C’è una sola regola fra gli immigrati in “Non si inizia mai un viaggio insieme a un congiunto”. Troppo rischioso per due fratelli, per un fratello e una sorella, impensabile per un marito e una moglie. Per questo i congiunti si separano prima della partenza, dandosi appuntamento solo all’arrivo, raccontandosi delle bugie a cui fingono di credere, pur sapendo che probabilmente non si rivedranno mai più. In Italia solo il 16% degli immigrati è salvato dalle navi delle Ong. Fra loro ci sono donne all’ottavo stupro in due anni di viaggio, alcune si carezzano con violenza una pancia cresciuta senza volontà, ma ci sono anche figli piccolissimi che sono per le madri l’unico bagaglio che valga la pena portare con sé e salvare, in mezzo al mare. Oltre ai migranti che affrontano viaggi spietati e pericolosi, esistono anche le seconde e terze generazioni. Ragazze e ragazzi arrivati in Italia piccolissimi, senza conoscere i Paesi in cui sono nati se non nel racconto delle famiglie, o semplicemente nati sul nostro suolo. Ragazzi e ragazze senza cittadinanza, senza passato, troppo neri per essere considerati italiani, o troppo italiani per essere considerati nigeriani, etiopi o afghani. Ragazze e ragazzi che vanno a scuola con i nostri figli, con loro fanno sport, musica, con loro giocano e sognano, qualche volta partecipano ai compleanni. A scuola imparano la storia italiana, la letteratura, l’educazione civica, ma non hanno gli stessi diritti dei loro compagni italiani. L’immigrazione ha tanti volti e sono tutte persone. Scardinando i luoghi comuni, così come fa sempre nel suo lavoro di giornalista, e senza mai perdere tenerezza o lucidità, Saverio Tommasi racconta alcune di queste storie vere, drammatiche ma anche piene di vita e di speranza, insieme al fotogiornalista Francesco Malavolta, che accompagna queste narrazioni con le sue fotografie intense, frutto di molti anni di lavoro in viaggio per il mondo.
Non si accoglie per religione, credo, pietà o fede. Non si accoglie neanche per convenienza o ragionamento. In fondo non si accoglie neanche perché ne hanno diritto, o pensiamo ce l’abbiano. Si accoglie perché sono esseri umani, e noi siamo esattamente quella stessa cosa che sono loro. Perché in qualche modo stiamo affogando anche noi, insieme a loro, ogni volta in mezzo al mare.
Cosa succede se un fotoreporter incontra un giornalista e girano insieme i luoghi di confine del mondo? Nasce questo libro che è insieme un colpo al cuore e un inno alla speranza di cambiamento e di libertà. Libertà di transito, libertà di passaggio, libertà di contatto, libertà di essere chi si vuole dove si vuole. Perché è quello che tutti desideriamo per noi ma chissà perché, quando riguarda i popoli che entrano nel nostro paese questo non ci va più tanto bene. E non ci va bene perfino quando si tratta dei figli di immigrati, che sono nati già nel nostro paese e sono quasi più nazionalisti di noi, perché questo paese lo ringraziano perché sanno bene cosa avrebbero avuto se fossero nati nel paese dei loro genitori, perché loro glielo raccontano sempre senza perdere occasione per ricordarglielo. Anche se dall’altro lato lo odiano perché c’è e ci sarà sempre qualcuno a ricordargli, oltre ai nostri amatissimi politici con lo ius soli, che i loro tratti, il loro aspetto, rivelano lontane origini diverse dalle nostre e li farà sentire diversi e respinti, anche se parlano con l’accento romanesco o milanese o di qualunque altro luogo d’Italia… Le immagini per ogni capitolo fanno tenerezza in alcuni casi, sono terribili in altri, e sono quei casi che ricordano le indicibili sofferenze che questi popoli, delle nazionalità più disparate, subiscono pur di poter entrare in Europa. L’argomento cuore del libro sono proprio questi confini che sono quasi sempre accompagnati da muri, recinti, filo spinato, guardie, lager; quando non c’è il mare con i suoi km e km di acque scure a dividerci, ci pensiamo noi. Perché dividere è quello che sappiamo fare meglio. Abbiamo imparato tutti benissimo e ce lo insegnano fin da piccoli, anche se i bambini sono molto più diretti e ci girano molto meno intorno e non cercano giustificazioni e soprattutto, quando non ne capiscono le ragioni, ne fanno volentieri a meno. Bisognerebbe imparare un po’ di più da loro ad unire invece. E non perché gli immigrati siano tutti dei santi. Semplicemente perché sono esseri umani e, come tali, hanno diritto a scegliere liberamente dove e come vivere la loro vita.