Che cosa significa essere adulti oggi? E come diventarlo? Se negli ultimi decenni l'identità adulta è stata principalmente fondata sul lavoro e sulla possibilità di costruire un proprio ruolo sociale e professionale, oggi quel modello appare in crisi e non più in grado di offrire le certezze fornite finora. Anche per questo, nella "stanza delle parole" dove la psicoterapeuta Stefania Andreoli riceve i suoi pazienti, negli ultimi anni ha cominciato a emergere una istanza generazionale comune: quella dei venti-trentenni e dei trenta-quarantenni, in cerca di aiuto per capire come trovare il proprio posto in un mondo sempre più schiacciato sul presente e che sembra aver perso ogni slancio verso il futuro. Partendo dalle storie di chi si rivolge a lei ogni giorno, Andreoli mostra a tutti noi cosa voglia dire essere adulti in quest'epoca di disorientamento, e prova a tessere un filo per ricucire lo strappo che oggi separa i più giovani dai loro genitori e dalle generazioni che li precedono. Perché, in un momento in cui le accuse reciproche prevalgono sul dialogo e la richiesta di omologarsi a un irraggiungibile ideale di perfezione vince sul guardarsi davvero, potrebbero essere proprio i giovani adulti, e i nuovi modelli di cui sono portatori in quanto figli del loro tempo, a indicare la soluzione rivoluzionaria capace di aiutare tutti a essere più in ascolto di se stessi e degli altri e, finalmente, anche più felici.
Molti concetti interessanti espressi in un modo confuso e senza un filo conduttore che ti porti dall’inizio alla fine del libro. Poi, opinione personale, troppo egoriferito
Da 29enne lo agognavo, lo volevo tanto questo libro. Non ha deluso, mi ha riempita di perle e di comprensione. Annuivo mentre leggevo, come se venissi davvero capita.
Un bel saggio sui giovani adulti. In particolare ho apprezzato questa continua giustapposizione fra noi Millennials e la Gen X e questo accento costante sulla salute mentale di cui ci facciamo paladini.
Avrei voluto più pagine sul conflitto giovani adulti-mondo del lavoro, ma forse lí ci vuole più un economista o un sociologo.
Modestissima opinione: resta uno step sotto rispetto a Mamma ho l’ansia, per questo ho dato 3 stelle.
Comunque consigliato eh! 3 stelle vuol dire bello e ben fatto, senza eccellere.
Allora: bello, interessante, mi spingerei a dire necessario? Però percorso da un costante, malcelato eccessivo autocompiacimento che, insomma, anche meno. Avevo preferito “Lo faccio per me”
Stefania Andreoli è una psicoterapeuta brillante, famosa anche per i suoi interventi radiofonici, per un TEDx sui giovani adulti (argomento di questo libro) e per il format su Instagram del martedì delle parole, dove gli utenti le pongono domande e lei, con la sua straordinaria delicatezza, risponde. Il libro racconta, a volte con esempi reali, la condizione dei giovani adulti, partendo dalle cause fino ad arrivare a delle possibili soluzioni. I giovani adulti sono giovani dall’adolescenza mutilata, a causa di genitori confusi ed eccessivamente invasivi. La presenza ingombrante del genitore, che spesso fa del figlio il fondamento della propria identità, non permette ai giovani di avere lo spazio per l’incontro col Sé. Ne deriva che arrivati a vent’anni questi giovani abbiano tanto da dire, siano stanchi dei teatrini, delle falsità, delle ipocrisie, ma si sentano persi per questo mancato incontro. Il libro tratta di varie tematiche, dalla famiglia (immancabile in psicologia) agli amici, dall’amore fino a toccare anche gli “adulti giovani” (i trentenni). Una dolcissima e piacevolissima coltellata: è da lì che entra la luce.
Interessante e ben scritto (come tutti i testi della Andreoli). L'ho tanto atteso e ho trovato alcuni spunti, speravo in qualche approfondimento in più e meno ripetizioni. La polpa, per me, è stata poca. Credo dipenda dal fatto che seguo abitualmente l'autrice per cui molto di ciò che ha scritto non è risuonato in me come "nuovo".
