Pietro e Massimo Sini vivono un'infanzia dorata. Villa con campo da tennis, piscina, videogame Atari. Poi, una mattina del 1976 cambia tutto. La polizia arriva in casa con un ordine di arresto e si porta via il padre. "Il mostro delle Cinque Terre" lo chiameranno qualche giorno dopo i giornali. Sono passati quasi trent'anni e i due fratelli hanno preso strade differenti: Pietro ha trascorso l'adolescenza in un istituto di preti a Torino e ora fa il cronista di nera in un giornale, Massimo ha vissuto con un zio a Padova ed è diventato commissario di polizia. Ma i delitti di un serial killer che da due anni cuce con ago e filo le vagine delle sue vittime, li riavvicinano. Sembrano tutt'e due cambiati. Massimo, che da piccolo era un tipo violento che usava minacciare i suoi coetanei con la frase «vatti a nascondere in Tibet», ora è un uomo stanco e triste che beve troppi martini. Pietro invece è diventato scaltro e freddo come un serpente. Non ha storie d'amore, non ha amici. Vive per il suo lavoro. Il suo unico obiettivo è mettere suo fratello sulle tracce del serial killer e farlo diventare un eroe. Ci riuscirà?
Sangue marcio è il primo romanzo di Antonio Manzoni pubblicato vent’anni fa da Fazi.
Ritorna in libreria per Piemme, così come fu pubblicato vent’anni fa. Il romanzo, nerissimo, narra la storia di due fratelli, Massimo e Pietro, segnati da un trauma irreversibile durante l’infanzia.
Scrive Martina Donati nella postazione
“Nell’estate del 2004 ricevetti un libro. O come si chiamavano allora, un manoscritto – parola che oggi fa intenerire, come «fax» o «carta carbone» – ma che aveva un’aura rituale, quasi sacrale. A farmelo avere fu l’amico Niccolò Ammaniti, con cui Antonio Manzini aveva appena scritto un racconto per Crimini, un’antologia, un manifesto non dichiarato del noir italiano. Ci incontrammo per un caffè (o forse era un cappuccino, ma preferisco ricordarlo nero e amaro, come si confà ai momenti cruciali), e Niccolò mi passò il plico manco fosse refurtiva: «Leggilo. È forte. L’ha scritto Manzini». […]
“Quel ragazzone ironico e gentile aveva scritto qualcosa che doveva essere pubblicato. E così fu: Sangue marcio uscì l’estate seguente per i tipi di Fazi, dove all’epoca lavoravo. Da allora, tante cose sono cambiate. I dattiloscritti hanno ceduto il passo ai pdf. L’enorme pancia che mi teneva sveglia si è trasformata in un sangue misto che oggi vive in Olanda e studia acqua e suolo. Ma soprattutto, dall’immaginazione di Antonio Manzini, dopo una seconda prova narrativa, è uscito Rocco Schiavone. Uno dei personaggi più intelligenti, fuori dagli schemi e irresistibilmente umani del panorama letterario. Ironico, acido, malinconico: un poliziotto con l’anima rotta e l’etica stortignaccola, che ci ha insegnato che dietro ogni cinismo può nascondersi un dolore, e dietro ogni battuta, un abisso. Eppure, le radici di tutto stavano già lì, dentro Sangue marcio. Una storia che non faceva sconti, ma nemmeno prediche.”
Ho divorato Sangue marcio e alcune scene ancora mi tornano in mente. Ciascuno di noi contiene abissi di dolore e di paura… Ed è un attimo, e tutto salta.
La prima prova letteraria di Antonio Manzini, pubblicata vent’anni fa da Fazi e ora ristampata da Piemme, è stata per me la classica lettura da ombrellone, in senso letterale: l’ho letta con calma nel periodo in cui in realtà la mente non la voglio impegnare mai, ovvero sotto l’ombrellone, mentre sentivo le onde del mare infrangersi, avvolta da un senso di beatitudine e rilassamento. Ma era davvero una lettura d’ombrellone? Siamo ben lontani dalle atmosfere del Manzini che conosciamo, perché manca la pungente ironia di Rocco Schiavone e, da questo punto di vista, la scrittura può apparire un po’ monocorde e depersonalizzata. Tuttavia, nei coloriti dialoghi tra uno dei protagonisti, Pietro, e gli amici Enzo e Bruschetta (non proprio stinchi di santi) ho ritrovato la verve che poi emergerà nel gruppo dei romanacci amici di Schiavone. La storia, semplice e schietta, è quella di un serial killer che cuce con ago e filo le vagine delle sue vittime: l’indagine, in realtà inesistente e fatta per lo più di sensazioni e suggestioni, avvicina Massimo, detective, e Pietro, giornalista di cronaca, due fratelli il cui padre, vent’anni prima, era stato arrestato con l’accusa di essere lui stesso il serial killer noto col soprannome di “Il mostro delle cinque terre”. La trama thriller non riserva particolari colpi di scena ma suggerisce riflessioni sugli abissi di terrore e paura che possono squarciarci da un momento all’altro, facendo sì che la nostra vita prenda una curva inaspettata. Che dire, non il solito Manzini, eppure un bel Manzini.
