La folie et l'horreur ont obsédé ma vie. Les livres que j'ai écrits ne parlent de rien d'autre. Après L'Adversaire, je n'en pouvais plus. J'ai voulu y échapper. J'ai cru y échapper en aimant une femme et en menant une enquête. L'enquête portait sur mon grand-père maternel, qui après une vie tragique a disparu à l'automne 1944 et, très probablement, été exécuté pour faits de collaboration. C'est le secret de ma mère, le fantôme qui hante notre famille. Pour exorciser ce fantôme, j'ai suivi des chemins hasardeux. Ils m'ont entraîné jusqu'à une petite ville perdue de la province russe où je suis resté longtemps, aux aguets, à attendre qu'il arrive quelque chose. Et quelque chose est arrivé : un crime atroce. La folie et l'horreur me rattrapaient. Elles m'ont rattrapé, en même temps, dans ma vie amoureuse. J'ai écrit pour la femme que j'aimais une histoire érotique qui devait faire effraction dans le réel, et le réel a déjoué mes plans. Il nous a précipités dans un cauchemar qui ressemblait aux pires de mes livres et qui a dévasté nos vies et notre amour. C'est de cela qu'il est question ici : des scénarios que nous élaborons pour maîtriser le réel et de la façon terrible dont le réel s'y prend pour nous répondre.
Emmanuel Carrère is a French author, screenwriter, and director. He is the son of Louis Carrère d'Encausse and French historian Hélène Carrère d'Encausse.
Carrère studied at the Institut d'Études Politiques de Paris (better known as Sciences Po). Much of his writing, both fiction and nonfiction, centers around the primary themes of the interrogation of identity, the development of illusion, and the direction of reality. Several of his books have been made into films; in 2005, he personally directed the film adaptation of his novel La Moustache. He was the president of the jury of the book Inter 2003.
Evgenia Arbugaeva: foto sulla copertina, parte del progetto Weather Man dedicato a Slava Korotkiy, meteorologo che vive da sola su una stretta penisola del mare di Barends.
L’ultimo prigioniero della seconda guerra mondiale sembra sia stato un ignoto ungherese catturato dall’esercito russo mentre combatteva – senza nessun ardore – a fianco dei nazisti invasori. Dopo tre anni di campo di prigionia, i russi lo chiusero in un manicomio a svariate centinaia di chilometri a est di Mosca in direzione Siberia. E qui è rimasto per mezzo secolo. Nell’anno 2000 la sua storia è venuta fuori, l’uomo – o quello che ne restava, un relitto umano – è stato liberato e rimandato in Ungheria.
Evgenia Arbugaeva: altra foto parte dello stesso progetto.
Carrère parte da qui, sembra voler raccontare questa storia. Ma presto, secondo il suo consolidato stile letterario si trasforma in un’altra storia, in altre storie, pur restando anche e ancora quella di partenza. E così ecco apparire il fantasma del nonno materno, un russo georgiano scappato in Francia, che nel 1944 scompare da Bordeaux e non riappare mai più, neppure il corpo o qualche resto. Collaborava coi nazisti invasori, probabilmente si è trattato di una vendetta, un regolamento di conti. Ma la storia è anche quella di sua madre, la famosa Hélène Carrère d’Encausse, morta poche settimane fa, storica e politica (Parlamento europeo) e segretaria permanente dell’Académie française: è a lei che sono indirizzate le pagine che chiudono il libro.
Ma la storia è anche quella di Sophie, donna di cui Carrère dice d’essere stato pazzamente innamorato, e ancor più riamato. C’è anche la storia di un film documentario girato a più riprese nella sperduta cittadina russa, ma è quella con Sophie che secondo me domina l’intero libro e sempre secondo me lo condanna a essere il peggiore Carrère che abbia letto finora. Inferiore a Bravura e a I baffi che mica mi avevano convinto tanto.
I motivi per cui la storia d’amore tra Emmanuel e Sophie condannano questo libro sono secondo me principalmente due. Il primo è che la scrittura di Carrère, sempre efficace, diretta, chiara, calzante, non è in grado di elevare una storia d’amore da banalità e piattezza a un evento speciale e unico. E quindi ben presto io mi sono annoiato e distratto: le storie d’amore, più di altre storie, sono tutte uguali; occorre essere bravi a raccontarle per saperle rendere speciali. Emmanuel non ci è riuscito. Anzi, si dilunga in momenti erotici urticanti e li ripete con abbondante indulgenza – quello del racconto su Le Monde è addirittura involontariamente ridicolo, il racconto/lettera in sé e tutto il contorno – che non s’innalzano mai oltre la più scontata pornografia.
E poi, altro motivo, c’è che sincerità e verità sono due cose diverse, scrive Carrère a pagina 275. Tendo a dargli ragione. Peccato che in queste quasi trecento pagine latitino entrambe. Nonostante tutti i suoi sforzi, Carrère non è riuscito a trasmettermi né l’una né l’altra. Questa sorta di sua personale ricerca del tempo perduto è una ciambella riuscita senza buco. E forse, mi viene da pensare, è meglio se Carrère si dedica a personaggi altri da sé, raccontandosi attraverso di loro: quando il suo obiettivo è rivolto al suo ombelico (ombelico voragine, sigh), il risultato zoppica vistosamente.
Semi-disastrous structurally, but with enough good writing and Carrere-style free-associative confession/analysis to keep me going. This is by far the weakest of his hybrid non-fiction works that I've read (I adored THE KINGDOM and thought THE ADVERSARY was gripping), and the problem is essentially one of balance: the most interesting thing in the book is the opening - a Hungarian man has been locked in a Russian sanitarium for 50 years; the second most interesting plot is Carrere's grandfather, a borderline madman who collaborated with the Germans; third is his too-repetitive relationship with his new lover; fourth is his exploration of the doings of a small town in Russia.