Non si dovrebbe fare. Non si dovrebbe giudicare un libro per i meriti e i demeriti di chi lo ha scritto. Tuttavia sarei ipocrita se negassi che aver incrociato Andreoli e averla sentita parlare per un'ora e trenta ha condizionato la mia ricezione di questo volume. Del resto, come per l'altro, non lo avrei neppure preso in mano se non fosse stato per arrivare "preparato" all'evento di ieri sera.
E quindi? Bah. È scritto un po' meglio di Io, te e l'amore, sebbene anche in questo caso abbia avvertito un eccessivo abbellire e reiterare e ridondare: tantissima retorica, che imita lo straordinario eloquio della dottoressa Andreoli, ma che, se funziona nell'esposizione pronta e puntuale con cui risponde alle domande che le vengono fatte dal vivo, nello scritto rende le sue parole artefatte. I suoi libri sembrano preparati per essere recitati da un pulpito per una folla acclamante - tanto che per curiosità ho provato ad ascoltare qualche capitolo dell'audiolibro, letto da lei stessa, trovandolo molto ben confezionato. Come però ho avuto modo di sperimentare anche in prima persona, se non le si pone un limite Andreoli non sa gestire il tempo della narrazione. Non è solo roba di fiction: anche una dissertazione tecnica richiede un ritmo, una direzione e un esoscheletro. Qui manca tutto e la materia è esposta con un fare che è davvero caotico in tutti i sensi. Allo stesso modo, fuori dalla radio, in quell'appuntamento da Cattelan dove il freno è posto dalle tempistiche stringenti della diretta, la dottoressa sbrodola. Ieri sera l'ho sentita rispondere per 45 minuti ad un'unica domanda e mi è parso di essere di nuovo qui dentro, in un caos denso di belle parole che infilate come sono suonano bene, ma che forse comunicano poco. È una cosa a cui sono arrivato ascoltandola: mi spiace, ma trovo che se si prova troppo piacere ad ascoltarsi è quasi impossibile dire davvero qualcosa. Per una professionista dell'ascolto mi pare un errore di calcolo notevole. Permane poi questo uso abbondante della materia che emerge durante le sue sedute nella "stanza delle parole" (che locuzione svilente, possiamo dirlo?). Non mi piace. Non capisco chi possa volerla come terapeuta, se non per una questione di "status" e per raccontare nel proprio gruppo di amichetti ricchi che si è in cura dalla star dei social. Mi fa schifo l'idea che l'intimità di una persona venga violata, pur trasfigurata per rendere la stessa inconoscibile, per finire in libri come questi. Posso accettare che ciò si verifichi in un manuale tecnico e operativo pensato per i professionisti, ma non per questi prodotti divulgativi a basso prezzo e di bassa lega. E se fino a ieri ero certo che nei libri l'edulcorazione fosse ampia e capillare - ché i suoi pazienti "parlano" esattamente come lei, quindi devono essere solo burattini infarciti -, ora non ne sono più così convinto. Sul palco l'ho vista raccontare di vite altrui rovinate da eventi tragici dolorosissimi, persino di violenze carnali a scapito di un bambino: sarà perché, scioccamente, in un teatro gremito di quattrocento persone mi è parso ci fosse troppo poco riserbo (quando poi i suoi libri vendono migliaia di copie, lo so, non ha senso); sarà perché l'ho visto fare solo per ottenere un gancio oratorio, per colpire di proposito le viscere di chi ascoltava così da produrre un "gasp" generale. Posso dire, di nuovo, che schifo? Fossi stato il ragazzo che per anni l'ha pagata per farsi aiutare per superare ferite così grandi e così intime, sarei salito sul palco e le avrei mollato un ceffone capace davvero di ribaltarla dalla sedia su cui se ne stava tutta tronfia e compiaciuta. Parole ricercate, lei splendida e firmata, fresca di piega dal parrucchiere, sulla bocca la vita sbranata di una persona per un applauso. E dire che, come lei stessa ha sottolineato, quella persona era andata da lei perché nessuno l'aveva mai davvero amata: neanche lei, cara doc, visto che se ne è approfittata come tutti gli altri. Infine, i contenuti. A tratti acuti, sì, glielo riconosco. A tratti no, frasette da baci perugina. Ieri sera ha lasciato che la chiusura dell'evento, il momento "catartico" in cui tutto avrebbe dovuto assumere un senso raggiungendo una certa circolarità, fosse una frase sentita il giorno stesso (o letta da qualche parte) di Fabio Volo. Devo aggiungere altro? Da ora in poi valuterò i suoi libri con questo metro, visto che se lo è scelto.
