La sua valigia non è più di cartone. Contiene un diploma di laurea in più e forse qualche sogno in meno. Ma il protagonista di questo libro, come il nonno e come il padre, dalla sua terra deve partire. Con la consueta affabulazione rapinosa e una lingua capace di incarnare la pluralità dei luoghi, delle culture e delle esperienze, Carmine Abate narra i viaggi ininterrotti del suo "eroe senza medaglie": viaggi di andata e di ritorno, nella memoria e nel presente. La vicenda, traboccante di vita vissuta e di poesia, scorre attraverso racconti intensi che hanno la compattezza di un romanzo. Ispirandosi alla propria biografìa ma allargando lo sguardo a una prospettiva universale, Abate racconta l'infanzia in paese, i sapori della cucina arbéreshe, la magia delle antiche rapsodie, gli arrivi in Germania e al Nord Italia. Ma affronta anche temi come la formazione di un senso civico profondo, europeo, e l'incontro con i nuovi migranti, in una Calabria dove gli asili ormai vuoti diventano Centri di accoglienza. E tra la nostalgia di chi parte e quella di chi resta, la difficile ricerca dell'identità. Infine, la comprensione che emigrare non è solo strappo, ferita, ma è soprattutto ricchezza. Che non è inevitabile sentirsi lacerati tra due o più mondi. Che si può vivere, consapevolmente, per addizione.
Carmine Abate was born in Calabria, southern Italy. He immigrated to Germany at a young age and now lives in Trentino, northern Italy, where he teaches university. His first book, a collection of short stories, was published in 1984. He has since published numerous prize-winning novels including Between Two Seas and a collection of poetry.
Vivere per addizione come propone Carmine Abate vuol dire vivere senza sottrarre niente della propria cultura e di quelle altrui, senza rinnegare il passato o parte del presente, vivere sommando i confini, intesi come luoghi di contatto tra uomini e non di divisione, accettare il sud e il nord, l'est e l'ovest dentro di noi, la lingua d'origine e quella d'acquisizione, più tutte le altre eventuali che si possono essere aggiunte. Vuol dire mescolare, non separare – accettare non rifiutare – accogliere, non respingere. Vuol dire abbandonare il proprio orticello e il proprio campanile, allargarsi allontanarsi uscire. Partire e non ritornare, oppure partire per ritornare, e magari partire di nuovo, che è un altro ritorno. Vuol dire un mondo migliore, un mondo più bello, più ricco: perché l'incontro, lo scambio, il racconto fanno bene a tutti.
Calabria
Carmine Abate non mi delude mai: ha sempre tanta voglia di raccontare – magari sembra sempre la stessa storia, ci sono sempre emigranti, sempre il paesello in Calabria e le grandi città del nord, le famiglie costrette a dividersi per restare salde – ma, a me sembrano sempre storie diverse, pure con gli stessi elementi, sapori, suoni, colori.
Ho conosciuto i paesi di cui parla Abate, i paesi dei pronipoti dell'emigrazione albanese che là dove è nato Abate tutti chiamano ghiegghie e nessuno arbereshe. E' lì che ho avuto la mia prima esperienza di messa in rito ortodosso (versione greco-bizantino): non finiva mai, io mi annoiavo più del solito in chiesa, il prete si muoveva assai avanti e indietro e in tondo, e mi fece un brutto scherzo, un pezzetto di pane intinto nel vino invece dell'ostia, il disgusto me lo tenni per me, ma non credo che cristo intendesse questo, parlava di mangiare il corpo-pane e bere il sangue-vino, non di inzuppare il corpo nel sangue.
Calabria
Ricordo i germanesi che tornavano con macchine grosse e pazzesche, coi sedili e i volanti rivestiti di tessuti improbabili, spesso leopardati, con peluche e affini che pendevano dallo specchietto retrovisore; erano vistose, come le loro donne, che sembravano tedesche per modo di dire.
Questi sono alcuni confini che ho dentro che mi avvicinano ad Abate e mi fa piacere.
