Sappiamo ancora parlare la nostra lingua? Se non lo facciamo è responsabilità degli insegnanti o di un cambiamento culturale profondo? Quanto conta ancora l’ora di italiano? L’opinione di un linguista di eccellenza su un tema che riguarda tutti.
Il professore di lettere si trova oggi tra due fuochi. Da un lato le polemiche, di grande risonanza mediatica, sulla scarsa preparazione dei ragazzi non soltanto rispetto all’ortografia e alla sintassi, ma anche sulla padronanza di quel lessico un po’ più alto (velleitario, dirimere, faceto...) che può capitare di incontrare anche solo leggendo l’editoriale di un quotidiano; dall’altro, dopo decenni, il primato umanistico ha subito un complessivo ridimensionamento a favore delle materie scientifiche. L’italiano resta comunque l’asse portante di qualsiasi progetto didattico: sono in gioco la capacità di capire quel che si legge, di articolare un discorso efficace, di imparare il gusto della lettura e di accostarsi al patrimonio dei classici. Alla luce di una lunga esperienza e di una grande sensibilità didattica, Luca Serianni, tra i ‘saggi’ incaricati della supervisione dei nuovi programmi che entreranno in vigore nel settembre 2010, riflette a tutto campo sullo stato dell’italiano a scuola, guardando anche al latino, il tradizionale asse portante della cultura umanistica dall’Unità a oggi. Non si tratta di mettere sotto accusa qualcuno, men che meno gli insegnanti alle prese con un lavoro che viene scelto quasi sempre per vocazione ma deve fare i conti, oltre che con le ristrettezze di bilancio, con un precario riconoscimento sociale; si tratta di proporre riflessioni e suggerimenti operativi che rendano più efficace l’attività didattica, senza restare, per inerzia o per semplice omaggio alla tradizione, nel solco delle abitudini acquisite.
Luca Serianni è stato è stato un linguista, filologo e accademico italiano. Ha insegnato Storia della lingua italiana alla Sapienza-Università di Roma. Con il Mulino ha pubblicato «Il primo Ottocento. Dall’età giacobina all’Unità» (1989) e «Il secondo Ottocento. Dall’Unità alla prima guerra mondiale» (1990), nella serie diretta da Francesco Bruni «Storia della lingua italiana». Tra i suoi ultimi libri «Scritti sui banchi. L’italiano a scuola tra alunni e insegnanti» (con G. Benedetti; Carocci, 2009), «L’ora di italiano» (Laterza, nuova ed. 2012) e «Manuale di linguistica italiana» (con G. Antonelli; Bruno Mondadori, 2011). Il 18 luglio 2022 è stato investito da un'automobile a Ostia, non lontano dalla sua abitazione, mentre attraversava sulle strisce pedonali; ricoverato in coma irreversibile presso l'ospedale San Camillo di Roma, è deceduto tre giorni dopo.
Serianni è la voce del’intellettuale di vasta cultura, quella pasta d’uomo che si sta inesorabilmente perdendo, soppiantata da saperi più superficiali e alla portata di un clic.
Le capacità argomentative, il pensiero lucido fanno di questo saggio un gioiellino nella formazione dell’insegnante e gettano luce su alcune annose questioni che arrovellano i docenti e che dovrebbero interessare anche agli studenti. Perché il latino, perché la lettura dei classici, cosa è indispensabile nell’insegnamento della grammatica sono solo alcune domande a cui il grande umanista ha risposto con la grazia di chi, poggiandola piano, ti rivela la semplice e cruda verità.
Apprezzatissimo il confronto tra quiz televisi anni Settanta/Ottanta vs. quelli odierni e la disamina sulla scelta attuale del Liceo Classico.
Qualche idea interessante (soprattutto sull'insegnamento della lingua e sulla grammatica), un po' di aria fritta - un approccio alla letteratura che vuole apparire moderno, ma sa di vecchiume.