Ho cominciato a seguire la Andreoli ascoltandola su Radio Deejay e mi è sembrata da subito molto brava e competente. Ero alla ricerca di qualche consiglio per gestire le inevitabili incomprensioni e i conflitti che, con tre figli adolescenti, sono all’ordine del giorno. Con questo suo libro, però, ho fatto un passo troppo lungo perché i giovani adulti di cui parla sono in realtà i cosiddetti Millennials, cioè quei ragazzi e ragazze dai venti ai trent’anni, che si sono già affacciati al mondo dell’Università e del lavoro, sentendosi fuori luogo e cercando di trovare un modo autentico per essere se stessi. I miei figli in realtà sono un po’ più giovani. Nonostante ciò, come genitore e come persona adulta, leggendo questo libro, mi sono sentita spesso profondamente inadeguata e in difetto su molte cose. Non mi ero mai percepita come un genitore ingombrante, ma forse, involontariamente, lo sono anch’io. Molteplici le sottolineature e i post it infilati tra le pagine, infiniti i dubbi e le perplessità su quanto io stia sbagliando con i miei ragazzi. Non mi resta che fare un passo indietro e recuperare gli altri suoi libri incentrati sui più giovani, con la speranza di trovare tra le righe gli strumenti per imparare a migliorarmi come genitori ed evitare, tra qualche anno, di avere in casa dei giovani adulti infelici e incompresi. Grazie Doc per aver fatto sì che mi mettessi in discussione. Mi serviva!
Un saggio che ci dimostra che non siamo soli, che possiamo essere compresi, e che ci insegna ad andare avanti comunque a testa alta con le nostre idee in caso la maggioranza non riesca invece a capirci.
“Noi si va per sottrazione: andiamo a togliere, perché tutto ci risulta oneroso e stressante, ci gestiamo male, ma incolpiamo il tempo che non basta mai, pensiamo di fare e avere fatto già abbastanza per fare ancora di più, abbiamo un concetto diverso delle cose importanti, che riduciamo all’osso per andare più in fretta. La chiamiamo essenzialità o prioritizzazione, ma spesso non è altro che il dazio da corrispondere per una vita che ci capita di rincorrere, anziché di vivere camminandoci dentro al nostro passo. Questi giovani invece mi pare che al contrario propongano di fare per addizione, aggiungendo: pensiero, tempo, qualità, significato, cura.”
Andreoli scrive il libro che molti suoi followers le stanno chiedendo da tempo, ovvero sui giovani adulti: non più adolescenti, ma nemmeno ancora adulti, in questo limbo in cui non vengono considerati e rappresentati. Ci pensa lei, quindi, a trovare le parole per raccontarli, portando, come sempre, molti esempi tratti dalla sua stanza delle parole e non si può che restarne stupiti. Tra i tanti, mi hanno colpito molto le storie di Agata, che scopre una tresca del padre con un'altra donna e si domanda come sia possibile che i suoi genitori facciano finta di niente, proprio loro che le hanno sempre chiesto di comportarsi bene e "invece scopre che l'educazione che le hanno impartito somigliasse molto di più a chiederle di fare meglio di quanto non fossero stati capaci di fare loro per primi" oppure Azzurra, figlia unica di una famiglia milanese altolocata, che, dopo non essere stata ammessa a nessuna università prestigiosa, decide di fare la volontaria in un ristorante con personale con disabilità che serve i pasti ai senzatetto, i suoi, assolutamente contrari, le tagliano i fondi e raccontano bugie a parenti ed amici, perché si vergognano di quello che fa la figlia: "Con i miei, io ero abituata a essere voluta bene se andavo bene. Se facevo le cose bene. Se andavo bene a scuola. Se agivo come volevano loro. Non penso che significhi che non mi vogliano bene davvero, ma sento che il loro affetto è vincolato a quello che faccio, non a quello che sono."
