René Maugras is de succesvolle uitgever van een krant in Parijs. Nogal plotseling ligt hij in het ziekenhuis van Bicêtre, zonder zich te kunnen bewegen of iets te kunnen zeggen. De doktoren en verpleegsters spannen zich voor hem in, maar hij weet niet of hij de kracht vindt om terug te keren in het dagelijks leven. Op zijn ziekbed laat hij zijn leven aan zich voorbijtrekken.
Georges Joseph Christian Simenon (1903 – 1989) was a Belgian writer. A prolific author who published nearly 500 novels and numerous short works, Simenon is best known as the creator of the fictional detective Jules Maigret. Although he never resided in Belgium after 1922, he remained a Belgian citizen throughout his life.
Simenon was one of the most prolific writers of the twentieth century, capable of writing 60 to 80 pages per day. His oeuvre includes nearly 200 novels, over 150 novellas, several autobiographical works, numerous articles, and scores of pulp novels written under more than two dozen pseudonyms. Altogether, about 550 million copies of his works have been printed.
He is best known, however, for his 75 novels and 28 short stories featuring Commissaire Maigret. The first novel in the series, Pietr-le-Letton, appeared in 1931; the last one, Maigret et M. Charles, was published in 1972. The Maigret novels were translated into all major languages and several of them were turned into films and radio plays. Two television series (1960-63 and 1992-93) have been made in Great Britain.
During his "American" period, Simenon reached the height of his creative powers, and several novels of those years were inspired by the context in which they were written (Trois chambres à Manhattan (1946), Maigret à New York (1947), Maigret se fâche (1947)).
Simenon also wrote a large number of "psychological novels", such as La neige était sale (1948) or Le fils (1957), as well as several autobiographical works, in particular Je me souviens (1945), Pedigree (1948), Mémoires intimes (1981).
In 1966, Simenon was given the MWA's highest honor, the Grand Master Award.
In 2005 he was nominated for the title of De Grootste Belg (The Greatest Belgian). In the Flemish version he ended 77th place. In the Walloon version he ended 10th place.
Quand’è che i suoi giorni hanno perso gli odori, i suoni, i sapori e sono diventati frenetici, senza un attimo di riposo, pieni soltanto di giorni senza importanza, tutti uguali? Quand’è che ha smesso di guardare le nuove foglie degli alberi crescere in primavera? Renè Maugras, affermato direttore di giornale, ha avuto un’ischemia e si risveglia dal coma in una camera di ospedale. In questa camera Maugras ritorna ad uno stato primitivo, di semplicità e di innocenza, in cui gli odori e i suoni, come quello delle campane, lo riportano, tra flashback e pensieri che si srotolano come il filo di un gomitolo, a riflettere ed interrogarsi sul suo passato, per guardare sé stesso come con una lente di ingrandimento, ricostruire ciò che è stato e ciò che è diventato. Così facendo è come se accendesse un riflettore sulle persone che lo circondano, le infermiere, i medici che lo curano, gli altri malati che prima sono solo ombre che si muovono fuori dalla porta della camera, poi diventano delle persone vive, con pensieri ed emozioni. Sembra una svolta esistenziale per Maugras, ma chissà se è destinata a durare… Una lettura angosciante e al contempo tenera, con echi pirandelliani. Un sempre grandissimo Simenon.
A new Maigret investigation that will delight his unconditional fans, but that others may have more trouble hanging on because Simenon is not at his best, in my opinion. But the result is still charming to discover!
Una deliziosa rilettura e un grande Simenon. Riuscire a scrivere un romanzo ambientato solamente in una stanza d'ospedale, con alcuni flash-back e riuscire a tenere alta l'attenzione del lettore , significa essere un grande scrittore - per me -. Le riflessioni del protagonista, le sue sensazioni in quel letto sono descritte così bene che ti sembra di essere lì con lui mentre le racconta. Non è noioso, non è pessimista , molto reale , e .....finisce bene. Un altro bellissimo libro di Simenon, del quale mi rileggerò - con grande piacere -, piano piano ,tutti i suoi romanzi
Una forzata immobilita', una lunga introspezione. Sono lo spunto per una dura e tagliente analisi delle vicende di una vita e un po' di tutte vite. Il totem molte volte ipocrita della cosiddetta voglia di vivere, le amicizie di facciata, i rapporti di forza all'interno della coppia, la dedizione al proprio lavoro nonostante tutto, le miserie di un corpo fisico inesorabilmente destinato al disfacimento. Maugras, potente direttore di un quotidiano parigino, novello degente neurologico, squaderna questo piccolo calvario dal letto di immobilita' ospedaliera. Come sempre Simenon riesce a trovare una potenza descrittiva ed emotiva stupefacente!
Chiunque abbia vissuto la disavventura di precipitare in un ricovero ospedaliero per il crollo improvviso della propria salute (un grave incidente, un intervento chirurgico importante, una seria malattia acuta) non può non restare ammaliato dalla straordinaria efficacia con cui Simenon riesce a esplorare anche questa particolare condizione umana e a descriverla in tutte le sue sfaccettature.
Una malìa, occorre ammettere, accompagnata da un certo senso di disagio, perché il talento descrittivo dell’autore è tale da far riaffiorare anche le sensazioni spiacevoli legate a tale esperienza.
Attraverso il personaggio di René, ricco cinquantaquatrenne di successo colpito da ictus con emiplegia, viviamo tutte le fasi, fisiche e psicologiche, che attraversano il limbo dell’infermità, dal rifiuto alla rassegnazione e all’autocommiserazione, dalla gioia per un piccolo progresso delle proprie condizioni alla diffidenza verso le rassicurazioni dei sanitari.
E intanto, all’immobilità forzata del corpo si contrappone l’inarrestabile vagheggiare della mente: riaffiorano alla memoria momenti più o meno significativi del passato mentre tutto ciò che avviene nel microcosmo della camera d’ospedale, i rituali sanitari, le frasi di medici ed infermieri, la percezione di odori o suoni “esterni” (come le campane che danno il titolo al libro) assume connotati dilatati, contorti ed alterati dalla sensibilità indifesa del cosiddetto paziente.
