Vi è mai capitato, mentre siete comodamente seduti sul divano di casa, di non sentire più metà del vostro corpo, e finire ricoverati d’urgenza per un’emorragia cerebrale? No? A Chiara Galeazzi sì. A 34 anni. Questo libro è il racconto – pieno di umorismo, emozione e senza alcuna retorica, né «guerriere» o «eroine» – di quello che è successo dopo. La diagnosi inaspettata, la paura che la vita sia cambiata per sempre, le strane rassicurazioni dei medici («che fortuna avere un ictus da giovani!»), i No Vax che le augurano la morte, i racconti surreali della fauna ospedaliera. E ancora la ricerca di una causa che non si trova, la lunga riabilitazione, la noia e le ciabatte ortopediche. Il tutto sotto lo sguardo compassionevole e allo stesso tempo mortificante delle altre persone, che pensano e dicono all’unisono: «Poverina».
Letto perché so bene cos'è un'emiparesi. Appunto per questo, però, non ho riso (il tono è sempre comico) né pianto mai. Poverina lo dicono pure a me, ma mi arrabbio un po' di più.
Un racconto personale intimo, onesto e ironico. Chiara descrive la sua personalissima esperienza di 35 enne che si imbatte in un ictus (dal ricovero al recupero); e lo fa con una semplicità efficace e piena di umorismo.
Chi ha letto Poverina di Chiara Galeazzi sì è trovato di fronte a un paradosso: pensare che l’autrice sia un po’ str0nza e allo stesso tempo pentirsene perché poverina, dai, ha da poco avuto un ictus. Proprio su questo conflitto, con una penna ironica e tagliente, Galeazzi ci racconta i momenti seguenti all’emorragia celebrale che a 34 anni l’ha semi paralizzata. Un viaggio tra la malattia, gli ospedali, il recupero e l’atteggiamento degli altri. I pensieri che ci accompagnano nella lettura sono graffianti e pungenti, non sempre vicini al politically correct (per questo ho osato usare ironicamente l’aggettivo str0nza prima, senza voler in qualche modo attaccare la persona - ci mancherebbe) ma sicuramente onesti e veritieri: quante volte di fronte ad un “ma pensa a chi sta peggio di te” abbiamo pensato “sì, ma cosa me ne frega? Come può aiutarmi?”. Ecco l’autrice concretizza tutto questo. L’umorismo presente rende la storia leggera, non deprimente, ma crea anche una corazza sentimentale che ho trovato abbastanza dura da espugnare. Verso la fine, quando possiamo dire che il peggio è passato, ho trovato un’apertura emotiva più concreta, facendo intravedere una fragilità che è stata lievemente coperta dalle risate, ma che si intravede sin dall’inizio.
Uno degli esordi in assoluto più interessanti di tutto il 2023, considerando anche quanto sia difficile scrivere letteratura comica che faccia davvero ridere. E nel testo si sente tanto la scrittura da stand-up comedy, l'andamento per paragrafi che costruiscono la tensione fino ad arrivare alla battuta conclusiva, l'opposizione tra lunghe frasi e stoccate istantanee. Ma, nonostante la ripetitività della struttura, il libro non annoia né infastidisce: invece, stimola il sorriso (o proprio la risata) a ogni nuova pagina. Persino nelle situazioni più difficili, o alla fine di una parte più seria, impegnata, riflessiva, l'autrice trova il modo per risollevare il tono della narrazione. E, soprattutto, lo fa senza mai la presunzione di sminuire il dolore, il pericolo, i problemi (senza scadere nel piglio da guru per cui "una risata è la miglior medicina", insomma): Galeazzi affronta la narrazione semplicemente astraendosi, e guardando oggettivamente al ridicolo nascosto dietro a ogni situazione anomala che, invece, normalmente non si può che guardare con dolorosa empatia.
Romanzo scritto bene, agile e snello, diverte senza forzature, anche se si avvale esclusivamente di una tipologia di umorismo molto conforme allo spirito della contemporaneità, con espedienti umoristici e punch line in accordo con lo stile della stand-up di questi nostri anni Venti, ed alcuni richiami alle battute brevi e caustiche tipiche dei reel. Molto efficace nel primo impatto, perde progressivamente la sua forza man mano che scorrono pagine ed eventi: utilizzare sempre lo stesso tono comico non paga, soprattutto perché l’autrice si ingabbia da sola, senza darsi la possibilità di uscire mai dal personaggio e guadagnare un minimo di profondità. Essendo un racconto autobiografico, avrebbe potuto spaziare maggiormente con il registro e dare un po’ di respiro a questa sequenza continua di scenette e commenti ironici. Fa ridere, ma NON fa anche riflettere (sebbene, sul finale, un po’ Galeazzi ci provi).
