Un uomo di mezza età compare in forme non chiare, forse allucinatorie, forse reali, in alcuni episodi cruciali della vita di un ragazzo. Sicché il ragazzo comincia a inseguirlo per capire chi è quest’uomo. Via via che gli si avvicina, crescendo, traslocando, cambiando più volte città, il ragazzo può osservarlo meglio e così, sempre più interessato alla vita privata di questo sconosciuto, finisce per pedinarlo. L’azione si svolge in una manciata di giorni, un lungo interminabile weekend nel quale l’uomo sta aspettando di sottoporsi a una risonanza magnetica per un calo dell’udito molto sospetto e consuma con la sua compagna la difficile attesa in una quotidianità fatta di piccoli gesti, tutti mirati a nascondere la paura. Lo spettro di una fine potenzialmente vicina lo costringe a fare i conti, controvoglia, con tutti i fili sospesi della sua esistenza, rancori, desideri, bugie. A complicare le cose, ci sono le mail di una giovane madre alla quale lui a un certo punto ha commesso l’errore di rispondere. Le brevi epifanie dell’uomo nella vita del ragazzo sembrerebbero collocate nel passato, mentre il pedinamento del ragazzo ai danni dell’uomo – ma chissà che invece non lo voglia salvare – è collocato nel presente, in una Roma gloriosamente indifferente ai destini umani, dove all’uomo succede di tutto, di finire in una rissa, di fare una lezione in uno scantinato, di cadere dalla bicicletta, di svenire nei bagni di un museo e anche, sì, di pensare di suicidarsi. Attraverso le peripezie di due vite destinate a incontrarsi, Mauro Covacich costruisce un eroe che affronta a viso aperto le sconfitte e le vittorie, scoprendo le une dentro le altre. In un romanzo che si legge come un’imprevedibile avventura tragicomica, finisce forse per svelare qualcosa di sé, rivelando sicuramente moltissimo di noi, grazie a una scrittura dotata di una nuova, sorprendente libertà.
Mauro Covacich è uno scrittore italiano contemporaneo nato a Trieste nel 1965. Il suo esordio avviene nel 1993 con “Storie di pazzi e di normali” (Theoria 1993, Laterza 2007). Romanzo incentrato su uno dei profili più misteriosi dell’essere umano poichè racconta storie di persone apparentemente normali che improvvisamente diventano efferati omicidi. Tematica molto attuale e che riempie le pagine della cronaca nera dei nostri quotidiani. La sua attività Attento alle varie sfaccettature dell’individuo nel contesto sociale contemporaneo, il suo stile caratterizza tutta la sua produzione narrativa. Nello specifico, le successive pubblicazioni sono “Colpo di lama” (edito da Neri Pozza 1995), “Mal d’autobus” (edito da Tropea 1997), “Anomalie” (edito da Mondadori 1998/2001), “La poetica dell’Unabomber” (casa editrice Theoria 1999), “L’Amore contro” e “A perdifiato” editi da Mondadori, “Trieste sottosopra, quindici passeggiate nella città del vento” (edizioni Laterza 2006). E poi ncora “Prima di sparire” e “A nome tuo” e „Fiona“ editi da Einaudi Edizioni. I suoi racconti si trovano in varie antologie della moderna narrativa italiana. Questo ha attirato l’attenzione del comitato scientifico della fondazione americana all’Università di Vienna che nel 1999 gli ha conferito il premio internazionale Abraham Woursell Prize. Premio che gli ha dato la possibilità di dedicarsi completamente ai soui scritti abbandonando definitivamente il ruolo di insegnante di filosofia che sino ad allora svolgeva nei licei. Ha scritto vari reportage per famose riviste tra le quali “Panorama” e ” Diario della settimana”. Ha realizzato il radiodramma “Safari” ed alcuni radio documentari per la RAI. E ‘ un collaboratore costante del Corriere della Sera del quale è stato corrispondente della prima edizione del “Grande Fratello” la cui esperienza caratterizza l’elaborazione del romanzo “Fiona” , continuazione del romanzo “A perdifiato”. Il carattere E’ uno scrittore particolare, innovativo che ha tutte le potenzialità per attrarre l’attenzione dei giovani che intravedono nelle sue opere il riflesso della società in cui vivono con una ricercatezza viva, geniale e velatamente personalizzata. Egli stesso dichiara in alcune interviste di scrivere per capire qualcosa di sè che ancora non sa. Questo carattere abolisce le distanze con l’autore che spesso i giovani avvertono nella lettura di molti testi. Sperimenta progetti innnovativi che vanno oltre la scrittura come il romanzo visivo “L’Umiliazione delle stelle” dove il protagonista è Mauro Covavich nella veste di Dario Rensich il cui filo conduttore è la corsa.
