Un nome falso. Gli euro avanzati e la capsula con i dollari. Il tubetto di colla per nascondere le impronte digitali. Il borsone nero. Il giubbotto salvagente. La camicia. Il pile. Le vecchie ciabatte. La bottiglia d’acqua da un litro e mezzo. Sei panini. Tre scatolette di sardine e tre schede telefoniche. Ecco cosa è servito a Fabrizio Gatti per trasformarsi nel clandestino Bilal e raccontare il dramma sconvolgente di chi si mette in marcia dal Sud del mondo per conquistare una vita migliore al di là del Mediterraneo. Fabrizio Gatti ha attraversato il Sahara sugli stessi camion che trasportano i migranti. Ha incontrato affiliati di Al Qaeda e scafisti senza scrupoli. Ha superato indenne le frontiere. Si è infiltrato nelle organizzazioni criminali africane e nelle aziende europee che sfruttano la nuova tratta degli schiavi. Si è fatto arrestare come immigrato senza documenti. Ha scoperto i nomi, le alleanze e le complicità di alcuni governi che non fanno nulla contro il traffico di schiavi, anzi, ci guadagnano. Bilal è la cronaca della più grande avventura del Terzo Millennio vissuta in prima persona dall’autore. Un viaggio nell’impero di chi si arricchisce commerciando carne umana, raccontato con un linguaggio teso che avvince il lettore come in un thriller. Un resoconto lucido e spietato – perché “approdare vivi a Lampedusa è come sopravvivere a un incidente aereo” – che segna la scoperta di un nuovo talento letterario che sa parlare della realtà. Perché Bilal è una storia vera.
Un libro fondamentale, non solo una grande inchiesta, non solo vero giornalismo: BILAL trascende. Fabrizio Gatti si ‘traveste’ da clandestino e segue la rotta dei disperati: parte dal Senegal, e attraversando Mali e Niger, il Sahara, europeo bianco mescolato ad africani in cerca di varia fortuna, arriva in Libia.
I nuovi schiavi fuggono da paesi travolti dalla guerra, da campi profughi, dalla miseria, da condizioni disumane causate dallo sfruttamento economico dell'Occidente e della Cina sempre più presente, da governi corrotti, si spostano verso un mondo sconosciuto, la terra promessa, per raggiungere il quale il prezzo da pagare spesso è la vita.
Con la rotta dei ‘nuovi schiavi’ vivono e mangiano in tanti, il giro d’affari di questo mercato è enorme. I trasporti avvengono dietro compensi molto alti, sempre che i militari nei posti di controllo non derubino completamente i viaggiatori, impedendo loro di proseguire il viaggio, trasformandoli in ‘stranded’, cioè incagliati, arenati, spiaggiati - finché non riescono a racimolare qualcosa per proseguire o per tornare indietro, spesso bloccati per anni in posti lontanissimi da quelli di origine o dalle mete agognate, ridotti in miseria, letteralmente in schiavitù.
Filippo Gatti vede morire uomini e sogni durante tutto il tragitto, parla con i compagni di viaggio, raccoglie testimonianze, con alcuni riuscirà a tenere i contatti per qualche mese attraverso gli internet caffè dei villaggi più grandi. Il giornalista italiano continua il viaggio e nella seconda parte del libro si spaccia per il curdo Bilal e testimonia cosa attende un immigrato clandestino ‘pescato’ a Lampedusa. Ma Bilal-Gatti non si ferma, l’inchiesta prosegue attraverso l’Italia, nei campi di pomodori al sud e nei cantieri edili del nord
La verità è diversa da quella che ci raccontano, e che ci lasciamo raccontare. È un viaggio in un mondo che bisogna conoscere, la scoperta di una zona della nostra esistenza che fa paura, autentico 'cuore di tenebra'. Un universo dove i cattivi sono sia neri che bianchi, arabi e occidentali, musulmani, cristiani, ebrei. Ma gli schiavi sono sempre quelli poveri, pure se laureati e informatizzati.
Questo libro è la bibbia del terzo millennio anche se racconta storie che sembrano riportarci al medioevo, e anche prima. La più grande deportazione di massa che ci coinvolga dalla fine della II Guerra Mondiale. Il tradimento degli ideali di libertà uguaglianza e fraternità. La vergogna della democrazia. La più grande menzogna dell'Europa unita.