Apprezzabile, comunque, l’intento; l’autoironia ci salverà.
Onestamente il libro sulla malattia che avrei voluto scrivere io. L’inspo David Sedaris si sente. E fa ridere allo stesso modo. A un anno da quando io ho avuto un bruttissimo incidente di percorso medico, ho trovato perfetta la lettura di questo libro.
La frase di apertura l'ho presa da una trasmissione televisiva, Torta di riso, dove i conduttori commentavano assurde scene di gente che faceva cose folli. In questo libro, però, Chiara Galeazzi ride di sé. Non è morta, questo no, pur prendendosi un accidente di quelli seri, molto seri, che spesso alla morte conduce... ma quanto ridere! A dire il vero non ho riso molto, non ho trovato qualcosa di particolarmente esilarante. Però ho sorriso moltissimo, questo sì, e ho trovato il libro davvero piacevole, davvero divertente.
Mi sono interessato a Poverina perché da tempo mi chiedo quanto possa aiutarci, il senso dell'umorismo, ad affrontare le difficoltà. Ne abbiamo a bizzeffe, di difficoltà da affrontare. A livello personale, a livello sociale, a livello globale. D'accordo, è facile fare ironia su chi ci governa, almeno fino a quando il governo non fa qualcosa di brutto direttamente contro di noi.
L'ironia al lavoro
Con alcuni colleghi - lavoro come formatore sulle cosiddette soft skills - stiamo cercando di capire se si può introdurre il senso dell'umorismo sul mondo del lavoro, da cui sembra essere assolutamente bandito: volete trovare un po' di ironia su LinkedIn? Auguri! (ho detto ironia, non sarcasmo e non banale presa in giro dei linguaggi del lavoro, che sono solo il rovescio della medaglia della stucchevole seriosità di cui è intriso il social del business).
Sto anche cercando di usare il senso dell'umorismo per parlare di crisi climatica e transizione ecologica, ma riuscirei a farlo se la siccità togliesse il cibo dalla tavola della mia famiglia, se un'alluvione mi devastasse la casa?
Il tabù più grande
Chiara Galeazzi non ci gira intorno e usa l'umorismo sul tema tabù per eccellenza: la malattia. In un paese in cui la parola 'cancro' la nominiamo quasi solo negli oroscopi, fare umorismo sull'emorragia cerebrale non è proprio una cosa banale. Galeazzi può permetterselo perché lo fa su di sé e lo fa in un modo che mi è davvero piaciuto.
Prima o durante?
Mi è rimasto un dubbio, però, che non sono riuscito a dissipare leggendo anche una bella intervista che ho trovato sull'Essenziale. Il senso dell'umorismo, l'ironia, la vena comica che domina questo libro e lo rendono piacevolissimo, Chiara Galeazzi, quando li ha usati? Dopo, una volta scampato il pericolo, o durante, mentre era lì che non sapeva bene come ne sarebbe uscita, mentre era rosa dall'ansia in attesa degli esami che le avrebbero detto se la causa era qualcosa di davvero grave oppure no? Sono strumenti che l'hanno aiutata a rielaborare il vissuto, o a vivere meglio situazioni parecchio complicate?
Quale che sia la risposta, il libro è davvero bello e mi pare stia avendo il successo che - secondo me - merita, anche perché aiuta tuttə noi a ripensare al rapporto con la malattia e, soprattutto, con le persone che incontriamo che una malattia la stanno vivendo o l'hanno vissuta.
P.s. questa lettura mi ha fatto venire voglia di andare in biblioteca e prendere Come siamo sopravvissute al comunismo riuscendo persino a ridere, di Slavenka Drakulić.
Non avrei mai pensato di dare cinque stelle a un libro come questo, scritto da una persona che non fa l’autrice di mestiere. Però questo racconto, che è un lavoro di genere, un’opera tragicomica, costituisce qualcosa di unico in questo momento. Più di tutto, per il suo linguaggio, che è iper contemporaneo, completamente sganciato da qualsiasi costrizione e sovrastruttura, estremamente libero, quasi parlato ma tuttavia rispettoso di canoni letterari. Proprio il registro linguistico mi ha colpito, con l’uso magistrale che ne fa l’autrice. Fa ridere, fa tanto ridere, piacevole e davvero non retorico. Brava!