L'ho ascoltato in una sola seduta (dovevo stirare tante cose) e forse per quello e/o per il fatto che mi avesse ricordato molto Faletti, ma l'assassino mi é stato immediatamente chiaro, ma probabilmente non sono l'unica a cui é capitato. Un giallo come ce ne sono tanti, con plot twist finale, ma scritto da uno che lo sa fare e che sa fare anche la differenza.
Letto in 24 ore. Un noir crudo, travolgente, che ti trascina con sé. Una scrittura magnetica che trasmette tutto il dolore di questa storia. Manzini torna con questo libro dopo 20 anni dalla sua uscita. L’ha lasciato così com’era, e ha fatto bene. Non cambierei niente di questa storia! È vero, l’epilogo era scontato, ma non mi ha infastidito per niente. Perché in questa storia non è l’effetto sorpresa a contare, ma le emozioni. La sua penna, che d’altronde nasce come sceneggiatore, trascina in mezzo ai personaggi e agli eventi, ma soprattutto ai loro sentimenti. Due fratelli la cui infanzia è stata interrotta quando un giorno il padre viene arrestato per essere “il mostro delle cinque terre”. Due fratelli che, trent’anni dopo, hanno la loro vita, che è stata scandita dalle conseguenze di quel tragico giorno. Massimo è commissario di polizia, mentre Pietro è giornalista. Insieme, danno la caccia ad un serial killer. La narrazione è dal pov di Pietro, il fratello più piccolo. I capitoli sono piuttosto lunghi ma coinvolgenti, quindi non si sente mai lunghezza delle pagine. Pietro alterna il racconto tra il passato e il presente, e alcune scene del passato mi hanno particolarmente toccata. La scrittura di Manzini è talmente evocativa che in più scene ho provato esattamente ciò che provavano i personaggi, e sono arrivata alla fine che mi sono addirittura commossa per Pietro (chi ha letto, capisce). Ho percepito tutte le sue emozioni al punto da comprenderlo. Da giustificarlo. Ho amato la scena finale, anch’essa carica di tragedia. Sono felice di aver recuperato questo libro di Manzini!
La trama prometteva bene: Pietro e Massimo crescono in una famiglia agiata, tra tennis privato, piscina e videogiochi . Un’infanzia perfetta, finché nel 1976 la polizia irrompe nella villa e arresta il padre, presto ribattezzato dai giornali “il mostro delle Cinque Terre”. Quasi trent’anni dopo, i due fratelli si ritrovano, cambiati dalla vita: Pietro è un cronista, Massimo un commissario. Ma qualcosa li unisce ancora: una serie di omicidi efferati, la firma di un serial killer. Peccato che tutto questo rimanga solo sulla carta. Il romanzo si rivela sin da subito banale e prevedibile. Se avete letto anche solo un paio di noir, intuirete immediatamente i colpi di scena (spoiler: non lo sono). Lo stile? Inesistente. Piatto, scolastico, senza una vera voce narrativa. Nessuna tensione, nessuna atmosfera, non c’è pathos. Solo una trama meccanica, che gira a vuoto fino al finale già scritto nella testa del lettore da pagina 50 Zero empatia coi personaggi, che sembrano più funzioni narrative che esseri umani. Neppure il passato drammatico basta a renderli tridimensionali. In sintesi? Un libro che si dimentica non appena chiusa l’ultima pagina. Consigliato ⭐️⭐️/5
No, le cinque stelle non posso darle solo per il disgusto di certe scene, che potevano benissimo essere evitate. Comunque al di fuori di questo un gran bel esordio. Amo i libri di Manzini, soprattutto quelli con il commissario Schiavone e in questo romanzo le premesse per un personaggio tormentato come Schiavone ci sono tutte. “Il cielo e la terra, la terra e il cielo” i personaggi di Massimo e Pietro sono agli antipodi e raccontano storie di abusi e di abbandono, di devianze, di malavita, di droga, di prostituzione ma anche di vita famigliare più o meno problematica. Uno spaccato di vita che vogliamo pensare non esista fino a quando non spunta il serial killer. Forse e dico forse in questo libro Manzini voleva raccontare la vita e non portarci alla soluzione di un giallo, già chiara dopo poche pagine. Un noir atipico.
