Alors que l'été s'achève, toute la bonne société de Livourne est dans l'effervescence du départ : voici venu le moment de rejoindre les collines de Montenero. Liée à l'origine aux travaux des champs, la Villégiature est devenue une obligation mondaine : on s'y distrait, on s'y croise, on s'y toise, on s'y endette, on s'y ridiculise souvent. On y tombe parfois amoureux, comme la jeune Giacinta, soudain éprise de Guglielmo, alors qu'elle doit épouser Leonardo. Le temps de la Villégiature achevé, les protagonistes regagnent Livourne, désemparés et ruinés.En consacrant à ses personnages les trois volets d'une même comédie, Goldoni approfondit l'analyse de leurs caractères et s'affranchit des règles rigides du théâtre classique. Avec La Trilogie de la Villégiature (1761), il compose un véritable roman théâtral, qui ouvre vers la modernité.
Carlo Osvaldo Goldoni was an Italian playwright and librettist from the Republic of Venice. His works include some of Italy's most famous and best-loved plays. Audiences have admired the plays of Goldoni for their ingenious mix of wit and honesty. His plays offered his contemporaries images of themselves, often dramatizing the lives, values, and conflicts of the emerging middle classes. Though he wrote in French and Italian, his plays make rich use of the Venetian language, regional vernacular, and colloquialisms. Goldoni also wrote under the pen name and title "Polisseno Fegeio, Pastor Arcade," which he claimed in his memoirs the "Arcadians of Rome" bestowed on him.
Le smanie della villeggiatura È stupefacente quanto un testo teatrale scritto nel XVIII secolo sia attuale. I pettegolezzi, le ansie, il desiderio di ostentare attraverso le vacanze sono gli stessi che capita di incontrare oggi. Stupendo il monologo di Giacinta, capace di mettere al suo posto con mano leggera e grande intelligenza. E poi c'è tutta l'ironia di Goldoni! Bellissimo
Le avventure della villeggiatura Testo più amaro del precedente. I personaggi incontrati in 'Le smanie' sono finalmente arrivati in campagna, ma le cose non vanno come vorrebbero e, come a volte accade, desiderano tornare a casa. Il tutto corredato di pettegolezzi, incomprensioni, furberie. Complessivamente è un testo di passaggio, senza un vero e proprio finale quindi un po' sotto tono rispetto al primo testo della trilogia.
Il ritorno dalla villeggiatura Ultima commedia della trilogia, anche questa, come la seconda, con un 'retrogusto' molto amaro che si alterna a momenti più scherzosi. Il finale, nell'ottica di una ragazza del XXI secolo, è veramente triste. Ho sperato nel colpo di scena fino all'ultimo e invece...
Complessivamente, la prima è la commedia che ho preferito, quella da tono più scherzoso e leggero; le altre due mi sono piaciute meno proprio per il tono più 'drammatico' dell'azione scenica
«Oh! Chi volesse dire… chi volesse discorrere su quel che succede in villa, vi sarebbero da far de’ tomi. Si vanno a struggere i poeti per far commedie? Vengano qui, se vogliono fare delle commedie»». Proprio alla consuetudine ormai degenerata del soggiorno in campagna Goldoni volge lo sguardo nel 1761, poco prima di lasciare Venezia, per colpire vizi, debolezze e contraddizioni di una borghesia infiacchita e decadente. Ispiratrice, protagonista e destinataria delle opere goldoniane, un tempo cuore pulsante del commercio della Serenissima, la classe borghese è ormai avviata sulla strada di un declino che sembra inesorabile. Goldoni, dapprima fervido ammiratore della figura di Pantalone, diventa ora un osservatore critico e distaccato della sua involuzione, attento a coglierne e a rappresentarne ogni aspetto con lucidità: da una parte il rustego, gretto, avaro, ottusamente legato al passato, dall’altra i difetti opposti che fanno bella mostra di sé nella Trilogia della