Da trentaseienne mi sono riconosciuta moltissimo nel capitolo dedicato agli adulti giovani, ovvero quelli tra i trenta e quarant’anni: mi sono sentita capita ed accolta, sapere di non essere la sola a trovarsi in questa situazione mi ha rincuorata e dato molta speranza e fiducia nel futuro. Non posso, quindi, far altro che unirmi al coro dei giovani adulti ed adulti giovani per ringraziare la Doc per essersi fatta nostra portavoce.
“Entrambe le generazioni parlano delle stesse cose. Se ascolti davvero, con amorevole attenzione e interesse, gli adulti soffrono di un dolore che definirei esistenziale per gli stessi identici motivi dei giovani: rifuggono l’infelicità, ognuno come può. Provano a non farsi accusare, tentano di difendersi, temono il giudizio. Fanno pensieri ricorsivi, sempre gli stessi, con i quali si tengono compagnia. Cercano nell’amore un po’ di conforto, ma le emozioni li confondono e le relazioni li destabilizzano. Certo, una differenza c’è: è lo stile a essere diverso. I giovani adulti al cospetto del loro malessere dimostrano maggiore incoscienza, ovvero sono disposti a dargli appuntamento, guardarlo in faccia, nominarlo, viverselo. Non hanno idea di come fare, ma non hanno ancora rinunciato all’autenticità come soluzione. Gli adulti, invece, si sono nel frattempo spoetizzati e resi inautentici, fasulli, anche narcisisti. Non ci stanno bene, ma costa loro molto l’idea di rimettersi un’altra volta in gioco, a volte si sentono troppo in là con una vita vissuta perlopiù in incognito, per iniziare a provare a essere Sé. Penso sia per questo motivo che il messaggio dei giovani adulti e la loro proposta di tenderci una mano a vicenda per tentare di salvare le sorti del mondo relazionale degli umani siano stati finora tendenzialmente ignorati, irrisi, snobbati: spaventano. A me però sembra che commetteremmo un errore esiziale, se non ammettessimo che la generazione dei giovani adulti sia quella che può salvare il mondo, avendo da dire ciò che gli adulti non hanno avuto l’ardire di chiedere, ovvero invocare l’autenticità come nuova lingua universale, grazie alla quale uscire dalla Babele in cui ci troviamo, e lasciando che i ventenni siano i nuovi mediatori linguistici.”
Molti spunti di riflessione, libro di sicuro interesse, anche se scritto maluccio, un torrente di linguaggio parlato, non filtrato e non lasciato riposare per dare l'ordine necessario alla parola scritta. Tanta passione, tanta urgenza di comunicare uno spicchio di personale verità, ma forse anche molta distorsione: non sarà che il punto di osservazione dell'autrice è magari focalizzato su un ceto sociale particolare? Diciamo magari una borghesia medio-alta? Perché gli esempi di genitori "boomers" che riporta sono effettivamente un po' strani, e alla gente comune fanno tirare un sospiro di sollievo: "ah beh, se davvero gli altri sono a questi livelli, allora io posso assolvermi .." Ecco la critica agli adulti e alla famiglia fa certamente riflettere, ma in un senso che poi non approda a nulla, tanto sono sballati i riferimenti citati. Invece la grande passione con cui viene sostenuta, incoraggiata e valorizzata la generazione dei 'giovani adulti' così meravigliosamente fragile e preziosa, colpisce nel segno e costituisce il miglior lascito di questa lettura.
Avrei dato 4 stelle se l'autrice avesse parlato un po' meno di sé stessa e un po' di più dell'argomento del libro, che comunque propone diversi spunti molto interessanti. Comunque decisamente consigliato per tutti
Mi rendo conto sempre di più che i libri si giudicano ancora prima di leggerli, grazie ad Instagram e alla televisione, altrimenti non si spiegano le recensioni che leggo qui.
Ho acquistato questo libro con molte aspettative, troppe a posteriori, sono una Millenial e oltre alla comprensione, che c’è ma lascia il tempo che trova, speravo di cercare qualche risposta, qualche aiuto, qualche suggerimento e invece nulla.