"L’alternanza di vita e morte è incessante in ogni parte del corpo."
Acufene: un suono costante nella testa.
Dapprima il pensiero, auto-tranquillizzante, che sia causato da un tappo di cerume, poi che sia causato dalla estrema frequentazione di piscine in quanto nuotatore accanito. Poi la sentenza. Neoformazione di cui è necessario indagare la natura tramite risonanza magnetica con mezzo di contrasto, da farsi con urgenza, ma dopo il fine settimana.
L'avventura terrestre è il racconto, tramite flusso di coscienza, di tutti i pensieri, i sogni, gli incubi, le azioni che il protagonista fa nel corso dei due giorni che precedono l'esame.
Rivede se stesso nelle diverse fasi della sua vita, se stesso ma anche la persona diversa dal sé che ora è, ammesso che sappia con certezza cosa ora egli sia.
Ripensa a tutte le sue relazioni, passate e presenti, dichiarate e clandestine, conclamate o solo ipotizzate. Ripensa alla morte del padre. Trascorre tempo con la compagna, tempo per far passare il tempo, tempo per non pensare al tempo e a quanto breve potrà essere il tempo che si dovrà affrontare. "Pensa senza posa e senza costrutto. I pensieri sfrecciano incatenati l’uno all’altro, accendono le loro trame di luce nel buio della poltiglia, non sa come fermarli."
Pensa al corpo. Pensa a che ne sarà del suo corpo. "Anche se non possiede le chiavi del castello, lo sente roba sua e vuole tenerselo stretto, terminarsi dentro di lui, superare la soglia senza perdere neanche un mignolo, spegnersi nella sua carne intatta e marcire insieme."
Pensa anche al suicidio e a come metterlo in atto. "Il suicidio è un gesto di tale bellezza che mette d’accordo tutti. È come la luce del tramonto, anche una cartaccia diventa fotogenica."
E dato che "immaginare una cosa brutta è sempre peggio che guardarla" finalmente il momento in cui poter effettivamente capire quale il destino imminente. Con la consapevolezza che il destino comune sia il medesimo per tutti.
Acuto. Ironico. Dissacrante. Vero: non è dato sapere se autobiografico o meno, ma leggendo si ha la convinzione che lo sia. Non sembra lo stesso autore di "A perdifiato". Covacich qui davvero davvero bravo.
Colonna sonora How to Disappear Completely g.co/kgs/1qrDVB
L’avventura terrestre è ovviamente la vita. Ma quale vita? Innanzitutto quella biologica, del corpo e quella inevitabile della quotidianità, dove si incontrano persone che consumano il loro giorno tutte inesorabilmente impegnate in attività decisive e di nessuna importanza.
