Una piccola storia di Resistenza ambientata nella Roma di fine guerra: gli Americani sono alle porte della città, ma nelle strade e nei quartieri si combatte e si muore ancora. A raccontarla è Ida, diciottenne sarda trapiantata a casa della sorella Agnese dall'età di dodici, divenuta all'insaputa di tutti una staffetta partigiana. Roma è quella dei quartieri popolari, delle cave e delle grotte, delle baracche e della marrana, quella in cui in ogni casa potevano nascondersi un antifascista o annidarsi una spia fascista, quella in cui un'amica ebrea, dal nome Micol, poteva sparire da un giorno all'altro insieme alla sua famiglia subito dopo essere stata esclusa dalla scuola pubblica. Ida, Agnese, l'amica Micol: nomi che evocano storie più grandi, una letteratura più alta, ma che testimoniano l'amore di Paola Soriga per la Storia e per le storie. Dove finisce Roma, insieme alla resistenza quotidiana, inizia la Resistenza.
Romanzo del genere “piccola epopea popolare della Resistenza” in periferia romana, con primo amore e rimembranze di infanzia in Sardegna. Piacionico , “de core" e politicamente correttissimo: non mi è piaciuto nemmeno un pò. Soprattutto per la scelta stilistica, per la verità. Scelta segnata da un abuso estremo dell'anacoluto e da una tempesta di “e”-congiunzione e di virgole messe a scandire il singhiozzare di spezzoni di periodo. Una narrazione indiretta integrale, che oltre ad essere (per i miei gusti, s'intende) fastidiosissima, appiattisce i personaggi fino a ridurli a santini o a figure da quadro del neorealismo sovietico. Per capirci, è' un susseguirsi ininterrotto di frasi cosi: “ E una volta aveva fatto spaventare a morte tutti, lì alla marrana, che continuava a dire chi c’è nell’acqua chi c’è nell’acqua, e tutti guardavano per vedere se c’era uno affogato, e invece era che Aldo non sapeva fare differenza fra chi e cosa, e nell’acqua c’era a galleggiare, una scatola di latta che poi li aveva fatti divertire perché era piena di giornali, disegni e storie un po’ bagnati da passarci le ore”. Per questo romanzo hanno scovato un sacco di presunti "padri nobili" (e di madri), di colti rimandi (piuttosto esibiti, in verità). L'unico che mi pare legittimo è quello che porta ad Ascanio Celestini. Evidente l'obiettivo di rendere una sorta di lingua orale, del popolo; di un popolo semplice, mitizzato, innocente come un infante e orgogliosamente sofferente, che "non sa", come dice la citazione in apertura, ma sta sempre dalla parte "giusta". L'ansimare linguistico insomma fa tanto "santa ingenuità" e marginalità: delle ragazzette, del primammore, degli immigrati sardi, della periferia, della neocatacomba e di tutto il resto. Ma l'artificio è troppo scoperto e poco credibile, il manierismo è troppo calcato e la sollecitazione nel lettore dell’effetto emotivo, di un commosso schierarsi, troppo ruffiana e sfacciata. Certo, posso convenire che in fondo " il fatto non costituisce reato". Riconosco che anche chi volentieri s'intenerisce ha i suoi diritti. Concedo le attenuanti dell'esordio e delle buone intenzioni (a fatica, perché un sospetto di furbizia ce l'ho). Però resta un modo di fare ed intendere la letteratura che, appunto, non mi piace nemmeno un pò.
Wat vooral blijft hangen is de bijzondere schrijfstijl van Paola Soriga: het is een soort poëtische stijl, die het verhaal een bepaalde vaart geeft, zo'n vaart dat er geen tijd is om de citaten van aanhalingstekens te voorzien. Maar dat maakt dat de gebeurtenissen in het verhaal je pakken en dat je meevoelt met de jonge hoofdpersoon Ida, die in een heel verwarrende tijd leeft. Ze woont in Rome bij haar zus aan het einde van de Tweede Wereldoorlog. Aan de ene kant zijn er de voortdurende geruchten dat de Amerikanen in de buurt zijn, aan de andere kant zijn het de fascisten en Duitse soldaten, voor wie je voortdurend op je hoede moet zijn. Maar dat is niet het enige dat verwarrend is voor Ida. Ze wordt verliefd, maar weet niet of het wederzijds is, en moet zich dan ook nog gaan verstoppen omdat de fascisten naar haar op zoek zijn als gevolg van haar deelname aan het verzet. Mooi boek.
