Bisogna immaginarselo, Vincenzo Malinconico che va dallo psicoterapeuta e non e' capace di fare il paziente. Bisogna immaginarselo fuori dallo studio, per strada, o a casa, mentre vive la sua vita e si fa le domande piu' eccentriche e peregrine, e trova le risposte piu' folli e piu' logiche. Tagliarsi la lingua leccando una busta e' o meno un infortunio che la racconta piu' lunga di quel che sembra? Ci siamo interrogati abbastanza sulla portata avanguardistica di Raffaella Carra'? Perche' guardare una palma mozzata sul lungomare puo' falsificare in un attimo il bilancio di un'esistenza intera? E' una gioia stargli dietro, seguire la sua testa tortuosa e cristallina mentre formula teoremi, aforismi e vanvere, variazioni sul tema dell'amore, dell'emotivita' e dei sentimenti; improvvisi interrogativi su parole che a un tratto perdono di senso; recensioni estemporanee di vecchie canzoni, di strani film, di eventi e persone; appunti sulla vita che assomigliano agli spilli di un entomologo instancabile. Nei suoi tentativi di analisi fai-da-te per ricomporre il senso di una storia finita, Vincenzo nasconde se stesso e il suo problema, per dirci molto di piu'. Un romanzo vorticoso, fatto di pezzi brevi, comici, filosofici, sempre folgoranti, dove la scrittura si palesa al lettore in una delle sue versioni piu' quella di strumento per capire come la pensiamo sulle cose.
Diego De Silva, scrittore, giornalista e sceneggiatore, è nato a Napoli nel 1964. Il suo romanzo "La donna di scorta" (1999) è stato finalista del premio Montblanc, "Certi bambini" (2001) è stato selezionato per il premio Campiello e "Non avevo capito niente" (2007) ha vinto il premio Napoli ed è stato finalista al premio Strega. Da "Certi bambini", la crudele storia di un ragazzo di strada assoldato come killer dalla camorra, è stato tratto nel 2004 l'omonimo film diretto dai fratelli Frazzi, vincitore di numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, fra i quali l'Oscar europeo e due David di Donatello. Molti suoi racconti sono apparsi in svariate antologie, fra le quali "Disertori e Crimini". Dal racconto "Il covo di Teresa", in particolare, nel 2006 è stato tratto un film tv interpretato da Lina Sastri per la regia di Stefano Sollima. Con Antonio Pascale e Valeria Parrella ha firmato lo spettacolo teatrale "Tre terzi", interpretato da Marina Confalone e diretto da Giuseppe Bertolucci. Tra i suoi ultimi lavori si ricordano i romanzi "Sono contrario alle emozioni" e "Mancarsi". Oltre a scrivere per il cinema, la tv e il teatro, De Silva collabora al quotidiano "Il Mattino". I suoi libri sono tradotti in Inghilterra, Francia, Spagna, Germania, Olanda, Portogallo e Grecia.
Non è scritto male. Ma l'idea dell'analisi del testo letterario applicata alle canzoni della Carrà non è sufficiente a fare un libro - e qui c'è poco di più.
E ci credo che sia contrario! Vincenzo il protagonista è in analisi, un po' perché è stato piantato dalla sua donna, e questo gli provoca una serie di emozioni negative dalle quali non riesce a schiodarsi, un po', invece, perché è tendenzialmente uno che sa analizzare ogni singola situazione che gli capita dal versante emozionale, però non sa affrontarla, ma solo subirla. Ecco, non pensare che dica: adesso sono triste, adesso sono malinconico, adesso sono ironico ecc. ecc. No. Ogni situazione è un caleidoscopio dove si sovrappongono tante forme della durata di qualche attimo, dei flash presto scalzati da una nuova vampata emotiva che può essere o meno conseguenza delle precedenti.
Una delle variabili per cui De Silva riesce bene ad esplicitare questi stati d'animo è, a mio avviso, quella abilità tutta partenopea - e mi torna in mente il Tony Pagoda di Sorrentino- che sa descrivere il controllo di sé che sfugge, ma che poi improvvisamente viene riacchiappato in un impeto di coscienza, come se si stessero rincorrendo bolle di sapone.
