con decine di traduzioni, anche all'estero. Intanto, è diventato amico di Eugenio Montale e Nico Naldini; si sposa il 29 agosto 1957 con Mariolina Sperotti, detta «Mariola», giovane vicentina. Testimone di nozze è l'amico Giovanni Comisso.
Cominciano gli anni di spostamenti e viaggi. Tornando a Vicenza, incontra Guido Piovene, del quale diventa amico, scoprendo però di non voler più tornare nella sua città. Dopo una vacanza a Capri, è indeciso se tornare a Milano o a Venezia o andare a Roma, dove vive un altro amico, Carlo Emilio Gadda, del quale diventerà nel 1964 vicino di casa (in via della Camilluccia). Nel 1956 pubblica Il fidanzamento e nel 1959 Amore e fervore (che poi verrà intitolato Atti impuri). Nel 1961 fa un lungo viaggio in America, dove Dino De Laurentiis vorrebbe che scrivesse un film per il regista Gian Luigi Polidoro. È insieme colpito e deluso da New York, ma soprattutto è affascinato dai viaggi e, appena uscito Il padrone (1965), visita la Cina, il Laos, il Vietnam, la Malesia, e di nuovo New York, Londra, Parigi, Giacarta, Tokio, Mosca (reportage in parte raccolti postumi in Lontano).
È ormai uno scrittore affermato e frequenta intellettuali, scrittori, registi e pittori nella Roma degli anni Sessanta. Ma i suoi punti di riferimento sono Gadda e Moravia, e poi nel 1963 ha incontrato Giosetta Fioroni che considera la sua nuova compagna (con la moglie il matrimonio è naufragato da tempo). In occasione de Il padrone è passato da Garzanti a Feltrinelli, e qui pubblica anche Il crematorio di Vienna (1969). Intanto ha scoperto una casa nel bosco di Salgareda, nel trevigiano, e riesce a trovare il modo per comprarla. Escono I sillabari, il primo volume nel 1972 presso Einaudi e il secondo nella collana «Medusa» di Arnoldo Mondadori Editore, che raramente pubblica italiani, ma nella quale Parise voleva essere incluso perché vi aveva letto i suoi amati Ernest Hemingway e William

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Displaying 1 - 11 of 11 reviews
Profile Image for Dagio_maya .
1,108 reviews351 followers
June 8, 2019
Edizione Einaudi 1971- Lire 800
Così recita la scritta in copertina:
"Una favola alla Candide su un candido innocente e un dispotico padrone "


description


Un qualunque giovane ventenne lascia una qualunque provincia per raggiungere una qualunque grande metropoli.
Forte di una raccomandazione, si presenta alla sede del suo primo impiego.
Sembrerebbe un racconto sociale ma da subito è evidente che si tratta di una favola.
Una favola, tra l'altro, grottesca e surreale dove l'ingenuità e l'ottimismo s'incagliano in qualcosa d'inaspettato che renderà tutto diverso.

Incipit

"Questo è il mio primo giorno nella grande città dove ho trovato lavoro. Non posso negare d'essere un poco emozionato, da oggi la mia vita muta radicalmente; fino a ieri ero un ragazzo di provincia, senza nulla in mano che viveva alle spalle dei genitori. Oggi sono invece un uomo che ha trovato lavoro e che d'ora in poi provvederà a se stesso, non solo ma già comincia a pensare ad una famiglia propria, e quando sarà il momento ad aiutare voi cari genitori"


Ma la realtà è un'altra: si entra subito in una dimensione kafkiana.
Innanzitutto la sede dell'Azienda - contro ogni aspettativa- ha un'entrata incastrata fra case normali; nulla d'imponente.
Il primo personaggio, che incontra il giovane, è il custode il quale mette subito sul piatto il tema grottesco.
In questo è in altri personaggi, infatti, le descrizioni somatiche riportano al mondo animale:

"Ha rivelato chiaramente la sua natura che, com'era parso d'intravedere nei suoi occhi offuscati, dall'ombra delle sopracciglia, era un'ombra scimmiesca.."

Appena il nostro protagonista senza nome (perchè è uno qualunque) consegna la lettera di presentazione avviene la prima metamorfosi: la sua voce risulta da subito estranea poiché appartiene ad una nuova persona.