Ho assegnato 4 stelle, anche se a voler essere rigorosi il valore complessivo del libro sarebbe più vicino a 3, al massimo 3,5. Scelgo però di arrotondare in alto, e lo faccio consapevolmente. Sangue marcio è un’opera prima e questo si avverte: la struttura è talvolta irregolare, il ritmo non sempre uniforme e alcuni passaggi narrativi risultano meno incisivi rispetto ai romanzi successivi. Tuttavia, proprio in questa fase ancora acerba, si intravedono già con chiarezza diversi elementi che diventeranno centrali nella scrittura di Antonio Manzini. C’è l’attenzione per l’umanità marginale, il disagio morale che attraversa i personaggi, una certa ruvidità nei dialoghi e soprattutto quello sguardo disincantato e amaro sulla realtà che sarà poi una cifra distintiva di Rocco Schiavone. Il personaggio non è ancora presente, ma il suo DNA narrativo sì: si riconoscono il look etico, la tensione tra giustizia e disillusione, l’attrazione per figure imperfette e contraddittorie. Non è un romanzo maturo, ma è un libro importante per capire da dove nasce Manzini e perché, pochi anni dopo, riuscirà a creare uno dei personaggi più riusciti del noir italiano contemporaneo. Per questo, pur con i suoi limiti, merita una valutazione generosa.
Acerbo, prevedibile, un po' goffo. Eppure... mi è piaciuto! L'ho trovato un'ottimo inizio per un autore che di lì a poco avrebbe scritto a tempo pieno. Ci sono i temi, i personaggi, c'è già un po' di stile, c'è la voglia di non fare sconti, di mostrare l'orrore dell'uomo, di far cadere gli eroi. C'è la malinconia, il dolore, il rimpianto. Acerbo, goffo e prevedibile. Eppure alla fine preferisco questo a certi capitoli un po' stanchi di Rocco Schiavone.
Non conoscevo il libro lo ammetto, e non ho mai letto nulla dell’autore, è così quando ho scoperto di questa ristampa, ho deciso di dargli un’opportunità.
È il primo libro scritto dall’autore, ed è un noir che non lascia scampo. Scritto di pugno dal protagonista, come se ci stesse raccontato la storia direttamente, è una storia che ci pone davanti alla domanda “ma come prosegue la vita di una famiglia che contiene un assassino?”
Questa domanda viene analizzata nel libro grazie ai notevoli flashback che ci riportano a quando Pietro e Massimo, i figli di questo Assassino, erano solo dei bambini. Molto interessante il modo in cui il rapporto fraterno viene raccontato tramite il “racconto”di Pietro.
Crudo, spietato e senza censure, la scrittura è molto fredda e distaccata, non si empatizza con il protagonista, ma nonostante questo si è completamente catapultati all’interno della storia, e non si riesce a posare il libro nemmeno per mangiare.
Molto bello, ho amato la penna dell’autore e lo consiglio vivamente agli amanti del genere. MA data la durezza delle scene, non è adatto a tutti.
Antonio Manzini - Sangue Marcio Questo è la storia di Pietro e Massimo Sini, due fratelli che oggi hanno una vita molto diversa, dovuta ad un'infanzia segnata da una tragedia comune, quella di un padre assassino seriale, arrestato sotto i loro sguardi impietriti e increduli. La loro adolescenza perfetta passa dagli agi della ricca famiglia, agli incubi della tragedia che li ha colpiti, la vita in istituto per Pietro e quella da uno zio per Massimo. Oggi Pietro è un giornalista di cronaca nera, Massimo è un commissario di polizia che sta lavorando al caso di un serial killer. Questo atroce termine, torna prepotentemente nelle vite dei due fratelli, in maniera ancora più inaccettabile. Credo sia il primo libro di Manzini e mi è piaciuto molto pur essendo tremendamente inquietante. Manca un pò di scorrevolezza dovuta al fatto che non è molto chiaro nelle fasi iniziali, poi alla fine tutto si chiarisce. Qualche pagina in più avrebbe aiutato.