Il denaro viaggia dove vuole, non ha bisogno di passaporto, non conosce frontiere: per gli esseri umani è molto diverso.
Stranded – Nascere dalla parte sbagliata- "Tu hai mai sofferto la fame?"
Raccolta di inchieste del giornalista de "L'Espresso" Fabrizio Gatti infiltratosi nel mondo dell'immigrazione clandestina.
Mi sono sempre chiesto cosa stia accadendo intorno a una persona nel momento in cui la sua mente decide di partire. Mesi o anni prima che il corpo si metta in viaggio o ne sia solo consapevole, quale sia il fatto, l’istante, il motivo per cui il ragionamento s’accorge che non restano alternative.
Nella prima parte il racconto del viaggio che dal Senegal, attraverso Mali e Niger, porta alle coste libiche. E' un viaggio che rende i lettori testimoni impotenti e angosciati di fronte a continui soprusi per arrivare poi ad imbarcarsi sui famigerati barconi dove almeno il 12% degli uomini e delle donne che ci prova finisce il suo viaggio facendo del Mediterraneo la sua eterna dimora.
Nella seconda parte Gatti diventa Bilal e s'infiltra nel centro di accoglienza di Lampedusa dove testimonia come le angosce non finiscano con il fortunato approdo. E' come se un filo del destino li tenesse legati ad una sorte che li vuole deprivare di ogni rispetto umano. Un filo che diventa corda; corda che lega; corda che stringe ed incatena il clandestino che cerca lavoro nelle campagne pugliesi per la raccolta di pomodori.
Si vuole lavorare per vivere e per riprendersi la dignità calpestata. e, invece, si trovano altre forme di schiavismo. Anche qui. Nel Bel Paese; dove ci si vanta di essere "civili".... Pubblicato nel 2007. Cambiano alcune rotte, cambiano le facce ma nulla cambia in questa umanità. homo homini lupus
Rating 5* out of 5. I don't know where to start. This is a book that I will never forget and one I urge you to read if you have the chance. I have rarely been as ashamed as when reading this book. Ashamed of being European and in the priviliged situation that my Scandinavian birth right has given me. Free education, free healthcare and a secure job, well paid with plenty of free time. Paradise. Sure I've had to earn my position through hard work, but it was comparatively easy given my starting point. So who am I to snub my nose at people who are less priviliged simply for having born in the wrong place and wanting something better? And the fact that I have, makes me ashamed of myself.
Human trafficking is big business. The people in sub-Saharan Africa have little to keep them in their own countries. No jobs, no prospects. So many set off on a perilous journey across the desert, with fortress Europe as their final destination. They are cheated, beaten and tortured at every turn. Every paramilitary and police they meet require bribes. If the immigrants survive the journey through the desert, the last leg on sea in unseaworthy vessels is even more dangerous. Every other week it seems that I hear about drowned illegal immigrants on their way to the Italian island Lampedusa. So this book is highly relevant in regards to current events.
Europe doesn't want any illegal immigrants. The ones that arrive are kept in concentration like camps until they are deported. Despite this, some make it to mainland Italy. What awaits is not paradise. No, it is slavery. They are illegal immigrants, they get paid less than minimum wage if they get paid at all. If they complained when they are cheated of their hardearned wages they end up getting deported - or beaten or killed. They have no rights. Their lives are worth nothing. If it wasn't for the illegal immigrants Italian produce would be considerably more expensive. I'll never look at a tomato with the same eyes again. I'll be reading labels to see where they come from.
I didn't know that Doctors Without Borders operate in southern Italy. They do. Because the illegal immigrants working there do not have access to health care.
The Italian journalist Fabrizio Gatti made the same journey many immigrants take. Through the desert. He got himself into the camp at Lampedusa being disguised as a Kurd named Bilal. He wanted to document the atrocities which take place in the good name of the European Union. SHAME on the EU for not respecting human rights!
There has never been a book which needs to be read as much as this one. It's not all pain and shame though. This book is beautifully written. Fabrizio tells heartwarming stories about the people he meets on his way, whom he in some cases form deep relationships with and cares about. Not all of these survive. So yes, Fabrizio is completely on the side of these illegal immigrants fighting corruption and institutions all for the sake of shaping a better future for themsevels. It is not their fault that this is mostly futile.
