Michela Marzano è un'affermata filosofa e scrittrice, un'autorità negli ambienti della società culturale parigina. Dalla prima infanzia a Roma alla nomina a professore ordinario all'università di Parigi, passando per una laurea e un dottorato alla Normale di Pisa, la sua vita si è svolta all'insegna del «dovere». Un diktat, però, che l'ha portata negli anni a fare sempre di più, sempre meglio, cercando di controllare tutto. Una volontà ferrea, ma una costante violenza sul proprio corpo. «Lei è anoressica» le viene detto da una psichiatra quando ha poco più di vent'anni. «Quando finirà questa maledetta battaglia?» chiede lei anni dopo al suo analista. «Quando smetterà di volere a tutti i costi fare contente le persone a cui vuole bene» le risponde. E ha ragione, solo che è troppo presto. Non è ancora pronta a intraprendere quel percorso interiore che la porterà a fare la pace con se stessa. «L'anoressia non è come un raffreddore. Non passa così, da sola. Ma non è nemmeno una battaglia che si vince. L'anoressia è un sintomo. Che porta allo scoperto quello che fa male dentro. La paura, il vuoto, l'abbandono, la violenza, la collera. È un modo per proteggersi da tutto ciò che sfugge al controllo. Anche se a forza di proteggersi si rischia di morire. Io non sono morta. Oggi ho quarant'anni e tutto va bene. Perché sto bene. Cioè... sto male, ma male come chiunque altro. Ed è anche attraverso la mia anoressia che ho imparato a vivere. Anche se le ferite non si rimarginano mai completamente. In questo libro racconto la mia storia. Pensavo che non ne avrei mai parlato, ma col passare degli anni parlarne è diventata una necessità. Per mostrare chi sono e che cosa penso. Perché, forse, senza quella sofferenza non sarei diventata la persona che sono oggi. Probabilmente non avrei capito che la filosofia è soprattutto un modo per raccontare la finitezza e la gioia. Gli ossimori e le contraddizioni. Il coraggio immenso che ci vuole per smetterla di soffrire e la fragilità dell'amore che dà senso alla vita.»
Michela Marzano (Roma, 20 agosto 1970) è una filosofa, accademica, politica e saggista italiana.
Ha studiato all'Università di Pisa e alla Scuola normale superiore. Dopo aver conseguito il perfezionamento in filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa ed in Bioetica alla Università degli Studi di Roma - La Sapienza è diventata docente all'Università di Paris V - René Descartes, dove insegna tuttora.
Ha diretto il Dipartimento di scienze sociali della Sorbona, prima di diventare deputata per il Partito Democratico. Autrice di numerosi saggi e articoli di filosofia morale e politica, ha curato il Dictionnaire du corps (PUF, 2007).
Si occupa di filosofia morale e politica e, in particolar modo, del posto che occupa al giorno d'oggi l'essere umano, in quanto essere carnale. L'analisi della fragilità della condizione umana rappresenta il punto di partenza delle sue ricerche e delle sue riflessioni filosofiche.
Nel 2014 vince il premio letterario Bancarella con il volume L'amore è tutto. È tutto ciò che so dell'amore edito da UTET
Mi sorprende che a una mente logica sfugga la ridicola chiosa di copertina, poiché nessuno che sfogli quest'ennesima esibizione di emostruggimenti giovanili potrebbe pensare che la Marzano abbia davvero imparato qualcosa. Non a vivere, almeno. La prosa ha l'andamento puntinistico di una sedicenne in vena di lirismi autoesplorativi; i contenuti trascendono di rado il: la vita mi ha fatto male, dunque mi deve qualcosa. Manca la lucidità tagliente con cui, ad esempio, la Nothomb esplora il concetto di 'fame' come orizzonte del desiderio. Manca, a mio avviso, la distanza che (e la Marzano per prima dovrebbe saperlo) lo studioso oppone sempre a quel che studia, se vuole capirlo. Non si aprono gli occhi sotto la sabbia. Non si impara a vivere se non si accetta che no, la vita non ti deve nulla.