Sangue marcio è il primo libro scritto da Antonio Manzini, e non avrei mai potuto evitare di leggerlo, perchè il suo modo di scrivere mi affascina, le sue trame sono sempre lodevoli. Invece ho commesso un grande errore, dare per scontato che ogni libro pubblicato da uno scrittore che conosco e apprezzo possa necessariamente essere degno di lode, questo romanzo ha una trama fallace in mille punti diversi, si capisce subito il colpevole, le descrizioni di violenza sono troppe e troppo esplicite, non perchè in altri thriller non lo siano, ma qui sono esagerate e dato il tema avrei gradito un modo di raccontare più soft. Il presente e il passato di Pietro e Massimo, il primo diventato un giornalista e il secondo un commissario di polizia, Pietro rivive il ricordo del passato, la sua vita quando erano piccoli, quando la sua famiglia benestante ha fatto i conti con l'arresto del padre, accusato di essere "il mostro delle Cinque Terre" perché ciò che commette avveniva nella loro casa al mare ligure. Pietro e Massimo hanno una vita diversa, Pietro è costretto a studiare in un collegio, lui introverso e spaventato da tutto deve cavarsela da solo, deve reagire alle violenze che subisce e a sua volta sarà lui stesso ad infliggere le stesse violenze ad altri studenti del collegio, Massimo è sempre riuscito a reagire, impulsivo, estroverso, lui sa come comandare anche se poi saranno i martini ad essere la sua unica consolazione. I due fratelli si incontrano mentre stanno dando la caccia ad un serial killer che uccide donne bionde con occhi azzurri, non lascia traccia, è esageratamente meticoloso e non si comprende cosa possa legare questi omicidi tra loro, tranne per la descrizione fisica delle vittime. Pietro cerca di parlare con il fratello, non accetta che possa separarsi dalla moglie e sa che la causa principale è la mancata cattura dell'assassino, ed è per questo che vuole aiutarlo, sa come aiutarlo e sa che è l'unico gesto che può compiere per amore nei confronti di Massimo. Tra una descrizione di violenza e l'altra capisco subito cosa sto leggendo, mi rendo conto delle intenzioni di Antonio Manzini, capisco che la trama può essere interessante se solo fosse meno angosciante leggere i dettagli, se solo fosse meno evidente chi sia il colpevole e il perché uccide, ma capisco anche gli intenti dello scrittore in questo romanzo e che non era incentrato sugli omicidi e sull'assassino, ma sulla storia in sé, sulle violenze subite e perpetrare, sul passato e su come abbia influito sul presente, sulla sofferenza, sul dolore, su tutto ciò che si subisce e sulle relative reazioni.
Questo è il libro d’esordio di Manzini, papà letterario del famoso vicequestore Rocco Schiav0ne, per cui ho un debole. Pubblicato vent’anni fa e’ stato ri-pubblicato di recente ed ecco qua l’occasione giusta per leggerlo, anzi ascoltare l’audiolibro nel mio caso. Negli anni settanta Massimo e Pietro sono due bambini più che benestanti, abitano in una villa con piscina e campi da tennis, hanno domestici, tutti i giochi in voga all’epoca. Il loro papà è un imprenditore. Ma un giorno tutto cambia, il papà viene arrestato, e’ quello che i giornali di cronaca hanno ribattezzato “Mostro delle Cinque Terre”. La vita di Massimo e Pietro viene stravolta. Massimo più grande viene affidato ad uno zio. Pietro più piccolo finisce in un istituto torinese. Trent’anni dopo Pietro e’ diventato giornalista di cronaca nera mentre Massimo è commissario di polizia. Una serie di omicidi li fa avvicinare perché sono entrambi coinvolti a livello lavorativo, l’uno nelle indagini, l’altro negli articoli di cronaca.