E’ quasi inutile precisare che in questo doloroso romanzo non vi è alcuna traccia di giallo o di poliziesco: è solo il dramma ordinario che ogni giorno vivono migliaia di persone, sulla cui rappresentazione si esercita l’eccezionale capacità di Simenon di cogliere ogni più intimo e personale dettaglio.
There is ever so much more to Georges Simenon than merely a writer of mysteries, of which he is one of the world's four or five most prominent practitioners. The Bells of Bicetre is seen from the eye of a single character, a journalist named Rene Maugras, who has suffered a stroke while standing at a urinal at his favorite Paris restaurant.
We follow the slow recovery of Maugras as he is upbraided by his physician friend Besson, his nurses, and various visitors at the Hospital of Bicetre in the southern suburbs of Paris.
It takes a great deal of talent to follow the thoughts of a single character without losing interest. It reminds me of a famous Alfred Hitchcock Presents episode (directed by Hitchcock himself) called "Breakdown" in which Joseph Cotten is in an auto accident. Everyone assumes that Cotten is dead until the very last minute, before he is filed away in the morgue, when someone sees tears in his eyes.
Here it is not suspense which is the key, but Maugras's thorough examination of his life and loves, with an honesty that approaches the astonishing.
The Bells of Bicetre is one of Simenon's most interesting works in a storied career.
Che cosa gli hanno detto fino a questo momento? Che non morirà. Che guarirà. Che non rimarrà impotente per il resto dei suoi giorni. Che, fra qualche settimana o al massimo qualche mese, riprenderà il suo posto nel mondo degli uomini che continuano la loro concitata esistenza al di là della finestra. Ma se non gliene importa nulla! «Ieri ti ho spiegato brevemente la differenza tra un'emiplegia e l'altra. Sono convinto tuttavia che tu ti sia fatto una tua idea... Non penserai per caso di avere un tumore cerebrale?...». Besson aspetta una reazione, e di fronte all'immobilità di René assume l'aria furbetta di uno che ci ha azzeccato. «È così, vero? Scommetto che pensi al nostro amico Jublin...». Per cavarsela, Maugras fa segno di no. «Il caso di Jublin è completamente diverso dal tuo... Vuoi che ti dia qualche dettaglio tecnico?...». No e poi no! Ne ha abbastanza. Ascolta distrattamente, sente la voce di Besson, le parole che pronuncia, senza prestarvi attenzione, e frasi intere svaniscono nel nulla perché non si sforza di dare loro un senso.
3 ⭐️ René Maugras, direttore di un quotidiano parigino, si sveglia una mattina all’ospedale di Bicêtre e davanti a sé c’è il suo amico, nonché medico, Pierre o meglio Besson. Di cosa è successo si ricorda poco o niente, ma comunque Pierre gli dice che durante la cena al Grand Véfour, nel momento in cui è andato alla toilette ha perso i sensi e i suoi amici hanno chiamato subito soccorso. René da tanto troppo tempo si aspetta una catastrofe e negli ultimi mesi si sentiva che doveva succedere e a volte non vedeva l’ora che accadesse. Non protesta, non ce l’ha con nessuno, anzi è ansioso che la sua infermiera personale gli faccia l’iniezione che lo riporterà nel torpore a risentire le sue campane che sentiva da piccolo. Lo vengono a trovare Lina, sua moglie, che porta dei fiori e anche il suo caporedattore Colère, che comincia a vedere sotto una luce diversa: prima come uno completamente devoto ora come una persona invidiosa e piena d’odio nei suoi confronti. Pensa se ama ancora sua moglie Lina come otto anni fa, ormai vivono “distanti”, lei continua a bere tutte le sere e lui se ne preoccupa. Lui non vuole collaborare e i medici sentono questa sua resistenza a guarire. Devo dire che Simenon, come sapete, è il mio preferito ma in questo libro l’ho trovato un po’ pesante e prolisso… non è uno dei più belli letti, ma comunque promosso.
Acutissimo Simenon, in questo romanzo, nel riportare le sensazioni e i pensieri di un uomo colpito da paralisi che improvvisamente si ritrova sbalzato da una vita mondana e frenetica in un letto d’ospedale, in balia di un personale medico da cui si sente trattato non più come una persona, ma come un *caso clinico*. Acutissimo nel descrivere il panico di chi non ha più controllo sulle proprie azioni ma deve affidarsi alle decisioni di persone estranee, che sente come ostili. Acutissimo nel dipanare i pensieri che diventano autoanalisi, nel descrivere quel guardarsi dentro (e intorno) impietoso e rivelatore che la condizione di malato porta con sé. Spesso incontro me stessa nei libri che leggo, questa volta ho incontrato un caro amico e le sue confidenze. A lui dedico queste parole di Bolaño, adattissime al caso:
“I malati, del resto, sono sempre più interessanti dei sani. Le parole dei malati, compresi quelli che sono capaci soltanto di balbettare, sono sempre più importanti delle parole dei sani. Del resto, ogni persona sana è una futura persona malata. E la nozione del tempo, ah, la nozione del tempo dei malati: un tesoro nascosto in una caverna del deserto. I malati, del resto, mordono davvero, mentre le persone sane fanno finta di mordere ma in realtà si limitano a masticare aria” (Roberto Bolaño, “2666”)
Ingen Maigret här. En tidningskung i Paris blir faller ihop på en krog och kan varken röra sig eller prata. Han hamnar på sjukhus och blir liggandes där med sina tankar i ett par veckor. Boken kretsar kring hans tankar om sitt liv. Femma!
Tälle kirjalle on yhtä hankala antaa viisi tähteä kuin kaksi tähteä.
Jos lukisin kirjan nykypäivänä ensimmäistä kertaa, en antaisi sille montaa tähteä. Päähenkilö on melko epämiellyttävä ja teos vain koskettaa kaiken pintaa, eikä ikinä sukella kunnolla mihinkään. Tiedostan kuitenkin, että minulla on iso tunneside tähän teokseen, sillä se oli lempikirjani ensimmäisellä luokalla. Nyt, kun luin kirjan kuitenkin uudestaan, ihmettelen, miten ihmeessä tällainen kirja edes löytyi alakouluni kirjastosta.
