Siamo tutti abituati all'esperienza di premere un tasto e vedere qualcosa accadere. Il verbo della scienza è provare, quello di tecnologia e religione è credere. La religione si interessa della salvezza dell'anima nei cieli e la tecnologia della conservazione dei dati nel cloud. Che differenza c'è tra danzare per far piovere, e schiacciare un tasto per illuminare uno schermo? In entrambi i casi, un movimento del nostro corpo fa accadere qualcosa. Nel primo caso, la danza della pioggia si rivolge a una qualche divinità e il dispositivo che ne attiva l'intervento è il nostro corpo. Nel secondo caso il dispositivo è un prolungamento del corpo. Norbert Wiener, matematico, sottolineava, già negli anni Cinquanta del Novecento, la pericolosa e facile identità tra religione e tecnologia. È dunque ragionevole domandarsi oggi quanto politiche culturali prive di immaginazione abbiano allontanato la tecnologia dalla scienza, trasformandola in una fede che ha i propri sacerdoti, i black fridays di festa, gli eretici, gli atei e i martiri da social network.
Chiara Valerio è una scrittrice, traduttrice, editor, direttrice artistica e conduttrice radiofonica italiana.
Ha conseguito un dottorato in Matematica all'Università degli Studi di Napoli Federico II. È redattrice della rivista Nuovi Argomenti e ha collaborato al blog letterario Nazione Indiana. Ha scritto per il teatro e per la radio, ha collaborato con Il Sole 24 Ore e l'Unità e con la trasmissione culturale “Pane quotidiano”, Rai 3. Per l'editrice Nottetempo ha diretto la collana "narrativa.it", dedicata ai nuovi scrittori della narrativa italiana. Con Nanni Moretti, Valia Santella e Gaia Manzini ha scritto il soggetto del film di Nanni Moretti Mia madre, con Gianni Amelio e Alberto Taraglio ha scritto il soggetto del film di Gianni Amelio, La tenerezza. Nell'ottobre 2016 viene designata direttrice culturale della fiera del libro milanese "Tempo di libri", incarico da cui si dimette l'anno successivo.
Dal 2018 è Editor-in-chief del settore “Narrativa italiana” presso l'editore Marsilio di Venezia, per il quale ha ideato la collana PassaParola.
Mi dispiace molto stroncare un libro. Ma questo saggio ha delle caratteristiche che mi sono indegeste. Ha una prosa che mi risulta fastidiosa, che non fa chiarezza, che non segue un ordine logico, ma che fa della suggestione e dell'accostamento delle parole un campo di esplorazione, per cui alcuni termini vengono usati in modo improprio solo per creare suggestioni. Lo stesso titolo è una suggestione. Non è un lavoro divulgativo, anzi confonde le idee. Mi viene da dire che se davvero ci fosse stato un intento da parte dell'autrice ad essere chiara il titolo del testo sarebbe stato "La tecnologia non è religione". Ho letto il testo immaginando il titolo come fosse una domanda: "La tecnologia è religione?", la mia risposta è No.
Chiara Valerio è una delle mente più brillanti che ho avuto modo di apprezzare. Quest’ultima opera ne è una conferma. La sua scrittura è originale, profonda e sagace, ma ha anche un sapore leggero come se fosse una fiaba da raccontare ai bambini. Il libro sostiene una tesi interessante, violenta e attuale, non senza un certo ottimismo. Quando ho letto che “studiare è ribellarsi e che la ribellione è un metodo” mi sono commossa perché è la cifra della mia vita, e sembra anche della sua. C’è corrispondenza tra quello che scrive e come appare.
Chiara Valerio porta gli argomenti atti a mostrare, con ragionamenti logico deduttivi simili a quelli che solitamente si utilizzano per dimostrare una tesi matematica, come mai ritenga che la tecnologia sia una religione. Ne riporto alcuni a supporto della tesi.
Argomento 0. La tecnologia ha i suoi sacerdoti. " La religione si interessa della salvezza dell’anima nei cieli e la tecnologia della conservazione dei dati nel cloud. L’informazione è sovrabbondante, inarginabile, spesso di difficile verifica e, nonostante sembri chiaro che informazione e conoscenza non coincidono, emotivamente ci sembra – quantomeno talvolta mi sembra – che sia impossibile conoscere il mondo, ma poiché il mondo pare avere una sua intrinseca ragione, e alcuni viventi sembrano intenderla, troviamo confortevole pensare a questi pochi interpreti come sacerdoti e a quella ragione intrinseca del mondo come divinità."
Argomento 1. La tecnologia ha dogmi fondanti e adepti. Si accetta con fede che si possa fare ricorso ad essa, senza capire (almeno i piú) quali i meccanismi che ne governano le possibilità di utilizzo.
Argomento 2. Chi la utilizza fa parte di una comunità. "Si è connessi con gli altri e con l’invisibile che possiede tutte le risposte. La tecnologia crea comunità e la comunità rende possibile immaginare e officiare riti collettivi, civili o religiosi, analogici o digitali. Mai piú soli (tra il sollievo e la minaccia). Siamo, noi esseri umani, in forma di comunità, il termine medio della proporzione tecnologia : comunità = comunità : religione. Senza pensare poi, a quella maggioranza, senza piú alcuna proporzione, alla quale prima o poi apparterremo tutti (i morti). Morti organici e morti digitali."
Argomento 3. Agevola la creazione di sette o congregazioni. "Forma congregazioni – wireless, walless – nelle quali si ritira o chiude chi sente di non stare bene nel mondo, dove per mondo si intende qui l’insieme delle proprie preoccupazioni quotidiane e delle aspettative degli altri"
Argomento 4. La tecnologia consente la reincarnazione. "Prasad, durante la dimostrazione della nuova funzionalità, ha scelto di riprodurre un video in cui Alexa legge una favola della buona notte a un bambino imitando la voce della nonna morta.[..] La nuova funzionalità di Alexa è inserire la morte nel ciclo di ripetizioni che è la vita che conduciamo. La nuova funzionalità di Alexa, religiosamente, è la reincarnazione."