But of course, we spend the most time in the latter two, without ever finding out about that prisoner. There is an interpolated pornographic sequence that creates some meta-textual interest (the story was published in a French newspaper, and is a dream of a day in the future with his partner. It's a good suspense beat to compare it to what actually happens in reality on that day, and since I find myself rooting against Carrere's claims of sexual prowess when I read his books, the ensuing nightmare is fun), and he's too good a writer for me to consider putting one of his books down, but I'd only read this if you've read his others first.
I'm going to argue against the title too. It's more a cliche of a trashy French novel, this one.
Penso che le persone possano trovare libri che si adattano di più ai periodi che stanno vivendo e “Un romanzo russo” per me è stato questo, il libro giusto. Non mi sentivo così tanto dentro una storia dai tempi di Kundera.
“A volte ho l’impressione di raccontare cose che mi si buttano addosso. Come è successo per questo documentario. Intorno a me o anche contro di me, succedono delle cose che accendono in me curiosità oppure orrore, e allora io non so fare altre che raccontarle. Non so bene perché, nei libri io voglio raccontare questo: cosa succede quando realtà e racconto si intrecciano attraverso la vita e il punto di vista dello scrittore”.
Sophie, ti posso amare soltanto se continui a non fidarti di me, se mi tradisci con ferocia. Il nostro intenso condividere dipende da paura e morbosità. Senza mistero non ho più alcun bisogno di te. Fai come dico oppure sparisci. Se non sei in grado di identificarti nelle mie ossessioni, non mi sento più attratto dalla tua intelligente fisicità né dalle tue contraddizioni. Il nostro amore è un romanzo russo, che mi rende famoso, molto famoso. E non essere ingenua. Tanti motivi di rimozione, che si riaffacciano crudeli. E così l'inchiesta contamina l'io, lo rende irriconoscibile. Mi permetto considerazioni di spirito con il contrappeso di quanto dichiarato da Carrére: “Grazie al libro, ho l’impressione di essermi liberato del groviglio di tensioni e di paure che opprimeva la mia vita”. Carrére viaggia verso Kotelnic, nel nulla della lingua madre Russia, latte e acquavite dimenticate, segue la storia di un reduce di guerra ungherese imprigionato in un reparto psichiatrico alla Cechov per 53 anni e vi intreccia la storia di un nonno eroico e folle, un georgiano (Zurabisvili) anarchico viscerale, un grafomane collaborazionista fatto sparire nell'ombra di un oblio dostoevskijano. In questo modo l'autore svela il segreto della madre (con la quale felice riconciliarsi), la sua maledizione e la sua vergogna, lei così nobile e colta, cittadina esemplare dell'elitario mondo dei migliori. Nello stesso luogo Carrére ritorna girando un film, attendendo che qualcosa accada, tra un funzionario dei servizi dell'Fsb e la sua esuberante e umile compagna, e puntualmente qualcosa accade: lei viene tragicamente assassinata insieme al piccolo figlio in una cronaca dell'orrore che resta priva di narrazione e spiegazione. E così si ammala anche la sua storia d'amore e finisce al centro della scena, disperdendosi come un gesto privo di senso e irregolare, così fuori posto e inadeguato da annullare ogni possibile sviluppo. La realtà ha sventato i miei piani, dice Carrére. Hai architettato tu stesso la tua distruzione, pensa il lettore. Bene ha scritto Paolo Nori che tutti i finali del libro conducono alla catastrofe, ritornando circolarmente alla condizione dell'ultimo prigioniero all'inizio del romanzo o non romanzo, che dir si voglia di questa “non fiction novel”: “un uomo che riprende conoscenza in un bugigattolo dove non vede niente, non sente niente, non può muoversi e ci mette un po’ a capire che lo hanno sepolto vivo, che tutto il sogno della sua vita portava a quello, e che questa è la realtà, l’ultima, quella vera, quella da cui non si sveglierà mai”. Negare la sofferenza conduce a questo, a una dimensione percettiva, affettiva e culturale che presuppone sempre la paura e l'inquietudine, l'impossibilità di vedersi soddisfatti, felici e completati. Così c'è un confine che rimane sfumato e indefinito e prende forza il dubbio tra normale e straordinario, tra la mania per la sovraesposizione del dolore (un'assenza?), per la nudità della sofferenza, e il narcisismo di un ego che vuole a tutti i costi apparire affascinante, coraggioso e onesto; forse persino superiore. Ma a chi? Senza dubbio, unico.
“Quello su cui le mento e mento a me stesso è innanzitutto che io alla libertà non ci credo. Mi sento determinato dall’infelicità psichica quanto lei dall’infelicità sociale, e vengano pure a dirmi che è un’infelicità puramente immaginaria, non per questo pesa di meno sulla mia vita. E mento, anche, quando dico che è solo lei a vergognarsi. Ovviamente non è così”.
It is kind of hard to separate the bad things about the book from my negative opinion of the author (which came from reading the book), but I guess I'll just go for it. This guy is a self-absorbed narcissist. Maybe if he were a better writer he could have made himself seem more likable. I appreciate that he was being honest about his insecurities, but really he just came off as whiney. And SO SELF-ABSORBED. He seems to recognize that he didn't actually participate in making the documentary about the town (he leaves that to his crew), but you never *quite* know if he knows that. It's more like "poor me, I was so sad and focused on myself and my own thoughts! POOOR MEEEEE!" He will describe his actions and his feelings without seeming to have any grasp of the *meaning* of any of it or how *other* people would interpret/react to the actions/feelings.