Peccato non ci siano 6 stelle, o anche di più. È un libro che dovrebbe essere letto obbligatoriamente, introdotto come libro di testo nelle scuole. Apre la mente, cambia prospettive, entra nel profondo e lì resta.
Questo libro non è commentabile. Non perché sia brutto, non perché sia un capolavoro, non perché io non ci riesca. Non è commentabile per quello che racconta. Fabrizio Gatti è un giornalista investigativo, di quelli che le notizie vanno a cercarle e a provarle al di là di ogni ragionevole dubbio. In questa indagine di ragionevole non c'è nulla! Ho scelto di commentarlo riportando alcuni passi della parte finale del libro, quella che riassume l'indagine, con tutte le sensazioni, i sentimenti e alcune conclusioni.
“Ieri pomeriggio, nel campo di pomodori, io non ho mai avuto così paura. Non solo paura. Quello era terrore.” Rocco si volta ad ascoltare. “Non era paura per la situazione in cui mi trovavo. Ne ho passate di peggio. Era il terrore di me stesso. Era ciò che stavo pensando a spaventarmi. Era l'odio che provavo. Non avevo mai messo in discussione il valore della parola sull'agire.” “Cioè?” taglia corto lui sottovoce. La risposta si ferma qualche istante tra le labbra. “Ieri quando ho visto picchiare il bracciante romeno, l'uomo anziano, io quel caporale l'avrei ammazzato.”
E' l'abisso. Scoprirsi come loro. Come i caporali. Come i padroni. Come gli scafisti. Come i mercanti di schiavi. Essere sopraffatti dalla violenza. Cominciare il viaggio con i propri ideali e ritrovarsi nel bagaglio soltanto l'idea di uccidere un uomo. Feroce, cinico, criminale. Ma sempre un uomo.
Harter Tobak. Das Buch hat etwas ausgelöst und findet hoffentlich viele Leser. Man hört viel von Lampedusa und den illegalen Einwanderern, aber die Geschichte dahinter bleibt meist unbekannt. Sind ja illegal... Gatti beschreibt augenöffnend, wie wir Europäer uns abdrehen und wie koruppt und kriminell die EU, Italien, Libyen, etc. handeln. Mutiges Buch für hoffentlich viele Leser.
"Lavoro con le parole. E le parole dovrebbero bastare in un paese civile. " E invece no. Non bastano per cambiare ne le vite degli eroi contemporanei che affollano queste pagine ne la linea politica che cospira a farne degli schiavi. Le parole non bastano, e tuttavia sono necessarie. Per smuovere la sabbia del deserto di informazione e creare un'oasi di consapevolezza.
drammatico, interessante, struggente, coinvolgente come un thriller. ora non potrò più guardare a un immigrato con gli occhi di prima. cappello a Fabrizio Gatti per quanto si è esposto di persona per poter scrivere questo reportage. (però, Fabrizio, cosa Le hanno fatto di male le virgole? Periodi così fanno venire il singhiozzo se troppo frequenti, e nel suo libro sono troppo frequenti: Quattro strade asfaltate. Il pozzo. La moschea. Le bancarelle lungo il viale principale. Il sarto taglia e cuce all’aperto. Le piccole baracche di alimentari hanno poco da esporre. Pomodori piuttosto malandati. Limoni. Mele. Datteri secchi. Cipolle. Il fornaio però ha appena messo sul banco filoni di pane caldo.)
non è semplicemente un libro di giornalismo inchiesta, è molto di più! consiglierò questo libro a tutti quelli che parlano di immigrazione in qualunque modo ne parlino è bene saperne di più. da leggere assolutamente per conoscere meglio e giudicare meno
BILAL è un libro che rimarrà per sempre nell’anima. Le vite raccontate, le sofferenze, i soprusi, le violenze, le torture, le umiliazioni subite dai migranti africani mi hanno fatto vergognare di essere europea prima, italiana poi e infine bianca. Il nostro silenzio di fronte a ciò che accade sulle rotte dell’immigrazione attraverso il deserto, in Libia, nei centri di detenzione/“accoglienza” italiani, nei campi di pomodori in Puglia è un silenzio che uccide. Uccide, letteralmente. L’inchiesta giornalistica (ma ancora prima umana) di Fabrizio Gatti è un’incredibile goccia di verità in un mare affollato di menzogne. Le tante menzogne che ci propinano governi di destra e di sinistra (indistintamente). Le menzogne dell’Unione Europea. Ho dovuto sospendere la lettura di BILAL più volte. La verità che racconta trapassa come una lancia. Gatti è un giornalista appassionato, coraggioso, inarrestabile. Leggetelo se volete capire che cosa succede davvero attorno a voi. Che cosa vuol dire essere un migrante e perché si decide di intraprendere un viaggio che potrebbe portare alla morte (abbandonati nel deserto, torturati in Libia, annegati nel Mediterraneo, dimenticati nei campi del foggiano, ecc.). Sono questioni che non si possono ignorare. Non si devono ignorare perché nessun essere umano è illegale.