Muistan, kun ykkösluokalla meidän piti valita koulun kirjastosta jokin kirja luettavaksi. Valitsin Georges Simenonin teoksen "Sairaalan kellot", sillä kirja oli melko lyhyt (alle sata sivua) ja teksti oli isoa. Kirja kertoi yhtäkkiä halvaantuneesta vanhemmasta miehestä, ja hänen ajastaan sairaalassa. Tykästyin välittömästi kirjaan. Pidin siitä ilmeisesti jopa niin paljon, että ystäväni tiesi antaa sen syntymäpäivälahjakseni toisella luokalla.
Vaikka en nykypäivänä tästä kirjasta kauheasti innostu, ymmärrän kuitenkin, miksi olin niin kiintynyt teokseen nuorempana. Koko juonen läpi teoksesta huokuu jonkinlainen melankolian addiktoiva tuoksu. En usko, että pieni minä tiesi teoksen sisällön syvyyden. Aiheina oli esimerkiksi rakkaus, avioliitto ja masennus, joista seitsemän vuotiaalla minällä ei ollut kovinkaan paljon kokemusta. Uskon kuitenkin, että kirjan alakuloinen ja masentava sävy oli minulle jo silloin koukuttava. Tämä saa minut ehkä jopa surulliseksi, sillä olen uskonut, että pieni pääni oli vielä tuolloin puhdas ja viaton paikka. Ehkä se ei ollutkaan.
Lopuksi, haluan tuoda lempi lainaukseni kirjasta esille:
"Hän on varma, että Lina rakastaa häntä ja suostuisi vaikka kuolemaan hänen puolestaan. Kuolemaan, mutta ei elämään."
Bij het verschijnen van deze heruitgave werd het door de literaire pers bejubeld als het meest kwalitatieve werk van de veelschrijver Simenon. Ik kon het niet laten om dat te testen, al was het onderwerp van een man die plotseling verlamt raakt en in het ziekenhuis terecht komt al interessant genoeg. Ik kon er echter moeilijk doorheen komen. De stijl is beschrijvend in de hij vorm en dan moet je wel wat interessante dialogen hebben om de spanning erin te houden. Er zijn wel wat rake observaties over ziek zijn, maar die worden helaas niet uitgediept. Nee, het gaat meer over fantasieën over seks met de vrouwen die hem bijstaan. Dit maakt van de hoofdpersoon Maugras gewoon geen sympathiek figuur. Niet dat een hoofdpersoon altijd aardig moet zijn, een psychopaat is ook goed, maar niet zo'n manlijke klootzak die zijn secretaresses neukt omdat hij als uitgever macht heeft. Het is dan ook een boek uit 1962 en niet een uit de jaren 20 van deze eeuw. Al met al een aardig boek als je niets beters hebt liggen.
Over een man die na een cva achterblijft met een hemiplegie en een afasie. Het verhaal wordt verteld vanuit het oogpunt van de patiënt die in een hospitaal revalideert. Heel boeiend om te lezen hoe iemand die amper kan bewegen en niet kan praten de dingen die rondom hem gebeuren, ervaart.
A man of a certain age, a man of some experience and accomplishment, in deceptively true-to-form Simenon style, falls out of his regular run of experience and routine. What follows is a never-considered detour in the generally very comfortable life of a Parisian newspaper publisher. A man who is by profession an adept journalist, master of holding onto all threads of a story, very suddenly finds himself at a loss.
Simenon is always fascinated by this kind of unpredictability, this skip in the record of life. The difference here in The Bells Of Bicetre is that the author has reduced the formula to its bare essentials: this story will be the account of a man immobilized in a hospital bed after a stroke.
Fine, thinks the Simenon aficionado; the writer is giving himself a kind of personalized challenge, having the protagonist lashed to the mast throughout, requiring the story to be told by introspection and remembrance. But once we're on the way, permanently forced into the memory banks of the hero, it can become a trudge. To have absolutely no chance of the narrator exerting any change in the present circumstances too closely resembles narrative paralysis.
At a teasingly crucial point, right in the middle of the book, there is a shift in the dynamic. An unexpected visitor tells our frozen hero of a peculiar news story unfolding-- for a startling change-- in the Present :
"It was two years ago . . . The antique dealer turned burglar. Remember ?..." The headlines of the time had been, The Arsène Lupin Of The Chateaux. For nearly a year, chateaux in Touraine, Anjou, Normandy, almost every province in France had been visited by a burglar who picked out the most precious objects with amazing flair, and had not once been taken in by a fake or an imitation. In each case, he had appeared to be familiar with the place, to know where the various objects were to be found, whether he was liable to meet servants, and whether there were dogs..."
This information is offered to the convalescent but still paralyzed publisher at hospital bedside, by one of his editors. Aha! thinks the regular Simenon reader. The old man has deliberately lulled us with all this internal monologue business, tranquilized the reader's inquisitive nature with all the backstory and remembrance. What's going to emerge, senses the (energized) reader, is that we'll be solving a crime taking place in the real world, but solving it in the up-on-the-facts mind of the hero, who cannot move or speak but can very possibly solve the crime ?
This could be an unusual wrinkle on the many wrinkly and twisted criminal topics that Simenon has contrived over the years. A kind of detection in exile; a variation on the locked-room mystery, but the lock being the paralysis of the investigator .. ?
Well, no. Hold your horses. I think it was the overworked imagination of this particular reader that jumped the gun there. And unfortunately Simenon had no such plan; this is, of course, no Maigret novel, and the author has every intention of making the entire novel a contemplation of one man's mortality and memory. Nothing but stream-of-consciousness threads entwining themselves, around and around.
In fairness to this particular reader, hoping for a easy, exciting narrative escape, it must be said that Simenon doesn't slow or contour his usual sense of pace and drive, even though the hero never leaves the hospital bed. So at any juncture, the minute an opportunity presents itself, the reader may be tempted to go off like a rocket in search of some narrative Bang or Crash.
