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The maidens of the rocks,

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Claudio Cantelmo, uno degli ultimi esponenti del casato abruzzese della Majella, vorrebbe avere un erede. Desidera generare un successore che, superuomo come lui, possa dominare sia al livello politico che intellettuale su Roma. Il tentativo naufraga quando Claudio tenta l'approccio con tre sorelle aristocratiche, che sembrano essere l'incarnazione di un'opposizione divina al suo la seconda di esse è in procinto di prendere i voti, mentre la terza, che lo rifiuta per occuparsi dei propri familiari, lo indirizza verso la prima. Respinto, conteso, irretito dalle tre donne, il protagonista conoscerà la stasi.

296 pages, Paperback

First published January 1, 1895

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About the author

Gabriele d'Annunzio

1,025 books285 followers
Gabriele D'Annunzio, Prince of Montenevoso (12 March 1863 – 1 March 1938), was an Italian poet, playwright, orator, journalist, aristocrat, and army officer during World War I. He occupied a prominent place in Italian literature from 1889 to 1910 and later political life from 1914 to 1924. He was often referred to under the epithets Il Vate ("the Poet") or Il Profeta ("the Prophet").

D'Annunzio combined in his work naturalism, symbolism, and erotic images, becoming the best interpreter of European Decadence in post-Risorgimento Italy.

His love affairs, relationship with the world-famous actress Eleanora Duse, heroic adventures during World War I, and his occupation of Fiume in 1919 made him a legend in his own time.