Indecisa fra 3 e 4 stelle, alla fine ho optato per le 3. Libro molto interessante, ma frammentario e sconclusionato. Gli spunti di riflessione sono tanti e interessanti, ma i concetti sono spesso un po' buttati lì, più che un libro sull'anoressia è uno sfogo personale dell'autrice, in cui ci racconta la sua vita, le problematiche che ha attraversato, un sacco di cose, scritte anche bene e in alcuni momenti si entra in empatia (ma in altri la si prenderebbe a schiaffi)...però davvero troppo poco strutturato per poter essere utile, ammesso che volesse esserlo.
Il sentimento di delusione profonda è iniziato dopo le prime 20 pagine, e probabilmente mi ha impedito di essere maggiormente obiettivo nel valutare il resto del libro. Un libro che non racconta, mi ha lasciato la sensazione che da un lato la Marzano non abbia il "coraggio" di affrontare la sua storia, dall'altro, con atteggiamento un po' snob, non voglia confrontarsi con la banale cronologia degli eventi. Un libro che non spiega, perchè nonostante tutte le elucubrazioni il libro in fondo non parla dell'anoressia, non parla del male di vivere, parla forse solo dei problemi che la Marzano ha avuto nel rapporto con il padre, ma finisce per parlarsi addosso senza chiarirci cosa voglia dire. La Marzano è sicuramente persona intelligente e capace, molte delle considerazioni di questo libro sono acute, importanti, sofferte. A fianco a queste ci sono però tante considerazioni banali, anche banali nella scrittura, e il libro finisce per essere una raccolta di massime, una specie di raccolta di pensieri in liberta, che si può leggere indifferentemente dall'ultimo capitolo al primo o saltando da un capitolo all'altro senza che il risultato cambi significativamente. Mi resta la curiosità di leggere la Marzano "accademica" perchè la sua filosofia è molto intrigante, almeno nelle premesse, e sicuramente si pone come elemento nuovo e diverso in un panorama culturale generalmente un po' piatto o eccessivamente slegato dalla realtà.
Cette autobiographie, prétendument centrée sur l'anorexie, n'est en fait qu'un livre à la gloire de son auteur qui semble se considérer comme un génie à part du genre humain, à même de comprendre l'anorexie et l'Homme mieux que quiconque, sans pour autant en prononcer un mot en profondeur parce qu'elle est "une personne très dispersée" et si son livre est un brouillon sans queue ni tête, c'est parce qu'il reflète son intelligence surhumaine. Insupportable et inutile, mal écrit qui plus est.
L'autrice ha inserito alcuni episodi di vita e le proprie riflessioni su questa: esprime la frustrazione, la desolazione, l'incomprensione generale di situazioni sue personali che possono essere comuni a molte persone. Non parla di "come si diventa anoressici" né fornisce un consiglio pratico e personale sul "come ne è uscita".
L'intensità delle sue parole e il flusso di pensieri, così come le citazioni e i riferimenti a/di filosofi e alla letteratura*, possono non essere compresi subito, se non si è avvezzi alla materia, così la lettura non è stata scorrevole come mi sembrava dalle battute iniziali.
*M. Marzano ha affrontato gli studi universitari alla Normale di Pisa e ha insegnato filosofia all'Università di Parigi V.
Un libro necessario, per me, in questo momento, e forse per tante altre persone. Un viaggio che parte da lontano, dall’infanzia, dal dolore, che attraversa l’anoressia e termina con l’accettazione e l’indulgenza, verso se stessi. La montagna di Sisifo si lascia scalare proprio quando decidiamo che forse scalarla non è poi così necessario, ed è allora che tutto diventa meno difficile.
Non penso di poter valutare un libro del genere. Sarebbe come dare un voto al vissuto di una persona e non mi sembra una cosa corretta, perché il vissuto di ognuno è personale e unico e nessuno ha il diritto di giudicarlo. Posso solo dare le mie impressioni: un libro che chiaramente l'autrice portava dentro da molto e aveva bisogno di scrivere, più per se stessa che per noi lettori. Un flusso di coscienza a malapena revisionato, che rende il libro sincero ma anche molto sconnesso, frammentario: difficile tenere il filo di pensieri che vogliono riassumere una vita. Non credo che si possa definire un libro sui disturbi alimentari. Come viene ripetuto così spesso tra queste pagine, il disturbo è solo un sintomo, la manifestazione esteriore di un problema molto più profondo e radicale, di un modo tossico di vivere la vita. Questo libro parla dell'autrice e solo di lei: della sua storia, delle sue opinioni e delle sue emozioni (devo essere sincera, non ho molto apprezzato la rappresentazione che è stata fatta dei medici e degli psichiatri, ma capisco che rientrino nel problema). Parla di come sia difficile guardarsi dentro e ammettere, dopo metà della tua vita, di non aver capito nulla. Anzi, di aver proprio sbagliato tutto.