It's not there. This is the original no-frills metronome-tight narrator of legend, but telling a drifting, endlessly remembered spiral of little narrative fizzles. Many other, better tales that are similar come to mind, often from the movies. From Citizen Kane to Sunset Boulevard and from the Singing Detective to the English Patient, there is a tradition of narrators who are locked in position. At its best, Bicetre touches nicely on a man's vulnerabilities and contradictions, a bit in the way that Simenon's real-life friend Fellini worked the theme in his 'Amarcord'. However, even with a valiant effort, the patient here pushes toward something he can't quite get at, and the reader can't help, try as he may.
This startling departure from the character of most of Simenon's work is, I believe, one of his very best novels, if not the best I have read. I am going to be very lazy and quote from the original 1964 New York Times review of the work, because it captures what I feel exactly and I don't think I could improve upon the observations:
"[Simenon] has at last achieved, at the age of 60, what one French critic (Jacqueline Barde) calls 'son grand roman, son premier roman.' And in this first 'pure' novel, even the hitherto confused should be able to see why André Gide long ago described this author as 'perhaps the greatest and most truly "novelistic" novelist in French literature today.' (Gide's wholehearted enthusiasm for Simenon and Dashiell Hammett must be a persistent obstacle for those who insist on drawing a sharp line between 'entertainment' and 'literature.')
"'The Bells of Bicêtre' (published in England as 'The Patient') is so simple in outline that one might wonder how the habitually concise Simenon could develop it to 80,000 words. René Maugras, an important newspaper publisher, is struck with hemiplegia while he is having a meal at the Grand Véfour with a group of fellow V.I.P.'s. Almost resentfully he suffers the efforts of doctors and nurses to restore him to life and function.
"In the inhuman nothingness of illness and semi-consciousness he begins to understand himself and his life; he hovers on the edge of that total illumination which seems denied to the wholly conscious mind. Fragments of memory seem about to shape a significant design. Slowly he changes from a possibly dying man to a serious invalid, from an invalid to a convalescent. Eventually he is reintegrated into his usual life (the vying for power and prestige, the loving-and-wretched marriage) with a little more self-knowledge--just enough, in fact, to know that for him there is no other life.
"There is nothing slick or gimmicky about this honest and perceptive story. There are no easy answers, no assertions of the novelist's will. There is only a wonderful simplicity of evocation, a precise selection of detail, a casual deftness of narrative (aided by a clear and readable translation), which make all the elements of the book vividly alive: on the one hand, Maugras's circle of Very Important Parisians, lawyers, physicians, poets, academicians (despite Simenon's denials, French writers are working hard at turning this into a roman à clef; on the other, the hospital world of Bicêtre, its routine, its patients, its nurses.
"The present novel should wipe away any doubts as to this author's capacities in the roman pur. And one hopes it will at last establish him here, where he has never been quite so successful as in Europe. Of some 200 Simenon novels (not counting the pseudonymous juvenilia) a good deal less than half have appeared in the United States. At least one reason is the abominable translations inflicted upon so many of those that have come out here; but another reason may be the difficulty of classification, in a label-loving culture. Thriller-readers fear that he may be too 'literary'; astheticians assume that so commercial (or simply professional) a writer must lack quality.
"'Bicêtre' should at least convince the estheticians. These should be led from it back to the entire corpus of Simenon's work, where they will find (and not least in the cases of Maigret) the same delicate and precise probing into human character and interplay, the same compelling calling up of the spirit of a place or a mood--in short, the same combination of insight and skill that stamps (whatever the genre) the true novelist."
I loved this book. It reminded me of "The Diving Bell and the Butterfly," but I think it is even more successful as a literary work.
De aandrang bij mensen, of in ieder geval bij mij, om iets uit te roepen als het beste, het mooiste, is groot. Het is echter niet praktisch om maar een mooiste boek aan te wijzen, of symfonie, of schilderij of opera, want wat moet je dan van de andere mooiste boeken (symfonieën, of schilderijen of opera’s) vinden. Daarom besloot ik, al weer jaren geleden, mijn oordeel op te rekken, eerst naar de vijf, daarna naar de tien en nu naar de vijftig mooiste boeken (etc.) die ik ken. Zo’n 40 jaar geleden las ik Les anneaux de Bicêtre al eens. En nu weer. Het hoorde toen en nu opnieuw tot mijn favorieten. De inhoud is emotionerend, geeft je een diep inzicht in de menselijke geest, al is deze vaak behoorlijk oppervlakkig. Simenon weet je tegen de 300 bladzijden te boeien en te emotioneren met de gedachten van een man van middelbare leeftijd, die na een beroerte in het ziekenhuis van Bicêtre terecht komt en daar voornamelijk in bed ligt. Er zijn geen grootse gebeurtenissen, moorden, heldendaden die het boek vullen en de lezer vermaken. We moeten het doen met kleine en soms fragmentarische observaties, herinneringen, hersenspinsels. Het zijn de gedachten van de hoofdpersoon die verraderlijk veel lijken op gedachten die veel mensen regelmatig denken zonder er bij stil te staan. Simenon houdt ons op verbazend knappe wijze een spiegel voor. Dat hetgeen we zien niet altijd ego-strelend is, komt niet door de auteur. Simenon maakt zijn faam als groot romancier in dit boek compleet waar.
This novel begins with the first sounds Rene Maugras hears and recognizes as he comes to consciousness after his stroke. Some days have passed since Rene Maugras collapsed in the bathroom during the monthly luncheon with his oldest (and most successful) friends. He has left the world of the newspapers he runs, his friends, his wife. In his post-coma cocoon his mind is free.
He cannot move or speak. There is nothing for him to do but think. We listen to his thoughts as he observes those around him and remembers moments and episodes from his past. As his body very slowly begins to strengthen, Rene wants to hide his progress so that he can remain alone with his thoughts. We watch as a man of great intelligence finally begins to open his heart.
Experiencing this book was like returning to the zafu for meditation practice. It is a beautiful book, one of the best Simenon has written.
Considered one of the author's best books, it is a close-focus, full-length novel of a businessman recovering from a stroke and reviewing his life. It is quite good and well paced. It is also the first of the many, many novels of Simenon's, I've read, where I found the author reusing an unmodified memory(?). Was this because of its strength? Forgetfulness on his part? Whatever, it hardly matters, but I found it interesting; even the color of the dress worn by the girl he describes is the same. This may have happened before, but then either he altered the clothing and the rest of the description or I simply missed it.