I actually skipped over a chunk in the middle of the book about the Russian town he was visiting (it was boring) to find out what happened with him and Sophie. I went back to the Russian part later and skimmed it - still boring. Lots of people manage to write about mundane topics in an *interesting way*, but he didn't pull it off.
The part about the letter on the train - I didn't find the letter sexy at all. I think he was being grandiose and delusional to think Sophie would find it sexy. He called it a declaration of his love for her, but again it was all about HIM. *His* coming to terms with loving her. HIM wanting to write something epic and noticed by a lot of people. His "gift" to her was pretty much 100% about himself and his own needs and wants, and he doesn't seem to recognize it. (If he does recognize it, that did not come across in his writing.)
The whole part where he is recounting his breakup with Sophie he seems to be recounting exactly what she *said* during the end of their relationship (and the horrible, emotionally and verbally abusive things he said/did), but you can't quite tell if he *understood* her meaning or empathized with her in any way or actually considered her feelings about *anything*. Later he mentions meticulously writing down their conversations, so I think in the end the answer is that he has no idea how awful he is or why she was unhappy with the relationship. He just wrote down the words that she said in a book without really understanding what they meant. He recounts her affair as if he sincerely believes the reader is going to be like, "Wow, Sophie sucks for doing that to poor Emmanuel!" Nope. He was horrible to this woman, she seems to have tried pretty hard to explain what her needs were and to ask him to meet them, and he seems to have been completely oblivious and/or uninteresting in doing so. Obviously cheating is bad, but in this relationship I definitely feel much worse for her than for him. I am glad she got out of her abusive relationship with the author and hope she is happy in her new one.
Una novela rusa, de Carrère, es un libro que tiene muchos problemas y muy grandes. Cuenta varias tramas, pero en su mayor parte no van a ningún lado. Además no tienen apenas relación entre sí que justifique que estén en el mismo libro, y la que parece más interesante queda abandonada en las primeras páginas.
La idea misma del libro, la resolución de la cuestión de la memoria familiar de Carrère, falla en su desarrollo. Carrère, que habla constantemente de su novela y de lo que está intentando, parece que juega a que el lector descubra qué está haciendo con la elección de tramas para exorcizar el demonio familiar, pero suena más bien a que no está haciendo nada, a que cuenta estas otras tramas sin relación con el conflicto con la esperanza de que haya algo --¿subconsciente quizá? en todo caso, yo no se lo veo-- que tenga relación con el conflicto, y al final le pone un lazo al libro y lo envía a publicar.
Las referencias al psicoanálisis y al subconsciente son terribles y dan ganas de atacar a los personajes con armas blancas.
Hay un relato erótico tan fallido que dan ganas de entrar a Francia con un lanzallamas y que me dejó mucho rato pensando en algo muy desagradable y particular de Francia, que tiene que ver con identificar sobacos con chuminos, y que tengo la sensación de que está enroscado a la misma idea de Francia, si no es uno de sus componentes principales.
El autor cae mal, muy mal. En todas las tramas, pero cuanto más personales son, peor. En Limónov o El adversario, Carrére me cayó bien pero en esta me ha parecido un gilipollas. Cuando en otros libros me ha ocurrido que el que la voz que cuenta la historia caiga mal resulta bastante desagradable, pero en esta ocasión, por encima de esa sensación queda otra, también incómoda, pero más valiosa. La forma en que Carrére produce rechazo no es como cuando uno ve a un extraño ser un capullo y dice para sí "menudo imbécil" sin que el otro piense que está haciendo nada mal, o como cuando siente vergüenza ajena, de forma externa al gilipollas; sino que es la forma en la que uno se resulta desagradable a sí mismo, de forma íntima.
Sin embargo, a pesar de todos estos problemas, o quizá por su causa o vete a saber, he estado retrasando el irme a dormir por seguir leyendo hasta que era tarde, y lo primero que he he hecho al acabar es buscar otras obras de Carrère publicadas. Así que me debe haber gustado mucho.
Ho un debole per questo scrittore, un debole forte. Nonostante sia così pieno di sé, consapevole di essere il grande Emmanuel Carrère, non si vergogna nel mostrare il suo lato oscuro. È come se dicesse al lettore “Questo sono io, prendere o lasciare.” E sin dalle prime pagine mi è piaciuto, perché amo il suo stile, perché nel leggerlo è come se ripercorressi le pagine degli altri suoi libri che mi hanno fatta innamorare della sua scrittura. Un intreccio complesso, senza un unico filo logico che lega i vari capitoli, se non quello delle contraddizioni dell’animo umano e della difficoltà delle relazioni interpersonali. Un finale che mi ha commossa profondamente e che mi ha spinta a dare 5 stelle.
“…non si capisce dove vuole andare a parare!” è un’osservazione che ho notato più volte su questo libro o su Carrère in generale, ed è un’affermazione che in effetti si può condividere ed estendere anche ad opere più recenti come “Vite che non sono la mia” o “Yoga”.
Quel che non condivido è l’accezione negativa che viene spesso attribuita a questa qualità: di solito mi addentro con piacere nei romanzi che “non si capisce dove vadano a parare”, perché mi sorprendono e conferiscono fin dalla loro struttura inafferrabile suggestioni, trappole, scosse e stimoli originali in un panorama editoriale dominato dalla prevedibilità e predisposto ad opere aderenti esattamente alle aspettative dei lettori.