Un libro d’esordio che lascia il segno, la storia e’ scorrevole e trascinante, la narrazione fluida e, nonostante s’intuisca quasi subito l’identità del killer la storia riesce a tenere il ritmo fino alla fine. Lo stile è crudo, molto di più rispetto ai romanzi di Schiavone che ho letto, alcune scene non sono sicuramente adatte a tutti e penso che per qualcuno potrebbero essere particolarmente disturbanti. Io le ho trovate molto ben scritte nella loro crudezza, riescono a descrivere molto bene la psiche dei personaggi. Forse un po’ acerbo rispetto ad altri suoi libri ma, per essere un’esordio per me è un libro capace di catturare l’attenzione, di incuriosire e difficile da lasciar da parte. L’ho ascoltato in poche ore, complice anche l’interpretazione del lettore. Per me è stata una bella lettura. Lo consiglio per una lettura consapevole, ci sono scene esplicite, di sess0 e violenze, disturbanti per molti, io sono sincera le ho trovate efficaci ma non mi hanno particolarmente turbata. Oltre ai romanzi con protagonista il caro Rocco leggeró sicuramente altro di Manzini.
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Questo è un romanzo che spiazza. Non cerca consolazioni né redenzioni facili. Manzini costruisce un protagonista respingente, moralmente ambiguo, ma incredibilmente credibile. Non cerca la complicità del lettore, anzi: lo sfida, lo mette a disagio, lo costringe a guardare in faccia l’abiezione senza filtri. Dal punto di vista stilistico, è una scrittura secca, essenziale, più vicina al noir “esistenziale” alla Simenon che al giallo classico. C’è un senso di squallore e fallimento che permea tutto il romanzo, nelle atmosfere, nei dialoghi, nei silenzi. E c’è un talento particolare nel raccontare il male senza spettacolarizzarlo, lasciandolo emergere nei piccoli gesti, negli sguardi, nelle omissioni. Non è una lettura per tutti. Chi cerca empatia o una struttura rassicurante da romanzo di genere potrebbe restarne deluso, ma chi ama il noir autentico, quello che scava nella parte più torbida dell’animo umano, troverà una voce potente e originale. Mi ha ricordato molto Tutti i particolari in cronaca, sempre di Manzini: due opere legate da uno stile asciutto, visivo, e da una forte attenzione alla psicologia dei personaggi più che all’intreccio. Nonostante in entrambi i romanzi si possa intuire il colpevole, Manzini ci incolla alle pagine, dosando abilmente le rivelazioni e costruendo un crescendo che culmina in un finale rotondo che mette a fuoco il tema delle relazioni tossiche e delle dinamiche distorte delle famiglie disfunzionali. La scrittura, priva di sovrastrutture commerciali, riflette un autore ancora lontano dal successo mainstream e onestamente, l’ho preferita alla più nota serie Rocco Schiavone che divaga troppo in sottotrame e protagonisti secondari. Qui il protagonista è solo Pietro e non ti piacerà, non empatizzerai, non gli concederai alibi, ma avrai fame di sapere a tutti i costi come finirà e che succederà. Funziona.
Un romanzo spiazzante, duro, che non fa sconti al lettore. Il linguaggio crudo, diretto, quasi brutale ha suscitato reazioni contrastanti, disturbando la sensibilità di alcuni lettori che, rispetto alla narrazione, l'hanno giudicata estremamente aspra. A mio avviso reputo, invece, che era l'unico modo in cui, proprio attraverso la crudeltà linguistica, si potesse attribuire forza e autenticità ai personaggi e alle situazioni.
Se per alcuni questa durezza ha, in qualche modo, vanificato la potenza emotiva del racconto per altri, come la sottoscritta, è stata, invece, la chiave di lettura della delicatezza nascosta dietro ai fatti narrati.
La storia ruota intorno a due fratelli, Pietro e Massimo, segnati, in periodo adolescenziale, dall'arresto del padre accusato di essere un serial killer. La freddezza clinica di Manzini con cui racconta i fatti evidenzia le fragilità emotive dei protagonisti. Dietro ogni gesto, ogni silenzio, s'intravede il dolore di un'adolescenza spezzata, le difficoltà di crescere con un'ombra così ingombrante alle spalle.
Pietro, il fratello maggiore, sembra seguire le orme del padre. Non in modo esplicito, ma attraverso piccoli segnali, scelte ambigue, atteggiamenti che lasciano intuire un'identificazione profonda, forse inconscia, con la figura paterna. E' come se il trauma non solo lo avesse segnato, ma lo avesse anche modellato, spingendolo verso un destino che cerca di evitare ma che, in qualche modo, lo attrae.
Sangue marcio è un romanzo che non consola, ma che colpisce per la sua sincerità e per la capacità di raccontare il dolore senza retorica. Un libro che non si dimentica facilmente, anche quando - o forse proprio perchè - ci mette a disagio.