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21 (8%)
Displaying 1 - 17 of 17 reviews
Profile Image for Asclepiade.
139 reviews79 followers
August 23, 2023
I romanzi di Gabriele D’Annunzio hanno tutti una trama piuttosto gracile; l’unico ad esserne quasi del tutto privo è però Le vergini delle rocce. Nell’intenzione dell’autore doveva costituire in verità il primo d’una trilogia, I romanzi del giglio, ma i due successivi non furono mai scritti, e non è nemmeno difficile capirne la ragione: il protagonista, Claudio Cantelmo, che nelle Vergini giunge a scegliere, fra tre sorelle, la prediletta colla quale convolare a nozze (ma, con istinto genuinamente dannunziano, gli piacerebbe impalmarle tutt'e tre), avrebbe poi dovuto sposarla e generare con lei una specie di futuro Superuomo (il giglio, naturalmente, allude all’iconografia mariana dell’Annunciazione, per quel certo gusto fra il dissacrante e l’estetizzante che caratterizzava spesso le metafore dannunziane): tutto qui; se dunque, benché con alquanto sforzo, l’elezione d’una prescelta comportava quel poco o tanto di movimento narrativo idoneo a occupare un romanzo intero, soprattutto se breve e se scritto da un maestro dell’arabesco e della divagazione qual era il D’Annunzio, la materia successiva restava scarsa financo per un divagatore come lui; e, diciamolo, pure, per buona nostra ventura: ché le parti superomistiche sono le più indigeste di tutte. Scriveva il Praz da qualche parte che uno dei maggiori danni lo causò al Vate la conoscenza della poesia di Swinburne; non parlò di Nietzsche forse perché il danno, qui, era troppo palese, ovvio e comune anche a molti altri letterati di quel tempo. D’Annunzio era un lettore piuttosto eclettico e vorace, e aveva un genuino talento giornalistico per le mode culturali; ma mentre certune, come quella orientalistica (che gli cagionò la famosa litigata e il duello con Scarfoglio) e quella preraffaellita rimasero innocue e passeggere, il wagnerismo e il niccianesimo furono durevoli: meno il wagnerismo, che praticamente si estinse con la pubblicazione del Fuoco, dato alle stampe nel 1904 (dove il wagnerismo finì appunto sostanzialmente, come ricorda Piero Buscaroli, spedito sulla gran collina bavara, in treno, assieme colla salma di Wagner), mentre il niccianesimo, si può dire, rimase appiccicato addosso al Vate vita natural durante. Quello delle Vergini tuttavia è un niccianesimo ancora di fresca scoperta, male assimilato e superficiale, di grana, dunque, assai meno fine di quello che donerà linfa e sangue alle Laudi. Come documenta Giansiro Ferrata nella concisa ma succosa prefazione all’opera, citando un articolo dell’italianista Guy Tosi del 1973, il poeta pescarese conobbe Nietzsche da un articolo di Jean de Néthy pubblicato sulla Revue Blanche nell’aprile 1892; Il trionfo della morte, che è del 1894, è già pieno di Nietzsche: ma le Vergini delle rocce, del ’95, rassomigliano nello spirito viepiù a quel che il Nostro disse a caldo, suggestionato dall’articolo francese, in un testo giornalistico di poco successivo: Le plebi restano sempre schiave (…) Due sono le morali: quella dei “nobili” e quella del gregge servile (…). Gli uomini saranno divisi in due razze – e via dicendo; il Nietzsche più pittoresco, quello che fa innamorare gli adolescenti: solo che il D’Annunzio giornalista doveva riferire tali opinioni, pur con l’aria di approvarle, come dottrine altrui, cioè del filosofo tedesco, quali appunto erano, mentre il D’Annunzio romanziere le mette, tali e quali, sulle labbra e nei pensieri di Claudio Cantelmo, che per giunta vi si sente direttamente coinvolto quale, appunto, signore di antica schiatta, e destinato al dominio per natura, quantomeno per mezzo dell’Eletto nato da lui e da una delle principesse concupite. Con una delle involontarie, inaspettate ma micidiali glosse argute che gli accadimenti storici sogliono ricamare lungo i vivagni delle chimere letterarie, l’Atteso poscia, in altre, irriconoscibili fogge, sarebbe alfine giunto: sceso dai colli fatali di Romagna, e da meno, per non dir punto, magnanimi lombi; e il seguito ben si sa. Il lettore di buon gusto, però, deve vincere la noia per le meditazioni politiche di Claudio Cantelmo, o meglio di Gabriele D’Annunzio, che aduggiano soprattutto la prima parte del romanzo, e attenderne la parte migliore, che esiste ed è degna di lode. Non guasta, in realtà, nemmeno tener presente che il sacco di Roma perpetrato dagli speculatori e dai palazzinari, donde sgorga tutta la deprecazione dei tempi nuovi e plebei, non moveva soltanto lo sdegno di Cantelmo/D’Annunzio, ché, sia pur in maniera ben più solida e austera, lo deprecava poeticamente anche il Carducci della barbara concepita Dinanzi alle Terme di Caracalla; ma soprattutto il Vate, che era poeta genuino, e poeta