Il racconto dell'autrice della sua esperienza con l'anoressia!
Ma è tutto troppo confusionario e filosofico!
Non c'è un senso cronologico e secondo me il lettore fa davvero fatica a capire il tutto!
Anche le argomentazioni mi sembrano un pò troppo superficiali e già sentite dire..è come se per tutto il libro cercasse di dire qualcosa in più ma alla fine dice le cose che tutti sappiamo su questo tipo di disturbo.. Immagino che non sia facile cercare di mettere nero su bianco un'esperienza così dolorsa della tua vita..e cercare di spiegare al mondo quello che per te è stato e quello che è diventato e come ti ha cambiato..però, sarò cinica, ma poteva essere scritto meglio e affrontato in maniera diversa.
A tratti però interessante..ci sono dei passaggi che mi sono piaciuti..forse perchè si va un pò più a fondo sul problema..
Questi sono due di questi passaggi che nomino:
[...]«C’era una volta un re. Seduto sul sofà. Che chiese alla sua serva: raccontami una storiella. La serva incominciò. C’era una volta un re. Seduto sul sofà. Che chiese alla sua serva: raccontami una storiella. La serva incominciò...»Nella vita tutto si ripete. Un po’ come nella filastrocca che mi recitava mamma quando ero piccola. Perché anche nella vita, prima o poi, si ripassa esattamente là dove ci si era incastrati, là dove il cielo si era squarciato in quel giorno di tramontana, là dove fa male e farà sempre male, perché la ferita non smette mai di sanguinare...
Anche se, col tempo, i cerchi si allargano. E anche se si ripassa accanto all’abisso, si può evitare di sprofondare. Basta sapere che c’è. E che non è vero che, se si fa finta di niente, tenebre e vuoto scompaiono. Al contrario. Perché accanto all’abisso c’è sempre un ponte. Un filo sottile che separa il riso dal pianto. L’odio dall’amore. La morte dalla vita. Basta saperlo afferrare e non mollare mai, qualunque cosa succeda. Proteggersi sempre, anche se lui ti abbandona...[...]
[...]È solo quando ho smesso di pensare che l’amore fosse una cosa cui ci si deve aggrappare con tutte le forze, che ho cominciato a fidarmi di nuovo. E ho lasciato la presa. E ho accettato di aspettare che qualcosa succedesse indipendentemente dalla mia volontà. Anche quando non ero del tutto d’accordo. Perché onorare la fiducia che qualcuno ci dà significa prendere sul serio i suoi desideri. Anche quando la pensiamo diversamente. Anche quando l’altro sbaglia. Soprattutto quando sbaglia...[...]
Nel complesso però mi aspettavo di meglio ad essere sincera!
Michela Marzano ha avuto senza dubbio un'esperienza particolare e una vita molto difficile, piena di delusioni, sofferenze e incomprensioni; io non giudico lei, ma il suo libro. In questa testimonianza io non ho trovato nessun percorso definito, l'autrice non ha seguito nessun filo conduttore e lo ammette pure lei: "Quando leggo un romanzo, io salto le descrizioni perché mi annoiano, non ho bisogno di sapere ogni particolare. In questo libro salto di palo in frasca". Il libro ha una grammatica semplice: assente di virgole, piena invece di punti e paragrafi non sempre collegati tra loro. Non è lineare, non c'è né testa, né coda, solo una quantità di riflessioni scritte alla rinfusa, una dopo l'altra. Questo dovrebbe essere un libro in merito a un disturbo alimentare, ma la parola "anoressia" verrà scritta solo cinque volte. La testimonianza tratta invece del rapporto tra l'ambiziosa autrice e l'esigente padre, dolore ripetuto fino allo sfinimento. L'autrice ha un dottorato in psicologia e nel libro sono contenuti molti pensieri, tutti trattati superficialmente e, in ogni caso, quel genere di riflessioni non sono consone a un libro del genere. Non sono riuscita a connettermi con l'autrice. Detto in modo brutale, non sono riuscita a provare pietà per lei, anche perché, verso la fine, la Marzano scrive "Io non ero anoressica, io avevo fame, sono molto golosa". La frase è molto contraddittoria, quindi avrei voluto leggere il perché a quel punto non mangiava, sebbene il suo stomaco brontolasse, cosa la frenava, cosa temeva. Invece no, non c'è scritto nulla di tutto questo, non c'è scritto nulla a proposito di quello che un libro su un disturbo alimentare dovrebbe trattare. Ci sono molte sfumature dell'anoressia e ci sono molti sintomi a lei collegati, non soltanto il peso scarso dell'affetta, in questo libro non viene trattata nemmeno la malattia della Marzano! Vi consiglio "Alla fine di lungo inverno" di Emma Woolf, è con quella testimonianza che ho aperto gli occhi.