Villeggiatura, lo sperpero di denaro, la smania di comparire, l’eccesso di ostentazione sociale. Nelle tre commedie che compongono la trilogia Goldoni racconta dunque le avventure e le disavventure di un gruppo di borghesi più o meno giovani determinati ad imitare gli aristocratici, pur non possedendo i mezzi necessari, e ad avere una villeggiatura più sfarzosa di quella dei conti e dei marchesi. «L’ambizione de’ piccioli», scrive Goldoni nella prefazione alla prima commedia, «vuol figurare coi grandi, e questo è il ridicolo ch’io ho cercato di porre in veduta, per correggerlo, se fia possibile». È così che il giovane Leonardo, sebbene già indebitato per la villeggiatura precedente, non esita ad acquistare a credito senza freni, ignorando i saggi consigli del servo Paolino, il quale lo avvisa – ed è proprio ciò che accadrà – che al ritorno si troverà alla porta una folla di creditori. Leonardo e sua sorella Vittoria sono disposti a tutto pur di «ben figurare» in campagna, che è «di maggior soggezione della città»: in villeggiatura, dove tutti sfoggiano un lusso scandaloso e temono il giudizio degli altri, i pettegolezzi, le insinuazioni malevole, è fondamentale non dare l’impressione di trovarsi in cattive acque, pena la scomparsa dalla scena sociale. Per questi "Pantaloni mancati" , che rifuggono dal "negozio" borghese, dalle responsabilità, dal pagamento dei conti, dalle restrizioni comportamentali imposte alla loro classe sociale, il soggiorno in campagna ha perso del tutto l’originaria funzione economico-produttiva ed è solo occasione di ozio, lussi sfrenati e sperpero dei patrimoni, nel folle – ma divertentissimo – tentativo di imitare o addirittura superare le abitudini di una classe sociale, quella aristocratica, ancora più decadente della borghesia. Il risultato è solo una messinscena imperfetta, come scrive Michele Bordin nelle sue pagine sulla Trilogia della Villeggiatura, e portatrice di conseguenze negative su tutti i fronti. Allo spreco di denaro, tra il gioco, abiti e banchetti, al punto che Leonardo sarà costretto a chiedere aiuto all’avaro zio Bernardino, il rustego protagonista della scena più celebre della trilogia, si uniscono la spregiudicatezza e la libertà eccessive che in villeggiatura regolano i rapporti tra i sessi: è così che Giacinta, promessa sposa di Leonardo, può intrecciare un flirt pericoloso con il bellimbusto Guglielmo, mentre l’anziana e sciocca Sabina corteggia senza sosta lo scroccone Ferdinando, più giovane di lei e interessato soltanto al suo denaro. La trilogia si chiude infine con una sfilza di matrimoni senza amore, frutto spontaneo della logica distorta della villeggiatura (dormire di giorno e giocare di notte, andare in campagna d’inverno e per condurvi la stessa vita della città) e dell’abbandono dei vecchi valori mercantili (la tranquillità domestica, il culto della reputazione, la parsimonia, l’esercizio della mercatura, il rispetto delle gerarchie sociali). Valori che infine saranno recuperati da Giacinta, una delle figure più complesse e affascinanti nella ricca galleria dei personaggi femminili di Goldoni, che nelle ultime scene rinuncia alle smodate follie della villeggiatura e alla sua passione per Guglielmo proprio nel nome dell’onore, della reputazione, del rispetto degli impegni contratti. Giacinta sembra aver compreso ciò che Goldoni ha imparato dal suo grande maestro, Molière: che la pretesa di imitare comportamenti non affini alla propria natura è una delle maggiori fonti del ridicolo. E se la commedia è uno specchio che ha il compito di rappresentare vizi e virtù e porli in ridicolo, per spingere il pubblico a riflettere, riconoscersi nello specchio della scena e correggersi, la Trilogia della Villeggiatura, brillante, divertente e intramontabile, riesce perfettamente nell’impresa.