Di fatto le sedute di analisi servono a poco, Vincenzo tiene tutto per sé o, meglio, regala il suo disagio al lettore che diventa il suo analista temporaneo. Ma il lettore, o la lettrice, può solo prendere atto e riconoscersi, se abbastanza sensibile, in questa macedonia neuro-ormonale, indistinta e caotica.
Il romanzo è organizzato in brevi brani con alcune chicche di apprezzabile profondità. Sempre scorrevole, spesso divertente.
Un discorso a parte va fatto per gli inserimenti relativi all'analisi socio-antropologica delle canzoni di Raffaella Carrà: Rumore, Forte Forte Forte, Tanti auguri, Chissà se va, quest'ultima in parallelo con Vita spericolata di Vasco Rossi, esaminate come raptus emozionale collettivo. Queste non te le devi assolutamente perdere.
Una raccolta di pensieri ed elucubrazioni (leggi: pippe mentali) di Vincenzo, un omuncolo di mezz'età insicuro e frustrato e saccente.
Do due stelle per l'antipatia del personaggio e per la banalità delle riflessioni presentate. Perle dello stile: le donne all'aeroporto sono più gnocche, il giornalismo moderno si basa sullo stupro emotivo, la vita è un pozzo senza fondo.
Do due stelle per il provincialismo uno stereotipo dopo l'altro che neanche Gerry Scotti al milionario.
Do una stella per la scrittura. Vuoi scrivere un libro banale, ok perfetto, de gustibus. Ma per favore impara a mettere insieme una frase, il libro è ricco di virtuosismi linguistici senza senso, parole auliche a cazzo (la situazione aeroportuale invece che l'aeroporto...) insieme a termini colloquiali da bar. Ma non c'era un editore che poteva controllare?
Cmq il libro lo sconsiglio, è una brutta copia un po' provinciale di Palaniuk.
Diego De Silva ci accompagna e ci guida nel labirinto di pensieri dell'avvocato Malinconico, che tenta un'autoanalisi cercando di smantellare le proprie barriere e di sfuggire alle proprie emozioni. "Lasciate che (...) Che mi goda l'immensità di un pomeriggio di noia. Che guardi un tramonto senza provare assolutamente nulla. Che mi dispiaccia lasciare solo un albero. (...) Che (...) a un tratto capisca che cinque righe sarebbero uno spazio più che sufficiente a raccontare la mia vita fin qui, e che il poco che ho fatto e sono mi basti."
Un insieme di racconti che dicono tutto e niente. Nel complesso in questo libro sono presenti delle riflessioni interessanti, ma non sono state sviluppate a fondo.
Duole constatare come l'avvocato Vincenzo Malinconico abbia lsciato il posto al suo gemello supponente, poco divertente ed estremamente ripetitivo. Se escludiamo alcune piccole chicche, di solito in concomitanza con la sua presenza nello studio psicologico del Dott. Wolf, la storia non esiste, le sue elucubrazioni sono poco pungenti e piuttosto già sentite, nonostante antropologicamente parlando anche interessanti, specialmente quelle su Raffaella Carrà. Tra l'altro non mi riesco nemmeno a ricordare dove ho letto la prima storia, quella della donna all'areoporto per capirsi... Speriamo che ci sia un futuro migliore per l'avvocato dei miei sogni, oppure preferisco ricordarlo così come l'ho conosciuto in "Non avevo capito niente".
Mi sento sempre più in sintonia con l’avvocato Malinconico, che qui ci mostra un ricco campionario di pippe mentali con le quali mi trovo spesso (troppo?) d’accordo. E per di più lo fa senza nemmeno una bozza di trama, di storia, approfittando delle sedute dall’analista per sviscerare anche a noi i suoi racconti, le sue riflessioni e le sue pillole di vita che si premura di trascrivere ogni volta che gli passano per la mente. Naturalmente è piuttosto esilarante, ed è per questo che non ci si annoia. Un’osservazione: l’avvocato sarà anche sfigato, ma finisce sempre nel letto di belle donne. Non sarà che, più che esserci, ci fa?