Chiara Valerio, sempre fonte di stimoli interessanti.
Leggere questo librino di Chiara Valerio è farsi, davvero, un bel regalo. Mettere in pausa i bombardamenti esterni, da cellulari, computer, tv, guerra, crisi economica e climatica e riflettere sul peso che la tecnologia sta assumendo nelle nostre vite. Valerio non vuole insegnare nulla, non è una guru antitecnologia, né un'invasata del progresso a tutti i costi: Valerio riflette su come l'uso degli strumenti tecnologici stia modellando il nostro presente. Lo fa con l'ironia che la contraddistingue, con quello stile brillante e allo stesso tempo genuino che pian piano si impara a conoscere. L'autrice si prende un momento per ragionare a voce alta e lo fa assieme alla lettrice, propone spunti di riflessione, crea collegamenti tra letture e articoli giornalistici così come si potrebbe fare davanti a un bicchiere di vino in osteria. Infatti, non si prende troppo sul serio e se in certi momenti ho riso di gusto (Perestrojka!), in altri ho proprio pensato che un bicchiere di vino con Chiara lo vorrei proprio bere, parlando per esempio di "Solaris" di Stanislav Lem.
Mi mancheranno i miei ipotetici bicchieri con l'autrice, ma suggerisco a tutte e tutti di regalarsi dei bei minuti per mettere ordine alle idee, guidati da una voce intelligente e arguta.
Comprato "sulla fiducia" da uno scaffale Feltrinelli per curiosità (sto lavorando ad una ricerca accademica sull'argomento).
Ci sono degli spunti genuinamente interessanti e originali, ma lo stile di scrittura (ed in generale la maniera in cui la trama del pensiero si svolge) è parecchio confusionario. Come se ciò non bastasse è farcito continuamente di riferimenti culturali "pop", tanti (troppi) dettagli autobiografici di cui non sentivamo assolutamente il bisogno (la vita dell'autore non è così interessante come lei pare credere) e in generale citazioni estrapolate da contesti che non aiutano particolarmente la sua argomentazione (ricordo con un certo fastidio una citazione decisamente non necessaria proveniente da "L'Iliade o il Poema della Forza" di S. Weil). Dopo aver realizzato che l'autore ha una formazione per l'appunto di tipo Matematico sono ancora più stupito della debolezza argomentativa e (in particolar modo) dall'assenza di rigore di questo pamphlet. Un vero peccato, perché l'argomento è veramente interessante e meriterebbe di essere approfondito in maniera molto seria. Credo che nella realizzazione si siano presentate alcune intuizioni veramente interessanti: tuttavia esse non sono mai state sviluppate.
Nota sull'edizione: le citazioni non sono mai virgolettate e non so se questo si ritrovi in altri testi editi da Einaudi ma è fastidiosissimo da leggere.
Reputo Chiara Valerio una persona molto intelligente e di cultura: conosce molte cose e riesce a collegarle tra loro in maniera per me incredibile, mi sorprende sempre ascoltarla o leggere cosa ha da dire perchè non so mai dove arriverà ma so che avrà senso e sarà stupefacente. Una volta che riesci a seguire il fluire del suo pensiero così rapido, ricco di citazioni e nozioni tra loro apparentemente sconnesse e invece poi unite più di quanto sia possibile immaginare, ecco che vi ritroverete a leggere un libro in cui si parla di religione e tecnologia ma anche di letteratura e materematica informatica ricordi aneddoti familiari. Tutto insieme a creare un saggio interessantissimo e ricco di immagini nitidite che son per me difficili da riportare o spiegare in una recensione ma che ho trovato bellissime. Con questo saggio pone le basi per pensare e vedere il mondo diversamente, anche solo per il tempo di una lettura che non è che poi diventiamo tutti come Chiara Valerio ma è bello condividere per un po' quello che riesce a creare la velocità del suo pensare.
Sembra più un divertissement che un libro. Ci sono spunti un interessanti ed altri un po’ tirati per i capelli. Forse c’è anche un po’ di autocompiacimento dell’autrice che però, dai, è simpatica. Singolare che verso la fine del libro ci si riferisca ad Alexa come all’assistente vocale di Google quando si parla di Rohit Prasad. Per un libro centrato su questi temi è una svista bella grossa!