lirico, una volta libero dall’impaccio ideologico, appena riesce a seguire la sua vena descrittiva ed evocativa più immediata, sale di tono, e sa dipanare bellissime pagine di prosa lirica, sia nella pittura di luoghi, sia nel ricordo di scene storiche antiche o rinascimentali. La rievocazione storica, riguardi Socrate coi suoi discepoli, Leonardo da Vinci (cui naturalmente lo scrittore fa chiaro riferimento sin dal titolo del romanzo) o l’uno o l’altro Cantelmo antenati del protagonista, è sempre saporosa ed agile ancorché frondosa; ma non appena da personaggi antichi ed evocati si passa a quelli moderni che agiscono accanto al protagonista, D’Annunzio diviene all’improvviso innaturale, artifiziato e legnoso, a meno che non si salvi all’ultimo istante con un tocco lirico. Eccolo ad esempio introdurre il personaggio di una delle tre principesse, Violante, la quale, parlando in prima persona (non direttamente, ma nella fantasia di Claudio; tali immaginati monologhi sembrano altrettante enunciazioni di temi musicali, con omaggio chiaro all’arte wagneriana), proclama: “Io sono umiliata. Sentendo su la mia fronte pesare la massa dei miei capelli, ho creduto di portare una corona; e i miei pensieri sotto quel peso regale erano purpurei”; in codesto fardello dell’acconciatura s’annida parecchia comicità involontaria, e il D’Annunzio difettava troppo di senso dell’umorismo per accorgersene; ma la sinestesia, con un colpo di penna, rialza il tono: il che, tuttavia, non accade in molti altri casi. La grandezza della prosa dannunziana è invece manifesta e godibile nelle lunghe descrizioni del palazzo dei Montaga, nella raffigurazione della città morta di Linturno, nella scena finale sul monte Corace. Soprattutto i primi due momenti del romanzo hanno un tono onirico, trasognato e irreale intenso e costante come di rado si trova in altre prose dannunziane, a tratti coi colori del sogno sospeso, a tratti coi lampi corruschi e le screziature cromatiche del delirio. Le scalee del palazzo, di pietra riarsa, sembrano gemmare l’una dall’altra in tutte le direzioni come in un disegno di Escher, o ergersi e profondarsi senza fine come in un incubo di Piranesi; la topografia del palazzo, tutto cortili, gradinate, gallerie, logge, sembra godere di vita propria, fondendosi o dilungandosi con la roccia onde sorge; il giardino, coi suoi declivi, le salite, le discese, i boschetti, le zone d’arsura minacciosa e di fioriture vaneggianti, si smarrisce in ogni direzione senza che se ne colgano i confini; e il ninfeo stesso, pur circoscritto dal suo perimetro di pietra, non finisce più di svelare gruppi mitologici, scene pastorali, cartigli e allegorie barocche. Altro pezzo di bravura la gita fra le rovine di Linturno redimite di acque morte folte di nenufari: mura, scheletri di palazzi, anche qui, reliquie di monumenti e basiliche; poi il monte Corace, con le sue scabre rocce minacciose, gigantesche: l’aggettivazione insistente, però, qua talvolta spiace; ma l’autore torna poeta quand’evoca la vastità nuda della montagna in rapporto all’eco lontana delle campane che rintoccano nel villaggio di Secli – villaggio che da secoli produce, ricorda Cantelmo, corde di minugia per gli strumenti da suono: e la scelta lessicale peregrina non solo non dispiace, ma qui diviene quasi naturale, dovuta, necessaria. Altro avverrà, purtroppo, quando l’idioma straniato vorrà semplicemente rievocare memorie d’infanzia o di adolescenza nelle prose più tarde. In questo romanzo che non è romanzo pare anzi venir particolarmente in luce la ragione profonda per cui il D’Annunzio restò sempre un narratore tanto difettoso e irrisolto: era troppo poeta lirico per poter essere a suo agio nel raccontare, a meno che il racconto non fosse raffigurazione storica, riportata in vita come quadro, come bassorilievo, come miniatura cesellata dalla parola; il passato, la fantasia, la natura, tutto ciò ch’era morto e remoto dalla vita umana costituiva il suo terreno d’elezione; lo scrittore allora si sentiva a proprio agio, e diventava musico del linguaggio, pittore di scene, ricamatore di allegorie, alluminatore di panorami, di aure, di sogni.
Profile Image for Theut.
1,886 reviews36 followers
November 3, 2025
Purtroppo ci sono alcuni romanzi che "invecchiano male". Posso dire che apprezzo D'Annunzio e i suoi preziosismi linguistici per un paio di pagine, non di più. Non ho cercato questo romanzo per la trama (non il punto forte del Vate), ma per il periodo storico che il D'Annunzio ha vissuto (in maniera così viscerale). Peccato, temo che l'unica testimonianza di valore sia ormai solo il Vittoriale degli Italiani.
Profile Image for Marmott79.
136 reviews36 followers
May 5, 2025
Se questo è un capolavoro io sono Geppetto
Megalomania, logoro passatismo, totale fraintendimento del messaggio nietzschiano.