Tredici anni separano le prime commedie di carattere da La trilogia della villeggiatura. In questo periodo Carlo Goldoni scrive alcuni dei suoi capolavori assoluti, come La locandiera, Il campiello, I rusteghi. La sua produzione teatrale è quantitativamente prodigiosa, come testimonia emblematicamente l’impegno, mantenuto, a scrivere sedici commedie in un solo anno, il 1750. Sono anni nei quali egli completa la sua riforma, traendo spunto dal mondo per inventare il suo teatro. Si è ormai definitivamente staccato dai cliché della commedia dell’arte, e il suo sguardo indagatore si punta sull’aristocrazia parassita, sulla borghesia mercantile veneziana, sulle classi subalterne, sulle relazioni conflittuali che intercorrono tra le varie componenti della società in cui vive, sulle piccole meschinità e le ipocrisie dei singoli. Nelle sue commedie non vi sono più maschere, ma uomini e donne in carne ed ossa, che mostrano le loro contraddizioni, spesso determinate dai limiti loro imposti da invalicabili convenzioni sociali. È comunque sempre attento a trattare questi argomenti entro i limiti di una satira cortese, che induca il pubblico alla risata liberatoria, una satira mai espressa apertamente se non attraverso l’implicito connaturato alla scrittura teatrale, perché è cosciente che altrimenti potrebbe incorrere nel boicottaggio e nella censura, cosa che, vivendo della sua opera, non si può permettere. Nelle sue commedie quindi, anche in quelle più sovversive, non manca mai il finale lieto, che riconduce situazioni potenzialmente irregolari entro i binari del politicamente corretto. Nonostante queste attenzioni, il teatro di Goldoni non era mai stato alieno da critiche, anche feroci, da parte di autori più tradizionalisti, primo fra tutti l’abate Piero Chiari. All’inizio degli anni ‘60 l’opera di Goldoni è sottoposta ad un esplicito attacco da parte di un altro commediografo: il patrizio e conservatore Carlo Gozzi mette in scena, durante il carnevale del 1761, L’amore delle tre melarance, fiaba scritta sotto forma di canovaccio nella quale polemizza apertamente con il realismo della riforma goldoniana e la sua pericolosità sociale. L’opera di Gozzi ha un grande successo di pubblico, e Goldoni, che ha ormai passato la cinquantina, deluso dalla mancata assegnazione di un vitalizio da parte della Repubblica e preoccupato per il suo futuro pensa di lasciare un’altra volta Venezia: l’anno successivo si trasferisce a Parigi, dove è stato invitato per risollevare le sorti della Comédie Italienne. Quella che avrebbe dovuto essere una permanenza piuttosto breve si prolungherà sino alla morte, oltre trent’anni dopo. Prima di lasciare Venezia, Goldoni scrive alcuni dei suoi ultimi capolavori, tra i quali, oltre alla Trilogia, Le baruffe chiozzotte, Sior Todaro brontolon e quella sorta di addio che è Una delle ultime sere di carnovale. La trilogia della villeggiatura riveste un ruolo particolare nell’ambito dell’opera goldoniana, innanzitutto per la struttura. Si tratta infatti, come dice il nome, di tre commedie, distinte ma concatenate temporalmente, aventi gli stessi protagonisti. La prima narra dei preparativi per la villeggiatura, la seconda di ciò che accade durante la villeggiatura e la terza delle conseguenze della villeggiatura. Goldoni già in passato aveva scritto alcune commedie che ne riprendevano altre, ma è la prima ed unica volta che presenta un trittico tanto organico che potrebbe quasi essere considerato un’unica commedia in nove atti, come dice lo stesso autore, il quale rimarca anche come il tutto sia stato scritto contemporaneamente. Indubbiamente questa scelta può essere stata dettata dalla intrinseca ampiezza delle situazioni trattate, ma non è escluso che ci possa anche essere stata, da parte di un professionista del teatro, anche la volontà di fidelizzare il pubblico, spingendolo a tornare a teatro per vedere come andava a finire. Perché Goldoni punta la sua attenzione sulla villeggiatura? Per capirlo è necessario contestualizzare questa pratica. Le ville venete sono famose: disegnate