Contestualmente alla disputa tra Meta e SIAE, per un periodo sono state rimosse da Instagram le tracce audio dai video che contenevano, appunto, canzoni tutelate della società italiana. Il punto della questione che voglio evidenziare nella mia personale esperienza non era tanto la scomparsa delle canzoni o la loro futura non fruibilità quanto la scomparsa degli audio a cui tali brani facevano da sottofondo: la voce della nonna. Mi ritrovo a scrivere a mia cugina un messaggio disperato, in cui le dico che no, non ci credo, non è possibile, non accetto quella scritta Audio non disponibile in ogni video in cui volontariamente avevo scelto di mettere un sottofondo musicale. Mi maledico per aver fatto questa scelta estetica, di forma, superflua ma che nel momento in cui l’ho fatta mi pareva un’idea così di completezza, diciamo così. Niente, video persi, getto tutta la famiglia - colpita dalla nostalgia per una persona così costantemente presente in vita - nello sconforto. Passo giorni a ricaricare i video, nella speranza di un qualche bug del sistema che mi permetta di fare uno screen ai video. Ci credo. Una notte mi sveglio, riprovo, alcuni audio sono magicamente tornati; passo un’ora a fare registrazioni al video, non permetterò di perderli ancora. Con la fede riaccesa, la mattina presto tento con gli altri video, e come per magia, anche quelli rifunzionano: passo un’altra mezz’oretta a registrare lo schermo. Poi mi riaddormento per un po’, rilassata. La mattina dopo vedo di nuovo Audio non disponibile. Tiro un sospiro di sollievo: io li ho. Metto i miei preziosi ricordi sui due hard disk, casomai uno si bruciasse - sto valutando l’acquisto di un terzo - e poi su una cartella sul PC, dove tengo i video e le foto a cui tengo di più. Confesso che per lungo tempo mi sono sentita una sfigata nel pensare all’ondata di disperazione che mi ha assalito alla perdita di questi dati; poi Chiara Valerio mi ha delucidato: la questione è che non mi basta più ricordarmi dei momenti passati con la nonna, non mi basta averli nella mia memoria, per diversi motivi. Il primo è che ho troppe cose da ricordarmi per scopi pratici, e quindi anche i ricordi emotivamente importanti devono assolutamente lasciare spazio a ciò che potrebbe servirmi nell’immediato, il secondo è che sono davvero troppe cose che ho bisogno di ricordare di lei, perché non è vero che le persone vivono dentro di noi - se non puoi né pensarle nel futuro né sentirle parlare, le persone sono morte. E quando io ho perso quei dati lì, ho visto morire di nuovo mia nonna. In purezza, l’altra grande detentrice degli ultimi momenti, giorni, mesi e anni della nonna è la tata Svetlana, e dopo questa lettura capisco ancora meglio come sia entrata di diritto nella mia famiglia e la naturalezza col quale l’ho invitata a pranzo nella casa in cui mi trasferirò al suo ritorno dall’Ucraina. C’è molto da disquisire sull’argomento, e anche su quanto in realtà il fatto di avere foto e video della nonna a portata di mano sempre e ovunque rappresenti per me una mancata elaborazione di un lutto a cui ancora dopo un anno stento a credere, ma vado avanti nelle mie elucubrazioni. Il mio/nostro? rapporto contorto con la tecnologia è anche quello che rende per me il frigo vuoto una nuova misura di tempo: svuotare il frigo significa un’imminente scadenza, un evento che si fa molto prossimo e che di rimando svuota il frigo del suo scopo primario, del suo senso di esistere: non solo un frigo vuoto è un contenitore assimilabile ad una cassapanca, ma l’atto di toglierci il cibo da dentro lo investe addirittura del ruolo di orologio - di misura della prossimità di una partenza. Promuovere gli oggetti concedendogli altri scopi all’infuori di quelli per i quali sono nati, o addirittura umanizzarli dandogli ruoli emotivi è ciò che finisce per caratterizzare il moto di sviluppo della società contemporanea confondendo il vivente e il non vivente. La vita e la morte. Io dico sempre ridendo che non capirò mai cosa dice dice Chiara Valerio, perché offre milioni di input in un argomento solo rivelandone la vastità e la concatenazione tra tutto ciò che esiste - e che non esiste - al mondo, il rischio concreto di perdersi esiste ma la sua analisi è fluida come vetro liquido, malleabile ma solida nella sostanza, matematica, poetica e politica.
"Ho imparato ad accettare, nei miei quarantaquattro anni, che ci sono cose che non capisco ma ho imparato pure, ed è stato difficile (perché vengo dal Novecento) che ciò che non capisco non è incomprensibile o sbagliato, semplicemente non lo capisco".
Ho amato moltissimo La matematica è politica e anche perciò mi sono fiondato su questo saggio (stesso editore, stessa collana che mi piace assai). Quest'altra opera mi ha però coinvolto di meno.
Lascio qui a mo' di nota che la vado a completare man mano che rimugino. Questa non è una recensione, ma una serie di pensieri caldi delle prime ore dopo quella che sarà la prima lettura. Valerio va molto oltre quello cui farò riferimento - la classica punta dell'iceberg.
Valerio scrive un pamphlet (è un pamphlet?) tentacolare, che tocca un po' di temi. In maniera non sistematica: 1. il rapporto tra corpo e macchina e la seconda come estensione del primo, e le conseguenze di qwuesta servomeccanizzazione; 2. il rapporto che intercorre tra corpo e natura, ovvero la natura che siamo è la natura che è Altro, in quest'epoca di servomeccanismi; 3. come il rapporto può definirsi quando guardiamo le cose sul piano, per così, meta: tra la cosidetta anima o comunque coscienza e la materia (dai, non facciamo i Cartesiani, nemmeno lei lo fa); 4. la visione meccanicistica e in qualche modo euristica dell'Altro attraverso i secoli che l'umano ha adoperato per farsi un'idea della realtà: laddove l'Altro è un animale, un altro corpo umano, la macchina stessa; 5. se l'Altro è macchina ma vi si riconosce degli attributi dell'Altro che è umano, 'ndo sta la linea che li separa. Aka, dove una volta c'era l'uncanny valley ora è tutta pianura, ci scaviamo solo per gli horror; cue "Klara e il Sole" di Kazuo Ishiguro, che sposta l'asticella del "che cos'è umano" un po' oltre ai classici occidentali tipo "Blade Runner" (o come lo conoscete voi) o "Fondazione Anno Zero" (ops, minor spoiler); 6. la funzione di modellizzazione, di sintesi della realtà, per la quale da sempre abbiamo sviluppato ogni tecnologia - anche gli occhiali ("La miopia é un dono. Poi arriva l'Ottico, con i suoi strumenti maligni" Maicol e Mirco); 7. il concetto di Verità (daje, abbondiamo de majuscole) in quest'epoca di pazzi, dove ci mancavano solo gli idioti della Silicon Valley (op. semicit. "Bandiera Bianca, Franco Battiato) 8. memoria organica : memoria digitale = profondità storica : presente (sottolineo digitale: Valerio non si fa problemi a non discutere le argomentazioni attorno al mito di Teuth e, leggendo, capirete che lo fa a ragion veduta); 9. la funzione associativa della tencologia, ovvero come essa tenda a creare comunità e come essa possa essere sviluppata ulteriormente solo nelle comunità; 10. la rituralistica dietro all'uso di cose che non sappiamo. Ovvero, affinità/differenze tra evocare demoni e/o come essere considerati streghe e lo sviluppare i Google Eyes.