This is not a surgically-precise Maigret novel. Simenon wrote long, deep, introspective, and perhaps voyeuristic passages. I liked the main character, I was annoyed by the main character, and at times I did NOT like the main character. That fact makes this novel another proof that Simenon was a masterful writer.
A successful middle aged man reviews his life from his his hospital bed having had a stroke. He reflects on the motives for his professional and personal relationships. A fascinating insight into what it might be like to lose the ability to communicate and how others behave toward someone who is incapacitated. Good entertainment and of interest to those who are carers.
Three-and-a-half stars. Ending a bit rushed and (intentionally) ambiguous. A novel of its times (1960s), with smoking in hospitals, both doctors and patients!
Il Signore degli anelli, ovvero come René Maugras non divenne un grande personaggio
Alcune settimane fa ho pubblicato il commento al romanzo di Georges Simenon Il Presidente, il primo di una serie di lettura di quattro romans durs che concludo ora con Le campane di Bicêtre. I due romanzi presentano una certa affinità di fondo, avendo come protagonisti due uomini di potere che – giunti ad una certa età – riflettono sul senso delle loro vite. Se però il vecchio statista Augustin, ne Il Presidente, crede invano, anche se pensionato, di poter ancora condizionare la vita politica francese, rendendosi amaramente conto di essere ormai solo un monumento vivente, René Maugras, protagonista de Le campane di Bicêtre, è – come si vedrà – un uomo ancora in piena attività, che esercita appieno il potere di cui si è dotato, essendo però forzatamente costretto ad una pausa di riflessione a causa di una malattia. Un altro elemento che differenzia nettamente i due romanzi è il fatto che mentre il primo presenta un taglio politico, non solo per la personalità del protagonista, ma soprattutto perché intende rendere l’atmosfera di stallo della Quarta repubblica, ne Le campane di Bicêtre la vicenda narrata è strettamente esistenziale. I due romanzi peraltro appartengono alla medesima fase della vita dell’autore: sono stati scritti a soli cinque anni di distanza – rispettivamente nel 1957 e nel 1962 - nel medesimo luogo, il castello di Échandens, nel Cantone svizzero di Vaud, che Simenon lascerà l’anno successivo; la vicinanza temporale risulta ancora maggiore considerando che Le campane di Bicêtre, contrariamente alla maggioranza dei suoi romanzi, ebbe una lunga gestazione: Simenon lo considerava infatti una delle sue opere più rilevanti, e volle curarne la redazione con attenzione, prima di darlo alle stampe. Non è azzardato quindi affermare che la genesi esistenziale di entrambi i romanzi possa ricercarsi nell’avvicinarsi dell’autore alla terza età: questa ipotesi è in qualche modo rafforzata dal fatto che ne Le campane di Bicêtre si riscontrano alcuni, ancorché vaghi, elementi autobiografici. Il romanzo, uscito in Francia nel 1963, fu pubblicato in Italia tre anni dopo come L'ottavo giorno; né questo titolo né quello dell’edizione Adelphi rispecchiano fedelmente quello originale, che suona Les Anneaux de Bicêtre, con riferimento all’andamento in un certo senso circolare della vicenda narrata; probabilmente i curatori nostrani hanno giudicato tropo oscuro il titolo originale, tradendo così – come spesso accade – le intenzioni dell’autore. Gli anelli cui fa riferimento rappresentano il suono delle campane della chiesa di Saint-Etienne a Bicêtre, che il protagonista ode spesso durante il romanzo, e che nelle primissime pagine gli ricordano l’infanzia, quando con involontaria sinestesia ”indicava così le campane per via dei cerchi concentrici che esse lanciano nello spazio”. L’autore ne ricostruisce vita e personalità nel corso della narrazione, secondo una tecnica che costituisce una sorta di marchio di fabbrica di Simenon, avendola ritrovata non solo nei quattro suoi ultimi romanzi letti, ma anche in altre opere, quali Betty e Il piccolo libraio di Archangelsk. Il lettore lo incontra mercoledì 3 febbraio di un anno imprecisato, ma situato nell’attualità della scrittura, alle otto di sera, mentre si sta lentamente svegliando in un ambiente sconosciuto. Si chiama René Maugras: cinquantaquattro anni, è direttore del più importante quotidiano parigino e di due settimanali, in pratica il più influente giornalista francese, e il luogo in cui sta tornando in sé è l’Ospedale di Bicêtre, a Parigi. Non si tratta di un luogo qualunque nell’immaginario collettivo e culturale francese. Situato a sud della città, lungo la N7 che, uscita da Porte d’Italie, raggiungerà il Midi, quello che ancora oggi è un grande ospedale ha una lunga storia, che inizia nel 1286, quando Jean de Pontoise, vescovo di Winchester e ambasciatore inglese in Francia, acquistò dai certosini una fattoria, facendovi costruire un castello che porterà il nome della sua diocesi, da cui – per successivi adattamenti linguistici – il nome attuale. Nel 1632 il castello fu raso al suolo e al suo posto il cardinale Richelieu fece costruire un ospizio, destinato ai soldati invalidi. Nel corso dei secoli Bicêtre divenne prigione, orfanotrofio e ospedale psichiatrico, luogo di ricovero per gli emarginati e gli indesiderabili della società, accompagnato da una sinistra fama: vi venivano rinchiusi indifferentemente anziani, indigenti, vagabondi, omosessuali, criminali, malati di sifilide e chi era considerato pazzo; qui nel 1770 venne ideata la camicia di forza e il 17 aprile 1792 fu testata l’efficacia della ghigliottina, prima su alcuni montoni poi su cadaveri, che nel luogo non mancavano certo; nello stesso anno, durante le stragi di settembre, a Bicêtre furono uccisi a colpi di mazza più di duecento detenuti, tra cui numerosi bambini, lì rinchiusi per vagabondaggio o piccoli furti. Il luogo perse definitivamente la sua funzione carceraria nel 1836. La prigione e il manicomio di