Il racconto di Chiara Galeazzi è onesto, a tratti divertente e a tratti spaventoso per quanto è sincero. È il racconto del suo ictus, della sua convalescenza, del suoi timori, delle sue paure e dei "poverina" che si è sentita dire da tanta gente. Pure da persone che non conosce a fondo. Nella storia di Chiara non c'è solo un ictus (o emorragia cerebrale): ci sono anche i no vax e gli odiatori. E poi c'è il bello: i medici, gli infermieri, i radiologi, i fisioterapisti, gli amici e Francesco. Presenza silenziosa ma essenziale. Chiara non ha avuto timore, scrivendo, di dire le cose come stanno. Con delicatezza ma con sincerità. Ho segnato con "divertimento" la parte sull'ansia di fare la pipì prima di uscire, perché mi ci sono rivista tantissimo.
Chiara, grazie per aver raccontato la tua storia, ti auguro solo tanto bene.
Un racconto dedicato alla malattia e all'effetto che produce sul malato e sul suo mondo circostante. Il tema è in bilico tra retorica e pathos e viene invece condotto e tenuto costantemente sui registri dell'autoironia e della verve comica. Una scrittura contemporanea che non si impone di diventare classico e rimane consapevole nella descrizione coerente anche nella forma e nello stile del mondo contemporaneo di cui offre saggi pregevoli e cammei divertenti, persino agrodolci senza essere ideologici (probabilmente un tono che non è patrimonio di quella generazione). In questo senso questo romanzo è anche una finestra sulla generazione della protagonista e sulla relativa visione del mondo.
Chiara Galeazzi, sopravvissuta ad un’emorragia celebrale che l’ha colpita a 34 anni, in questo memoir ci racconta la sua esperienza. Affrontare il tema di una malattia è sempre complicato e la Galeazzi, che non vuole che la sua condizione faccia perdere di vista la sua persona, il suo essere, ne fa un racconto divertente, ironico ed esilarante.
Ho adorato questo libro. In realtà proprio non riuscivo a staccarmi dalla lettura di "Poverina", non tanto per la storia che racconta l'autrice, quanto per la sua capacità di farti sentire esattamente quello che viveva in quella storia. Ho riso e pianto allo stesso tempo, mi sono arrabbiata e intenerita esattamente come l'autrice di fronte a ciò che raccontava. Lo consiglio vivamente.
Ho un problema con l'ironia: la maggior parte mi sfugge e non riesce a farmi sorridere, che sia a base sarcastica, nonsense o velata di denuncia sociale poco importa. E anche in questo caso non ho afferrato gran parte delle scelte fatte dall' autrice per parlare della sua esperienza. Probabilmente mi sono approcciata alla lettura con animo scettico, in quanto non vedo la necessità di trarre un libro da ogni esperienza forte vissuta. Perlomeno non trovo in quello di Chiara un valore tale da preferirlo al racconto di una qualsiasi altra persona che abbia affrontato un esperienza analoga e che invece abbia preferito non improvvisarsi scrittore. Sono fermamente convinta che la condivisione del priprio vissuto sia alla base di sentimenti quali empatia, comprensione e vicinanza ma penso che si debba anche prediligere uno strumento adatto allo scambio. E forse per Chiara è più vincente la parola pronunciata rispetto a quella scritta.
Chi meglio di una splendida autrice comica che ha appena avuto un ictus può raccontare uno spaccato della sanità italiana? Dopo aver letto questo libro proverò a non pensare mai Poverino o Poverina riferito a nessuna persona che ha avuto una sofferenza.
Libro meraviglioso, probabilmente vi consiglierei di evitare la cavolata di leggerlo appena usciti da un ospedale, per il bene della vostra psiche. Io ho fatto esattamente così e no, non va bene.
“Gli ictus, come i figli, è meglio averli da giovani.”
ho riso come una scema durante tutta la lettura, la schiettezza e la semplicità con cui Chiara Galeazzi racconta la sua esperienza dopo l’ictus mi ha davvero coinvolta!!
Il primo 5 stelle dell’anno, meritatissimo. L’ironia di Chiara Galeazzi nel raccontare l’esperienza più tremenda della sua vita e di farlo con leggerezza è sintomo di grande bravura. Sta tutto nel titolo: il poverina che ci verrebbe da dire sentendo di un ictus a 34 anni, che però si trasforma in una lettura super piacevole, senza mai piangersi addosso.
Un mondo molto lontano dal mio, ma l'autrice è riuscita a destare empatia, grazie alla sua carica autoironica ma sempre sensibile. Per me (reduce da una brutta esperienza ospedaliera e tuttora in terapia per i futuri 5 anni) è stato un comfort book.