Sì, lo so, le liste sono poco eleganti, lo diceva anche Umberto Eco (leganti leganti leganti) ma is there a weight that you were trying to unload here? (op. cit. "Habit", Ought). (ma anche i versi introduttivi sono piuttosto pregnanti in questo contesto: "There is something, something you believe in/ But you can't touch it and you can't hold it".)
Il corpo è il punto di partenza della sua riflessione - non mi sorprende, molto del pensiero filosofico recente in cui mi sono imbattuto ruota attorno alla relazione tra corpo individuale e l'Altro, dove l'Altro è l'ambito di ricerca di chi sta parlando (lo Straniero, la Macchina, la Natura). Ogni tecnologia è un'appendice del corpo, che cerca di permettergli ciò che altrimenti non potrebbe fare. Ciò cambia o no la nostra definizione di corpo?
Le tecnologie di cui principalmente discute sono quelle più avveniristiche, ma la prima, storicamente, è il linguaggio. Il linguaggio sconfinfera la nostra realtà e la rappresentazione che ci facciamo di essa (che poi è un po' tutto quel che abbiamo, di 'sta Realtà). Il libro -questo vettore transpersonale di memorie e pensieri selezionate-, è alla fin fine l'applicazione di una tecnologia astratta -il tratto che ha portato alla selezione del gene FOXP2 in Homo sapiens- e una materiale. Anzi, più tecnologie materiali, a seconda dell'epoca. Ora, prendiamo il video satirico che mostra la nuova, avanguardistica tecnologia BOOK: se la parte satirica vuole far riflettere sulla maggior flessibilità dell'analogico rispetto al digitale, il non-detto è che BOOK è una tecnologia datata sia come contenuto che come supporto; ma il contenuto tecnologico è il linguaggio: be careful with these words, Eugene.
Tecnologia (linuaggio) e religione (magia) sono strumenti con cui l'essere umano si rappresenta, si semplifica quella cosa casinosa là fuori, la natura. La pattumiera del sistema. Ingradire o ridurre particolari e vedere a grandi distanze; comunicare i propri desideri o pensieri a un essere onnipresente o non presentee come se fosse presente. E tutti e due (quattro?) creano comunità di persone, con valori, pensieri condivisi. Visto che sto chiudendo ogni paragrafo con qualcosa di musicale, i CCCP metteteceli voi.
Ci si potrebbe aggiungere un po'di tecnologie che hanno cambiato il nostro modo di concepire l'astratto, e Valerio lo fa: l'agricoltura, che ci ha insegnato la natura relazionale della divinità come colei che dispensa vita o morte, è una di quelle più interessanti. Non c'è menzione al biotech, ma il fil rouge che la cultura (le culture?) ha allacciato tra anima è DNA è altrettanto interessante.
Da lettore principalmente di fiction specultativa, questo libro è un condensato di spunti di riflessione siulla magia: come viene usata di vari autori (per risolvere problemi, per approssimare la realtà), i suoi linguaggi, i suoi strumenti. Una delle cosidette leggi di Sanderson è "An author's ability to solve conflict with magic is directly proportional to how well the reader understands said magic". L'avevo sempre sottovalutata, rispetto alla seconda ("Cosa interessa nella magia: limiti > potere") e Valerio mi sta parlando a quest'orecchio anche a quest'orecchio (scusate, sono molto astratto). Ci starebbe anche una breve riflessione sugli déi moderni di "American Gods", ma son quindici anni che non lo rileggo più: vedo i fili, ma non a cosa diamine sono attaccati. Quanto davvero capiamo ciò che usiamo quotidianamente? Che pensiero banale, direte voi - "e la tua vita invece?" (op. cit. "Vlad Tor Tre Tepes", Bobby John Long's Friendship Party).
Più volte Valerio ribadisce come il linguaggio sia una tecnologia che opera per sintesi, cioé non riproduce alla perfezione la relatà. E osserva anche come più un linguaggio possa farsi inclusivo, più in una certa maniera esclude: perché la sintesi non può essere perfetta, perché laddove si dà una definizione si pone un confine tra ciò che le corrisponde e ciò che non le corrisponde. Il linguaggio è ciò che compone i riti, religiosi o laici; e in molti contesti esoterici, è la tecnologia alla base della magia -un'altra tecnologia, in cui i processi sono detti riti (vedi il tropos Doing In The Wizard). Ciò vale anche per quella narrativa che usa tecnologie esoteriche per vedere come l'umano vi interagisce: la magia verbale di Earthsea (Le Guin) o l'Antica Lingua di, di, hggh chedoloreadirlo, "Eragon" (Paolini). O, meglio ancora, il potere del racconto di cambiare la realtà nelle Kingkiller Chronichles (Rothfuss). Non deve essere per forza una tecnologia esoterica basata sul linguaggio, basta che sia una costruzione umana composta di riti o procedure tecniche più o meno lunghe (degli algoritmi). Per esempio: a) i diversi di tramandare i ricordi o di "salvare" una personalità ("Black Water Sister", Zen Cho; "A Memory Called Empire", Arkady Martine; "Vacuum flowers", Micheal Swanwick); b) come prevedere il futuro con un bun margine d'incertezza (la psicostoria di Asimov nella serie della Fondazione); c) detto con un riassunto delle parole dell'autore "Quando nel 2007 fallí Lehman Brothers, tutti avevamo la sensazione fosse successo qualcosaa di catastrofico; ma non c'erano stati attacchi terroristici, nè morti. Nemmeno macerie. Era morto qualcosa di diverso, in cui le persone avevano fiducia e che in cambio elargiva un tipo di grazia" (la Craft Sequence di Max Gladstone); d) lo scontro tra classi di maghi -quindi di individui abbienti: aristocrazia vs. borgesia-, una in declino e una in ascesa (la Powder Mage trilogy di Brian McLellan); e) fare direttamente l'equazione matematica = magia e vedere che sucede (i Laundry Files di Charles Stross); Per questo, secondo me, distinguere fantasy da fantascienza è una questione di fumo e raggi laser.