Se sono completamente d'accordo nel convenire che insegnare l'amore per la lettura sia un'impresa titanica, penso anche che gli strumenti che abbiamo a disposizione siano davvero efficaci e che rimanere ancorati ai classici sempre e comunque ci farà affondare insieme alla nave (scuola). Oltretutto Serianni quando prova di fornirci giustificazioni per salvare i classici o per salvare il latino risulta davvero poco convincente. Con questo non voglio dire "gettiamo Dante dalla finestra", mai sia, però mentre leggevo i suggerimenti per un'analisi interessante della Divina Commedia - suggerimenti per gli studenti delle scuole superiori - sbuffavo. Ma dai, non scherziamo. Facevo fatica a capire io, alla veneranda età di venticinque anni e con una laurea in lettere alle spalle, quello di cui parlava l'autore, figuriamoci i quindicenni con tutti quegli ormoni e la testa tra le nuvole.
Smettiamo per un attimo di essere ipocriti, insegniamo (anche) i classici, ma ammettiamo che la passione per la lett(erat)ura i nostri adolescenti non la troveranno leggendo Manzoni, Dante e Tasso. La lingua invecchia, anche per noi del Bel Paese, che peraltro ogni giorno dovremmo dire grazie al buon vecchio Bembo.
Su su su ... un po' di contemporaneità se no affogo !
“Quel che è certo è che il buon maestro non si costruisce a tavolino. Più importanti delle indicazioni ministeriali, dei corsi di aggiornamento, dei libri di testo sono la solida formazione ricevuta negli studi universitari e - soprattutto - un requisito strettamente soggettivo, anzi psicologico: la fiducia nella possibilità d’incidere sulla massa di adolescenti inerti o distratti, valorizzando i talenti dei singoli individui e assicurando loro la necessaria preparazione disciplinare. Ciò vuol dire che l’insegnante deve, più di quel che valga per altre professioni, credere al lavoro che fa e scommettere su sé stesso, proponendosi agli allievi come un esempio positivo, non usurato dalla routine e non rassegnato alle tante cose che non vanno. Come tutte le scommesse, si può vincere o perdere; ma se si vince, ogni docente - dalle elementari in avanti - resterà un riferimento nitido e costante per l’allievo, anche quando il ragazzo sarà diventato adulto, e la sua lezione non andrà dispersa.”
Un libro sincero, schietto, esaustivo; tappa obbligata per ogni insegnante di Lettere (ma non solo…utopia? Chissà che non possa aprire qualche nuova prospettiva ai colleghi di altre discipline!). Anche al lettore più distratto non saranno sfuggiti il grande amore dell’autore nei confronti della lingua italiana e le validissime proposte di soluzione a problemi oggettivi che ne interessano lo studio, troppo spesso considerato “materia” esclusiva del docente di Lettere. Dopotutto, per crescere alunni consapevoli, si deve insegnare loro a maneggiare con cura l’arma più potente che hanno a disposizione per esprimersi: il linguaggio, ma che fare se i primi a non aver a cuore questo argomento siamo proprio noi insegnanti?
🔳 Un saggio con spunti interessanti anche a distanza di più di un decennio dalla sua uscita, ma che non mi ha parlato molto ad essere sincera. L'autore si perde, anche facendo esempi banali, a spiegare ogni singola minuzia, dettagli del tutto trascurabili per le lettrici e i lettori.
Il focus è chiaramente di tipo linguistico (essendo Serianni l'autore) anche nei contenuti letterari. Più un libro di concetto che di metodologia, ma non mancano gli spunti didattici.
Nel saggio emerge la natura pervasiva dell'insegnamento della materia, soprattutto nella sua dimensione di educazione linguistica, che serve a perseguire l'obiettivo trasversale (cioè comune a tutte le discipline scolastiche, di ogni percorso) della competenza comunicativa. Serianni esamina le potenzialità dello studio della letteratura, della lingua, del contributo degli studi classici, invitando a riflettere sulla funzionalità degli approcci, a superare la dimensione strettamente teorico-normativa in favore dello sviluppo delle abilità coinvolte nella lettura, nella comprensione, nell'analisi e nella comunicazione. https://athenaenoctua2013.blogspot.co...
"Ciò vuol dire che l’insegnante deve, più di quel che valga per altre professioni, credere al lavoro che fa e scommettere su sé stesso, proponendosi agli allievi come un esempio positivo, non usurato dalla routine e non rassegnato alle tante cose che non vanno. Come tutte le scommesse, si può vincere o perdere; ma se si vince, ogni docente – dalle elementari in avanti – resterà un riferimento nitido e costante per l’allievo, anche quando il ragazzo sarà diventato adulto, e la sua lezione non andrà dispersa."