Sul filone grottesco si determinano i principali personaggi che hanno nomi da fumetto comico o fantascienza.
Quindi troviamo:
il dottor Max (il padrone)
la d.ssa Uraza (madre del padrone)
Minnie (la fidanzata del dottor Max)
Diabete (colui che raccomanda)
Lotar (il tuttofare)
Selene (dipendente)
Rebo (capo del personale)
Pippo (dipendente)
Pluto (dipendente)
Zilietta ( la promessa sposa del protagonista)

Il padrone ha l'aspetto di un giovane filosofo, un idealista.
Di fatti, spesso si perde nei suoi pensieri apparentemente travagliati dalla questione della moralità dell'essere il capo.
Nonostante un'immediata empatia, da subito il protagonista si rende conto dell'asimmetria del rapporto.
Accettare con dolcezza remissiva questa sudditanza (proprio come fosse un passaggio naturale) è considerato il giusto atteggiamento per ottenere gli ambìti traguardi borghesi:
il matrimonio, i figli, la tv, la lavatrice, il frigorifero... "insomma di far parte, anche minuscola(...) del grande involucro protettivo della specie umana che era il lavoro"

Quindi il giovane ed ingenuo s'immola al tempio aziendale:
compie un sacrificio di sé dichiarandosi apertamente proprietà del padrone!
In lui, pertanto si compie gradualmente un annullamento dell'identità originaria.
Lavoro, lavoro, lavoro..il week-end come momento di sospensione, un non-essere.

Il padrone appare contraddittorio:
difende, da un alto, la questione morale e stringe, dall'altro, la morsa fino a rendere impossibile ogni movimento e quando il giovane ingenuo candido se ne renderà conto sarà troppo tardi.

Una disillusione che pensando al suo futuro figlio lo porterà a dire:

"Gli auguro una vita simile a quella del barattolo che questo momento sua madre ha in mano solo così nessuno potrà fargli del male"

Un buon libro che avrebbe, secondo me, potuto essere ottimo con una sforbiciata su molti concetti ripetuti.
Profile Image for La mia.
360 reviews33 followers
January 15, 2017
Da qualche tempo sono incuriosito dalla letteratura italiana tra gli anni ’50 e i ’60, e non senza qualche difficoltà mi riprometto di leggere questi libri un po’ dimenticati e a volte difficili da recuperare. “Il padrone” potrebbe essere l’emblema di questa mia personale ricerca. C’è stato un periodo in cui in Italia si scriveva con grande modernità, originalità e occhio critico sulle trasformazioni di una società che, uscita da povertà e guerra, entrava come un missile nel pieno del capitalismo consumistico. Un periodo in cui gli scrittori pensavano e dicevano cose che la politica non era altrettanto brava a comunicare. Il primo pensiero cinico e cattivo è che probabilmente oggi non ci sono scrittori e storie altrettanto valide per raccontare la nostra società. Il mio giudizio può essere dovuto a un errore di prospettiva, o semplicemente a ignoranza (ci sono molti giovani scrittori italiani di cui non ho letto nulla), ma la sensazione complessiva è che oggi la letteratura italiana si occupi di individui e non di società, e quindi non voglia (di proposito? Per disinteresse? Per incapacità) scrivere storie che raccontino la trasformazione dei rapporti tra le persone e tra i poteri, e che riflettano sul senso e sull’etica di ciò che ci circonda.
Il secondo pensiero riguarda invece l’eredità lasciata da questa letteratura. Anche qui, per essere cattivo, mi verrebbe di dire “inesistente”. Abbiamo dimenticato Parise, Bianciardi e altri, abbiamo scordato i loro libri, la scuola non ne parla, la cultura (mainstream) nemmeno. Perché? Io leggo “Il padrone” e non mi sembra un libro datato. Anche se descrive una società in cui le persone in azienda si danno del lei, e anche se è scritto come una favola surreale, è molto attuale quando descrive i meccanismi di alienazione all’interno delle imprese (peculiare che si tratti di una “ditta commerciale”, l’emblema del “terziario avanzato” in cui ormai la maggior parte di noi lavora). Uno per tutti, il brano (pag.187) in cui descrive le malattie dei dipendenti: “Ogni dipendente sa che non ci si può prendere il lusso di ammalarsi gravemente; si ammalano gravemente, di solito, i magazzinieri, i facchini, o gli impiegati di infima categoria, ignari delle conseguenze. (…) Allora ci si ammala in modo da poter frequentare il lavoro, ma in stato, per così dire, di eterna malattia. Ognuno sa che, agli effetti del lavoro, una sequela di piccole malattie, tali da non dover ricorrere all’intervento chirurgico o al ricovero negli ospedali, è un alibi inoppugnabile. Come dire << Io, pure essendo ammalato, sono qui e lavoro. >>.”
Scritto nel 1964, “Il padrone” fa quasi paura per come appaia “moderno”, adeguato a sottolineare le contraddizioni che ancora oggi affrontiamo quotidianamente nella nostra relazione con il lavoro e le strutture sociali che regolano questo mondo. E stupisce osservare come sia uno dei tanti libri semi dimenticati.
Profile Image for dv.
1,401 reviews59 followers
October 3, 2017
Scritto nel 1964, è un riuscito bozzetto grottesco del paternalismo organizzativo, reso con una dimensione di fiaba (sottolineata dai nomi "fumettistici" dei personaggi) che accresce il senso di oppressione e assurdità.