Non è mera applicazione della Terza Legge di Clarke ("qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”), ma una richiesta di riflettere su come la notra mente, le nostre relazioni,, cambino struttura col mondo, del mondo - presente o meno. Quali nessi vanno a innestarsi nella nostra coscienza; e come in certe cose stiamo attribuendo alle macchine funzione prima delegate a costrutti sociali internalizzati e partecipati, le religioni. Come le varie tecnologie ci portino a una sorta di Medioevo personale, dove Alesssandro e Cesare incontrano Carlo Magno stesso, e le foto di alcuni anni fa ricompaiono nelle nostre timeline a quelli che l'algoritmo ritiene essere gli anniversari. Riflessioni su wireless e santità - "abbocchi sempre all'amo" (op. cit. "Up Patriots to Arms", Franco Battiato).
La delega della memoria alla macchina (che sia algoritmo, libro, coppermind - se siete pratici di Sanderson) è un altro tema affascinante. 'Ndo lo mettiamo il passato? (non so, a me il minestrone piace a pezzi interi). Quando è autorizzato a riemergere? - s'impone lui o lo sfogliamo noi?
Alcuni giorni fa stavo a comprare un saggio, tutto convinto per il cartaceo. Ho ripiegato all'ebook perché 18 euro, sed etiam non. Ho adorato gli ebook, dal 2010 in poi, c'ho letto un sacco di Imboscati della Fanucci, molta fantascienza altrimeni da pescare sulle bancarelle di via Po. Quanto ricordo? Neurologicamente la nostra mente primata è portata a mappare, fisicizzare la memoria. Un libro è più ricordabile di un file, una conferenza annotata è più ricordabile di una solo ascoltata. La memoria motoria diventa memoria *gesticola*. È per questo che ricordo pochissimo di "Iron Council"? O perché l'ho letto a diciott'anni? Scrollo le spalle perplesso. "Does graduating severely limit opportunities?" Scrollo la home di Reddit, altrettanto perplesso.
C'è poi il modo in cui la tecnologia cambia il nostro rapporto con la realtà e il vero - quel che esiste - un problema che mi sembra a cavallo tra epistemiologia ed ontologia. Il linguaggio ha il problema degli universali (chi sono? ci sono? ci fanno?) che raggiunse le derive più radicalmente "moderne" nel nominalismo del flatus vocis di Rossellino. Le tecnolgoie più recenti spostano la questione su un piano più terra terra, " 'ndo sta la realtà"? Una macchina può riconoscere un oggetto una volta che glielo si è mostratrato, ma sa cogliere la sua evoluzione nel tempo - come nel caso di una firma? Nei casi proposti da Valerio sembra di no. In un caso personale (il confronto tra i sentieri porposti da Google Maps e l'esistenza di tali sentieri) neppure; e neppure è ragionevole quando, interrogato sulla strada più rapida per tornare a casa dall'isola su cui mi trovavo, mi consiglia di passare sul fiume (si riferiva a un traghetto, chiuso in quella stagione. But still). Da una parte c'è una realtà mutevole nell tempo, in divenire. Dall'altra la realtà di un singolo istante cristallizato (una firma, un passaggio dell'auto di Google o del suo satellite) che vorrebbe essere un riferimento assoluto per quante più persone possibili; ma insensibile ai cambiamenti. Abbiamo un reale individuale e un reale condiviso, pubblico. Quest'ultimo è quello di maggior accesso - anche se non è fedele al reale reale. E *puff* rieccole le idee di Platone. Ma sono quelle nella realtà di quao ciò che è registrato è immutabile di là? Qual è il vero e qulae la copia? Non è la rampa di lancio di una nuova metafisica, ma la frammentazione del concetto di Vero scisso in ancora più frammenti di quante siano le persone; e questo Vero è tale perché fisso, statico, non mutevole e-scusqte la parolaccia- catastematico. Occorre forse un'esegesi della macchina?
Si puo' essere esegeti già con tecnologie non digitali. L'informazione televisiva di massa e chi la forniva hanno già loro la capacità di cambiare il Vero; e il telespettatore, ignorante del fatto Vero per mere questioni di distanza e di tempo, deve affidarsi a questa o quella linea editoriale. "L'ha detto la televisione" (op. cit. "Quelli che", Enzo Jannacci") è nient'altro che una laica professione di fede verso il giornalista, verso il mezzo tecnologico ultimo con cui comunica. La cosa ha fatto BOOM con le TV private, in cui l'offerta d'informazione ha reso il consumatore un esegeta per necessità o un eretico, se il vettore di riferimento non è "ufficiale". È politico? È politico.