“Volevo essere una farfalla” tratta il tema delicato dell'anoressia, vissuta in prima persona dall'autrice. Regala sicuramente una prospettiva vera, sincera, eppure in qualche modo il libro sembra permeato da un senso egoistico. Posso capire il peso di dover sempre soddisfare le aspettative di qualcun altro. Posso anche capire il voler vivere una propria vita, commettere i propri sbagli. Ci sono passato, in parte. Dall'altro lato però sembra quasi una lagna continua. Alla fine, lei, i suoi obiettivi li ha raggiunti. Certo, viene domandarsi a che prezzo, ma di chi è la colpa se è stata sempre vincolata dal giudizio degli altri? La sua, soltanto la sua. Tutti (e dico tutti) pretendono qualcosa da noi. Siamo noi a dover capire cosa sia davvero formativo per noi e cosa invece abbiamo bisogno di provare sulla nostra pelle. Non soltanto i padri più severi. Non soltanto i genitori più assenti. Chiunque. In questo senso mi sembra che abbia un po' scoperto l'acqua calda, senza voler sminuire troppo il suo lavoro ed i suoi drammi.
Pensavo di ritrovarmi a leggere una storia incentrata tutta sull'anoressia, invece non è stato così. Il libro ci racconta di tutto ciò che sta dietro Michela, e della persona che per anni ha fatto credere di essere: delle sue emozioni, dei suoi pensieri, e dei suoi sogni che forse non si realizzeranno mai...
Ho preso in mano questo libro aspettandomi un racconto sui dca, magari crudo, magari doloroso, magari intenso. E ho trovato tutto questo, ma più di tutto il resto, racconta la storia del dolore, non uno qualsiasi, ma il dolore che si porta dentro la scrittrice. È sempre complicato provare ad entrare nel dolore degli altri, provare a farsi spazio, capirlo, compatirlo o magari solo accettarlo. Ma serve educarsi al dolore degli altri, perché solo facendolo si riesce a vedere quanto è bella la rinascita. È stato bello vedere come la rigidità imposta a Michela abbia fruttato una profondità di pensiero è una forza delicata anche se fragile.