Nota interessante: 2 brevi accenni ai palazzinari romani di fine Ottocento che si riallacciano al diario romano di Zola.
Nihil novi sub sole, solo per ribadire l'ignoranza di qualsiasi passatismo (a meno che non sia quello dei secoli buuuuuuui jajajaja)
Profile Image for Irina.
154 reviews11 followers
December 14, 2018
O atmosfera de melancolie, reflectari, poezie. Claudio, cel care povesteste, contempla trei fete intr-o localitate a Italiei. Reflectiile lui se impletesc cu cele din legende si istoria Romei. In familia in care e in vizita au avut loc intamplari tragice. Una din surori doreste sa se calugareasca, si sustine ca decizia ei nu a fost in urma mortii logodnicului ei. Claudio se apropie intai de Massimillia, apoi de Anatolia, insa nu are viitor iubirea lui pentru nici una din ele. Claudio afla tragedile petrecute in familie si le percepe ca pe niste legende de demult.

Citate:
"Voi regasi negresit vreo amintire: macar si despre primele mele lecturi, care au fost basmele cu zane..." (p. 102)

"Toamna [...] totul devine rosu, de-un rosu strălucitor, și în unele zile de octombrie, cu soare, zidurile și scările par împodobite cu purpură." (p. 101)
Profile Image for Guido.
44 reviews3 followers
July 18, 2022
Il linguaggio ricercato, la retorica sublime, l'estetismo unico: tutto questo rende questo libro una pietra miliare della letteratura italiana. Un monumento col quale confrontarsi, perché nessuno di noto riuscirà mai a eguagliare queste pagine. D'altronde, gli stessi punti di forza rendono la lettura lenta e faticosa. La trama resta schiacciata sotto il peso dello stile, così come il personaggio principale, col quale è un'ora impossibile empatizzare, e anche per questo rende necessario un continuo di comprensione dall'esterno. D'Annunzio fa del suo meglio nel tratteggiarne la psicologia e riesce sicuramente nell'intento che si è preposto, ma tra gli obiettivi potrebbe non esserci stata la piacevolezza della lettura e la diffusione dell'opera.
Profile Image for ALEARDO ZANGHELLINI.
Author 4 books33 followers
August 20, 2022
This is my favourite D'Annunzio's novel so far. I savoured every page: the imagery throughout is dazzling in its richness. The megalomaniac male (anti)hero typical of D'Annunzio's novels is much more acceptable in the fairy-tale surroundings of the Virgins of the Rocks, where he appears less as someone whom you might meet and be annoyed by in real life, than as one of the fantastical creatures that by right should populate a surreal world.
Profile Image for Gabinka Ricciocornia.
110 reviews
November 18, 2025
In breve: il protagonista Claudio Cantelmo, alter ego di D'Annunzio stesso, si crede sto cazzo. Pur non avendo fatto nulla, in vita sua, che fosse degno di nota, ritiene di essere inevitabilmente capace, per lignaggio, di imprese grandiose.

Fa già ridere così.

Ma siccome su di lui campeggia una red flag grande quanto un campo da calcio, egli ritiene altrettanto grandiosi sia gli atti eroici, sia quelli violenti. Come se fossero sinonimi.
Si rasenta il sublime quando il buon Cantelmo, esasperato dalla mediocrità borghese di Roma, si lagna dell'assenza di imprese straordinarie e afferma convintamente che, se solo ne avesse avuto occasione, sarebbe stato capace di essere un eroe e di compiere stragi. Mi ha fatto pensare a un barboncino col maglioncino che ringhia contro un Pitbull solo finché si trova a distanza di sicurezza fra le braccia del padrone. Arrogantissimo.

Dopo aver citato Dante, Nietzsche, Socrate e Leonardo da Vinci, Cantelmo sostiene convintamente che il ritratto di un suo nobile antenato (morto giovane, durante la sua prima battaglia...) realizzato proprio dal da Vinci in persona, gli avrebbe impartito tre comandamenti sulla necessità di generare un degno e latinissimo erede.
Pertanto, per svolgere questa missione, il buon Claudione decide di lasciare la capitale e di rifugiarsi nella sua tenuta di campagna, casualmente attigua alla magione di un'altrettanto nobile famiglia. Ebbene sì: l'ingrato compito assegnato al Cantelmo da un quadro parlante si traduce nel circuire una nobile fanciulla e prenderla in moglie. Cantelmo decide quindi di massimizzare le proprie probabilità di successo selezionando una famiglia con ben tre sorelle nubili, ben sapendo che, per la legge dei grandi numeri, conviene flirtare con più di una sola persona per volta.
Il fatto che, oltretutto, le tre sorelle vivano in un isolamento pressoché totale, e che lui sia l'unico nobile rampollo non consanguineo con cui le tre recluse abbiano avuto modo di interagire negli ultimi vent'anni, è un altro segnale dell'acume lombare del Cantelmone.