Il discorso può poi andare ancora più indietro, alla radio, alla stampa a caratteri mobili - giù fino alla scrittura stessa, con cui l'esegesi tecnologica è esegesi del sacro. Questi strumenti amplificano la tecnologia di base (il linguaggio) e rendono necessari atti fideistici tra ciò che esso riporta e ciò che si può esperire. Le tecnologie informatiche hanno esteso il problema oltre al significato più superficiale di informazione fino al concetto di Vero in sé e per sé - scusate se è poco.
Da persona che da un decennio cova un'ambientazione cyberfantasy di matrice hindu, ciò lo rende ancora più interessante: la digitalizzazione sta cambiando il modo degli indiani di pregare quando non possono andare al tempio e le icone su uno schermo diventano icone di icone -la murti della dività venerata viene rimpiazzata da una sua immaginine sul desktop (una murti diminuita), a cui offrire fiori di pixel o vari tributi (reference Valerio rifette anche su come la tecnologia cambi la percezione di "vita". Cos'è vivo? Cosa non è vivo? Peluches, androidi di vario tipo, sentimenti indotti da comportamenti - ciò che induce in noi una risposta emotiva. Se non lo fa, muore. È una questione relazionale, come l'essere Dio. Poi qualcuno inventa un dispositivo che veicola le relazioni: dove sta la vita ora, nel medium o nel Vero interlocutore? (McLuhan sorpassato a destra: il medium non è solo il messaggio, è vivo in quanto ci suscita emozioni. Demoni, dovrei leggere Il Ramo d'Oro - ma tempo, non c'è tempo, sempre più in affanno inseguo il nostro tempo (op. cit. "Il vuoto", Franco Battiato).
C'è un non detto, in questo pamphlet, che pure è stampato come estratto in copertina: la contrapposizione tra tecnologia e scienza. Ne sono sinceramente contento. In primis, perché quell'unica frase inquadra la questione come credo Valerio la intenda, ovvero distinguere "consenso sostenuto da prove" da "fede". Se esponete un vostro lavoro a un ricercatore, sarete tempestati da decine di perché: "io non voglio credere a quello che stai facendo, voglio capire perché lo stai facendo". La tecnologia invece si rivolge a persone che non ne conoscono i metodi e gli strumenti - e a cui, per varie ragioni, non interessano. "Conserviamo i dati in cloud": da non esperto di informatica, io ti dico ok, sì, ganzo - e chiusa lì. Un informatico invece potrebbe avere un po'di domande, ma gli informatici sono la netta minoranza tra coloro che usano la tecnologia cloud. Se vogliamo stirare il parallelismo, sono i sacerdoti, coloro che sanno leggerne il lignuaggio. I preti che capivano il latino quando la Bibbia non era ancora traducibile nelle lingue locali. In secondo luogo, perché farne un dualismo è problematico. Certo, la scienza si pone domande è lenta a trovar risposte per ragioni metodologiche, laddove la tecnologia impugna ciò che la scienza ha realizzato per andare a supplire a un bisogno. Però esiste ricerca di base e ricerca applicata. Come definiamo un progetto che coinvolge ricercatori "di base" di più discipline per un obbiettivo pratico? Esempio banale, assolutamente slegato dalla mia esperienza personale: un gruppo di genetisti, ecofisiologi, esperti di modellizzazione climatica collabora per un progetto che intende tutelare le foreste europee. È tecnologia? È scienza di base? È superman?. Il modo in cui la scienza funziona... è complicato, dicamo così. Ho messo i puntini di sospensione perché non lo capisco neanch'io, sono appena consapevole dei punti di vista di Popper, Kuhn e Lakatos. Sono solo sicuro di una cosa: la scienza è politica (sono uno di quelli per cui ogni prodotto collettivo della mente umana è politico per definizione. A gradi, perche la politicità degli affari umani sta in uno spettro: la politica ci infesta) e ha una sua politica. Anche la tecnologia è politica - diciamo un po' molto di più. Ma questo non è il tema diretto del pamphlet di Valerio, che pure -nel suo osservare gli aspetti fideistici della tecnologia, il suo rapporto col corpo- ne sottolinea l'aspetto politico. È di questo di cui lei piuttosto discute, lancia spunti. (Ho detto spunti, non sputi, nel caso ci sia qualche lettore/lettrice con dislessia da lettura rapida, come me.) ('Sta serenata di rivolgermi a chi legge al plurale fa molto Manzoni. Manzoni quello vero, Piero) (op. semicit. "Un Romantico a Milano", Baustelle)
Due-note-due sullo stile. Valerio è accattivante, spesso parte da annegati personali e più di una volta sono scoppiato a ridere per la semplicità con cui riporta certi eventi (grazie per non farmi sentire l'unico Tiranno delle Formiche). Molto spesso certe formule introdotte all'interno di un discorso preciso vengono recuperate per suggerire al lettore di guardare al fenomeno appena discusso anche da quell'angolatira precedentemente considerata (su tutti "Pochissimi Jedi" e "X, di mestiere Y, 2000 anni dopo Platone". Anche la Generazione X mema.). Le frasi a volte suonano un po' sincopate, con elenchi in cui di alternano asindeti e punti fermi; impressione mia, è un po' l'effetto dei tempi e di Twitter, ma non mi ci gioco nemmeno la caffettiera su quest'ipotesi - e la mia caffettiera fa un caffè cattivo; intendo: moralmente cattivo. Unico vero neo è la sia avversione alle virgolette, sia per le definizioni lunghe, che per riportare i dialoghi. È palesemente una scelta di stile, e mi sembra concordi col modo sincopato in cui scrive. Resta che, talvolta, distinguere l'inizio e la fine di uno di questi incisi può attorcigliare i bulbi oculari senza alcun exploit à la "Uzumaki".