da famosi architetti del rinascimento e del barocco, punteggiano il paesaggio delle province di Treviso, Vicenza e Padova. Oggi in molti casi sono annegate nello scempio che di tale paesaggio ha fatto un’urbanizzazione che allo sviluppo (in realtà alla mistica del denaro come unico valore) ha sacrificato tutto, a partire dall’identità del territorio, ma per secoli sono state il fulcro di una precisa organizzazione territoriale, sociale ed economica. La nobiltà veneziana traeva una parte importante della propria ricchezza dalla proprietà terriera, e la villa era il luogo nel quale si recava per sovraintendere alle operazioni colturali e ai raccolti. In villa si andava all’inizio dell’estate e vi si tratteneva sino alla vendemmia. Con l’accentuarsi del ruolo parassitario dell’aristocrazia rispetto alla borghesia mercantile, la villeggiatura perse gradualmente il suo aspetto utilitaristico per divenire uno svago, un simbolo di distinzione. Le ville, i cui spazi originariamente erano utilizzati in prevalenza per immagazzinare le derrate, si trasformarono in lussuose dimore signorili. All’epoca di Goldoni questa trasformazione della villeggiatura in uno degli status symbol delle classi dominanti era compiuto da tempo. La stessa borghesia veneziana, ormai da tempo detentrice del potere reale, quello economico, aveva introiettato la necessità di imitare i modi dell’aristocrazia quale segno della distinzione sociale, e lo sfarzo della villeggiatura era uno di questi. In villa si davano le serate più brillanti, si intrecciavano le relazioni più importanti, e la villeggiatura ormai si prolungava sino all’autunno inoltrato. Goldoni per lunghi anni è stato in qualche modo il cantore delle virtù di saggezza, frugalità e avvedutezza del mercante veneziano, di cui il personaggio di Pantalone De’ Bisognosi ha rappresentato l’archetipo. L’autore veneziano ne mise anche in mostra i difetti, quali l’avarizia, l’autoritarismo e l’attaccamento ottuso alle tradizioni, ma tutto sommato questi difetti erano in qualche modo il necessario corollario di una personalità sociale complessivamente percepita come positiva, soprattutto se comparata alla grettezza dell’aristocrazia. È con le quasi contemporanee I rusteghi e La trilogia della villeggiatura che questa concezione si incrina: mentre però ne I rusteghi alla berlina sono messi, sia pure in modo più totalizzante e corrosivo, i difetti già visti, quelli propri del mercante veneziano, con la Trilogia l’autore fa un salto in avanti per così dire teorico, colpendo la borghesia, in particolare quella media e piccola, nelle sue smanie di scimmiottare l’aristocrazia. In questo modo Goldoni sembra avvertire che la nuova classe sta ormai rinunciando ad affermare i valori sulla quale si era formata e, vinta ormai la battaglia per il potere con una nobiltà che si sta autoestinguendo, mira ad ereditarne le tare, viste come elemento di legittimazione. È però ora necessario, al fine di giustificare queste asserzioni, accennare alle vicende narrate, sia pure a grandissime linee, avvertendo il lettore che le commedie presentano altre storie collaterali, che però in gran parte hanno solo la funzione di rispondere alle esigenze di farsa ed azione del pubblico di Goldoni. Innanzitutto si deve rilevare come la vicenda sia ambientata non a Venezia, ma a Livorno. Probabilmente anche questo è un segno della consapevolezza di Goldoni che queste sue commedie miravano al bersaglio grosso. Sinché i suoi strali si rivolgevano all’aristocrazia o si limitavano ad accentuare più o meno bonariamente difetti che il suo pubblico (per lo più borghese) poteva recepire come proprie virtù fondanti, l’ambientazione poteva essere veneziana. Quando però la critica si fa radicale sino ad attribuire alla borghesia la stessa vacuità dell’aristocrazia ecco che Goldoni ritiene più prudente spostare l’azione in un’altra città. Nella prima commedia, Le smanie per la villeggiatura, entrano in scena i due nuclei familiari che saranno protagonisti del ciclo: da una parte Filippo, anziano mercante vedovo, e sua