In questo romanzo (russo) Carrère rimbalza l’oggetto della narrazione in molteplici inattese direzioni come una pallina da flipper o, giacché siamo in tema, incastonando una storia nell’altra come matrioske, ma la deriva di un racconto privo di bussola è solo apparente, perché saper scivolare da un contenuto all’altro con tale naturalezza ed abilità comporta, oltre all’indubbio talento, una padronanza dell’insieme fuori dal comune. Intendo dire che quel che sembra ed anzi viene ostentato come un occasionale susseguirsi di scenari dettati dai casi della vita, è frutto a mio parere di un meticoloso lavoro di assemblaggio, operazione di cui Carrère è un riconosciuto maestro.
E’ in qualche modo conseguente che alcune tessere del puzzle risultino pregevoli, talora dotate di un fascino quasi magnetico, come (per me) il susseguirsi dei viaggi a Kotel’nic e la trasformazione dei personaggi in cui la raffazzonata troupe si imbatte, ed altre invece appaiano di discutibile (a dir poco…) gusto come l’ineffabile lettera a “Le Monde”, più pornografica che erotica. Sorge il dubbio che l’accostamento di trame così disomogenee e stridenti non sia fortuito ma deliberato, ulteriore dimostrazione di come Carrère sappia avvalersi della sua smisurata presunzione anche quando in apparenza demolisce la figura del suo autobiografico protagonista.
Sorretti dalla notevole scrittura dell’autore, i “carreriani” ormai vaccinati (questo è il mio n.9) dovrebbero avere ormai imparato a domare e digerire le bizzarrie, la boria e i vezzi dello scrittore (qui anche le sue meschinità…) che ostacolavano la percezione di un valore che Emmanuel riesce comunque a profondere in tutti i suoi scritti. In qualche frase di questo romanzo Carrère allude addirittura ad una genesi ereditaria delle sue riconosciute instabilità caratteriali, che risalirebbero al nonno Zourabichvili (russo georgiano), la cui avventurosa storia costituisce uno dei tanti fili della narrazione, in una sorta di tributo che va ad ingarbugliare ulteriormente le carte…
Non riesco a capire come si possa iniziare un libro raccontando del ritorno a casa di un vecchietto ungherese che per cinquant'anni è rimasto in un manicomio in Siberia, non parlando la lingua locale e non essendo quindi capito da nessuno, e finire con l'autore stesso che parla della disfatta della propria relazione amorosa dell'epoca di scrittura del testo stesso. Mah, probabilmente solo Carrère può. Fatto sta che mentre L'avversario è un gran libro, questo a lungo andare risulta scialbo e con diverse scene che sarebbe stato meglio tagliare (per non parlare di alcune situazioni erotiche del tutto gratuite). Insomma, una vanvera, un po' pensieri in libertà. Però si fa leggere.
Liste des preuves que je suis Emmanuel Carrere : - L’apprentissage du russe - L’instabilité - L’absence de jalousie dans les relations - L’affinité envers l’oeuvre de Tchékhov - Le lien entre confiance en soi et niveau en russe - répéter да, да конечно tout en ayant envie 2 pleurer - Les problèmes de communication - La folie - le débat « tu préfères sortir avec quelqu’un que t’aimes mais qui t’aime pas ou avec quelqu’un que t’aimes pas mais qui t’aime ? »
Liste des preuves que je suis le grand père d’Emmanuel Carrere : - le russe - Être vieux - Boire des litres de thé - Les études de philosophie - Insulter les auteurs - Beaucoup fumer
Ct mon premier Carrère, j’ai vraiment aimé… ça se lit très facilement puis ça parle de la langue russe… et d’amour… donc forcément ct écrit pour moi….
Seul bémol ça me cringe 1 peu quand il parle de sexe… je trouve que c vrmnt pas érotique (alors que ça a clairement vocation à l’être) c très cru ça f 13 adolescent.. En même temps quand 1 auteur parle de sexe c rarement réussi je trouve…
Andràs Toma, prigioniero di guerra ungherese senza un gamba Un nonno, Georges, dal passato misterioso Sophie
Un villaggio di pazzi sulla Transiberiana Governanti gitane brutte come streghe Insanità morale e mentale Lettere d’amore, treni presi e treni persi La lingua russa, che migliora o peggiora in base all’umore Anja Tradirsi e ritrovarsi per poi perdersi ancora Trenta gradi sotto zero Un film Hélene
Tre storie principali più una buona quantità di eventi più o meno secondari. Percentuale di realtà? Presumo alta. Assolutamente affascinante. [74/100]
Memorie, amori, esistenza e umanità: questi i temi centrali del libro e le colonne portanti del mondo che Carrère va a dipingere sulla sua tela di ricordi. Tutto comincia da un ungherese senza nome, catturato dall’esercito russo e rinchiuso in un manicomio per più di cinquanta anni. L’uomo non ha identità, non ha parola, persino: con le labbra e la lingua costrette nella morsa di un idioma non più ungherese, ma personale, un monologo folle e incomprensibile agli altri, forse abbastanza eloquente per se stesso. E da qui un ricordo, un’ombra del passato di Carrère che si erge impetuosa sul futuro dello scrittore e della sua famiglia, uno spettro oscuro che da troppo tempo ormai compromette la felicità della sua linea di sangue, impedendo ai suoi discendenti di vivere serenamente. È il fantasma di suo nonno, un “uomo del sottosuolo” Dostoevskijano solo contro la moltitudine, intrappolato nella sua follia raziocinante, scomparso per sempre dalla vita dei suoi familiari e, proprio per questo, sempre accanto a loro. In un viaggio alla ricerca delle proprie origini Carrère cerca disperatamente di apprendere il russo, a volte facendo progressi, a volte fallendo, impegnandosi a riempire il vuoto incolmabile lasciato dall’anziano georgiano e trattenere le lacrime ogniqualvolta ascolti una tipica canzoncina russa che ne riporta il ricordo alla mente.