Bicêtre sono dettagliatamente descritti ne I misteri di Parigi di Eugène Sue, e nella prigione è ambientato L’ultimo giorno di un condannato a morte di Victor Hugo; cenni a questo luogo si trovano, tra l’altro, in romanzi di Balzac e Dumas. Il fatto che Simenon abbia scelto questo ospedale per ambientarvi il romanzo non può essere quindi considerato casuale, e testimonia a mio avviso dell’importanza letteraria che l’autore vi attribuiva. Localizzando l’ospedale su un qualsiasi atlante geografico in rete, non si può non notare come l’adiacente forte militare venga sfumato nelle immagini satellitari onde impedire di rilevarne la struttura. Era una pratica comune anni fa nelle fotografie aeree distribuite pubblicamente, nelle quali venivano oscurate aree ritenute strategiche, al fine di impedire al nemico di localizzarle. Al riguardo mi sono sempre posto una domanda: supponendo di essere il nemico e di essere entrato in possesso di tali immagini, quale miglior metodo per identificare obiettivi strategici da colpire che rivolgere l’attenzione proprio alle aree oscurate? La stupidità tipica degli apparati militari, se ve ne fosse ancora bisogno, emerge a mio avviso anche dall’impiego di queste tecniche. Nel caso del Forte di Bicêtre, poi, mi chiedo che senso abbia oscurare un sito militare oggi, nell’epoca in cui la diffusione delle immagini satellitari è universale e la loro definizione è tale da permettere di contare i pali del naso (e anche di altre parti del corpo, volendo) del colonnello che sicuramente con tronfio orgoglio lo comanda. Colpevolmente però dimenticavo che oggi siamo in una fase storica di piena rivalutazione del potere salvifico delle armi e quindi delle virtù della vita militare. A fronte della ormai certa aggressione da parte di potenti nemici esterni, che minacciano la nostra sicurezza e il nostro stile di vita, la via che ci viene indicata dalla lungimirante dirigenza UE è infatti il riarmo collettivo, di cui naturalmente i più entusiasti sono i tedeschi, che hanno dimostrato lungo tutto il novecento di essere i primi custodi della pace in Europa, e che vedono (ma questo non si può dire) nella produzione di mezzi militari la sopravvivenza della loro boccheggiante industria automobilistica. Il corollario economico è che per comprare armi si può ovviamente fare debito pubblico, cosa altrettanto ovviamente da sempre vietata per finanziare la spesa sociale: chi non sarà felice di sacrificare una inutile TAC affinché il suo governo acquisti un carro armato nuovo di zecca? Del resto, per difendere il nostro stile di vita bisognerà pure sacrificare il nostro stile di vita! Siccome però le armi hanno il difetto di durare molto più delle automobili, sarà d’uopo anche trovare il modo di consumarle, ma a questo stanno già pensando i governanti di vari paesi e della democratica UE. Anche il nostro Paese, spronato alla pugna dalla voce pressoché unanime di giornalisti e analisti del tutto indipendenti, guarda con entusiasmo a questa nuova fase storica, e attende solo che il suo Capo Supremo, il quale peraltro ha già dato bella prova di sé anni fa - quando in qualità di ministro della difesa mandò i nostri caccia a bombardare Belgrado (e forse proprio anche grazie a tale fermezza assurse poi all’alto magistero che occupa ormai a vita) - promulghi l’interpretazione autentica dell’art. 11 della Costituzione, e lanci alla nazione il nuovo maschio appello: “si svuotino i granai, si riempiano gli arsenali”. Ma tutto questo c’entra poco con Simenon e il suo romanzo, cui è necessario tornare. René Maugras è a Bicêtre perché il giorno prima, durante la tradizionale cena che ogni primo martedì del mese da molti anni riunisce un gruppo di amici formato da gente importante, tra i quali accademici, luminari della medicina ed avvocati di grido, in uno dei più celebri ristoranti parigini, il Grand Véfour nei pressi del Palais-Royal, ha avuto un ictus; gli amici lo hanno trovato svenuto, con la patta aperta, nell’orinatoio del ristorante. Pierre Besson d'Argoulet, un medico suo amico, gli ha prestato le prime cure e ha quindi deciso di farlo trasferire a Bicêtre, dove opera il professor Audoire, uno dei migliori neurologi francesi. Naturalmente a Maugras è stata riservata una stanza privata ed un servizio continuo di infermeria. Al momento la notizia del suo malore è stata tenuta riservata, come ovviamente riservata è anche la sua prognosi, essendo egli ancora in pericolo di vita e non potendosi escludere la possibilità di una emiplegia permanente. Maugras è il tipico uomo che si è fatto tutto da sé grazie all’ambizione e a una leggendaria capacità di lavoro. Nato a Fécamp, in Normandia, in una modesta famiglia di portuali, ha perso presto la madre. Sin da giovanissimo ha iniziato a scrivere brevi pezzi per i giornali locali, trasferendosi quindi prima a Le Havre poi a Parigi. Qui ha fatto anni di gavetta occupandosi di cronaca, ed emergendo non tanto per le sue doti di scrittura, quanto per l’infallibile fiuto nello scovare il caso che potesse interessare i lettori. Ha avuto due mogli: la prima, Marcelle, un’attrice sposata quando erano ancora entrambi sconosciuti e malpagati, gli ha dato una figlia, Colette, ora sulla trentina, nata con una malformazione ad un piede, e con la quale ha un rapporto molto distante. Dopo il divorzio ha avuto una storia importante con una sua collaboratrice e quindi, alcuni anni prima, ha sposato Lina, una donna non bella, molto più giovane di lui, originaria di Lione, conosciuta in uno studio televisivo mentre tentava di ottenere una parte come comparsa. Il loro rapporto è complicato dall’atteggiamento di lui, che Lina percepisce come protettivo nei confronti di chi ha raccattato dalla strada, sentendosi inoltre succube della sua vitalità e notorietà: per questo Lina è depressa, beve molto e probabilmente lo tradisce – come del resto fa occasionalmente lui. Nonostante ciò, tra i due vi è un amore sui generis ma