Tornano alla mente, vivide e attuali, parole che avrebbero dovuto insegnarci molto: “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici. Considerate se questo è un uomo”... Che viaggia, che lavora, che muore da clandestino.
A Fabrizio Gatti decisamente manca qualche rotella in testa. Una importante, di quelle che servono a far funzionare l'istinto di sopravvivenza, a tenere a bada lo sprezzo del pericolo.
Altrimenti non ti avventuri in prima persona nel “viaggio della speranza”, quello che porta migliaia di migranti dal profondo dell'Africa sulle coste del Sud Italia. Altrimenti non ti fai internare, come Bilal Ibrahim el Habib il curdo, nel CIE di Lampedusa. Altrimenti non vai a lavorare per i caporali nella raccolta dei pomodori in Puglia.
Non è per queste “imprese”, tuttavia, che oggi ringrazio Fabrizio Gatti. Queste gli sono valse il mio rispetto - anche la mia vergogna, a dirla tutta - dinanzi alla capacità di seguire fino in fondo un assoluto morale. Io ringrazio Fabrizio Gatti per averlo saputo raccontare con la maestria con cui è scritto “Bilal”. E’ riuscito a dare alla luce un oggetto letterario sul confine tra il romanzo ed il reportage: un esperimento ben riuscito, al livello di libri come “Gomorra” di Saviano. “Bilal” ti spiega - con la voce di Yaya il Kel tamasheq - che a guardarla troppo da vicino ogni vicenda del mondo finisce per coinvolgerti. Ti chiede conto delle tue azioni, o della tua immobilità. Gatti straccia i filtri emotivi che ci separano dai migranti, che ci permettono di guardare al loro dolore con distacco e di mostrare per le loro sofferenze l'empatia che si riserva alle tragedie inevitabili – un disastro aereo, un terremoto - quelle per cui, volente o nolente, tu non avresti potuto fare nulla. E lo fa portandoti per mano tra gli stranded di Agadez, nell'oasi degli schiavi di Dirkou, parlando con ragazzi della tua età che per un vezzo del destino sono nati alla latitudine sbagliata. Ragazzi che escono dal rumore di fondo, reclamano un nome ed una storia, una dimensione umana; come Joseph e James, fratelli scappati da “una guerra ignobile combattuta per estrarre gratis delle pietre ignobili che nel mondo chiamano diamanti”, come Billy, bloccato senza possibilità né di tornare a casa né di proseguire il proprio viaggio, come Amadou, un padre conosciuto al mercato di Ayorou che era arrivato sino alle coste libiche ed aveva avuto paura della traversata, sana paura, è tornato a casa ed oggi si tormenta ritenendosi un codardo, per non aver fatto l'ultimo sforzo, l'ultimo passo verso l'Europa, verso la prosperità.
Fabrizio Gatti ce li consegna con lo sguardo dell'empatia. Per questo queste storie ci fanno male.