figlia Giacinta; dall’altra due giovani fratelli, Leonardo e Vittoria. Leonardo è innamorato di Giacinta, anche se non si è ancora dichiarato. Vittoria è in cerca di marito. Le due famiglie hanno due ville vicine in quel di Montenero, poco lontano dalla città, e stanno per partire insieme per la villeggiatura. In particolare le due giovani smaniano per poter sfoggiare a Montenero i loro vestiti alla moda ed essere le star delle serate mondane: la loro accesa rivalità è dissimulata da una amicizia fatta di convenevoli ed adulazione reciproca. Durante i preparativi si viene a sapere che, proprio per la necessità di apparire, la villeggiatura costa moltissimo, e Leonardo sta contraendo numerosi debiti. Geloso, viene a sapere che nel calesse accanto a Giacinta ci sarà un altro giovane, Guglielmo, che egli ritiene un rivale. Tutta la commedia è punteggiata dalle false partenze dovute ai tentativi di Filippo di non lasciare che Guglielmo accompagni Giacinta. Alla fine, di fronte al carattere di Giacinta, che rivendica la sua libertà di vedere chi vuole ma nello stesso tempo si promette a Leonardo, le due famiglie partono. La seconda commedia, Le avventure della villeggiatura, è ambientata a Montenero. Punto saliente ne è l’innamoramento di Giacinta per Guglielmo, che la conquista con i suoi modi suadenti e le sue dichiarazioni d’amore. Giacinta è combattuta tra la promessa di matrimonio data a Leonardo, che però non ama, e la passione per Guglielmo, sul quale ha nel frattempo messo gli occhi Vittoria. Dopo aspri e dolorosi conflitti interiori Giacinta sceglierà di rimanere fedele all’impegno preso, spingendo Guglielmo a chiedere in sposa Vittoria. Nel frattempo la vita di villeggiatura prosegue apparentemente spensierata, tra caffè e cioccolate, pettegolezzi della servitù, partite a carte, visite reciproche, l’amore senile di una zia di Giacinta per uno scroccone, l’amore tra due giovani poveri e un po’ scemi, amici dei protagonisti. La situazione finanziaria di Leonardo però precipita senza che gli altri lo sospettino, ed egli è costretto a tornare precipitosamente a Livorno, seguito a breve da tutti gli altri. Nell’ultima commedia, Il ritorno dalla villeggiatura, Leonardo tenta, con l’aiuto di un vecchio galantuomo, Fulgenzio, di farsi dare una mano finanziaria dallo zio Bernardino, un vecchio ricco ed avaro, che però lo umilia per la sua sventatezza e si rifiuta di aiutarlo. Nel frattempo Giacinta respinge gli ultimi assalti di Guglielmo, pur essendo cosciente di sacrificare l’amore, e tutto si avvia verso il lieto fine, di cui sarà deus ex machina il buon Fulgenzio, grazie al quale Leonardo e Giacinta potranno divenire amministratori di alcune proprietà genovesi del padre di lei. Come detto in queste commedie Goldoni colpisce al cuore da angolature diverse ”quell’ordine di persone che [ha] voluto precisamente prendere di mira; cioè di un rango civile, non nobile e non ricco; poiché i nobili e ricchi sono autorizzati dal grado e dalla fortuna a fare qualche cosa più degli altri” (da L’autore a chi legge). Nessuno dei personaggi principali, con la parziale eccezione di Giacinta, esce bene dalle vicende narrate. Non certo Leonardo, scialacquatore e improvvido, che mira a Giacinta essenzialmente perché i suoi 8.000 scudi di dote gli permetteranno di pagare i debitori. Non certo sua sorella Vittoria, intenta solo a seguire la moda ed a rivaleggiare con Giacinta per il vestito più bello, pur essendo pienamente consapevole dei debiti che sta accumulando. Non certo Guglielmo, che ad onta del suo dichiarato amore per Giacinta si accomoda presto a sposare senza amarla la povera Vittoria. Ma non ne escono bene neppure i vecchi: Fulgenzio è, pur galantuomo, un rustego bigotto, tutto preso dalle convenienze a da una morale ipocritamente fuori dai tempi; lo stesso Filippo, padre di Giacinta, è un signore senza alcuno spessore morale, succube delle circostanze, che si lascia influenzare nelle decisioni dall’ultimo che gli parla, e il cui orizzonte ultimo è gastronimico. Sicuramente, però, la figura più