sincero. Come accennato, tutto questo il lettore lo viene a conoscere a poco a poco, da un narratore terzo che per lunghi periodi fruga nei pensieri di Maugras, il quale, quando riemerge dal buio del breve coma, è convinto di essere in procinto di morire. Nel corso delle lunghe prime giornate di degenza, alla paura istintiva della morte e dell’infermità, accompagnata da una buona dose di diffidenza nei confronti delle rassicuranti parole dei medici e della loro positivistica pretesa di avere tutto sotto controllo, subentra in Maugras la ricerca di una calma interiore che lo porta a condurre una sorta di autoanalisi della sua vita. Per la prima volta si trova isolato dal mondo, in particolare dal suo mondo, anche perché nei primi giorni non ha ancora recuperato la capacità di parlare, e questo gli piace, tanto da ridurre al minimo le visite e rifiutare ogni contatto con i suoi collaboratori al giornale, cosa che allarma i medici rispetto alla sua volontà di guarire. Oltre che raccontare al lettore, tramite i suoi pensieri, chi sia e quali siano stati i passaggi importanti della sua vita, le scelte fatte e i compromessi accettati, René Maugras – che è molto attratto dalle donne - si interessa in particolare delle due infermiere che lo accudiscono: la bella M.lle Blanche, presenza costante durante il giorno, e la sensuale Joséfa, che si occupa di lui nelle prime notti di degenza e dorme in una brandina accanto al suo letto. Se da un lato prova un certo imbarazzo per la forzata intimità che si stabilisce in questi casi, che lo costringe a mostrar loro un corpo che sta invecchiando e che data la situazione non sempre risponde alla sua volontà, dall’altro quella stessa intimità gli fa immaginare di poter andare a letto con loro, e si diverte a immaginare la loro vita sentimentale e sessuale. Soprattutto con M.lle Blanche si stabilisce una sorta di complicità, dovuta al fatto che riesce a comprendere i problemi esistenziali che affiorano sotto la dura epidermide dell’uomo celebre e di potere. L’evoluzione del rapporto tra Maugras e l’infermiera è una sorta di fil rouge che attraversa tutto il romanzo, costituendone uno degli assi portanti. Nonostante le ambizioni attribuitegli dall’autore, non ritengo Le campane di Bicêtre uno dei romanzi più significativi di Simenon, e ciò per una serie di ragioni. La prima è di carattere generale, legata al soggetto stesso del romanzo: la storia di un uomo potente che per cause indipendenti dalla sua volontà è spinto a riflettere sul senso della sua vita non rappresentava certo una novità per il novecento letterario, e può legittimamente far ascrivere questo romanzo alla nutrita collana Anche i Ricchi Piangono; del resto neppure l’ambientazione ospedaliera, con lenta presa di coscienza di ciò che è accaduto, si caratterizza per eccessiva originalità. Al netto di ciò, a mio avviso l’elemento di maggior debolezza del romanzo è dato dalla scelta del tono narrativo. La vicenda infatti si sarebbe sicuramente prestata ad una narrazione in prima persona e avrebbe potuto avvalersi di flussi di coscienza e monologhi interiori che le avrebbero sicuramente conferito una maggiore forza espressiva, essendo nati proprio per rendere l’accavallarsi dei ricordi, le connessioni più o meno consce della mente e l’emergere di pulsioni e pensieri, che quasi mai seguono traiettorie lineari. Impiegando il convenzionale narratore terzo che esplora razionalmente i pensieri di Maugras alternandoli a dialoghi diretti - nei quali tra l’altro viene fatto un uso abnorme dei puntini sospensivi - Simenon dimostra di non sapersi staccare da strutture narrative tradizionali per lui usuali, che però soprattutto in un caso come questo dimostrano tutti i loro limiti nel portare il lettore veramente a contatto con gli stati d’animo del protagonista. Il finale aperto, nel quale implicitamente emerge l’importanza della metafora degli anelli, può riscattare solo in parte la complessiva convenzionalità del romanzo. In definitiva Simenon si conferma per ciò che è: un artigiano della scrittura, che sia pur di razza non riesce a fare entrare René Maugras nel pantheon dei grandi personaggi del romanzo novecentesco.
Di Simenon, nonostante la sua immensa fama data dall’ispettore Maigret, non avevo mai letto niente, ed oggi, finito questo romanzo, non so bene che cosa pensare dell’autore.
Il libro, infatti, risulta una lettura molto piacevole e veloce, spesso però un po’ troppo statica, dato il fatto che tutta la vicenda si svolge all’interno di una camera d’ospedale, dove il protagonista, Renè, è bloccato dopo un ictus. Impossibilitato a parlare, prima, e a muoversi, poi, l’uomo passerà il tempo a ricordare vari momenti della sua vita, senza un vero senso logico tra uno e l’altro e spesso senza un vero e proprio collegamento con la sua condizione. Se la si vede solo così, il libro potrebbe sembrare davvero molto noioso e nient’altro, ma non è così, grazie alle emozioni che l’autore è riuscito a trasmettere durante tutta la lettura e alla capacità con cui è stato in grado di descrivere la condizione del paziente, la sua paura e la sua frustrazione davanti a queste schiere di medici ed infermieri che entrano ed escono dalla stanza senza vederlo veramente, ma anche di fronte all’idea che questi stessi lo abbandonino nel caso migliori troppo.
Sin da subito ho iniziato a provare un forte senso di empatia nei confronti del protagonista, ritrovandomi a commiserarlo per la sua situazione e a gioire per ogni minimo suo progresso, quasi come se Renè potesse davvero sentire i miei incitamenti. Ciò però non vuol dire che il protagonista mi sia stato particolarmente simpatico, dato che più volte mi sono ritrovata ad odiarlo per la sua vita passata e a storcere il naso davanti a molte delle sue scelte.
Nel complesso un libro molto introspettivo, a volte fin troppo per i miei standard, in cui l’autore è stato molto bravo a cogliere molti degli aspetti della psiche umana.