E ci fanno ancora più male perché nemmeno per un attimo si perde la dimensione storica, politica, di questo immenso traffico di essere umani, di questa vergogna del XXI secolo: i vergognosi accordi tra l'Italia di Berlusconi e la Libia di Gheddafi, i traffici di armi e di droga, il mercato della prostituzione, l'arroganza dei militari che vessano i migranti, tanto in Africa che a Lampedusa, la connivenza della polizia pugliese verso lo sfruttamento nei campi di pomodori di africani ed est europei. La scena maestra è la telefonata ricevuta da Fabrizio Gatti, tornato in Italia, da parte di una ragazza preoccupata per il proprio compagno, immigrato regolare con il permesso di soggiorno in scadenza, convocato in procura che rischia l'espulsione, il ritorno nell'inferno, per aver rubato una stupidaggine in un supermercato, mosso dalla fame, anni ed anni prima. Fabrizio Gatti capisce lo sconcerto, l'impossibilità di concepire la mostruosa inumanità di quella legge sciacalla sulla clandestinità, empatizza con la ragazza… fino ad apprendere che alle scorse elezioni aveva votato per Alleanza Nazionale. Il partito di Fini, autore proprio di quella legge criminale, la Bossi-Fini. “Vada dal suo fidanzato e si scusi. Si scusi con lui, perché lei ha votato per la sua espulsione” - cito a memoria, non ho il testo qui con me purtroppo (se l'è fregato Federica per leggerlo).
Lì è racchiuso tutto.
Siamo in periodo natalizio. Se vi avanza qualche regalo dell'ultimo ora, se conoscete qualche amico testa di cazzo (perché ce li avete anche voi, lo so) con opinioni sull'immigrazione che definire discutibili è un complimento… beh, regalategli una copia di “Bilal”. E se non lo avete ancora letto, leggetelo. E poi prestatelo. Fatelo girare.
“Bilal”, il suo sguardo sul mondo, è l'anticorpo che serve all'Italia per far fronte a questa nuova ondata di razzismo e xenofobia. Per non dirci, fra qualche anno, “non abbiamo potuto fare nulla per evitarlo.”
Sono stata male leggendo questo libro. Ho sofferto per quello che ho appreso leggendo. Ho fatto incubi. Ho fatto incubi dove speravo di non visualizzare quello che avevo letto. Ho iniziato a guardare le persone per strada con uno sguardo diverso. A leggere le notizie con uno sguardo diverso.
Questo documentario è un pugno nello stomaco, ma è necessario perché ne sappiamo troppo poco. Ci svela la punta di un iceberg che è davanti ai nostri occhi ma di cui non sta bene parlare. Come un elefante nella stanza, ma è un elefante che piange e sanguina. Di più: "la banalità del male"è un'espressione che ricorre spesso nel libro, che non parla solo di fatti esterni a noi ma di una concreta responsabilità che abbiamo tutti, ogni giorno, in diverse situazioni. Quanto è facile lasciare che il male accada? Quanti gesti che non compiamo potrebbero fermare quella discesa a velocità esponenziale di dolore? Emerge quanto male e superficialità si intreccino nel quotidiano. Il racconto è costellato di tanti gesti che hanno impedito catastrofi. E anche di molte omissioni che hanno causato morti. Leggendo, risulta che non esistono categorie di nessun tipo(uniformi, etichette, origini). Ci sono solo uomini con le loro scelte quotidiane. Ci siamo noi con le nostre scelte, e non con le nostre parole, e di questo siamo responsabili.
Ho letto "Bilal" a fatica, l'ho bevuto come fosse olio di ricino: sapendo che era giusto farlo ma soffrendo i capitoli. Il mio consiglio è di leggerlo piano, nel corso di mesi. Non sarà più facile, ma permetterà di assorbire tutto quello che ci racconta.
È facile non accorgersi quando il mondo prende una brutta piega. La banalità del male.
...e se poi confidassimo nell'esistenza di Dio pochissimi di noi sarebbero salvati il giorno del giudizio. Nè ci servirebbe dire 'io non lo sapevo, non sono stato io'. Una denuncia spaventosa e straziante che risale già a dieci anni. Anche se fosse vero solo la metà di quanto Gatti scrive. Oggi certo è tutto peggio.
La lettura mi ha fatto pensare alla letteratura sulla schiavitù dei neri in America. Leggiamo quei romanzi, ci indignamo, ci commuoviamo e, sotto sotto pensiamo 'meno male che è finita'. Parteggiare per i 'poveri neri' dei racconti riscatta il nostro latente senso di colpa collettivo. Dopo avere letto questo reportage si può solo concludere che 'non è mai finita' e siamo tutti chiamati a fare qualcosa. Ma non lo faremo. Anche Gatti lo sa. Sa che le parole servono a poco e che non cambiano il mondo. A strazio si aggiunge strazio...