“Sentivo non la sua voce, che non ho mai conosciuto, ma la voce che risuona nelle parole che ha scritto, nelle sue lettere e questa voce mi diceva: ci hai creduto. […] Hai creduto che ti avrebbero permesso di chiudere i conti con un passato che non è il tuo, ma che si ripete in te in modo ancora più implacabile proprio perché non ti appartiene.”
Intraprende un viaggio a Kotel’nič, paesino infelice, il cui scenario insulso e dimenticabile diventa l’ambientazione di un film che parla di umanità, quotidianità, segreti, misteri e che culmina con un’ingiusta e inaspettata agonia. Va ad aggiungersi poi la travagliata storia d’amore con Sophie: donna innamoratissima dell’autore e sinceramente ricambiata, che si infuoca in un tripudio di erotismo, passione e tradimenti per poi spegnersi in un addio malinconico e scontato. Di conseguenza anche il libro stesso diventa un viaggio per il lettore, trascinato in questo turbinio di storie e intrecci familiari, di passioni e dimenticanze, di vita e di morte interiore. Si tratta di “Un romanzo russo” per le ambientazioni, per la lingua intesa come identità, per l’opprimente solitudine e per la complessità dei sentimenti umani che vengono affrontati. È stato il mio primo Carrère e di certo non sarà l’ultimo.
Gran novela de Carrère. Aquí se encuentra de nuevo al Carrère que tanto gusta, el que novela la realidad. En esta obra rompe de nuevo las reglas de la novela y utiliza la realidad para sanar. Una novela rusa es un proceso de sanación, una vuelta a sus orígenes y una huida hacia delante. El viaje como metáfora odiseica. La búsqueda de sus orígenes como fórmula para conocerse a sí mismo y a su familia. Saber dónde se encuentra y quién es él. Una novela rusa trata sobre una serie de viajes que realiza el autor a Kotelnich, una población rusa alejada de cualquier interés que se convertirá en trasunto de su propia existencia. Su fin es rodar una película. No tiene ningún proyecto. Buscará allí ese argumento. Realmente la historia se entremezcla con acontecimientos de su propia vida. Su vida también plantea interrogantes: su infancia, su pareja, su madre... todo muy homérico, pero con vodka. ¿Sanará? ¿Volverá a la casilla de salida? ¿Encontrará un motivo para hacer la película? Leed el libro. A mí me ha encantado. Y si os gusta su estilo “ficciorrealista”, pues aún más. Olé.
I don't know why I finished this novel when I had to struggle through it especially the beginning. If Carrere has limited the novel to his film making in Russia, it would have been more interesting. His love story about Sophie seemed to be that of an adolescent instead of a 40 yr. old man. Basically a dark depressing memoir filled with anger, angst and doubt.
Forse il più viscerale di Carrère che ho letto finora. Nudo, crudo e più filosofico degli altri, a mio avviso. Odio il personaggio che Carrère crea di se stesso tanto quanto amo come lo racconta.
Finora le mie esperienze di lettura con Carrere erano limitate a ‘La Settimana Bianca’ e ‘L’Avversario’, che mi erano piaciuti molto, quindi questa è stata la prima volta in cui mi sono trovata a tu per tu con il Carrere uomo, e non solo con lo scrittore. E, devo dire, è stata un’esperienza estremamente molesta. Avevo letto di quanto fosse narcisista ed egocentrico, ma solo qui ho potuto sperimentare davvero la cosa: questo tizio è esasperante! È tutto un “io, io, io”, diviso tra un’altissima opinione di sé e l’auto-sprezzo (che in realtà è pure quello permeato di narcisismo). Se lo dice pure da solo, che è come se si trovasse ancora in quella fase dell’adolescenza in cui ci si sente tanto unici, speciali, incompresi, e maledetti. Dice di essere una persona orribile, ma poi trova sempre il modo di darsi l’assoluzione. Pare sull’orlo del bipolarismo, sul serio. E poi, lo vediamo implorato dalla madre di non scrivere sul nonno collaborazionista, scomparso alla fine della guerra e probabilmente fucilato, almeno finché lei sarà in vita, e lui invece scrive, e pubblica. Lo vediamo mollare la fidanzata da sola per un mese in ospedale, per un intervento chirurgico importante di cui lei aveva paura, e partire per la Russia comunque, senza un motivo davvero valido (converrete che questo è degno di un uomo di merda, e per me lo scredita a vita). Non che Sophie abbia suscitato in me molta simpatia, con il suo modo di accettare tanto abuso psicologico, di sopportare, di indulgere, di non esprimere il disagio che provava, e di cui lui ovviamente non aveva idea, se non quando la situazione stava ormai esplodendo. Per lo meno Carrere non è fisicamente violento, altrimenti penso che questa donna si sarebbe docilmente adeguata anche a lividi e occhi neri. Il famoso racconto/lettera erotico a lei dedicato è piuttosto noioso, ma è stato divertente pensare a quanto si sia sentito frustrato l’autore nel vedere i suoi progetti andare in fumo tanto gloriosamente. Questo libro è scritto in maniera eccellente, ma visto tutto il fastidio e l’antipatia che ho provato, che hanno reso la lettura spiacevole, non riesco proprio a dare un voto alto; solo la sufficienza. Il problema è: avevo intenzione di leggere diverse opere di costui, ma se anche negli altri libri la sua personalità sarà così invasiva non so proprio se ci riuscirò.
“Ho ereditato l’orrore e la follia. Ma ne ho scritto. Mi sembra una vittoria.”