«C’è in questa sensazione di spersonalizzazione e di anonimia qualche cosa di naturale e di religioso, la stessa inconsapevole ebbrezza che devono provare le formiche quando si aggirano frenetiche in lunghe file, una di andata e una di ritorno, dalla tana al luogo del cibo. Mi sento come una di quelle formiche e proprio come una formica sarei tentato di salutare tutti, di riconoscermi negli altri, e così vorrei che gli altri facessero con me. Credo che anche le religioni accomunino in questo modo gli uomini ma non c’è paragone tra la religiosità che respira nelle chiese e quella che sprigiona invece dai grandi agglomerati urbani, soprattutto dalle ditte, dalle officine e, in generale, dai luoghi dove si lavora. Perché la prima è una religiosità che si rivolge sempre alla morte, cioè a qualcosa di immobile e anche astratto, la seconda invece appartiene alla vita e alla realtà».
Profile Image for Massimo Monteverdi.
705 reviews19 followers
May 26, 2013
Se il protagonista di questo racconto (im)morale vi ripugna, come darvi torto? Agghiacciante allegoria della dipendenza ossessiva (sessuale o psicologica, ma è un esempio), si può leggere anche come bigino del capitalismo che annulla le coscienze, ma che è fine a sé stesso, puro desiderio di onnipotenza che comanda a suo piacere e mantiene come obiettivo finale il controllo sulle vite degli altri.
Profile Image for David Pagnanelli.
265 reviews7 followers
February 26, 2023
La scrittura di questo periodo mi piace tantissimo, è più libera di adesso, non si crea problemi, ha meno legami con schemi preconfezionati.
Profile Image for Carlos.
787 reviews28 followers
September 14, 2022
Personajes en la línea de un melvilleano Bartebly, una rara cruza de K en “El proceso” con un Dickens menos tortuoso y hasta un chorrito de Gatsby: todo ello podemos encontrar en esta disparatada cuan estrujante sátira de la burocrática existencia del Godín común.
Un joven provinciano llega a trabajar a una gran ciudad, en una exitosa y muy peculiar empresa, dirigida por el excéntrico, neurótico, irascible y melancólico doctor Max, acompañado de una variopinta fauna de personajes inauditos.
Ganadora del Premio Viareggio en 1965, esta novela confirmó el talento de su autor, reconocido por la crítica especializada italiana y allende sus fronteras.
Profile Image for Gabriel Sandoval.
18 reviews
March 11, 2019
Algunas cosas interesantes pero al final no me dejó un buen sabor de boca. Parecía mas prometedor a mi gusto.
Profile Image for Silvia Vercelli.
12 reviews12 followers
June 29, 2015
Describing the awful background of a working envinronment. Not so far from reality, in a way. Like the irony hidden behind the point of view of the main character.
Displaying 1 - 11 of 11 reviews

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