Sebbene abbia faticato a trovare un buon filo della narrazione e che la tesi tencologia=religione sia supportata da paragrafi un pò blandi, questo libro contiene in sè grandi perle, grandi verità, grandi intuizioni. 3.5, ma se qualcuno è interessato al tema lo consiglio vivamente, poco più di 100 pagine sono fattibili e meritano lo sforzo.
Leggere Chiara Valerio è accettare di ragionare per poco più di cento pagine in modo diverso. É seguire un pensiero fatto di connessioni, guizzi, studio e tante volte sentimento. Credo possa essere un libro fastidioso per coloro che intendano i saggi come testi oggettivi. Il che è lecito.
Vi siete rotti della verità? Bene, Chiara Valerio è pronta a soddisfarvi insegnandovi un sacco di ca**ate, come: "i Vangeli sinottici sono quattro"; "le radici immaginarie sono queer"; "Alexa è un prodotto Google". Forza, forza, non perdete tempo e lasciate che la nostra eroina della cultura usi la vostra scatola cranica come gabinetto!
I social network e i nostri dispositivi personali ci musealizzano, creano un racconto, con pezzi supposti autentici, sottolineando non tanto l’importanza della nostra memoria, ma la necessità di una memoria qualsiasi, anche di un altro. Umano o non umano. [..] Certo, esistevano i diari, gli epistolari, che potevano essere bruciati o finire perduti, ma diari ed epistolari non creavano autonomamente un racconto, sceglievano certi episodi della nostra vita passata per riproporceli, ci chiedevano di ricordare, tra tanti, proprio quel momento
La frammentazione del tempo nella quale viviamo e alla quale contribuiamo, scandendo le nostre giornate con messaggistica istantanea, social network e puntate di serie o programmi televisivi, appuntamenti e scadenze, attenua l’angoscia del trascorrere dei giorni o degli anni ma impedisce la prospettiva. Senza prospettiva, la fine non esiste. La fine è solo un’altra cosa che accade. L’unica eternità che sopportiamo è la ripetizione.
I vocali e la messaggistica testuale hanno soppiantato le telefonate perché possiamo riascoltarli, senza prestare troppa attenzione al contenuto e al momento in cui li riceviamo. Questo ovviamente comporta l’abitudine a inviare messaggi di testo, vocali o email a qualsiasi ora e in qualsiasi giorno «perché tanto lo leggerà/ascolterà quando può». Rivedere, ripetere. La tecnologia ci consente una realtà, una sua rappresentazione, in cui il nostro corpo può essere in un luogo e la sostanza immateriale, attenzione compresa, in un altro. Questa rappresentazione rende possibile, che esista o no, la distanza e la differenza di sostanza tra corpo e anima.
Chiara Valerio ha questa capacità di spacciare complessità come se fossero caramelle. Libro breve e scorrevole, ma con molti spunti di riflessione, anche scomodi.
"La differenza tra scienza e tecnologia è semplice. Il verbo della scienza è provare, quello della tecnologia credere, nella misura in cui tutti siamo abituati all’esperienza di premere un tasto o toccare lo schermo di un dispositivo e vedere qualcosa accadere. Se dunque, definito praticamente, il verbo della tecnologia coincide col telecomando o con spegni-e-riaccendi, ed è credere, e poiché la tecnologia, suo malgrado, è diventata antiscienza, non c’è da stupirsi che ci siano singoli e gruppi di persone che credono o no nei vaccini, credono o no nel 5G, credono o no al riscaldamento globale, credono o no alla minaccia ecologica, credono o no alla raccolta differenziata, credono o no alla medicina allopatica e al motore elettrico. Credono o no che la Terra sia piatta (non lo è). Credere è il verbo della fede. La tecnologia è religione. La religione si interessa della salvezza dell’anima nei cieli e la tecnologia della conservazione dei dati nel cloud."
Ora che con Valerio anche la matematica è stata sdoganata tra le materie scolastiche da amare, si legge ogni suo libro con la speranza di riapprendere per vie traverse qualche dimenticata nozione delle decine apprese decenni fa e poi lasciate a sedimentare nei neuroni rimasti. In questo centinaio di pagine, però, forse a causa dell’origine frammentata dei suoi capitoli, ci troviamo d fronte a una specie di flusso di coscienza, un saltabeccare di palo tecnologico in frasca religiosa, non senza una discreta dose di presunzione. La sensazione è quella che si prova di fronte a uno sfoggio non richiesto di erudizione e che ti fa sudare un po’ freddo. La tecnologia associata al una religione è un paragone interessante, ma ci mancano la dimostrazione e l’utilità.
Valerio conferma di avere tantissime idee, frutto di grandissimo studio ma è difficile starle dietro, perché spesso solo lei (e forse la sua bolla) riesce a capire i propri collegamenti. Non è un caso poi che il saggio sia un collage di articoli scritti a tema: tutto appare confuso, con salti di palo in frasca.
Risulta davvero difficile trovare un nesso logico che sostenga le diverse tesi a sostegno di quanto si afferma nel titolo: la frammentarietà e il poco approfondimento la fanno da padrone (e sinceramente mi chiedo perché i suoi editor abbiano accettato incondizionatamente certi aneddoti senza senso e citazioni avirgolettate!)….
A parte qualche toccata politica e qualche associazione di concetti che a volte sfiora il volo pindarico, questo è un libro pieno di profonde intuizioni, descritte in un livello di sintesi e in uno stile che mi hanno letteralmente entusiasmato. Un libro a volte essenziale e a volte un po' a limite tra il complesso e il confusionario, come se l'autore stesse facendo più ragionamenti in parallelo e le risposte a volte escano non sempre in ordine logico, ma semplicemente in parallelo. In ogni caso un libro molto bello, che consiglio vivamente.