La madre di Carrère, una nota intellettuale francese, aveva origini georgiane. Suo padre, uomo che non era riuscito a integrarsi in Francia, scomparve nel nulla — probabilmente deportato, durante la guerra, e non tornò mai più. Una eredità dolorosa, che pesa sulle spalle dello scrittore, con la quale ha dovuto fare i conti per tutta la vita. Dentro di lui hanno sempre vissuto storie eccentriche, dovute anche alle sue origini russe. Nobili che defenestravano i nemici, dame dell’alta società, e quel nonno mai dimenticato che pare stendere su Carrère una sorta di maledizione. Un giorno questa si compirà, pensa lo scrittore, e con questo spirito parte per la Russia dove ha deciso di filmare un documentario. E’ l’occasione per avvicinarsi alle proprie origini, indagarle, e finalmente imparare a parlare la lingua di sua madre che non ha mai padroneggiato bene. A questa storia si intreccia quella del rapporto morboso e intenso con la compagna Sophie, giocato sempre sul filo che collega un profondo amore alla follia. A questo proposito mi sono stati offerti parecchi spunti di riflessione, ad esempio fin dove si può spingere un uomo che non vuole lasciare andare la persona amata. E poi: quale limite separa l’erotismo dalla follia? E’ giusto raccontare così crudelmente la vita e l’intimità di una persona amata? Quello dello scrittore è un mestiere crudele, il più crudele sembrerebbe, leggendo Carrère. Scoprendosi intimamente, e scoprendo appunto anche le persone a lui care, Carrère racconta la storia della propria sopravvivenza ad una vita piena di orrori. Ci sono orrori che provengono solo dalla sua mente, altri che vi si infilano a causa della vita che scorre nel mondo, ma che solo la letteratura riesce a contrastare. Il libro si chiude con uno spiraglio di speranza. Ho apprezzato anche la speranza, dopo essermi tuffata nei suoi orrori trattati sempre divinamente.
Carrère es, desde hace muchos años, uno de mis escritores contemporáneos preferidos. Pero por alguna razón esta novela me la había saltado. La leí casi de un tirón y le he dado cinco estrellas porque es un libro impactante, porque está muy bien escrito, porque es de esos libros que se te quedan pegados después de leerlos. Dicho esto leo muchas críticas por aquí de gente que le da una puntuación baja porque les parece que el narrador es un miserable. Yo creo que es eso precisamente lo que lo hace tan potente. No creo que él esté haciendo un acto de contricción en este libro ni siquiera justificándose. Creo que está intentando ganar, como buen narcisista de libro que es. Si los personajes retratados fueran amigos míos este libro me parecería abominable. Como lo leo desde la barrera me enseña muchas cosas sobre el mundo. Me da rabia porque antes Carrère no me caía mal. Ahora me parece un tipo detestable. Pero el libro me parece cojonudo, incluso por esa historia que abandona nada más arrancarlo porque, en efecto, lo que él quiere en este libro es hablar de sí mismo y de su orgullo herido.
Ci ho pensato molto prima di scrivere questa recensione. La lettura di Un romanzo russo è stata un percorso a ostacoli, un su e giù continuo tra abilità letteraria e bassezza umana. Come giudicare un libro ben scritto da un autore maschilista ed egocentrico? Meglio far pesare la scrittura limpida e curata, o il fastidio per le idee retrograde di cui è infarcita? Alla fine ho deciso di dargli un voto alto (forse troppo), anche grazie al fatto che tutto questo disprezzo per le persone, per le idee e per il mondo che Carrère ci propina ogni due righe, a conti fatti sa più del bisogno di crearsi un personaggio di cui la gente possa parlare, o meglio sparlare, anziché di un reale e disincantato racconto di sé. Esattamente come succede per il racconto erotico cui dedica buona parte di questo libro, che sembra decisamente più un tentativo di fare scalpore e finire sulla bocca di tutti che una spontanea dichiarazione d'amore. Alla fine, come suggerisce anche il titolo, si tratta di un Romanzo russo.
Die Eingansthese (Autor rekonstruiert das Schicksal seines Großvaters, der als Flüchtling vor den Sowiets nach Paris floh, sich nie integrieren konnte und wird schließlich von der Resistance als Kollaborateur ermordet) ist interessant. Die ersten 80 Seiten leider nur unter dem extrem unsympathischen autobiographischen Autor. Danach geht es bergab. Es bleibt der extrem unsympathische Autor aber das Thema ändert sich zum Bericht über das Filmen von zwei Dokumentationen im ländlichen Russland und seine Beziehungsprobleme und es bleibt dann kaum ein vernünftiger Grund zum Weiterlesen.
Numerosi fili s’intrecciano all’interno di questo libro che è un po’ romanzo, un po’ autobiografia, un po’ reportage e un po’ diario di viaggio: una spedizione in un paesino russo di provincia dove un prigioniero di guerra ungherese è stato dimenticato per più di cinquant’anni; un delitto atroce che turba l’immobilità e il torpore di quel paesino; la ricerca e il desiderio di condividere la storia del nonno materno, georgiano scomparso in circostanze misteriose alla fine della guerra (forse un collaborazionista?) e di cui la madre di Carrère lo ha pregato di non parlare; il rapporto conflittuale di Emmanuel con la lingua russa, da cui si sente attratto e respinto allo stesso tempo; infine la sua relazione con Sophie.