La trama di 'Sangue marcio' è potente e magnetica: due fratelli, Pietro e Massimo, cresciuti in un ambiente agiato, vedono il loro mondo crollare quando il padre viene arrestato con l’accusa di essere “il mostro delle Cinque Terre”. Trent’anni dopo, le loro strade si incrociano di nuovo, unite da una scia di delitti che riporta in superficie ferite mai rimarginate. Manzini costruisce un romanzo psicologico di grande intensità, capace di esplorare le ombre dell’animo umano e il peso insopportabile del passato. Il rapporto tra i due fratelli è forse l’aspetto più riuscito: due vite opposte, segnate da traumi condivisi e destini divergenti: uno salvato da uno zio, l’altro inghiottito dalla spirale di un istituto, dove la distruzione diventa quasi inevitabile. Tuttavia, a mio avviso, l’eccessiva crudezza di alcune espressioni e scene poteva essere evitata. La violenza, anche solo suggerita, avrebbe avuto la stessa forza narrativa, forse persino maggiore. Non era necessario mostrare così tanto: bastava intuire, come già avviene per il passato del padre. L’impressione, in certi passaggi, è quella di un diario di un omicida con un’escalation di perversione, che rischia di togliere spazio all’emozione vera e alla riflessione. Detto questo, lo stile di Manzini è già riconoscibile: asciutto, diretto, mai pedante. Si percepisce la mano di uno scrittore che sa dosare i dialoghi e dare ritmo alla narrazione. 'Sangue marcio' è un esordio ruvido ma autentico, un romanzo che lascia un segno, anche se a tratti colpisce più per la sua ferocia che per la sua introspezione. Una lettura non semplice, ma che racconta con lucidità la crudeltà della vita e di certe infanzie che, purtroppo, restano una realtà.
Non è l’ultimo romanzo di Manzini. È il primo, ripubblicato da Piemme. È un romanzo del 2005 che riporta, in questa riedizione, una prefazione dello stesso autore e una postfazione di quella che all’epoca era l’editor di Fazi che lo pubblicò per primo. Sono passati venti anni e, oserei dire,,per fortuna. Perché Manzini è cresciuto tanto e non solo perché nel frattempo ci ha regalato il meraviglioso personaggio di Rocco Schiavone e tutta la questura di Aosta. Sicuramente questo romanzo ha un tessuto originale anche se, c’è da dire, piuttosto prevedibile. La prosa è lineare e la narrazione viaggia su diversi piani temporali che attraversano le vite dei due protagonisti: due fratelli, molto diversi tra loro e ognuno a proprio modo segnato dalle pregresse vicende familiari. Pietro, che parla in prima persona, ricostruendo le vicende della famiglia Sini, giornalista di cronaca, soprattutto nera, prima a Roma e poi nelle Marche; Massimo il maggiore, commissario di polizia, sposato, due figlie e un matrimonio in crisi. La storia ruota intorno alla misteriosa figura di un assassino seriale che colpisce il venti di ogni mese, con crimini efferati, degni della miglior tradizione dei crime statunitensi. La sensazione di fronte a questo romanzo, anche legittima direi, è di una qualcosa di ancora acerbo, poco maturo, che si auto compiace forse troppo nell’ostentazione di dettagli violenti, macabri, sessualmente espliciti che poi, direi per fortuna, si sono l’ersi nella maturità narrativa di Manzini.
Sangue marcio - Antonio Manzini L'esordio di Manzini e già si vede la mano anche se ancora acerba. Un crime scritto bene come sempre con una storia particolare che non delude.
Trama: Pietro e Massimo sono due bambini privilegiati. La loro è una famiglia facoltosa e hanno tutto quello che si può desiderare: una villa con piscina, un campo da tennis privato, i primi videogiochi. Un'infanzia felice, sospesa in un sogno borghese. Finché, un giorno d'autunno del 1976, il mondo crolla. La polizia irrompe in casa e il padre viene arrestato. I giornali, pochi giorni dopo, lo ribattezzeranno "il mostro delle Cinque Terre". Quasi trent'anni più tardi, i due fratelli non potrebbero essere più diversi. Pietro è cresciuto in un istituto a Torino ed è diventato un cronista di nera. Massimo, affidato a uno zio, è un commissario di polizia. A unirli di nuovo è una scia di delitti, firmati da un serial killer spietato. Il tempo li ha cambiati. Massimo, un ragazzino impulsivo che metteva tutti in riga con il suo motto «Vatti a nascondere in Tibet» oggi è un uomo svuotato, con troppe ombre e troppi Martini in corpo. Pietro ha un carattere introverso, incapace di lasciarsi accostare dagli altri. Ma il passato non si dimentica. E così, mentre il killer continua a colpire, i due fratelli si riavvicinano, tanto da ritrovarsi ad affrontare una resa dei conti, indietro fino al giorno in cui è crollato il mondo.
