Leggilo. Gaber graffia ancora. Al pari delle sue canzoni, anche le sue battute, le sue domande urticanti fotografano l'Italia di ieri e anticipano quella di oggi: la politica, lo Stato, la Chiesa, la famiglia, il dilemma della coppia, il sesso, la televisione, il mercato, l'omologazione culturale, la stupidità dilagante, il berlusconismo che è in noi. Dopo l'autobiografia "Gaber. L'illogica utopia", Guido Harari propone qui una selezione di pensieri e provocazioni, affilati come bisturi, di una delle maggiori coscienze civili che questo paese abbia avuto.
Quando parla Gaber bisognerebbe tacere e mandare a memoria. Perche' il rischio che le frasi espressione del suo rigore scivolino via è ben presente; bisognerebbe riuscire a mantenere - ma solo per noi, non per qualche illogica nostalgia - nel nostro divenire la stessa intelligenza ed attenzione che in questi frammenti disarticolati viene a galla. L'operazione commerciale, devo ammettere, è fastidiosa - nulla di nuovo, solo copia-incolla di testi e interviste. L'operazione editoriale è utile, perche' impedisce alla memoria di mettere da parte. E purtroppo la memoria, facendo paragoni, guarda sconsolata alla assenza di eredi di questo calibro.
Si tratta di una semplice raccolta di citazioni da canzoni, interviste, articoli e simili di Giorgio Gaber. Più per un'esigenza di vendere che per trasmettere qualcosa, direi: le citazioni sono completamente decontestualizzate e non se ne riesce a cogliere davvero il senso. C'è qualche frase a effetto e qualche buono spunto, ma alla fine l'ho piantato a pagina 50 perché 200 e passa pagine di citazioni, sinceramente, non facevano per me.
Bel libro di citazioni. Di certo non è un libro da divorare in pochi giorni, ma da distillare poco alla volta. Come è normale che sia, alcune considerazioni sono legate all'epoca in cui ha vissuto Gaber, ma si possono decontestualizzare e sono ragionamenti che valgono anche nel presente che stiamo vivendo. La contrapposizione tra l'io e il noi, è un po' un tema cardine del libro. Nelle frasi di Gaber traspariva la voglia di raccontare una deriva individualista e, vedendo come ci siamo evoluti negli ultimi due decenni, direi che aveva fatto centro