Nel complesso mi è piaciuto, l'ho letto in pochi giorni trovandolo scorrevole e ben scritto. L'autrice è sensibile e intelligente e riassume, seguendo un flusso associativo libero, le acquisizioni esistenziali più importanti che ha raccolto nell'arco di una vita di sofferenza, auto-ascolto emotivo e pensiero. E sono bei pensieri, del tutto condivisibili. D'altra parte, al mio orecchio molto avvezzo a questo tipo di riflessioni, alla lunga, la lettura-ascolto di questi aspetti è risultato un po' noioso, un po' troppo lungo e approfondito, rispetto al racconto dei fatti di vita nudi e crudi che ho trovato molto interessanti e ben descritti ma troppo limitati. Sarà dunque un fatto personale, l'abitudine a vivere sul lavoro i dolorosi e ricchi percorsi che portano con dolore e gioia alla comprensione, ma questi, 'raccontati' a posteriori, rispetto a quelli che vivo coi pazienti nel vivo momento della loro conquista, mi sono suonati un po' ridondanti, già noti. E mi è mancato il racconto più dettagliato della vita dell'autrice, così capace di trasmettere emozioni quando accompagna il lettore e gli permette di calarsi fra i fatti concreti e così parca nel farlo purtroppo. Manca la storia della sua anoressia, più in dettaglio, manca la storia del suo matrimonio, manca la storia della sua analisi, di cui si intuisce l'importanza ma che non si può vivere con l'autrice neanche di lontano, se non attraverso l'ascolto di sporadiche frasi scambiate fra lei e la sua analista che compaiono qua e là fra le riflessioni. Capisco però che questo libro non sia un romanzo ma piuttosto un sunto di acquisizioni, forse un modo per consolidarle oltre che condividerle (generosamente perché meritano tutte, dalla prima all'ultima). E capisco che sia scritto per un bisogno dell'autrice, spontaneo e fluido, in barba alle aspettative dei lettori. Dunque poco mi sento di poter pretendere se non ringraziare l'autrice per darmi la possibilità di condividere. Una cosa soltanto metto in discussione: il sotto titolo. Non mi pare che sia l'anoressia ad aver salvato la vita all'autrice (il sintomo appare semmai un tentativo (dannoso e alla fine fallimentare) di risolvere un paradosso esistenziale fra necessità di adattamento all'altro e ribellione, e altri paradossi simili). Si coglie piuttosto come sia l'analisi ad aver salvato la vita dell'autrice (analisi certo motivata dalla sofferenza anche legata al sintomo anoressico...) ma manca un accenno a come ciò sia avvenuto e in che modalità. Certo il pensiero che l'autrice mostra nello scrivere testimonia anche in vivo gli strumenti che l'analisi le ha permesso di acquisire. E probabilmente l'autrice non aveva bisogno di raccontare della sua analisi nulla altro di quello che ha detto. Un'ultima pulce mi rimane nell'orecchio: fra tanta onestà e svelamento di sé perché non approfondire il discorso sui figli mancati? Qualcosa, almeno al lettore, l'autrice non ha voglia di raccontare. Forse, immagino, se lo permette nel rapporto con se stessa.
Vorrei cominciare dal sottotitolo del libro: se uno si aspetta di leggere qualcosa su "come l'anoressia insegna a vivere" rimarr� probabilmente deluso. Forse sarebbe stato molto pi� indicativo qualcosa tipo "come ho trovato infine un equilibrio nel rapporto con mio padre" oppure "come gli alti standard possono rovinare la vita"... Scherzi a parte, quando ho finito di leggere questo libro mi � rimasta una sensazione un po' strana, una specie di disagio dovuto al fatto di avere l'impressione di essere stato "dentro" la vita di qualcuno. Ok: � lei che mi ha invitato, ma ho visto e vissuto situazioni *estremamente* toccanti e personali che - se riguardassero me - difficilmente riuscirei a condividere con altri. Se prima pensavo che Michela Marzano fosse una donna dalla mente eccezionalmente brillante adesso posso dire di ammirarla anche come persona dotata di capacit� e determinazione fuori dal comune. Chapeau !
Un livre intéressant et réfléchi mais qui n'a jamais réussi à me toucher, je suis restée comme extérieure et étrangère à tout ce que l'auteure nous confie. Peut-être car tout est intellectualisé à l'extrême.
J'ai également trouvé que ce livre partait un peu dans tous les sens et que les différents chapitres avaient l'air de se succéder parfois sans la moindre transition, le moindre liant.
Mais tout n'est pas négatif : j'ai trouvé très vrais les passages concernant la complexité qu'il y a à vivre constamment entre deux langues.
Un libro veramente ben scritto che permette di comprendere meglio quello che può celarsi dietro il sintomo dell'anoressia. Ognuno di noi, anche chi, come la sottoscritta, non ha vissuto personalmente questa forma di disagio, può trovare in questo testo una parte di sè o delle sue esperienze. Dalla lettura traspare la forza e la competenza dell'autrice: donna brillante e straordinaria. Promosso a pieni voti!
Un superbe témoignage après l'anorexie, qui ne parle pas que d'anorexie. Il parle aussi et surtout de la vie, de l'amour, du devoir, du pouvoir, de la liberté. Avec de la philosophie, de la psychologie, de la psychanalyse, ses propres expériences et les raisons de sa maladie, l'auteure démonte les idées reçues sur l'anorexie mentale et ça fait du bien.