Avrei voluto dire wow! fino alla fine. Perchè è wow che fa dire nelle prime pagine questo libro, Dove finisce Roma di Paola Soriga, ed. Einaudi, quando ti tuffi nello stile fluido, continuo, veloce, scelto dall’autrice per raccontare la storia. Una scrittura che mi ha incantata, bellissima. “Wow!” ti viene da esclamare qua e là, tra tante scelte di frasi ed espressioni semplici eppure piene di novità. Ma poi alla fine, proprio alla fine, è stato come fare un passo in più, dall’aria pulita alla nebbia.... continua qui http://dopolapioggia.wordpress.com/20...
Ligt het aan de auteur, aan de vertaling, of aan de redactie - ik weet het niet, maar het vlot niet. Ik erger me aan het feit dat de dialogen niet duidelijk zijn, dat er geregeld een zogezegd accent gesproken wordt dat dan een fonetische versie van een Ciske-de-rat-accent is, dat zinnen eindeloos duren en nergens naartoe gaan. Te veel dus om het verhaal nog te kunnen volgen zelfs. Ik weet niet of ik het einde van het boek haal.
Update: ik haalde het einde. Het enige wat ik nog wil toevoegen is dat ik precies niet zo veel weet over de geschiedenis van Italië en de periode net voor en tijdens WO2, maar ik denk niet dat die wetenschap me had geholpen om een hogere score te geven.
Korte hoofdstukjes in een aparte stijl. Een jonge vrouw rolt in het verzet aan het einde van de tweede wereldoorlog in Rome. Ze houdt zich enkele dagen schuil in een ondergrondse grot en via flashbacks leren we over haar jeugd in Sardinië, haar verhuis naar Rome en het lot van enkele van haar familieleden, vrienden en kennissen net voor en tijdens de WO II. Omwille van de speciale stijl krijgt het boek hier en daar wat slechte recensies. Onterecht, wat mij betreft.
Resistenza e tutti i sentimenti ad essa connessi. È scritto così bene che è facile per chi legge essere Ida e provare tutto ciò che prova Ida. Speriamo la guerra duri poco...speriamo.
Dove Finisce Roma, romanzo d’esordio di Paola Soriga (Einaudi, 2011), è stato una delusione affatto compensata dallo stile scorrevole della scrittura. L’azzardo più grande che un’esordiente possa fare è mettersi a confronto con un Grande della Letteratura del passato (remoto o recente che sia). Decidere di “esordire”, di pubblicare per la prima volta, è un passo importante già di per se - un salto nel vuoto oserei dire; perché fare il passo più lungo della gamba? In questo libro più che un “passo” è sembrato un ruzzolone. Sin dall’inizio del libro, una presenza - prima sottile, poi sempre più pesante - imbriglia la lettura: nomi già letti da qualche parte, ma dove? Situazioni simili ad altre, come si trattasse di un déjà vu. Qualcosa non funziona. La mente è distratta e pensa ai nomi e ai déjà vu - e non alla trama -, finché ad un tratto non si può più ignorare quella presenza: Elsa Morante è lì che osserva, cinica. E dietro l’angolo Giorgio Bassani ci attende. In un intervista è stato chiesto alla scrittrice: “Altri indizi, per così dire, "genealogici", sono nascosti in alcuni dei nomi che hai scelto. Puoi raccontarci brevemente quali sono state le tue fonti storiche più importanti, e quali invece le maggiori influenze nel campo della letteratura resistenziale?” La risposta, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, prende le distanze dalla Letteratura: “I libri della letteratura resistenziale li ho letti soprattutto nel corso degli anni, mentre scrivevo li ho tenuti da parte.” Inutile dire che, leggendo il libro, chiunque può notare che non è così. Dialogare con il passato può essere, a volte, una buona idea; purtroppo in questo caso i soggetti si sono rivelati spettri di personaggi ben più importanti con i quali hanno perso il confronto che - forse - sarebbe potuto essere costruttivo se annunciato esplicitamente in una premessa che sarebbe servita al lettore come punto di partenza. Senza di essa, invece, ci si trova alla deriva e la mente comincia la sua faticosa caccia “all’autore”.