I primi capitoli sono una prolissa descrizione dei problemi che vivo tutti i giorni, quindi all’inizio mi sono sentita compresa ed ero entusiasta di continuare. Tuttavia l'argomento promesso dal titolo e dai social non viene mai affrontato. Ci sono solo storie di giovanissimi (un 23enne non è un millenial) che non portano a nulla. Ascoltando il podcast dell'autrice, si comprendono le stesse cose e addirittura si ottiene qualcosa in più.
Una raccolta di episodi accaduti a pazienti farcito da una abbondante dose di fastidioso egocentrismo.. inoltre è anche scritto male, è stato difficile finirlo.
“Hanno paura, certo. Scegliere è rinunciare. Inoltre, sono stati educati a fare le cose bene al primo colpo per tenere il passo di tutto ciò che c’è da fare”.
Meraviglioso. Mi sono sentita capita in modi che non credevo possibili. La Andreoli colpisce sempre a fondo e senza errori di traiettoria, ma i colpi sono sempre prese di coscienza necessarie a costruire qualcosa di migliore - soprattutto in questo caso.
Avevo grandi aspettative, mi è piaciuto, mi sono sentita capita ma l’ho trovato a tratti ripetitivo e meno ricco di Lo faccio per me o Mamma ho l’ansia.
3 stelline e mezzo. Dobbiamo ringraziare la dott. Andreoli per dare, finalmente, voce alla nostra generazione. I racconti dei suoi pazienti sono preziosi, e a volte sono come una pugnalata al petto. Tuttavia, ho trovato un libro un po' superficiale. Non si addentra nelle cause e non approfondisce l'argomento. Sembra una descrizione del fenomeno molto leggera e talvolta ridondante. Insomma, speravo meglio.
Un invito all’autenticità, valore che dovrebbe guidare ogni nostra relazione. Questo libro mi lascia una buona dose di fiducia nel futuro e il desidero di non smettere mai di ricercare l’equilibrio nella relazione con me stessa e con gli altri. Stefania Andreoli sa dire quello che serve che venga detto, usando sempre parole preziose.
Il fatto che Stefania Andreoli abbia scelto come incipit una citazione di H.P. Lovecraft ("il richiamo di Cthulhu") mi ha condizionata favorevolmente fin dalla prima pagina. Del resto, per farsi portavoce del malessere giovanile senza far partire fin da subito, di default, da un lato l'allerta anti-lassista, e dall'altro la levata di scudi preventiva contro eventuali interpretazioni edulcorate, presentate magari a mo' di scoperta dell'acqua calda, bisogna essere proprio accattivanti. "Chi sono, dunque, gli adulti? Gli adulti, oggi, sono quelli in difficoltà, soggetti antropologici che non hanno risolto e hanno prolungato all'infinito una fase maturativa che è diventata un modo di vita, mettendoli in una posizione statica di crisi. Ma in questa situazione restano con uno stile tutto loro, ovvero quello di chi fa assolutamente finta di nulla, re e regine completamente nudi in atteggiamento da grande soirée." Una parte di me brontola mentre l'altra riconosce il merito. La parte indignata borbotta che, anni fa, riflessioni come quelle riportate in questo libro uscivano comunque spontaneamente nei discorsi tra adolescenti, e che alcuni riuscivano a farne una questione politica; nessuno sembrava sentire il bisogno di uno specialista che ne legittimasse la rabbia, o la necessità di un'autorità competente che validasse determinate istanze. In realtà però mi ha fatto bene al cuore sentire esporre con tanta lucidità quanto sia diffuso e condiviso questo senso di inadeguatezza cronico e questo bisogno impellente di criticare la società della performance. Perché se c'è un'eredità che i boomers sono riusciti benissimo a rifilare ai millennials trasversalmente, a prescindere dal colore politico o dalla posizione sociale, quella è indubbiamente costituita dal senso di colpa. Senso di colpa per la pappa-cotta ricevuta, per le opportunità regalate, per il "benessere" garantito... Senso di colpa per l'ingratitudine dimostrata mettendo in discussione l'etica del sacrificio... senso di colpa per l'insoddisfazione cronica. Insoddisfazione cronica che non è certo peculiare dei millennials, ma alla quale i boomers tendono ad attribuire solitamente altre cause rispetto a quelle individuate dai millennials. Il sistema di valori che aveva formato i boomers permetteva loro di identificare altre giustificazioni, ma quel sistema di valori non era tramandabile. il loro modello non è replicabile perché non è sostenibile, e dunque è stato tramandato solo il senso di colpa e di inadeguatezza. Sarebbe più questione da affrontare politicamente che non psicologicamente forse ma, accantonando la parte di me che continua imperterrita a brontolare, riconosco che un'altra parte di me è sinceramente ammirata. Bisogna ammettere che Stefania Andreoli fa un uso decisamente smart delle proprie competenze, perché sa sfruttare quel suo approccio così "instafriendly" per pungolare con riflessioni anticonformiste un gran numero di persone. Ben venga lo sdoganamento, anche mainstream, della critica alla società dei consumi e alla famiglia "tradizionale" ad opera di specialisti della salute mentale, se questo può aiutare a picconare un altro po' ciò che sembra si stia comunque inesorabilmente sgretolando da sé e già da un bel pezzo oramai.