It doesn’t sit right to put a rating on people’s lives, but these genre of books helped me a lot during a tough period of my life, and I wouldn’t be the person I am today without them.
“Quando incontri un grand’uomo, chiediti dove sia il suo dolore”, scriveva una grande donna, la pianista Hélène Grimaud, nel suo libro “Variazioni selvagge”, citando le parole di qualcun altro (di cui al momento non ricordo il nome). Anche Michela Marzano, intellettuale italiana naturalizzata francese (o meglio fuggita in Francia, come si scopre leggendo questo libro) è una grande donna. Una donna di grande successo, potrebbe dire un superficiale. Studi affrontati e superati sempre ai massimi livelli con il massimo dei voti, una lingua straniera imparata in età adulta a livelli di linguamadre, al punto da poter vincere una cattedra di filosofia alla Sorbona. Idee, libri, pensieri. Un importante periodico la inserisce nell’elenco delle maggiori intellettuali del nostro tempo. Ma di che lacrime gronda, e di che sangue questa grandezza? Michela Marzano lo spiega in questo libro, in cui parla non solo della sua vicenda con l’anoressia - sintomo e non malattia in sé, come giustamente sottolinea - ma della sua vita. Del suo rapporto con un padre oppressivo e con una madre probabilmente debole e psicologicamente marginalizzata. Un libro che sicuramente è un atto liberatorio, un tentativo di tirar fuori quello che ha dentro e che fino ad oggi probabilmente ha raccontato solo a psicoterapeuti, e forse di “dire” finalmente quello che pensa a suo padre - peraltro con poche speranze che lui possa veramente capire. Un libro che, se si supera il dubbio preliminare “ma a me che me ne può fregare della vita di questa qui?” è capace di far pensare molto e di fare molto male. Devo solo fare due considerazioni in margine. La prima: dopo essersi esposta tanto, ho il timore - spero infondato - che qualcuno possa attaccarla per quello che ha detto di sé, per le debolezze che, con grande forza, ha avuto il coraggio di esporre. E che le sua vita professionale possa risentirne. Io non glielo auguro. L’unica riserva che avevo su di lei era la sua visione critica piuttosto unilaterale e superficiale della pornografia. Ora, considerati anche i suoi problemi legati alla sessualità di cui parla in questo libro, penso di potergliela perdonare. La seconda, e dicendolo spero di non offendere lei né nessun altra: la Marzano che si autodescrive in questo libro, quando parla delle sue relazioni con il sesso maschile, pare corrispondere totalmente a quella tipologia di donna, purtroppo assai diffusa (anche se non maggioritaria) che farebbe scappare a gambe levate qualsiasi uomo. Che va in paranoia depressiva per una telefonata che non arriva. Che vuole essere costantemente rassicurata dell’amore che il suo uomo le porta. Che considera offensivo il fatto che lui, per dire, si addormenti davanti alla televisione invece di ascoltarla, capirla e coccolarla. Che lui tutte queste cose dovrebbe capirle da solo, e invece, maledetto, proprio non ci arriva. E, soprattutto, che se lei riesce a passare sopra a queste “manchevolezze” lo fa con il tono di una che “non capisce ma si adegua” piuttosto di una che si rende conto che il suo profilo di attese sia comunque piuttosto irrealistico. Certo, non dev’essere stata una compagna facile per nessuno degli uomini che hanno condiviso un pezzo di vita con lei, e non mi sembra così assurdo che molti di essi siano spariti repentinamente dalla sua vita, probabilmente per non trovarsi a dover recitare la parte del padre ideale che lei non ha mai avuto. Al di là di questo, il suo libro, per quanto straziante, è da leggere, per capire quanti danni possa produrre il dolore di un’infanzia problematica, per capire quanto si è fortunati se questi danni non li si è subiti, e per capire, come dicevo all’inizio, che il cosiddetto “successo” può essere figlio anche del dolore, e non della fortuna o dell’intelligenza.
Un libro tra le cui pagine sono sicura molte persone che hanno fatto esperienza di un DCA si sentiranno a casa, riconosciute e comprese, amaramente comprese. "È successo anche a me", "esatto, proprio così", queste le uniche frasi che riusciranno a formulare, mai più autentiche.