L’ho già scritto di “La frontiera” di Alessandro Leogrande, questo libro dovrebbero leggerlo tutti ma temo che venga letto solo da chi, per esperienza personale o per formazione culturale, è vicino all’argomento. Oggi che impediamo l’ingresso alle mense dei bambini “irregolari”, smantelliamo il lavoro di integrazione fatto da molte persone questo libro torna di nuovo d’attualità. Potrebbe aiutare a capire, a chi non l’ha capito oppure a chi l’ha dimenticato che i migranti sono esseri umani.
Bilal was originally published in Italian and because I couldn't get my hands on an English copy of the book I ended up reading the German translation and can therefore not quote the book as much as I would like to.
Bilal is a heavy read and the single best (outside) account of what it means to be a migrant en route to Europe that I have come across so far. Gatti doesn't claim to try to shed light on the topic from every conceivable angle, but instead gives a human face to the nebulous word "refugee" that has dominated European headlines for the past four years by telling the story of people he meets along the way. Is it a balanced, objective account? Totally not, and it doesn't try to be. Gatti is angry, and you can feel it and when you're done, I hope you're angry, too, though you'll likely not be sure at whom or what exactly.
Most shocking, to me, was to discover how systematically migrants are being robbed and tortured at virtually every single checkpoint along the way and how profoundly the resulting exacerbation of poverty and exposure play into the powerful dynamics that push people toward Europe or at least prevent them from returning to their home country once they're on the way. Equally, Gatti devotes a fair share of the book to explain how expectations of the migrants' families - many of whom have provided all or most of the money for the journey - force people to continue despite their sometimes better judgement. Lastly, the final part of the book sheds light on how Italian/European actors including border and law enforcement officers are bribed into complacency by the smugglers and allow them move across borders or even in and out of detention facilities to return with another ship.
Gatti writes engagingly, with compassion and anger, and does not seem afraid to dwell into the heart of the issue even if that means putting his own life on the line. Bilal is a powerful example of fearless, investigative journalism, and surely not the last of Gatti's books for me.
Einwanderer aus Afrika: Wenn sie es nach Europa schaffen, sind sie als abstrakte (viel zu hohe) Zahl für viele Bürger und Politiker ein Ärgernis; wenn sie auf dem Weg umkommen, im besten Fall eine Randnotiz in der Zeitung. Der italienische Journalist Fabrizio Gatti wollte es genauer wissen und hat den selben Weg auf sich genommen. Er hat auf Gelände- und auf völlig überladenen Lastwagen die Sahara durchquert und sich als "Illegaler" auf Lampedusa festnehmen lassen.
Auf diese Weise konnte er einigen wenigen der vielen Tausend Namenlosen einen Namen und eine Stimme geben, so dass ich als Leser ein wenig an ihrem Schicksal und an ihren Träumen teilhaben kann. Gattis Gespräche mit ihnen unterwegs gehören zu den bewegendsten Passagen des Buches. Anderen Abschnitten hingegen hätte eine Straffung nicht geschadet. Spannend wiederum Gattis Erlebnisse auf Lampedusa, und der Kontrast zum Befund einer offiziellen EU-Delegation. Schockierend waren die E-Mails und Gespräche mit Bekannten aus Libyen, die enthüllen, was mit schwarzafrikanischen Migranten passierte, nachdem Ghaddafi zum Verbündeten Italiens im Kampf gegen illegale Migration geworden war.
Der Autor nimmt vorbehaltlos Partei für jene, die sich auf den Weg machen nach Europa, dem Ziel ihrer Träume, und die unterwegs immer wieder beraubt und geschlagen werden. Einerseits ist das eine Stärke des Buches, und ich bin geneigt, ihm beizupflichten, andererseits hat mich seine etwas zu selbstverständliche Einteilung in Gute, ja sogar "Helden", und Böse – die europäischen Staaten und ihre Beamten – zeitweise gestört. Insgesamt ein Buch mit wichtigen Erkenntnissen – vier Sterne.