Il bel gioco dura poco. Forse questa frase che mia madre mi ripeteva spesso quando ero bambino andrebbe ripetuta anche a De Silva e al suo Vincenzo Malinconico. Questo terzo libro della serie è in effetti decisamente sottotono oltre a non avere alcun senso. Una storia non c'è e si tratta di una cinquantina di capitoletti di 2/3 pagine nei quali Malinconico riflette sugli argomenti più disparati con il solito fatalismo e surrealismo. Il risultato è che si sorride circa tre volte in 160 pagine: forse un po' poco!
Adoro De Silva, pur avendo letto alcuni libri di Malinconico in maniera disordinata volevo mettermi in pari dopo aver visto la serie, ma questo libro non ha né capo né coda, non ha conclusione, non ha trama, non dice niente di interessante. La parte più simpatica è quella dell'analisi del testo delle canzoni di Raffaella Carrà. Ecco, magari avrei messo un titolo su Raffaella per questo libro.
l'impressione è che siano fondi di cassetto. peccato, perché da silva scrive davvero bene, ed è ancora capace di belle intuizioni e di chiudere i capitoli in maniera perfetta. aspetto il prossimo romanzo
Stravolgente. Una cosa orribile. Un autore che era simpatico e che passa il tempo a raccontare quelle che pensa di questo e di quello senza nessun costrutto. Si salvano poche pagine che contengono la storia con Viola. Credo non leggero null'altro di suo!
Bene ma non benissimo... qualche banalità, ma soprattutto non si capisce dove si va a finire. Mi sembra alla fine che sia la storia tra lo psicologo, il paziente e Raffaella Carrà.
Oh, posso dire? Vincenzo Malinconico è quella sicurezza che dà una coperta quando abbiamo freddo; è la mano alzata dell’altro studente per fare la domanda che avevi in canna anche te e che ti fa sentire meno stupido; è la solita pizza che mangi da anni in un menù di stranezze. Perde tono, De Silva: non c’è una trama a supportare lo sproloquio dell’avvocato, ma si susseguono tante piccole scene legate tra loro come in un circuito in serie. Inciampa negli stessi luoghi comuni di cui si prendeva gioco nei primi due romanzi e tira (paradossalmente, essendo un libro corto) troppo alla lunga questa faccenda delle emozioni –sì, ok che è nel titolo, ma “ah ah ah ah cala cala Merlino”– e della sua scarsa attitudine all’accettazione del fallimento. Detto ciò forse è proprio questa banalità che ce lo rende così coperta/mano alzata/solita pizza e così porto sicuro che non me la sono sentita di considerarlo un libro totalmente no. E poi trasudo entusiasmo ad ogni analisi del testo delle canzoni degli anni ‘70. La serietà con cui racconta i successi della Carrà e l’incondizionata fiducia che nutre nei concetti fin troppo terreni e frivoli espressi in quei brani sono il sale del romanzo. Ecco le vere chicche; non basta, “la verità”, ma sono gioielli veri.
Sono un fan di Diego de Silva, ed i libri posteriori a questo (2011) sono per me molto più completi, tipo I Valori non Contano, Divorziare con Stile o Mia Suocera Beve. Tutti hanno uno sviluppo più elaborato e attendibile dentro l'universo particolare 'Silviano'. Allora, questo libro mi è deluso, perché non ho potuto capire cosa uniscono tutti questii capitoli, non c'è una narrativa scorrevole, anzi ci sono molti capitoli corti che non c'entrano niente e non so cosa fanno qua. Il capitolo su Raffaella Carra, il che racconta come si taglia le labbra quando si lecca una busta con il pegamento non auto adhesivo - ma merita questo un capitulo, caro Diego? -ed altrettanti sui Duran Duran, e il raccontino che viene quasi alla fine sul ragazzo e la ragazza che vanno al supermercato; vabbene, ho capito la scena, ma non finisce proprio - o se finisce, non soddisfa al lettore, almeno questo qua. E non c'entra niente con quello che viene prima e quello viene dopo.