IDEALE DISINCARNATO, mi ha fatto paura soffermarmi su queste due parole. Come a dire che spingersi alla ricerca e raggiungimento dell'ideale lascia la persona spoglia, senza carne appunto, perché troppo lontana dalla realtà che è fatta di finitezza, limiti e veridicità anziché utopie forzate.
Tutto o niente. Gli eccessi. Il sentirsi invasi. L'incapacità di scegliere, come l'asino di Buridano che alla fine è morto di fame. Il bisogno di certezze e approvazione.
La vita fa più paura a chi ha l'assurda pretesa di voler controllare tutto, se stesso, gli altri e il mondo, perché non può che generarsi un amaro senso di frustrazione e di impotenza e di insofferenza. Eppure, quel paradossale senso di controllo dà tranquillità, calma la mente, senza farla sentire in balia di tutto il resto.
Nel libro è scritto che l'anoressia sia un sintomo. E mi piace crederci. È proprio la punta di un iceberg grandissimo che da tempo si è radicato ma che nessuno vede se non nel suo manifestarsi. È un campanello d'allarme che pretende di non essere ignorato, ma visto e accettato.
Cos'è più difficile? Cercare l'origine, il punto di rottura a partire dal quale tutto ha iniziato a stratificarsi e sedimentare. Cos'è che ti fa male? Ci vuole tanto coraggio ad accettarsi e ad accettare sia più utile e sano deludere alcune aspettative proiettate da altri su di noi. Ci vuole coraggio ad accettare di poter deludere, sbagliare e chiedere scusa, senza per questo essere giudicati "meno".
Ogni DCA è una tragedia, ma anche un'opportunità, una spinta che ti costringe a dover cambiare qualcosa, a guardarti dentro, a chiedere aiuto, a risolverti, a farti male per scovare il punto di partenza. E no, non passerà mai, ma col tempo si può diventare amici persino di una malattia, e allora farà tutto meno paura. A volte costa fatica persino rinunciare alla sofferenza, perché quella fa meno timore visto che la si conosce già, è tutto il resto che è in disordine.
Come scrive l'autrice: "...non è tanto il sintomo che fa soffrire, ma la sofferenza che si trasforma in sintomo. Per negoziare con la realtà il prezzo della propria libertà".
"Mi ero convinta che se fossi riuscita a diventare leggera come una farfalla, tutto sarebbe andato a posto. Sarei diventata forte, indipendente, libera. E non avrei mai più avuto bisogno di nessuno". Come degli schizzi di acquarello su una tela, disordinati e casuali, Michela Marzano in questo libro dá libero sfogo alle sue emozioni che si mischiano a episodi di adolescenza e ad altri più recenti, il tutto condito da spunti filosofici. La sua scrittura così irruente ti travolge, trascinandoti nel vortice di emozioni che ha urgenza di venir fuori, quasi vomitato, perché Michela sente il bisogno di raccontare, di esprimere quello che ha tenuto per troppo tempo dentro e per cui nessuno ha mai mostrato interesse. L'anoressia non si risolve con un vestito nuovo o una vacanza, l'anoressia è il sintomo di un malessere che ha origini profonde. Ho letto da qualche parte che in questo libro c'è tanto odio verso il padre. Io, invece, ho percepito un grande amore, ossessivo, controverso, ma pur sempre amore, nei confronti di una figura paterna rigida che ha inculcato per tutta una vita il "dovere" ma che non si è curata di insegnare a sua figlia a sognare, gioire, bastarsi, ad essere indulgenti verso se stessi. È questo continuo conflitto fra il "dovere" e "l'essere" che non le dà pace, spingendola ad usare il cibo per punirsi, vendicarsi, ingoiare le proprie incertezze, "vomitare rabbia a fiotti. Finché il corpo, esausto, non ne può più..."
"E allora come far capire agli altri che in quel magnifico tutto manca l' essenziale? Come spiegar loro che, nonostante tutto quello che si ha, manca la semplice e banale evidenza che vivere è bello? Come trovare le parole per dire che manca la gioia. Manca la pace. Manca la forza di affrontare il mondo. Manca la voglia... perché in fondo non hai voglia di niente. Non sai quello che vuoi, quello che desideri, quello che sogni... sai solo che devi fare qualcosa...che devi reagire...che devi fare in modo che tutto torni come prima...devi..."