straordinaria di vecchio è lo zio Bernardino, che compare solo in due scene (a mio avviso le più belle della Trilogia) ma che rappresenta uno dei personaggi più meschini e luciferini ideati da Goldoni: come fa giustamente notare Gastone Geron nell’introduzione, proprio la sinteticità con cui Goldoni dipinge il personaggio ne costituisce uno dei tratti di grandezza indelebile. Non è neppure il caso di accennare, poi, ai tratti quasi caricaturali che Goldoni conferisce a donna Costanza, alla zia Sabina, sessantacinquenne letteralmente in fregola, allo scroccone e pettegolo Ferdinando. Diversamente che in altre commedie goldoniane, i servitori giocano un ruolo marginale, ad eccezione di Brigida, confidente di Giacinta. Complessivamente la Trilogia consegna al lettore/spettatore il ritratto di una piccola borghesia vacua, spendacciona oltre le sue possibilità, nella quale l’avarizia non è più sinonimo di accortezza ma di cinismo e crudeltà, ottusa, bigotta e senza autorità: tutte le sue virtù sono state rinnegate. Non è quindi un caso che Goldoni abbia ambientato le vicende lontano da Venezia, e forse neppure che le due commedie in cui questi caratteri vengono sempre più allo scoperto (le ultime due) siano state a lungo considerate commedie sbagliate o minori. Accennavo alla parziale eccezione di rispetto a questo desolante panorama umano e sociale Rappresentato da Giacinta. Ella è certo l’ennesimo esemplare di donna forte goldoniana, che vive un dramma interiore e alla fine lo sa risolvere. Però non bisogna dimenticare il suo essere perfettamente organica alle smanie, come rivela la spassosa rivalità con Vittoria; inoltre va notato come la soluzione data al suo dramma sia quella peggiore: seguirà infatti le ragioni delle convenzioni piuttosto che quelle del cuore, adattandosi ad un futuro presumibilmente infelice accanto ad un uomo che non ama. Forse Goldoni non poteva fare altrimenti, ma è indubbio che il personaggio di Giacinta ne esce notevolmente indebolito. Prima di andarsene da Venezia Goldoni ci rivela tutta la sua disillusione verso la classe sulla quale aveva puntato: significativamente l’ultimo acuto lo riserverà ai pescatori di Chioggia. Poi sarà solo Francia, e quando lì quella stessa borghesia prenderà il potere, lo farà morire povero, togliendogli la pensione.
la prima delle tre commedie, nonostante l'inspiegabile scarso successo alla sua uscita, è una delle letture più divertenti che abbia avuto il piacere di leggere e la consiglio caldamente. le altre seppur comunque molto carine a confronto risultano leggermente sottotono, ma tutto sommato l'intera trilogia risulta estremamente godibile e mantiene incollati alle pagine per l'intera durata
Spesso Carlo Goldoni mette in scena nelle sue commedie la classe sociale cui apparteneva, la borghesia in ascesa dell'Italia settecentesca, schiacciata tra le sue origini umili e le sue ambizioni quasi nobiliari, cercando di evidenziarne i vizi e le storture. La Trilogia della villeggiatura lo fa, però, in modo ancora più smaccato, grazie alla sua ambientazione: una vacanza in campagna, prima agognata e temuta (Le smanie per la villeggiatura), poi attuata con intrecci da tragicommedia (Le avventure della villeggiatura) e infine rimpianta o rinnegata (Il ritorno dalla villeggiatura).
Inutile stare a raccontare la trama, un triangolo amoroso quasi quadrato e tutto sommato non interessante. Più divertenti sono i capricci di questi borghesucci che giocano a fare i nobili, facendo mostra di sfarzi che non possono permettersi, per poi finire a sposarsi per mera convenienza economica quando i creditori giungono alle porte. Emblema di tale classe sociale è Ferdinando, lo scroccone, che si fa invitare nelle ville altrui per rimediare tazze di cioccolata e caffè e interi pasti.
Leggere l'intera trilogia di fila è stato abbastanza faticoso perché i temi sono alquanto ripetitivi. Credo che abbia fatto bene Strehler nel ridurla a una sola commedia quando la mise in scena nel 1954. Quest'edizione, poi, presenta una sovrabbondanza di note di discutibile utilità.
