Questo sorprendente romanzo di Mario Soldati è il delirante resoconto di una immaginaria discesa nei catastrofali inferni del futuro; ed è pure una confessione spietata delle possibilità di male che ogni uomo rinserra, ed esplica, quando non si rassegna ad accettare la vita come un semplice atto di umiltà. Lo smeraldo, la metaforica gemma che intitola il romanzo, viene promesso al protagonista (uno scrittore italiano che si trova per lavoro negli Stati Uniti con la moglie) da un misterioso e luciferino personaggio, il Conte Cagliani, nel corso di un casuale, e tuttavia quasi predestinato, incontro nel Village di New York. Già da questo avvio in una atmosfera stregata – una fredda notte di pioggia, tra i funebri graffiti del subway - dominata dall’enigmatico Conte, il lettore ha la certezza di otrovarsi alla presenza di un coinvolgente congegno narrativo. Lo scrittore, obbligato dall’eccezionalità delle circostanze, finisce per stringere un patto diabolico col vaticinante Tentatore. Il premio, legato al sicuro ritrovamento della pietra preziosa, sarà la giovinezza rivisitata dall’amore; ma il prezzo consisterà nella perdita della personalità e in uno straziante viaggio nel futuro. Tra sogno e realtà tutto si avvera. Lo scrittore, ansioso sia di ritrovare un perduto e struggente volto di donna, sia di conoscere il destino riservato, ddall’avvenire, ai suoi figli, diventa schiavo dei dèmoni nascosti nel suo cuore i quali lo obbligheranno, tra amare avventure, ad immolare all’egoismo ed all’ipocrisia un suo figlio. La tematica è vasta: la scoperta e il tradimento della paternità; la visione di un mondo governato da spietate dittature militari e separato in due zone di potere da una programmata distruzione atomica; Roma ed il territorio circostante ridotti ad un cumulo di rovine; la Chiesa in balìa di due Papi; la degradazione di ogni valore famigliare, spirituale e sentimentale; il tutto in un racconto insolito per la sua sincerità, violenta fino alla profanazione.
Nato a Torino nel 1906, spentosi a Tellaro (La Spezia) nel 1999, studia in un collegio di gesuiti e si laurea in lettere nella città natale con una tesi di storia dell’arte. Esordisce nella scrittura con la commedia “Pilato” (1924), ma s’impone all’ attenzione della critica soltanto con i racconti di “Salmace” (1929): non mancano, tuttavia, riserve da parte di prestigiosi recensori - quali Giuseppe A. Borgese ed Eugenio Montale - sui temi affrontati in almeno un paio di occasioni (la novella che dà il titolo alla raccolta e “Scenario”, ambedue di argomento omosessuale). Nel 1929, su invito di Prezzolini, si reca a New York, ove resta sino al ‘31; dal suo soggiorno come insegnante alla Columbia University nasce “America primo amore” (1935), diario narrativo di straordinaria felicità, all’inizio pubblicato su "Il Lavoro" di Genova. Frattanto, inizia ad accostarsi al cinematografo, l’altra passione della sua esistenza, collaborando a varie sceneggiature, segnatamente per pellicole del suo amico Mario Camerini (da “Gli uomini, che mascalzoni!” a “Il signor Max”). Nel 1937 licenzia, con “La verità sul caso Motta”, uno dei suoi libri migliori, muovendosi con abilità tra i registri del mistero e del grottesco; nel 1940 dirige, adattando per lo schermo “Piccolo mondo antico” di Fogazzaro, uno tra i suoifilm più suggestivi, che lo conferma anche nel cinema come “un romanziere dell’Ottocento con l’anima d’uno scrittore del Novecento” (C.Garboli). Le sue pellicole maggiormente significative - con l’eccezione di “Fuga in Francia” (1948), tra impegno sociale e neorealismo - sono trasposizioni di romanzi (“Malombra”, 1942, da Fogazzaro; “La provinciale”, 1952, da Moravia). E’ tuttavia l’attività di scrittore quella cui si dedica con continuità, avendo abbandonato nel ‘59 la regia. Ad interessarlo è il tema del peccato: derivante dalla sua formazione cattolica, è affrontato tuttavia con levità in virtù di un’intelligenza puntuta, vigile, ironica, che gli consente di descrivere i propri personaggi senza gravarli d’un giudizio moralistico. Così è, ad esempio, in due tra i suoi lavori più celebrati, “Le lettere da Capri” (1953) e “La sposa americana” (1978), storie d’adulterio scritte ad un quarto di secolo di distanza l’una dall’altra e contraddistinte da un talento narrativo inossidabile. Ma c’è, per soprammercato, un Soldati amante del “giallo” e propenso alla bonomia, quello de “I racconti del maresciallo” (1967), intrighi polizieschi - che sono innanzitutto ritratti della “più quotidiana provincia italiana, opaca e furba nella sua domestica banalità” (S.S.Nigro) - resi popolari dalla bella serie televisiva diretta da Mario Landi nel 1968. Cos’altro? Bisogna ricordare almeno i tre romanzi brevi di “A cena col commendatore” (1950) ove spicca “La giacca verde”, capolavoro che ha pochi uguali nell’ambito del nostro Novecento letterario; e le inchieste per la Rai "Viaggio nella Valle del Po" (1957) e "Chi legge?" (1960), reportage eccelsi, anticipatori del miglior giornalismo televisivo futuro. Il pianeta Soldati è immenso, quasi quanto la sottovalutazione che - colpevolmente e in tanti - hanno riservato al nostro.
personalmente mi piace guardare alle pagine meno usuali della letteratura italiana, eppure un caso come questo non mi era ancora capitato: uno scrittore decisamente non immediatamente associabile alla letteratura di genere che scrive una distopia onirica (eggià) che definire strana è un eufemismo. il protagonista, coinvolto in modo curioso dall'inquietante count cagliani (omaggio a cagliostro? probabile...), si trova a vivere un sogno lucido (sa di saper sognando, sa di non essere il protagonista del suo sogno ma non riesce ad uscirne, ed anzi riesce pure a sognare nel sogno) ambientato in un'italia divisa a metà da una catastrofe, in cui (come nel resto del mondo, più o meno) la parte superiore è un mondo in cui i sovietici hanno conquistato l'occidente e la parte inferiore è una sorta di califfato. sa già questa premessa è curiosa, il resto non è affatto da meno, comprese parecchi riferimenti all'omosessualità decisamente poco usuali nella letteratura italiana d'epoca. soldati poi è strepitoso in descrizioni semplicemente perfette (dall'avventura nella metropolitana di new york ad una roma postapocalittica, passando per una genova "moderna" che mi ha fatto decisamente sorridere), in alcuni passaggi davvero da antologia.
è un romanzo perfetto? no, e secondo me qualche lettore potrebbe pure innervosirsi se poco disposto a lasciarsi andare al racconto. eppure questo è un libro coraggioso per l'epoca, e che ancora adesso lascia sbalorditi: forse non sarà questo il soldati più celebrato, ma questa pagina poco nota della sua carriera merita la riscoperta.