Magnetico e coltissimo come sempre (i riferimenti letterari sono incalcolabili, soprattutto quelli ad autori russi), a tratti il racconto di Carrère assume l’andamento di un flusso di coscienza dato in pasto al lettore così come viene generato dalla sua mente: grezzo, non filtrato. È una storia che non segue sempre la stessa rotta, ma cambia direzione più volte e ritorna spesso sui propri passi. In un primo momento credevo di percepire una partecipazione e un impatto emotivo inferiori rispetto a Vite che non sono la mia ma adesso non ne sono più così sicura. Per quanto narcisista e tracotante, qua dentro Carrère colloca un pezzo della propria interiorità e pur rimanendo pieno di sé e, diciamocelo, a volte davvero esasperante, si percepisce tutto il peso che gli eventi descritti hanno avuto su di lui
Particolarmente toccante è la parte dedicata a Sophie e all’abisso di dolorosi sospetti e angosce in cui li precipita involontariamente un racconto erotico a lei dedicato che Carrère fece pubblicare dal quotidiano francese Le Monde. Una lettera d’amore un po’ spinta, da alcuni ritenuta eccessivamente esibizionista, ma che a me non è affatto dispiaciuta. Forse perché ormai mi sono rassegnata all’egocentrismo di questo scrittore così consapevole di sé eppure a tratti così fragile. Se non riuscite a sopportare i suoi slanci di sfrontatezza e vanagloria, forse siete nel posto sbagliato. Alla fine dei suoi viaggi, durante la visione del film che Carrère ha girato in Russia, un personaggio che ha avuto un ruolo importante nella vicenda afferma: ”Non sei venuto solo a prenderti la nostra infelicità, ci hai messo anche la tua” e noi sappiamo che non esiste cosa più vera. È l’autore stesso a metterci di fronte a questa verità: Emmanuel Carrère non è uno scrittore felice, né uno che lo sembra.
”Ho ereditato l’orrore, la follia e il divieto di parlarne. Ma ne ho parlato lo stesso. È una vittoria”
In questo libro parzialmente irrisolto, Carrère parla di se stesso, del suo rapporto con la figura del nonno materno, con la madre, con la compagna. Di un viaggio lontano, in the middle of nowhere, alla evidente ricerca delle proprie radici, in cui il distacco dalla realtà quotidiana non aiuta a trovare risposte. E' un romanzo complicato, che apre molte porte e non le chiude mai completamente, che evidenzia il malessere di chi constata nella propria personalità il limite principale al rapporto con gli altri, a partire dalla persona amata. La continua variazione del soggetto (la vita di Andràs Toma, la storia del nonno materno, il rapporto con la madre, il viaggio a Kotel'nic, il rapporto con Sophie, l'articolo su Le Monde, la crisi) non aiuta a inquadrare il tema e rende faticosa le lettura. Le pagine sulla crisi del rapporto con Sophie sono però formidabili nel mettere a nudo la complessità dei rapporti di coppia, l'affetto, gli slanci e le meschinità che li caratterizzano, e da sole valgono l'intero libro. L'articolo su Le Monde, che dovrebbe essere il fulcro del romanzo, mi ha lasciato indifferente (forse c'entra il mio perbenismo da ragazzo di campagna per cui di certe cose non si parla), non lo trovo così interessante. In sintesi, un libro con pagine folgoranti che costellano la lunga e tormentata internal conversation dell'autore. Non fornisce tutte le risposte alle domande che formula, ma forse il senso del libro va proprio trovato in questa irresoluzione, che lega Carrère a Toma, chiuso nel pluridecennale dialogo con se stesso in una lingua ormai solo sua, e nella voglia di trovare una soluzione parlandone.
Questo è il quinto libro di Carrère che leggo, e ad oggi è indubbiamente il peggiore. Sapevo che questo momento prima o poi sarebbe arrivato; che il mio amore per questo autore sarebbe stato devastato da una cocente delusione, ma non pensavo ad un buco nell'acqua di tale portata. La lettura è come sempre scorrevolissima; Carrère scrive bene, non c'è niente da dire, è bravissimo (e purtroppo lo sa), e in fondo questa è l'unica ragione che mi ha spinto a dargli due stelline. Per il resto è un libro che non mi ha lasciato nulla, se non un estremo disprezzo per l'elevatissimo, irritantissimo, e a tratti sconvolgente, livello di egocentrismo e narcisismo dell'autore. Si inizia con un'accattivante idea di un ungherese che passa cinquant'anni della sua vita in un istituto psichiatrico russo e si procede poi con la storia d'amore (?) tra l'autore e Sophie; una storia che è di una noia terribile, a mio avviso piatta e senza emozioni. E' una storia che non sa davvero di niente. E su questo niente più assoluto Carrère riversa persino una badilata di malcelata e squallida pornografia. Ed è a quel punto che ti rendi conto di come le cose non possano andare peggio. Ah sì, poi c'è anche la storia della madre Helène; e anche qualche accenno alla storia nonno collaborazionista con il governo di occupazione nazista. Tutte queste storie si intrecciano e avanzano impetuose, ma senza un filo logico. Questo libro è un miscuglio di cose un po' a caso; un "mappazzone", come direbbe un famoso giudice italiano di MasterChef prima di togliergli il grembiule e mandarlo a casa.
C’est vraiment bien écrit, bien construit, et les deux histoires russes qui sont racontées sont passionnantes même si je suis un peu frustrée que celle sur le prisonnier de guerre hongrois ne soit pas plus développée. Le récit du tournage du documentaire en Russie est hilarant à condition de réussir à faire abstraction des jugements misogynes que Carrère pose sur toutes (j’insiste : toutes) les femmes et adolescentes qu’il rencontre.