Spoiler: fallisce lo stesso.

Nonostante l'accuratezza strategica, Cantelmuccio riesce a collezionare ben tre rifiuti. Il che rappresenta, in effetti, un'impresa eccezionale.

Il libro è diviso in tre parti. La prima è molto filosofica, e D'Annunzio spiega, attraverso riferimenti colti, di aver elaborato questa sua umilissima idea di superomismo e il suo concetto di impresa straordinaria attraverso molte letture di un certo livello. Evidentemente gli sfugge che ciò non rappresenta una giustificazione accettabile. Anche perché, ricordiamolo, per dare un senso alla trama è costretto a ricorrere all'espediente di far parlare un quadro.
La seconda e la terza parte sono narrative, e parlano dell'incontro di Cantelmo con le vergini delle rocce (palese riferimento a Leonardo) e alla loro deliziosa famigliola (madre bollata come demente, padre mentalmente fermo all'assedio di Gaeta, e due fratelli gemelli incapaci di accorgersi dell'arrivo della primavera).
Ho nettamente preferito la prima parte. D'Annunzio è involontariamente comico nel suo fervore da barboncino incazzoso, e scrive benissimo. Il resto del volume, nonostante le splendide descrizioni che tratteggiano quadri decadenti e malinconici, non ha quei guizzi che mi hanno fatta volare nella prima parte.

No, a scuola non me l'avevano detto che Gabri fosse così divertente da leggere. Lo stra-consiglio.
Profile Image for Giada- Se ne dicon di parole.
425 reviews31 followers
September 21, 2023
Tre e mezzo, in realtà.

"Considerando che quest’opera doveva far parte di una trilogia rimasta incompiuta, non riusciamo a scoprire il vero finale, la scelta di Cantelmo resta aperta: chi mai di queste fanciulle, incomparabili per grazia e bellezza, porterà l’erede, il restauratore, nel proprio grembo?
Difficile a dirsi. Quello che appare chiaro, fin dal titolo, è che, pur nella loro concreta disperazione, D’Annunzio tratteggia le sue protagoniste come se fossero opere d’arte: sublima la loro bellezza e la loro devozione, tanto che anche il superuomo di cui si fa portare Cantelmo, e ancor più l’erede che vuole generare, sembra passare in secondo piano. Accompagnato sempre da una prosa elegante, raffinata e malinconica, che, a questo giro, fa coppia perfetta con l’ambientazione: maestosi promontori rocciosi a cui si affianca la delicatezza di un lago di ninfee."
1 review
October 30, 2025
Amo D’Annunzio e la sua scrittura, non condivido gran parte del suo pensiero. Leggere le sue scritture è un viaggio febbrile a prescindere dal contenuto.


Questo è un libro meraviglioso, ma ho fatto fatica a superare la prima parte, quella che costituisce il primo libro dei tre, pubblicati a distanza l’uno dall’altro.
Ho adorato tutti i personaggi, anche se il padre delle vergini é quello che ho apprezzato di meno, forse perché ho trovato difficile leggere i suoi sfoghi sulla questione del Regno. Avrei voluto che la figura della madre venisse descritta meglio.
É evidente che l’intento di Gabriele fosse quello di scrivere altri libri per sviluppare la storia: il finale interrompe bruscamente il tutto, non si sa nulla della scelta del protagonista, delle decisioni delle fanciulle e dei due fratelli.
Tutto sommato ho apprezzato molto questo libro, tedio iniziale a parte.
Profile Image for Waitapu.
115 reviews
November 7, 2021
I would love it if someone explained what is going on in this book... It wa sooo confusing...
Displaying 1 - 17 of 17 reviews

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