L'ho letto spinta dalla martellante pubblicità fatta da Einaudi su twitter (con tanto di RT dei commenti entusiasti dei lettori) e devo ammettere di esserne rimasta abbastanza delusa. Sarà che avevo grandi aspettative, sarà che di libri sul tema ne ho letti parecchi ma erano stati scritti da protagonisti diretti della vicenda ma questo libro l'ho trovato monotono e monocorde. Carina l'idea di utilizzare come mezzo narrativo una sorta di stream of consciousness della protagonista ma non altrettanto gradevole il non-utilizzo delle virgolette quando vengono riportati i dialoghi, rende disagevole la lettura. La storia è priva di eventi topici, manca un climax e anche la trama è labile:
Qualcuno lo ha definito un romanzo di formazione ma io non son d'accordo. É un romanzo di formazione sentimentale, forse, non di formazione tout-court. Non vedo in Ida un cambiamento che esuli dalla sfera dei sentimenti, anche perchè il romanzo è costruito proprio sull'analisi del rapporto coi genitori, con la famiglia, con il Professore, con le amiche Rita e Micol, con Antonio. É un romanzo carino ma nulla che mi faccia gridare al miracolo o che mi faccia venir voglia di acquistarlo (l'ho preso in prestito dalla biblioteca, sante siano le biblioteche pubbliche!)
Ho inaugurato la lettura pervasa da un discreto scetticismo, che l'effettivo rapporto con le pagine ha solo in parte fugato. Paola Soriga moranteggia e lo fa bene. Io, almeno, ho ritrovato molte delle atmosfere che avevo amato proprio nelle pagine de La Storia di Elsa Morante. Il problema, a mio avviso, è il filtro. Per evidenti ragioni anagrafiche, la Soriga è un testimone di terza mano, il che non toglie senz'altro valore all'opera in sé (se così fosse, suoneremmo il requiem per il romanzo storico e pace), ma le conferisce qualcosa di posticcio. Il sentimento d'intimità del racconto, quasi un lascito familiare, non mi pare emergere da questo breve romanzo come esplode in ben altre pagine degli anni Cinquanta. In breve? E' difficile formulare un giudizio, perché sono dell'idea che il coraggio vada sempre premiato, e che la qualità della scrittura valga da sola la lettura. Restano, però, di fondo, le perplessità di cui sopra ho detto, e il sospetto che, a ridosso di un anniversario assai strombazzato, riproporre alcuni temi sia un 'vincere facile' davanti a un pubblico di corta memoria e acritico sentimentalismo.
This book should be called "Dove Finisce Questo Libro?" It went on and on and I thought that the reason it was taking me so long to read was because I wasn't used to reading in Italian but after reading other reviews by Italians on this book I realize that they have the same issues as I did with this book- so many run-on sentences, the style of writing is odd because she never uses quotation marks to indicate a person speaking, she just continues the sentence and it is very confusing. Also she kept jumping back and forth from Ida's childhood to when she's in the grotto to her early days in Rome and it became irritating because the rhythm of the books was so choppy and it felt like it wasn't going anywhere. I did learn a little about Rome during the occupation, and what it was like being part of the Resistance, so in that sense the book was interesting, but it definitely needed more editing.
Finalmente ho letto questo romanzo, che da un pò di tempo stuzzicava la mia curiosità. Devo dire, però, che non è stato all'altezza delle aspettative. Bella l'idea di raccontare i giorni subito prima dell'entrata a Roma degli americani liberatori attraverso gli occhi e le paure di una giovane staffetta partigiana, Così com'è stato piacevole lo stile di scrittura, un flusso di parole e pensieri nel quale entri subito, dopo qualche pagina di allenamento mentale. Ma la trama è esilina, tutto viene trattato in maniera superficiale. E' un'opera prima, sono sicura che Paola Soriga acquisirà maggiori competenze nelle prossime storie.