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1220 pages, Hardcover
First published January 1, 1867

Tutta Italia s’insudiciava i ginocchi dietro le orme trionfali di Buonaparte, ed egli ingannava questi, sbeffeggiava quelli con alleanze, con lusinghe, con mezzi termini.Nievo ritrae magistralmente i timori, le speranze e le illusioni provate dagli italiani al suo repentino apparire; ho trovato riuscitissimo come la disillusione del protagonista nei confronti del Gran Liberatore aumenti con l'ingrossarsi del girovita di Napoleone, a ogni loro nuovo incontro lo ritrova più grasso e più illiberale che mai, appaiando decadimento fisico e morale.
Fu vera gloria. E se il caso gliela donò, s’egli cercolla allora per mira futura d’ambizione, non resta men vero che il favore del caso e l’interesse della sua ambizione cospirarono un istante per la salute della nazione italiana, e le imposero il primo passo al risorgimento. Bugiardo, ingiusto, tiranno, egli fu il benvenuto.Con l'arrivo delle truppe francesi la narrazione prende la scossa, il ventenne Carlo abbandona la campagna e si ritrova a Venezia per prendere parte alla viltà buffonesca che sancì la caduta della Serenissima, inonorata e incompianta, dopo quattordici secoli di vita meritoria e gloriosa, restituendoci un ritratto esemplare della nullaggine politica di tanti secoli che troppo spesso caratterizzò le classi dirigenti del nostro Paese, come ben sapeva Nievo, e come ben sappiamo ancora noi oggidì.
Napoleone capitò a Milano e si pose in capo la Corona Ferrea dicendo: -Dio me l’ha data, guai a chi la tocca!- Io mi assettai povero privato nelle antiche camerucce di Porta Romana dicendo a mia volta: -Dio mi ha dato una coscienza, nessuno la comprerà!- Ora i nemici di Napoleone trovarono ardimento e forza bastante a toccare e togliergli dal capo quella fatale corona; ma né la California né l’Australia scavarono finora oro bastante per pagare la mia coscienza. In quella circostanza io fui il più vero e il più forte.L'ultima parte del romanzo, là dove lo sguardo si allarga all'Europa e al Mondo per poi tornare a focalizzarsi sul nuovo fuoco d’indipendenza italiano, quello risorgimentale, può forse apparire sbilanciata se paragonata al resto, meno solida, meno riuscita, ma a mio avviso così non è; si tratta, semmai, della prova suprema dell'estremo realismo di Nievo: più ci si avvicina al tempo presente, alla contemporaneità del narratore, più l'esposizione delle memorie si fa concitata e frammentaria, in opposizione alle vastità temporali della minuziosa ricostruzione storica dell’infanzia e della gioventù del protagonista; ciò avviene in primo luogo perché ogni racconto che si appropinqui al presente perde in discernimento, fa parte della nostra natura non saper dipanare la matassa del tempo in cui viviamo, ma non è solo questo. È la raffigurazione esemplare della percezione della vita umana, con il suo lungo passato in contrapposizione allo sfuggente presente, che noi tutti, invecchiando, sperimentiamo; più passa il tempo e più le nuove annate che si sommano ci sembrano brevi e misere, le settimane si somigliano tutte, le sciagure superano nel computo le gioie, gli eventi capitali della nostra esistenza si assottigliano, e nulla il presente ha più a che spartire coi lunghi anni della nostra fanciullezza, con quelle estati interminabili, con quel tempo passato ricchissimo di novità, quando ogni giorno era una scoperta.
Vi prenderà stupore e noja che la mia vita per qualche tempo così capricciosa e disordinata riprendesse allora un tenore sì quieto e monotono. Ma io racconto e non invento. D’altra parte è questo un fenomeno comunissimo e naturale nella vita.
Dovetti infine, uomo superbo della mia ragione e d’un vantato impero sull’universo, inabissarmi, annichilirmi, atomo invisibile, nella vita immensa ed immensamente armonica dello stesso universo, per trovare una scusa a quella fatica che si chiama esistenza, ed una ragione a quel fantasma che si chiama speranza.
