Un villaggio sperduto in qualche remota valle del Nord, una storia che potrebbe cominciare con un "c'era una volta". Una maestra, un calzolaio, un forestiero, un vecchio veggente, un ragazzo curioso, personaggi senza nome che si muovono nei luoghi quotidiani delle fiabe: la casa al margine del bosco, la strada maestra, la bottega. L'atmosfera è quella delle leggende un po' cupe e misteriose ascoltate in lontane sere d'inverno intorno al fuoco: le ombre incombenti delle montagne, la palude infinita, la nebbia densa che fa smarrire la ragione, pozioni di erbe che guariscono, traffici oscuri della notte, un presagio di calamità che imcombe come un maleficio su un angolo di terra dimenticato da Dio e dagli uomini. Anche la trama è di quelle che troviamo in infinite varianti in tanti racconti: l'arrivo in una piccola comunità di un elemento estraneo che ne turba l'equilibrio, seminando confusione e disordine fino all'inevitabile catastrofe. Ma è il sottile gioco dal punto di vista che fa l'originalità del Rogo e trasforma una vicenda a metà tra la parabola e la cronaca, in una metafora dell'inafferrabilità della realtà, una meditazione su quanto sia illusoria la pretesa di conoscere la verità, impossibile l'obiettività e infinite le manipolazioni di cui siamo vittime e artefici. Più ancora dei riferimenti mitici, è quella voce narrante che continua a spostare l'angolo di visione che crea lo spessore e l'ambiguità di una storia apparentemente semplice: ora onnisciente, capisce e giudica come chi vede dall'alto, ora incerta e dubbiosa come chi partecipa all'azione, ora si limita ai sentito dire, ora riporta fatti fraintesi da testimoni oculari, ora assiste impotente come un coro davanti al fatale compiersi della tragedia, mentre a poco a poco il male prosegue la sua impercettibile penetrazione portando a termine la sua opera, così facile, banale e prevedibile vista dall'alto, così subdola ed elusiva da tutti gli altri punti di vista.
Bergljot Hobæk Haff was a Norwegian novel writer. Upon completing her education, she traveled to Denmark, and taught there for 24 years before returning to Oslo. She made her debut with the novel Raset in 1956. Her books are translated into languages as English, French, Dutch, Spanish, Italian, Swedish and Lithuanian.
Bergljot Hobæk Haff was awarded the Norwegian Critics Prize for Literature in 1962 for Bålet (Fire), and both the Brage Prize and the Norwegian Critics Prize for Literature in 1996 for Skammen (Shame). She received the Dobloug Prize in 1985, the Norwegian Academy Prize in 1988 and the Aschehoug Prize in 1989. She aslo was awarded the Brage Prize in 1996 for Skammen, the Norwegian Critics Prize for Literature 1996, for Skammen and the Riksmål Society Literature Prize in 1996. She has been nominated twice for the Nordic Council's Literature Prize, once for Den guddommelige tragedie and again for Renhetens pris.
In un desolato villaggio norvegese in cui "non esiste la parola malvagità" e nessuno intende dire più di ciò che effettivamente dice, una maestra e un forestiero dall'aria misteriosa destano sconcerto... È una favola sottilmente inquietante che mi ha ricordato le atmosfere di Draugen, non ho capito fino alla fine dove volesse andare a parare. Forse l'attesa di una spiegazione estenua un po', però il tutto è così affascinante che non ha troppa importanza. Stile particolare ma gradevole.
In un piccolissimo villaggio norvegese, dove vivono stipate poche anime e tutte si conoscono per nome [o quasi], le novità portano sempre destabilizzazioni e mormorii. Lo straniero capita spesso da quelle parti, e talvolta si ferma. E da semplice passaggio, il suo diventa un quotidiano incedere e partecipare alla vita semplice - e meravigliosa, per chi legge - di quel posto. Contribuire.
Succede così per "la maestra", che insegna nella scuola del villaggio e va a vivere in quella casa ai margini del bosco. All'inizio viene guardata con sospetto. Tutto di lei inquieta; tutto può essere pericoloso, sospetto o quanto meno da tenere d'occhio. Ma dopo aver vissuto per quelle strade abbastanza a lungo, dopo essersi presi cura uno dell'altro, la maestra diventa parte del villaggio. Si mescola a quei colori e contribuisce ad animarli. Stranieri, insomma, lo siamo un po' tutti. Almeno per un po'. Poi subentra l'essere accettati. Anche se... quelle speciali erbe che guariscono, quei rimedi per qualsiasi malanno. La parola "strega" non sarà mai pronunciata. Ma... certe volte è proprio tacerla, una parola, a renderla ancora più potente.
Ma ci sono cose che nascondiamo sotto pelle, per essere accettati. Parti non propriamente equilibratissime. Sfumature che non abbiamo accettato noi per primi e crediamo, di conseguenza, di doverle nascondere anche agli altri. E allora quando succede di incontrare persone capaci di migliorarsi, di accettarsi, di prendere la propria situazione e capovolgerla... ecco, ci ritroviamo a un bivio essenziale: imparare dall'altro, dalla sua capacità di maturare e progredire o regredire noi stessi e affossare quel tentativo di superamento dell'ostacolo e sporcare l'altro per sembrare meno sporchi noi stessi? E poi proprio non va giù quando notiamo che non a tutti servono erbe e miscugli per fare del bene agli altri. Che esiste una forma di altruismo che origina altrove. E allora ecco che rispunta la paura. Il pregiudizio. L'odio. Quando arriva lo straniero e in breve diventa il calzolaio, la maestra si trova a scegliere. Il resto è letteratura di pregevole stile e forma.
Un racconto che è un po' una fiaba invernale, perfetta da leggersi accanto al fuoco in una notte di vento urlante e di ombre alla finestra. Una villaggio che si anima via via che vengono introdotti nella storia i personaggi e non capisci mai se i veri protagonisti siano "il vecchio veggente" o "la strada maestra". E non ti importa, perché è maestoso e bello ugualmente.
Una storia che respira, e ti sussurra - come un pregiudizio spaventato o un sotterfugio o un un'opinione che diventa lapidaria - di quanto sia sottile il confine tra verità oggettive e soggettive. E di quanto tragico possa essere non capirlo in tempo.
Bellissimo e consigliato a chi cerchi una lettura evocativa e suggestiva, di quieto ed elegante realismo magico, non quello eclatante tanto caro ai sudamericani. Questo è lieve ed accennato, e bene si adatta al clima rigido del Nord del Mondo.
Bålet ga meg veldig mye. Både tankemessig og følelsemessig. Den gikk så inn under huden på meg at jeg strevde med å lese om hvordan det gikk. Og så tenker jeg om det er sånn det er i virkeligheten? Er det så lett å bli lurt av noen som legger vekten på det negative? Og hvordan tenker jeg om mine medmennesker? Er jeg positiv, tillitsfull og uskyldig, eller heller jeg mot det motsatte? Jeg håper på det ene og frykter det andre, men mens jeg tenker på det anbefaler jeg sterkt at du leser Bålet. Hele min omtale finner du på bloggen min Betraktninger
Una storia che si attacca un po’ come il catrame, pervasa di personaggi ai margini dell’esistenza e inesistenti a essa; una lettura tuttavia intrigante.