Stefania Andreoli parla dei giovani adulti, creature mitologiche che hanno tra i 20 e i 30 anni. Appartenendo io a questa categoria, mi sento di dire che parla di noi, per noi, con noi. La sua scrittura è un amplificatore per le nostre voci rock, rock come simbolo di malessere e manifestazione di protesta e silenziosa - neanche tanto - ribellione. Perché qualcuno che riesce a leggerci e che ci tende la mano (o afferra quella che tendiamo noi?) esiste! Io, dopo aver chiuso questo libro prezioso, di valore, mi sento ascoltata. Per un momento ho pensato che essere felici è possibile e che accade se cerco di essere Me, in relazione con gli Altri, dove la lettera maiuscola rivela autenticità. - "La salute psichica, quando c'è, smette di scendere a compromessi con il suo contrario." - "Così facendo, si incastra dentro alla trappola per la quale, per paura di essere in ritardo perde tempo. " - "Ma da dove arrivi tu? Da chi sei nato, chi ti ha cresciuto, se i genitori che racconti ti sembrano così estranei e inadatti?" - "Staremmo tutti meglio, se provassimo ad avere rispetto per i tentativi che ognuno di noi fa per stare al mondo. "
Da come me ne avevano parlato mi aspettavo, sinceramente, un capolavoro. Un libro che rivoluzionasse il mio sentire, il mio modo di approcciarmi alla vita. Non è stato così. È un libro interessante, senza dubbio, ma a mio parere c'è molta fuffa e poca sostanza. Ci sono tante storie di vita vissuta, tante riflessioni dell'autrice e poche conclusioni. Sicuramente mi aspettavo qualcosa di diverso io.
Aggiungo che l'ho letto ad alta voce per farlo sentire al mio fidanzato e ho fatto veramente fatica a causa di tutti gli incisi, le parentesi, le frasi lunghissime che non giungono mai al punto. Ecco, una cosa certa l'ho capita: non mi piace - per niente - come scrive lastefiandreoli.
Secondo me, è un libro adatto a chi vuole capire di più della vita dei giovani adulti, per noi che ci siamo già dentro non può aggiungere nulla. Mi porterò dietro qualche riflessione, ma nel complesso non è una lettura così fondamentale.
La voglia di autenticità, di scegliere e di non accontentarsi mai. Questo suscita timore nella nostra società perché il cambiamento in generale fa sempre paura, anche se in meglio. Ma sono sempre più convinta che le generazioni adulte abbiano timore e tanta, tantissima invidia, per come scegliamo di vivere noi, giovani adulti e adulti giovani.
Grazie Stefania per dare voce a uno spicchio tutt'altro che piccolo della nostra società, spesso ci sentiamo dimenticati e messi da parte mentre invece abbiamo tanto da dire e da dimostrare e lo vogliamo fare a modo nostro che quasi sempre non converge con la forma più convenzionale.
Un saggio che in modo brillante illustra la condizione dei giovani adulti e riflette su sogni, possibilità, desideri e paure che sono tipici di quell' età. Da leggere!
È interessante soprattutto poter leggere le storie dei pazienti. Ho trovato però la scrittura troppo ripetitiva e piena di fronzoli e le parti in cui l'autrice parla di se stessa troppo lunghe.