Questo libro fa troppo male. Sconvolge le budella fino a far vibrare la coscienza. Credo che dovrebbe essere letto da tutti, dovrebbero metterlo come materiale scolastico obbligatorio, come libro da affiancare alla Bibbia a catechismo. È stato straziante leggerlo in molte sue parti. Ad un certo punto ho considerato l'idea di non andare piu avanti, di chiuderlo, abbandonarlo, perché ho pensato che se si arriva a conoscere determinate realtà senza fare niente per cambiarle, allora si è complici. E io mi sento complice di un sistema inumano che non dovrebbe esistere più ai giorni nostri, non impariamo mai nulla dalla storia. Il popolo africano è schiavizzato dal XVI secolo e ancora oggi molti di loro sono succubi degli stessi trattamenti. Non solo gli africani, ma tutte quelle persone emigrate, che lasciano il loro paese nella speranza di trovare condizioni di vita migliori e un lavoro dignitoso con cui mantenere le loro famiglie e invece subiscono violenze, soprusi e umiliazioni. La parte in cui Gatti racconta del centro di "accoglienza" di Lampedusa da lui ribattezzato "la gabbia" e dei braccianti schiavizzati per la raccolta dei pomodori nel foggiano, è stata quella più dolorosa, più umiliante. Mi sono vergognata di essere italiana. Mi sento complice, sto pensando a cosa potrei fare invece io... al momento non ho ancora trovato una risposta.
Non sono una novità, le rotte dei migranti che tentano il tutto per tutto con il sogno di una vita migliore. Il giornalista Fabrizio Gatti le ha seguite ormai quasi dieci anni fa, ed ha pubblicato un reportage di un viaggio che dovremmo leggere tutti, invece di riempirci la bocca di pregiudizi sui clandestini mantenuti negli hotel a cinque stelle del nostro Stato. Gatti attraversa l'Africa, dal Senegal alla Libia; visita le campagne della Puglia dove i braccianti sono ridotti alla schiavitù da italianissimi caporali; si fa rinchiudere nel centro d'accoglienza di Lampedusa, tutt'altro che lucido e ben tenuto come le TV lo mostrano; segue il percorso dei rimpatri forzati, dei deportati di oggi, abbandonati a se stessi al limite del deserto del Sahara. "Bilal" è una lettura che dovrebbe essere a mio parere obbligatoria, specialmente per chi si convince ogni giorno che i TG siano una fonte di informazioni imparziali, per chi pensa di saperne abbastanza delle vite degli altri.
BILAL is one of those books everyone should read in its life. It should be compulsory at school. I was given this book by my father, who said "you MUST read this. It will help you to understand many things about refugees in your Country". I was a bit skeptical when I started - my dad and I don't really have the same taste in books - but it definitely caught me and I couldn't stop. I am so thankful to my father for almost obliging me to read it.
The fact that it's a real story basically overwhelmed me. It's not just about human trafficking, it's not just about refugees life - there's so much more behind it. You get to see human lives. I get to think that you could be one of them - you were just born on the right side of the world.
It opened my eyes, and god, I wish everyone read it - there would be much less racism in this world.
Gripande och intressant om vad som driver flyktingar att söka sig till Europa och hur själva resan kan se ut genom Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger, in i Sahara och sedan Libyen för att hamna i Lampedusa.
Högst relevant med tanke på återkommande katastrofer i medelhavet där båtar sjunker och hundratals människor dör i sin strävan att nå drömmarnas Europa.
Journalisten Fabrizio Gatti är bokstavligt en wallraffare som slår alla sina föregångare.
Leggere Bilal fa male: al cuore, all’anima, la pancia, la coscienza. Ma bisogna leggerlo, inserirlo tra i testi scolastici obbligatori, parlarne sempre. Perché tutto ciò accade ancora. E accade nel nostro paese, che si fa chiamare contemporaneo.
"Det är en jättebra bok", sade min moster när hon gav den till mig. "Du kommer aldrig vilja äta italienska tomater igen."
530 sidor senare är det snarare så att jag aldrig kommer vilja ens besöka Italien igen. Hela samhället verkar ju bygga på detta moderna slaveri - alla byggnader, all mat... Och även om fokus här är på Italien, som kanske också är sämst i klassen, spiller ju detta över på hela EU på ett eller annat sätt.