Il primo giallo di Antonio Manzini, scritto molti anni prima della serie del mio adorato Rocco Schiavone. Pietro e Massimo sono due ragazzini, la cui vita, ricca e spensierata, è sconvolta dall'improvviso arresto del padre. Diventati ormai grandi, sono diventati il primo giornalista ed il secondo commissario e si ritrovano pertanto davanti agli stessi casi: un serial killer che uccide in maniera cruenta giovani donne trentenni, mettendo loro sul volto un sacchetto di plastica. La narrazione oscilla tra quanto avvenuto anni prima, nell'infanzia dei due ragazzi, ma soprattutto di Pietro, vero protagonista, e i casi di omicidio che si ritrovano davanti nella loro quotidianità in Abbruzzo all'inizio degli anni 2000. Massimo è riuscito ad andare avanti, creandosi una famiglia, ha due figlie ed una moglie, con cui però è ormai in crisi. Pietro invece è solo, senza amici ed interessi, con qualche avventura notturna cui non vuole seguiti. Un Manzini molto acerbo rispetto a quello ben più maturo, completo e adorabile cui siamo abituati. I personaggi, così come le circostanze, sono ben descritte, ben costruite, però la scrittura è molto dura, diretta. Inoltre tutto il racconto è pieno di scene violente e di sesso, che probabilmente si sarebbero potute evitare, o quanto meno si sarebbero potuti risparmiare tanti dettagli crudi e duri. L'ambientazione nell'Abbruzzo colpito anche dalla neve e la crudeltà di alcune scene richiamano un po' le atmosfere scandinave, ma senza tutto il resto a contorno. Diciamo che si salva perchè da qui è iniziata la carriera che poi ha portato a ben altri risultati!
Pietro ha trascorso l'adolescenza in un istituto di preti a Torino e ora fa il cronista di nera in un giornale, Massimo ha vissuto con un zio a Padova ed è diventato commissario di polizia. Ma i delitti di un serial killer che da due anni cuce con ago e filo le vagine delle sue vittime riavvicinano i due fratelli. Sembrano tutt'e due cambiati, ma il passato non si cancella, come la loro dorata gioventù interrotta da un dramma famigliare. Massimo, che da piccolo era un tipo violento che usava minacciare i suoi coetanei con la frase «vatti a nascondere in Tibet», ora è un uomo stanco e triste che beve troppi martini. Pietro invece è diventato scaltro e freddo come un serpente. Non ha storie d'amore, non ha amici. Vive per il suo lavoro. Il suo unico obiettivo è mettere suo fratello sulle tracce del serial killer e farlo diventare un eroe. Ci riuscirà? La prima prova di Manzini lascia senza parole. Ovviamente consiglio, avvertendo le amiche e gli amici che sarà necessario sopportare cose, persone, situazioni che potrebbero provocare nausea. Buona lettura.
Un romanzo duro, crudo e disturbante che si legge quasi senza interruzione. Cosa succede in una famiglia quando accade una grande tragedia? Una famiglia ricca che vive felice come quella del Mulino Bianco, ma l’apparenza inganna. La madre beve troppo e il padre, così amorevole, nasconde un oscuro segreto. Quando viene arrestato il “mostro” la famiglia si sfalda, la madre si suicida e i due figli perdono ogni punto di riferimento. Dopo trent’anni i due fratelli, che nonostante tutto sono andati avanti con la loro vita e in qualche modo si sono affermati, si ritrovano. Pietro fa il giornalista e Massimo il commissario di polizia e si ritrovano entrambi sulle tracce di un feroce serial killer di donne. Lentamente la trama si dipana tra i ricordi del passato e gli incontri del presente. È certo che i mostri generano mostri forse anche peggiori dei primi. Confesso che ho intuito l’identità del killer abbastanza presto ma solo alla fine tutto si chiarisce, anche se qualche mistero non é stato sciolto del tutto.