C’est le genre de livre où l’auteur parle de son pénis à la troisième personne mais on ne peut pas s’empêcher d’éprouver de l’admiration pour sa démarche et le portrait si peu flatteur qu’il dresse de lui-même... jusqu'à ce qu'on se rende compte que cela se fait au détriment de sa compagne. Au final, j’aurais trouvé beaucoup plus courageux de la part d'Emmanuel Carrère de raconter du point de vue de Sophie les cinquante dernières pages de ce livre, afin qu'on puisse ressentir une réelle empathie pour elle et que le monstre d'égoïsme qu'est Carrère nous apparaisse dépouillé de l'exercice littéraire auquel il se livre (certes brillamment).
Nach "Limonow", welches mir sehr gut gefallen hat, und "Yoga", welches mich enttäuscht hat, ist "Ein russischer Roman" mein dritter Roman von Emmanuel Carrère. Das Buch ist 2008 in der französischen Originalausgabe und 2017 in der deutschen Übersetzung erschienen.
Der Ich-Erzähler-Autor wird mit einer Film-Reportage über einen ungarischen Soldaten, der über 50 Jahre nach seinem Verschwinden in der Psychiatrie in der russischen Provinz wieder aufgetaucht ist, beauftragt. Das nutzt er zur Auseinandersetzung mit seiner eigenen Familie. Seine Mutter, eine bekannte Historikerin und Publizistin in Frankreich, spielt dabei eine wichtige Rolle. Das Ganze beginnt Ende 2000. Der Autor ist 43 Jahre alt. Die Beschreibung seines verstorbenen Großvaters als blitzgescheit, düster und verbittert könnte auch auf ihn zutreffen.
In einem zweiten Handlungsstrang in Paris geht es um die Beziehung des Autors zu Sophie. Hier geht es unter anderem um die Standesunterschiede. Dabei zeigt sich das diskriminierende Verhalten des Autors gegenüber seiner aus seiner Sicht ungebildeten Freundin. Darüber hinaus hat er ein furchtbares Frauenbild. Carrère ist unsympathisch, aber geht zumindest schonungslos mit sich selbst ins Gericht. Moralisch macht es das nicht besser, literarisch schon.
Das Buch ist radikal autobiographisch. Die Sprache ist intelligent und elegant. Wenn Carrère in wenigen Sätzen ein Hotelzimmer beschreibt, ist es als ob man neben ihm stünde. Der Autor schreibt im ersten Handlungsstrang gegen das Vergessen an. Das ist inhaltlich und sprachlich spannend. Der zweite Handlungsstrang beginnt im Vergleich dazu recht belanglos, nimmt im Verlauf aber etwas an Fahrt auf.
"La follia e l'orrore" hanno perseguitato Carrere, gli si sono incastrati tra le storie, fino al culmine dell' "Avversario". La storia di Jean Claud Roman lo lascia stremato e stanco, così fugge in Russia, là dove insegue la storia di un ex soldato ungherese che ha passato tutta la vita in un ospedale psichiatrico, creduto morto e ritornato per varie coincidenze in vita. Tutto parte da qui, dall'idea di raccontare il ritorno a casa di un uomo, ma poi la follia e l'orrore tornano ad aggrapparsi a Carrere I due anni raccontati in questo libro sono anni di un tormento diverso da quello raccontato altrove, perché qui la sofferenza è tutta dello scrittore. Emmanuel è un uomo che non sa amare, che non riesce a parlare in russo, che vuole fare un film ma non lo progetta e che ha ereditato un passato che non smette di influenzare il suo presente. Emmanuel Carrere si sente l'erede di quel suo nonno strappato alla famiglia, e che ha lasciato alla madre dello scrittore quella follia e quell'orrore da cui lui non riesce a liberarsi. Ci prova con il film, ci prova con la storia tormentata con Sophie, ci prova con il russo, ma ci riesce in parte solo con questo libro e con la lettera finale, indirizzata proprio alla madre. "Mi dico: è questa la storia, ma non ne sono convinto. Ne' che sia questa, né tantomeno che sia una storia. Ho voluto raccontare due anni della mia vita, Kotel'nič, mio nonno, la lingua russa e Sophie, nella speranza di riuscire a catturare qualcosa che mi sfugge e mi tormenta. Ma ancora oggi questo qualcosa mi sfugge e mi tormenta".
L’acme dell’egocentrismo di Carrère. Romanzo e autobiografia empirica. Si muove nel tempo e nello spazio, senza risparmio emotivo. Il senso del libro, il suo limite e la sua bellezza, è tutto qui:
Mi dico: è questa la storia, ma non ne sono convinto. Né che sia questa né tantomeno che sia una storia. Ho voluto raccontare due anni della mia vita, Kotel’nič, mio nonno, la lingua russa e Sophie, nella speranza di riuscire a catturare qualcosa che mi sfugge e mi tormenta. Ma ancora oggi questo qualcosa mi sfugge e mi tormenta.
(Riletto via GDL) [74/100]
Non è mai la volta buona per me, mai in modo duraturo. È sufficiente che un amore sia possibile, felice, perché nel giro di tre mesi io ne scopra l’impossibilità. Arriva sempre il momento in cui comincio a pensare che la donna che amo non fa per me, che mi sono sbagliato, che c’è di meglio altrove, che vivendo con lei rinuncio a tutte le altre.
Non so bene come giudicare questo libro. Quindi non lo giudicherò: mi limito a dire che, se mi avessero solo raccontato la trama, forse non l'avrei mai letto. La storia di alcuni anni della vita dell'autore, tra le ricerche sulla misteriosa scomparsa di suo nonno, un documentario girato in una sperduta città russa e i suoi problemi sentimentali: una specie di lettera aperta prima all'amante, poi alla madre (che è famosissima, ma non lo sapevo). Eppure non è solo questo: è la storia di un'angoscia profonda, radicata, da espiare, da raccontare. Perché scrivere è l'unico modo di liberarsi dai fantasmi.