Covacich ha da tempo raggiunto quella fluidità di scrittura un poco stregonesca che avvolge subito chi legge e lo porta dentro le spire di una narrazione che procede su molti piani allo stesso tempo, tra momenti diversi di esistenze passate e un innesco attualissimo che fa salire la temperatura dell’incessante elucubrazione sui possibili. Una scrittura che si potenzia con il riconoscimento, se si conoscono anche i precedenti: in particolare, questo libro è in continuità piuttosto diretta con Di chi è questo cuore (2019), dato che si passa dai problemi del cuore ai problemi del cervello, in una sempre accusata sensibilità alla mortalità del corpo. E dunque uno dei modi in cui si può condensare questo libro è: una protratta, intensa congettura sulla morte da parte di un sé attuale, che non si può separare agevolmente da una meditazione sui possibili sé già morti, apparsi a un certo punto come possibilità ma non realizzati. È il sé di una persona la cui mente “schizza da una parte all’altra, ogni stimolo esterno richiama una cosa che ha letto o una cosa che ha visto, ogni sciocchezza un ricordo, mappe neurali che si accendono senza uno straccio di archivio, niente che possa servire a qualcuno che non sia lui, niente che possa restare a consultazione per gli altri”.
Un altro modo per riassumere il libro è: uno che racconta di sé in prima persona insegue uno che è presentato in terza persona. I capitoli, molto più brevi, del primo si aprono con l’atletica attività sessuale di un bagnino provvisorio in una cabina (il narratore in prima persona), che nel momento culminante vede un guardone che gli dice: “Morirai”. La storia di questo libro coincide allora con l’inseguimento del secondo da parte del primo: “Da allora ho iniziato a seguirlo”. L’altro innesco – si accennava ai problemi della testa – sono disturbi dell’udito che fanno sorgere il timore di una “neoformazione”, l’esame risolutivo è una risonanza magnetica del cranio con mezzo di contrasto. Il libro si può anche definire la trascrizione, formalmente costruita e narrativamente accattivante, delle risonanze che la paura e il pensiero della morte accendono “nella poltiglia cerebrale” prima che arrivi il momento dell’esame.
Quindi il flusso non può non riattraversare temi e motivi fondamentali dell’opera di Covacich: il corpo, la tensione tra tradimento e stabilità di coppia, con le sue implicazioni di ritualità, giochi di ruolo, differenze di origine, lessici familiari, anche traumi (e forse più ancora dei precedenti questo libro è anche una grande dichiarazione d’amore), la televisione (programmi sui grandi obesi, accumulatori seriali o pulitori ossessivi), la lettura e la scrittura (L’Idiota di Dostoevskij “il romanzo più amato, più che se lo avesse scritto lui stesso”, la lezione sul Castello di Kafka in periferia; il ricordo dei confronti con gli amici aspiranti scrittori; l’idea di essere diventato, come scrittore, “un patito delle viscere, un internista”); le vite delle famiglie, di origine o acquisite (in momenti come la precisa descrizione del momento in cui quel che resta del cadavere del padre morto giovane viene tolto dalla tomba e collocato in una scatola di metallo può ricordare certi libri di Philip Roth come Patrimonio); Trieste e Roma; l’arte (la performance e la body art che sembrano balenare anche nel quotidiano più distante dai luoghi deputati; e d’altra parte uno degli avvenimenti centrali si svolge nella Galleria Colonna). Forse più che in passato pesano invece le speculazioni su varie forme di trascendenza: da lacerti di una formazione cattolica al bardo dei buddisti o all’idea laica del paradiso come ricordo di chi rimane, e quindi può durare al massimo un paio di generazioni. Perciò i Campi Elisi dell’Eneide diventano una sorta di Leitmotiv del testo, continuamente variato e mescidato con morti molto più contemporanee e non epiche, fino a generare una sorta di menippeo dialogo dei morti che coinvolge il padre tramviere, Moana Pozzi, Anchise, un figlio mai nato. Tutto serve, tutto viene reimpiegato, tutto torna, circolarmente, e ovviamente tutto si trasforma. In una scrittura che forse – avendo attraversato il racconto, il romanzo, l’autofinzione, il saggio giornalistico – si sta trovando spazio in una personale, accattivante versione del personal essay ad alto tasso narrativo; confessionale, spudorato, amichevole, ironico, stratificato. Egocentrico e generoso come un Montaigne che riascolta di continuo nelle cuffie How to Disappear Completly dei Radiohead, Covacich ci dice: sono qui davanti a voi, cari amici, non parlo altro che di me, that’s not me, I’m not here, this isn’t happening.