Roma, piazza Albania, statua di Scanderberg
Poi c'è il monumento di Scanderberg a Roma in piazza Albania, che è difficile da notare perché la piazza è soprattutto un circuito automobilistico, difficile che succeda di attraversarla a piedi. Scanderberg è l'eroe albanese che combatté l'invasione ottomana e quando si dovette arrendere, invitò la famiglia, amici e parenti a scappare in Italia: era la fine del 1400, gli albanesi arrivarono in Italia, si sparpagliarono nel sud, si tennero lontani dalla costa, ma vicini al mare. In piazza Albania, che ho attraversato a piedi parecchie volte, intorno al monumento di Scanderberg a Roma ho avuto belle esperienze che ricordo con piacere, e “La moto di Scanderberg” è il primo libro di Carmine Abate che ho letto, il piacere fu così tanto che seguirono “Tra due mari”, “Il mosaico del tempo grande”, “La festa del ritorno”, “Il ballo tondo”, un incontro che dura nel tempo.
Vivere per addizione è un romanzo che dopo un po' fa sorgere un dubbio: la continuità narrativa è altalenante, perché si tratta in realtà di una raccolta di racconti – ma sono così ben congegnati e concatenati da formare un tutt'unico. Se non che, poi si apprende che i racconti sono stati scritti in tempi diversi e pubblicati in luoghi diversi, e solo in occasione di questo titolo sono stati pensati assieme. Un altro esempio di confini vitalmente mescolati. A formare un memoir poetico. E un’autobiografia. Quella di un nomade. Quella di un’alterità.
Raccolta di racconti autobiografici che copre buona parte della vita dell'autore, si contraddistingue per l'estraneità. Altro da sé il paese natio dello scrittore (comunità albanese di Calabria in cui si parla l'arberesh), altro da sé lo sé lo scrittore in tutti i luoghi d'Europa in cui ha vissuto. Niente di nuovo sotto il sole. Eppure a parte la freschezza del narrato, in cui si mescolano armoniosamente vari idiomi e idioletti; al di là della bravura impressionista nel rendere persone, situazioni e paesaggi, c'è un innegabile salto di qualità. Di più una evoluzione con la maiuscola: non ci si trova davanti alla lamentatio del migrante incompreso, non si narra solo la saudade dell'espiantato ma si scopre la meraviglia dell'addizione. Ogni regione, ogni città vissuta, annusata, attraversata, esplorata o percorsa, ciascuna persona in cui ci si è imbattuti arricchisce il nostro tessuto interno. La nostra personale cultura. La visione del mondo. La capacità di apprezzare, godere e temporaneamente fondersi con l'altro da sé. Una somma che diventa summa, non statica ma in perenne movimento e divenire.
"Voglio vivere per addizione, senza dover scegliere per forza tra Nord e Sud, tra lingua del cuore e lingua del pane, tra me e me..... Io ero una sintesi di tutto, per nulla sradicato ma con più radici, più o meno profonde "
"Un'identità plurale o frammentaria, meglio per addizione, si trasforma di continuo, essendo dinamica per natura: è come un percorso in divenire, che non sai mai dove ti conduce. Sai solo che lo devi seguire e continuamente reinventare. Tutto sta nel fare che queste parole aderiscano come una seconda pelle, ciò vuol dire avere uno sguardo nuovo senza pregiudizi. Solo così potrai godere il meglio della vita qui e là, e in ogni luogo..."
Bref, Emigrare è sia 'n' ingiustizia qu'une richesse.
Un insieme di storie che parlano di emigrazione da più punti di vista: quella dei genitori del protagonista in Germania (a lavorare in fabbrica), quella del protagonista (che fa la spola tra la Germania del Nord, il Nord Italia e il suo paese calabrese, come insegnante di italiano) e la nuova emigrazione, quella dall"Africa e dal Medio Oriente. Storie diverse che però mantengono un nucleo comune: il distaccamento forzato dalla terra natìa e la nostalgia di "casa", ma nel contempo la consapevolezza che la propria casa non offre sostentamento né futuro. Il protagonista queste sensazioni le ha provate, provando una nostalgia acuta della sua terra, delle sue donne, del suo mare; ma con l'andare del tempo e degli anni, ha maturato una consapevolezza maggiore: egli vive per addizione, la sua identità è formata dal suo "io calabrese", dal suo "io tedesco" e dal suo "io trentino". Tutto questo fa di lui sé stesso e questo è sufficiente.