"La tecnologia è religione" è un libro che invita a riflettere sul ruolo che la tecnologia sta assumendo nella nostra vita quotidiana e sulle possibili conseguenze di questa dipendenza. La scrittura di Chiara Valerio è coinvolgente e stimolante e offre uno sguardo originale e critico su un tema di grande attualità e rilevanza. Da leggere x chiunque sia interessato a comprendere il complesso rapporto tra tecnologia/religione/società e a riflettere sulle possibili implicazioni sulla nostra vita e sul nostro futuro.
A leggere alcune delle recensioni presenti, si può pensare di poter fare a meno di leggerlo. Invece no, va letto. La Valerio è chiaramente una testa scientifica (questo per dire che la sua prosa avrà una cifra quantomeno singolare, in effetti!), ma gli spunti e i parallelismi che lancia in questo breve saggio sono illuminanti. I riferimenti alla sua vita sono discreti, leggeri, fondamentali a tratti. In fin dei conti, pensieri e personalità sono figli diretti delle esperienze soggettive, descrivere rende solo migliore il quadro generale. Piacevolissimo libro.
Piccolo saggio snello e molto innovativo nell’approccio. Manca forse di un obiettivo più netto e di una tesi che gestisca il tutto, quindi in certi tratti non capisco quale sia la mira dell’autrice. Altro piccolo difetto sono i tanti (troppi?) riferimenti pop, che sembrano un punto debole, zuccheroso e infantilmente malinconico degli autori della mia generazione. Per il resto molto originale, con periodi brevi - quasi tutti all’indicativo - che lo rendono snello e sincopato, simpatico e godibile.
La Tecnologia è religione. Prima di poter parlare di questo libello, dobbiamo fare una necessaria premessa. Chiara Valerio, l'autrice, chi è? Secondo me è una delle personalità italiane più interessanti e che fan bene alla mente.
Il perché di questa mia asserzione è presto detto. Potrete non essere d'accordo su ciò che dice o su ciò che scrive, ma se ascolterete\leggerete con senso critico e mente aperta, a prescindere della vostra opinione, ne uscirete arricchiti, pieni di spunti riflessione e di domande e parafrasando Moni Ovadia, "la domanda è una delle basi che sostengono la cultura".
Premessa fatta, andiamo avanti. In questo phamplet l'Autrice ci mette davanti ad uno specchio e racconta, attraverso divertenti aneddoti e paralleli tra relione e tecnologia, il nostro rapporto passivo con quest'ultima e come tale relazione si stia trasformando in fede, fede che vede contrapposta dall'altro lato la scienza\programmazione che invece spiega il funzionamento delle cose.
O ancora, ci racconta di come, volontariamente ma, forse, inconsciamente, stiamo cedendo la nostra memoria a dispositivi tecnologici perdendola noi stessi, lo fa raccontando i suoi ricordi, rendendoci partecipi di sue memorie così che siano anche in mano nostra. Ci parlerà di zombie digitali, di realtà diminuita, di come chi vive in clausura e gli hikikomori possano assomigliarsi, dell'evoluzione digitale qui in Italia, della magia e di come essa sia ancora possibile.
Insomma "La Tecnologia è religione" è un affascinante dialogo con Chiara Valerio e grazie alla quale, con riflessioni, teoremi (quello del Peluche è il più importante), calembour e risate, ci si aprirà la mente e ci si porrà infinite domande. Il tutto a patto di voler comprendere e senza aver fede alcuna.
Un libro che non mi ha lasciato nulla e che ho faticato a capire. Salti logici nell'esposizione o ragionamenti che non stanno in piedi, intermezzi personali inseriti senza ragione apparente e commenti tra parentesi che credo vogliano creare intimità con il lettore, ma personalmente confondono e basta.
Sicuramente "Io dunque Dio" (menzionato nelle note finali) sarebbe stato un titolo più azzeccato e meno fuorviante, ma l'"io" non sarebbe stato sicuramente sovraesteso alla nostra società, quanto avrebbe fatto riferimento all'autrice sola.
Il saggio tratta temi tanto interessanti quanto attuali. Purtroppo però, sebbene contenga diversi spunti che ho molto apprezzato, l’ho percepito come inconcludente, confusionario. Mi ha lasciato la pulce di una tesi non davvero dimostrata. Inizialmente ho faticato a seguire la prosa dell’autrice, perché spesso vicina al parlato e ricca di note ironiche sottintese. Una volta sintonizzata al suo linguaggio però, devo dire che mi ci son trovata. L’impressione finale, a libro concluso, è quella di essere appena uscita da una conversazione con un’amica sui massimi sistemi. Piacevole.
Un saggio ricco di spunti di riflessioni molto interessanti.
"Ho imparato ad accettare che ci sono cose che non capisco, ma ho imparato pure, ed è stato più difficile, che ciò che non capisco non è incomprensibile o sbagliato, semplicemente non lo capisco; (..) Non capire ti spinge a Porti le domande e tentare risposte. Pensare di aver capito una volta per tutte e giudicare crea una intransigenza. NOn si può capire tutto subito e soprattutto non capire è la nostra condizione comune. (..) Si può dire di non aver capire, non c'è vergogna."
Senza neanche entrare in merito alla tesi del libro (comunque molto debole), questo è un “saggio” che si trascina non per prove e dimostrazioni, ma semplicemente seguendo le intuizioni dell’autrice e un racconto legato più che altro al suo vissuto e ai temi che le stanno cari. La scrittura non è all’altezza del genere, anche se, bisogna dirlo, è ormai comune trovare una saggistica mescolata con l’autobiografia, in un’epoca in cui evidentemente contano più i sentimenti ultra-personali rispetto ad argomentazioni solide per portare avanti le proprie idee.