Mönstret är skrämmande likt det som lyfts i Evicted: Poverty and Profit in the American City, där hyresvärdarna genom att sätta hyror som de boende inte har råd med och sedan ändå låta dem bo kvar ger sig själva en maktposition där de inte behöver ta hand om husen, inte behöver följa lagar - för om den boende klagar så är hen ju redan efter med hyran, bara att vräka och ta in nästa person. Samma sak händer här: Genom att täppa till alla lagliga sätt att ta sig till Europa skapas en ström av olaglig arbetskraft som då helt saknar rättigheter, för så fort de visar sig för myndigheterna åker de ut. Genom att låta vägen genom Sahara och över Medelhavet vara så dyr och farlig som möjligt, kommer människorna till Italien välprimeade för lidande, redo att stå ut med nästan vad som helst, inklusive regelrätt livegendom. Ingen vill protestera. Och EU njuter av sina tomater.
Man ska inte säga att alla är snälla offer på den afrikanska sidan, absolut inte. Våldet och övergreppen i Sahara är på många sätt råare, hårdare. De lycksökande unga männen (och kvinnorna) hinner knappt lämna sin hemort förrän i princip samtliga besparingar beslagtas av första bästa polis/gränsvakt, med tillhörande piskrapp. Men våldet i Italien är så mycket svårare att förstå, så mycket mer cyniskt, översittande. Vad tjänar det till att slå flyktingarna, skrika åt dem, tvinga dem att titta på porr? Så orimligt.
Själva texten är biografisk, författaren är tydligt närvarande och vi får följa hans planer för och svårigheter med själva reportaget lika mycket som berättelserna om dem han träffar. Flyktingar, flyktingsmugglare, poliser, fångvakter, svartjobbschefer. Det är väldigt intressant att följa det journalistiska arbetet, hur man planerar och genomför ett reportage, vad som kan gå fel och vad man måste improvisera. Samtidigt är den ofta lite förvirrande, svårt att veta vilket år vi är i, ibland hoppar texten fram och tillbaka över tiderna. Och jag saknar till viss del ett perspektiv på vad som hände med Libyen efter Ghadaffi, hur ser situationen ut mer i nutid? Ett efterord i nyare tryckningar skulle bidra mycket.
I am honestly not sure whether or not it deserves 5 stars. It’s a very good book and It taught me so much on the topic it presents. The storyline and its characters were the first thing I thought about when waking up and the last one before going to sleep, I could not stop reading for how interesting it was. However, the structure is not the best and it was jumping from one topic to another without a proper lead. I am not going to comment on migration into Europe because this review would then be too specific but I think it is so interesting how unaware the Italian population is in regards to the politics behind migration and the involvement of the Mafia in it. If this book deserves 5 stars it’s because it gives voice to Italians who still have hope in a better future and in a fair treatment of migrants.
+the author should sometimes be more careful about making certain claims, e.g. it is not right to refer to Berbers as Arabs or make certain generations the book mentioned.
Leggere un libro ed entusiasmarsi così tanto fin credere ad ogni singola parola senza averne una controparte e poter trarne le proprie conclusioni mi pare un po' esagerato. Onestamente ho faticato a terminare questo libro nonostante il mio acquisto si fondava sulla voglia di saperne di più in merito al tema dell'emigrazione. Un libro crudo sotto moltissimi punti di vista, un meritato elogio al giornalista per aver intrapreso un simile viaggio alla ricerca della verità. Ma la mia positività qui si ferma: non lo consiglio.
Uno dei libri piรน belli che io abbia letto ultimamente. Cosรฌ coinvolgente da far venire le lacrime, da attorcigliarti la pancia dalla vergona e dalla umiliazione di sapere che tutto quello che l'autore sta de-scrivendo son cose che stanno avvenendo ORA in giro per il mondo e a casa nostra, dietro l'angolo della propria via...
Il quieto vivere ci fa pensare che tutto avvenga lontano, sia da un altra parte, in un altra epoca, invece รจ proprio qui, di fianco a noi, ora.
Un libro intenso e coinvolgente. Da leggere e consigliare. Purtroppo.
Un libro necessario che serve ad aprire mente, cuore e anima. Non è stato difficile leggerlo, il difficile è smettere di pensarci, l'unico rammarico che ho è di non averlo letto prima (e no, non è un caso che l'abbia cominciato dopo Furore di Steinbeck, in fondo Bilal ne è la versione contemporanea). Consigliato come terapia d'urto.
Non possiamo far finta che non succederà nuovamente….bisogna cercare una soluzione…l’uomo non può perdere la sua dignità…siamo tutti uguali con gli stessi diritti senza aver il marchio del paese di origine!