I forti, nessuno li aiuta, né li incoraggia, né li commisera. Se cadono, gli altri non hanno pietà, e anzi, con un certo compiacimento, vedono nel loro crollo il segno di una sorta di giustizia immanente. René Maugras, cinquantacinque anni, direttore di importanti quotidiani parigini, mentre è a cena con degli amici in uno dei ristoranti più esclusivi della città, ha un ictus, riprende conoscenza presso l'ospedale di Bicêtre, noto come ospizio e ospedale psichiatrico, si scopre emiplegico e almeno per i primi tempi, dovrà dipendere dagli altri. La sua vita cambia drasticamente, ma non è dispiaciuto, la nuova condizione lo lascia completamente indifferente, pronto a giurare di non aver mai conosciuto una serenità paragonabile a quella che assapora adesso. Solo che si tratta di una serenità particolare, che non saprebbe definire e che lo sorprende, anzi è l'occasione giusta per riflettere sul suo matrimonio e sulla vita frenetica condotta fino a quel momento. "Sei soddisfatto di te?" Non è forse questa, a dispetto delle apparenze, la cosa più importante? Non è il solito giallo che ci aspettiamo da Simenon, lo stile è quello suo solito, semplice, asciutto, ma questo romanzo rafforza ancor di più il suo valore narrativo, la storia si dipana interamente su un letto di ospedale ma il lettore quasi non lo nota. Il finale? Decisamente inaspettato.
... mentre suonavano le campane e poi l'orologio della chiesa, un uomo privo di conoscenza, un uomo a cui, momentaneamente o per sempre, avevano tolto la consapevolezza della propria esistenza, giaceva circondato da fantasmi mascherati che eseguivano una sorta di lento e tragico balletto.
El gran Georges Simenon se ha superado con esta novela (bueno, se superó). Hasta ahora mi obra favorita del genio belga era Carta a mi Juez, pero creo que esta es aún mejor. Lo curioso es que aunque esta me parece que tiene más cosas que sobran, me atrapó mucho más. El protagonista, René, me cayó definitivamente mal pero la situación en la que se encuentra (le ha dado una hemiplejia) es realmente absorbente.
Tal vez deba hacer una pequeña aclaración aquí, y es que suelo calificar los libros dependiendo si me han gustado o no. Los fallos "técnicos" vienen en segundo lugar. Y es que como no soy un crítico literario, sería muy presuntuoso de mi parte calificar una obra basándome en criterios que no domino, como la construcción de los personajes. ¿Qué demonios sé yo de eso? Lo que sí sé es si un libro me ha gustado o no, y si pienso que es mejor que otros que he leído, ya sea del mismo autor o de otros.
Fino a questo momento ho letto diversi libri di Georges Simenon e mi sono sempre piaciuti, questo l'ho trovato senza un vero senso, andava avanti senza dei piani narrativi precisi, qualche considerazione qua e là e non c'è mai stato modo di legarsi molto alla storia, o al personaggio, il quale è davvero molto particolare. Di lui sappiamo ben poco, a parte il fatto che è sposato e non è felice. È una persona riuscita che dirige un suo giornale, ma a parte questo il testo rimane sotto la superficie, non convince a sufficienza. Continuerò a leggere romanzi di Simenon appena mi capiterà, in generale fino a questo momento sono stati tutti interessanti e piacevoli. Ho adorato, per esempio, la casa dei Krull. Può capitare che in tanto scrivere di un autore non tutto possa piacere. È normale, ma questo non fa sì che si possa dire che un autore non vada più letto. I romanzi di Simenon ne valgono sempre la pena.
Simenon- The fly on the wall of our minds. And extraordinary peep in to the mind of a 54 year old who is admitted to a hospital with a stroke. And the wanderings and ponderings of the mind as life flashes past. Simenon was a prolific writer, with his books having sold over 550 million copies!! A staggering number indeed. He created the famous Inspector Maigret series of detective novels. Each one of his works takes a peep in to the human mind. As you enter the darkest corners, you start questioning existence and human behaviour. The Patient is a book I picked up for reading again after near 40 years. It still kept me engrossed and savour each line. It is a pity that his books are now collectors' items. Or maybe it is a reflection on today's tastes. Read one Simenon and you will be restlessly hunting for more.
Gran bel libro scritto da un autore bravissimo che non ha certo bisogno di essere commentato. Un racconto scritto in età matura, una riflessione attenta sull'uomo alla fine di un percorso dedicato al lavoro ed al successo. Come non riconoscersi anche oggi, immersi come siamo tutti in questa vita frenetica dedicata forse troppo al lavoro ed al bisogno di ricevere un consenso dagli altri, ci fermiamo poco a riflettere su cosa nella vita conta veramente. E poi in un momento sbattuti in una realtà ed una dimensione umana e di sofferenza, soli in una stanza di un ospedale e osservare gli altri, le vite degli altri dalla finestra recuperiamo faticosamente il passato, la memoria di ciò che è stato e che non abbiamo a sufficienza amato. E gli altri, gli amici o pseudo tali, non quelli veri ma quelli acquisiti, accondiscendenti, frustrati come e più di noi a fare da contorno ad una esistenza vuota e dolorosa.
Ma poi come sempre si ricomincia assorbiti dalla vita di tutti i giorni e dalle convenzioni di una vita borghese che in fondo ci appartiene e a cui non rinunciamo
If you have ever woken up in a hospital after a serious accident or surgery, you know what a strange world you return to. It is a fraction of your old reality. At first you only sense light and sound and slowly your brain tries to put things back into some kind of order. It’s not necessarily frightening but is almost like a dream or puzzle that you are trying to solve. The Bells of Bicetre captures this feeling perfectly after the protagonists, a very successful Paris newspaper man, wakes from having a stroke (while using a public urinal!). The book takes him from dim awareness to partial recovery. At first he enjoys the silence, the bells of a nearby church, and the 24 hour care he is receiving. Slowly, reluctantly, he is pulled back into the world while examining all the choices he has made and the purpose of his life.
Likely the nadir so far of my (often incredibly rewarding) Simenon reading experience. But this one: ay yi yi. I believe I had stumbled across one or two reviews that suggested this was one of the greats, and if it isn't already clear, I do not share that perception. A famous editor has a medical incident, lands in the hospital for many weeks, and ruminates about how he doesn't want to see anyone or really re-engage with any part of his past. A sad, simple request that maybe doesn't merit so many words. And as if Simenon himself understands that, he has his protgonist late in the book summarize entire days with one or two words in his journal. It's the first and only tme that you admire this character. At least he cuts to the chase!