Le donne superiori a noi! Sì, fratellini miei; consentite questa strenua sentenza in bocca d’un vecchio che ne ha vedute molte.Due parole a tal proposito sulla sorella spesso dimenticata, oscurata com’è dall'esuberanza di Pisana, la devota Clara, che apparentemente potrebbe sembrare la versione ippolitesca di Lucia Mondella, mentre invece è personaggio di tutt'altra pasta:
— Allora, Carlino, siamo intesi; fammi contenta di tutto quello che ti domando, e dopo pensi la Provvidenza, che tocca a lei.Quella della Pisana non è più la devota e rassegnata speranza di fra' Cristoforo in un disegno imperscrutabile di giustizia celeste, ma fiducia nelle proprie forze. L'azione volta al bene degli altri per Nievo è tutto, è lo scopo della vita. In molte occasioni l'intervento della Pisana sarà provvidenziale per le sorti di Carlo, ma sarà sempre la sua sola volontà a muoverla. La provvidenza divina ha ceduto il passo alla coscienza umana, ed è su di essa che si fonda l'Eterna Giustizia sempre invocata dai personaggi del romanzo.
— Sai, Pisana, che mi fai proprio stupire! Io non ti vidi mai così rassegnata e fiduciosa nella Provvidenza come ora, che la Provvidenza non sembra darsi il benché minimo pensiero di te.
— Che sia vero? ne godrei molto se questa virtù mi crescesse a seconda del bisogno. Tuttavia ti dirò che se comincio ad aver fede nella Provvidenza, gli è che me ne sento il coraggio e la forza. In fondo al cuore di noi altre donne un po’ di devozione ci resta sempre: or bene! io mi abbandono nelle braccia di Dio! Ti assicuro che se rimanessimo nudi di tutto, non troveresti due braccia che lavorassero più valorosamente delle mie a guadagnar la vita per tutti e due.
Addio fresca e spensierata giovinezza, eterna beatitudine dei vecchi numi d’Olimpo, e dono celeste ma caduco a noi mortali! Addio rugiadose aurore, sfavillanti di sorrisi e di promesse, annuvolate soltanto dai bei colori delle illusioni! Addio tramonti sereni, contemplati oziosamente dal margine ombroso del ruscello, o dal balcone fiorito dell’amante! Addio vergine luna, inspiratrice della vaga melanconia e dei poetici amori, tu che semplice scherzi col capo ricciutello dei bambini, e vezzeggi innamorata le pensose pupille dei giovani! … Addio primo nido dell’infanzia, case vaste ed operose, grandi a noi fanciulli come il mondo agli uomini, dove ci fu diletto il lavoro degli altri, dove l’angelo custode vegliava i nostri sonni consolandoli di mille visioni incantevoli! Eravamo contenti senza fatica, felici senza saperlo; e il cipiglio del maestro, o i rimbrotti dell’aja erano le sole rughe che portasse in fronte il nostro destino! … Il tempo non è tempo ma eternità per chi si sente immortale.
Memoria, memoria che sei tu mai! Tormento, ristoro e tirannia nostra, tu divori i nostri giorni ora per ora, minuto per minuto e ce li rendi poi rinchiusi in un punto, come in un simbolo dell’eternità! Tutto ci togli, tutto ci ridoni; tutto distruggi, tutto conservi; parli di morte ai vivi e di vita ai sepolti! Oh la memoria dell’umanità è il sole della sapienza, è la fede della giustizia, è lo spettro dell’immortalità, è l’immagine terrena e finita del Dio che non ha fine, e che è dappertutto. Ma la mia memoria frattanto mi servì assai male; essa mi legò giovine ed uomo ai capricci d’una passione fanciullesca. Le perdono tuttavia; perchè val meglio a mio giudizio il ricordar troppo e dolersene, che il dimenticar tutto per godere.
Carlino! La rivoluzione per ora ci fa più male che bene. Ho gran paura che avremo di qui a qualche anno superbamente insediata un’aristocrazia del danaro, che farà desiderare quella della nascita. Ma ho detto per ora, e non mi ritratto; giacchè se gli uomini hanno riconosciuto la vanità di diritti appoggiati unicamente ai meriti dei bisnonni e dei trisarcavoli, più presto conosceranno la mostruosità d’una potenza che non si appoggia ad alcun merito né presente né passato, ma solamente al diritto del danaro che è tutt’uno con quello della forza. Che chi ha danaro se lo tenga lo spenda e ne usi; va bene; ma che con esso si comperi quell’autorità che è dovuta solamente al sapere e alla virtù, questa non la potrò mai digerire. È un difettaccio barbaro ed immorale del quale deve purgarsi ad ogni costo l’umana natura.
Maledetta questa vita lusinghiera e fugace che ci mena a diporto per golfi ameni e incantevoli, e ci avventa poi naufraghi disperati contro uno scoglio!