O magari ho perso qualcosa, qualche filo conduttrice? Leggo in italiano da dieci anni ormai, ho letto letto e riletto diversi libri di Diego, ma questo mi ha lasciato 'strammato'. Dove sei quando abbiamo bisogno di te, Benny Lacalamita!
Adoro Diego De Silva e l'avvocato Malinconico ma questo libro non è affatto fra i miei preferiti. Prima di tutto é troppo breve e poi Malinconico é troppo triste e sofferente, manca la sua verve la sua ironia, il suo stare al mondo vedendo il lato ridicolo di ogni cosa. Infatti va dallo psicologo ma semplicemente perché sta male dentro, soffre per amore, non riesce a superare il lutto. Ma succede che mette molta più passione e riceve molto più conforto dall'analizzare le canzoni di Raffaella Carra' che dai colloqui con lui. L'unico guizzo rimane una cena con Viola, la sua amante senza impegno, nella quale lei dà il meglio di sé per risolvere una situazione pericolosa e imbarazzante.
Nei libri precedenti sono riuscito non solo a digerire ma anche ad apprezzare (quantomeno in gran parte) le elucubrazioni mentali di Vincenzo Malinconico, grazie soprattutto al fatto che ci fosse comunque una trama portante. In questo romanzo però non c’è alcuna trama. L’assenza di una storia fa sì che il “bla bla” di Vincenzo risulti fin troppo pesante e indigesto. Ci sono dei capitoli che ho letto con grande interesse, ma nell’insieme questo scritto mi ha più tediato che intrattenuto. Non aggiunge nulla alla serie di Vincenzo. Per quanto mi riguarda, lo trovo assolutamente inutile e superfluo.
Sembra partire da un episodio dal quale mi aspetto un dipanarsi di interrogazioni sui sentimenti, sulle emozioni, sull'amore e le delusioni. E invece no. All'improvviso diventa un dialogo con se stesso. Dettagli del passato, interrogativi su musiche, parole, costumi, stili di vita. Con chi sta parlando Vincenzo, il personaggio del romanzo? Col suo analista, con se stesso, con noi. E finisce, irrisolto, come possono essere molte domande che ci facciamo. E possiamo solo continuare a vivere. Per poter forse scoprire risposte.
Di Vincenzo Malinconico, alla fine, un po' ci si innamora... del suo essere un fortunato sfigato, delle sue ansie, le sue idiosincrasie... questo libro racconta una delle sue avventure ma fa fare un giro nella testa di questo personaggio... nel suo incessante pensare, trovarsi alibi e darsi colpe, accompagnati sempre dalla sua ironia a volte filosofica, a volte guascona... insomma, un compendio del Malinconico pensiero, che di malinconico non ha nulla.
Un po' meno di 4⭐. Terzo capitolo della saga di Malinconico: per adesso quello che mi ha convinta meno. Lo stile e la scrittura continuano a piacermi tantissimo, ma stavolta ho sofferto la mancanza di una trama forte. Forse un capitolo di passaggio verso il quarto volume? Non so. In ogni caso Vincenzo Malinconico continua a piacermi da morire e ancora di più ora che s'è autotrascinato in terapia. Uno di noi. "-L'aspetto mercoledì, Vincenzo."
Andrebbe letto anche solo per gli "instant" sulle canzonette della musica italiana anni 70, che ne analizzano approfonditamente il senso, elevandole dalla banalità a cui sono irrimediabilmente considerate legate. Il confronto tra Chissà se va di Raffaella Carrà e Vita Spericolata di Vasco ne è un chiaro esempio.
La verità è che siamo un po’ tutti come il protagonista di questo libro. La verità è che siamo un po’ tutti Vincenzo Malinconico, siamo tutti lì, a sentirci inadatti per questa vita e a provare costantemente a trovare un modo di sopravvivere con la nostra (a)normalità. Un libro che è un enorme flusso di coscienza (ma scritto magistralmente). E va bene così.
Stile particolare, riconoscibile, ironico. Per la prima volta mi sono fatto delle gran risate leggendo un libro. Però l’assenza di trama mi sta un po’ sul cazzo, perché alla fine non ti lascia molto, se non una serie di aneddoti.