Quando torna Covacich, quello bravo. C'è stata una parentesti di libri in cui ha provato a non fare autofiction, o a farne meno, e, secondo me, non è certo il campo dove eccelle. Quando torna a parlare di sé, cioè fa parlare il suo personaggio (no, non mi interessa se sia lui per davvero, se inventa, se fa finta, a me interessa il racconto) allora viene fuori tutta la sua bravura, la sua capacità di leggere dentro l'animo umano così bene e così profondamente da far quasi paura.
Questa volta c'è un problema medico, c'è qualcosa che non va, bisogna fare degli esami e approfondire. Prenota una risonanza per il lunedì e questo è il racconto dell'attesa del we, della paura di come convivere con qualcosa che potrebbe essere grave, della malattia, della morte. E allora Covacich pensa al suicidio, poi pensa a quello che ha fatto, poi dice delle cose e pensa delle cose a volte così indicibili che io mi sono sorpresa dalla capacità di saperle scrivere (ancora una volta, non mi importa se sia la verità o se se lo sia inventato). Ci vuole coraggio a mettersi così a nudo, e niente, pochi lo sanno fare come Covacich. All'estero Carrére o Houellebecq, in Italia Walter Siti, ma capite che, in ogni caso, siamo nell'olimpo dei bravissimi.
Da leggere cin in mano un bicchiere di rosso, ma quello lenti, quelli buoni. Io ho aperto un Barolo (indecisa con un Amarone) l'ho lasciato lì a decantare mentre giravo una pagina dietro l'altra e poi un sorso sulla frase giusta. Perfetto.
Io non so quanto ci sia di autobiografico in questo romanzo, e più mi guardo dentro (come queste pagine hanno fatto nell’ultima settimana), più mi rendo conto che non me ne importi un fico secco. “L’avventura terrestre” è una storia grande, un romanzo che ne contiene almeno un’altra decina, e – sebbene capisca perfettamente che la scrittura di Covacich diventi di una potenza rara quando si dedica all’autofiction, ed ogni accenno a un marciapiede triestino conosciuto nei suoi lavori è una stilettata di piacere – credo sia giunto ormai il momento di dichiararlo con estrema chiarezza: a prescindere dal tema affrontato, in romanzi pieni di vita come in altri ricolmi di oscurità, la scrittura di Mauro Covacich è fra le più interessanti degli ultimi dieci lustri.
Ne “L’avventura terrestre”, interpretando ed estendendo fino al limite massimo le angosce e le paure che vi avranno preso almeno un paio di volte (se siete fortunati), Covacich mi ha mostrato quale sia la sua vera specialità, che non è trasformare esperienze personali del suo vissuto ma saper leg-ge-re.
Solo che io leggo libri (tanti), giornali (ultimamente un po’ meno), mail (troppe) e persino un forum come si faceva negli anni 90, e Covacich legge l’animo umano.
In questo romanzo di diagnosi mediche incerte, camminatori seriali nel giardino condominiale, storie abbozzate e mai nate, fughe d’amore, disastri coniugali, cabine bollenti sulla spiaggia, fantasmi, religiosità non troppo nascosta e tortorelle svanite, Covacich mi ha dato l’impressione di conoscermi.
Scrutandomi. Spaventandomi. Convivendo. Accompagnando un momento di dolore ricordato, una speranza vissuta, un abbraccio in cui perdersi consci che basterà.
Io, in un libro che leggo, non saprei esattamente cosa altro cercare.