Pittura Fotografia Film (1925) di László Moholy-Nagy è insieme il manifesto teorico della fotografia moderna, una riflessione sull'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica scritta dieci anni prima del saggio di Benjamin, e un testo di teoria dei media e della cultura visuale che continua a stupirci per la sua attualità. Da un lato va considerato come uno dei documenti decisivi di quella straordinaria stagione di riflessione sul ruolo culturale della fotografia e del cinema che furono gli anni Venti e Trenta, in stretta relazione con gli scritti di registi e teorici come Vertov, Epstein, Benjamin e Kracauer, le sperimentazioni fotografiche di Man Ray e Rodcenko, i fotomontaggi dei costruttivisti russi e dei dadaisti berlinesi, il cinema astratto di Ruttmann, Eggeling e Richter. Dall'altro può essere letto come un testo che introduce per la prima volta alcuni dei temi ancora oggi al centro della teoria dei media e degli studi sulla cultura visuale: la capacità dei media di riorganizzare l'esperienza sensibile degli individui, il ruolo dell'arte nella sperimentazione di un uso umanistico-estetico della tecnologia, gli effetti epistemologici e sociali di quel primato del visivo che proprio allora cominciava a manifestarsi in piena evidenza. Interpretato in quest'ottica, l'efficace montaggio di immagini artistiche e non-artistiche presentato da Moholy-Nagy nella sezione iconografica che accompagna il testo si propone come il tentativo riuscito di usare il montaggio quale strumento per analizzare le trasformazioni indotte dai media ottici nel campo visivo della modernità.
“People believe that they should demand hand execution as an inseparable part of the genesis of a work of art. In fact, in comparison with the inventive mental process with the inventive mental process of the genesis, the question of execution is important only in so far as it must be mastered to the limits. The manner, however - whether personal or by assignment of labour, whether manual or mechanical - is irrelevant.” (26, Moholy-Nagy)
The book is a collection of reflections with a very modernist outlook by Moholy-Nagy on art (as of 1920s). It reminds me of a sci-fi book on art, as the Bauhaus teacher was positive of the use of machinery in art, prompting even some inventions, which may not be exactly reality today (like the poly-cinema), but remind of contemporary art installations. Though about a century has passed, I feel Moholy-Nagy still inspires a debate on what art exactly is - him defending that it’s the idea, not the execution that matters.