L’opera comprende le tre commedie che Goldoni scrisse nel 1761 prima di partire per la Francia. “Le smanie per la villeggiatura”, “Le avventure della villeggiatura”, “Il ritorno dalla villeggiatura”, ambientate non più a Venezia, come ci aspetteremmo, ma a Livorno. Qui l’autore vuole esprimere una critica sentita contro la moda tutta moderna di indebitarsi per andare in villeggiatura, fare dei debiti per apparire nella società. In questo suo ruolo di moralista Goldoni mette in evidenza come gli antichi valori su cui si fondava la società vengono messi in pericolo. Vizi e virtù, ma soprattutto vizi vengono trattati sullo sfondo. Nell’ultima scena alla fine sarà la sorprendente Giacinta a recuperare i valori tradizionali, l’onore, la serietà e a spingere tutti a non cadere nel ridicolo. Le commedie non sono tra le più brillanti, i personaggi son poco coerenti e caratterizzati. Dato il consumismo imperante e la scomparsa di valori morali forse queste commedie non sono poi così lontane dalla nostra vita.
I personaggi vivono in modo sbagliato, amano in modo sbagliato. Equivoci che all'inizio fanno ridere e poi si mutano quasi in una tragedia soffocata. Ma smuovendo la macchina del corpo si riesce ad avere la meglio su quei pensieri nocivi che non ci lasciano vivere. E bisogna divertirsi, e ridere. ❤️
Trilogia molto godibile e gradevole, si lascia divorare in un attimo senza mai annoiare il lettore. Complessivamente è stata una lettura divertente, ma per mio gusto personale, ho trovato "Le smanie della villeggiatura" più effervescente delle altre due commedie successive, decisamente più fiacche e con battute meno brillanti e memorabili; questo è dovuto sia al cinismo goldoniano, che si fa sempre più palese con il proseguire dell'opera per rivelarsi in tutta la sua spietata gloria nell'amarissimo finale, e nella trasformazione del personaggio di Giacinta, cuore pulsante della trilogia: se nella prima commedia spicca sugli altri personaggi per la sua vivacità e la dialettica impeccabile, nelle successive perde un po' lo smalto, diventando via via più simile a una figura tragica per lo svolgersi degli eventi.
La "Trilogia della villeggiatura" di Carlo Goldoni – articolata in "Le smanie", "Le avventure" e "Il ritorno" – rappresenta un'opera di grande rilievo nel panorama teatrale italiano che, esplorando le fasi preparatorie, di soggiorno e di rientro dalla campagna, offre una lucida e penetrante disamina della borghesia settecentesca, progressivamente sopraffatta dalle convenzioni e dagli interessi dominanti della società. L'autore, con la sua ineguagliabile perspicacia, svela le derive di un contesto sociale che trasforma il semplice riposo estivo in una frenetica corsa agli sprechi e all'ostentazione. La villeggiatura si configura pertanto come un vero e proprio campo di battaglia per l'affermazione dello status sociale, dove il lusso superfluo e le spese esorbitanti divengono prassi comune. Questa tendenza, propagatasi dai ceti più abbienti fino alla media borghesia, induce frequentemente nobili decaduti e borghesi ambiziosi ad eccedere, spingendosi oltre le proprie possibilità economiche, contraendo debiti pur di non sfigurare in società. Attraverso le vicende di una serie di personaggi, le cui pretese eccedono di gran lunga le proprie disponibilità finanziarie, Goldoni denuncia quindi la decadenza dei valori positivi in favore di particolarismi ed egoismi. La commedia dello scrittore veneziano, pertanto, illustra efficacemente come la genuinità dell'esistenza venga soffocata dalle convenzioni sociali e dagli interessi personali, delineando un ritratto malinconico e al contempo ironico di un'epoca in cui l'apparenza prevale sulla sostanza e le aspirazioni individuali si infrangono contro le rigide strutture sociali. Un testo che, proprio in virtù di ciò, risulta essere un monito ancora molto attuale.
belli i temi ho apprezzato il goldoni che pensa anche alle figure femminili pur lasciando un finale amaro, letto per lo stesso motivo della bottega del caffè, ma in questo caso sarà che erano 3 opere insieme l'ho trovato più pesante, bella l'idea ma non mi ha convinto l'esecuzione ho fatto fatica a continuarlo
Un bellissimo libro sicuramente. Amo la scrittura di Goldoni e di come egli sia capace di “usare” i personaggi delle sue opere/commedie per mettere in evidenza pregi e difetti della società in cui vive. Ciò, ai giorni d’oggi, funge da testimonianza.
Avis contrasté : des personnages peu intéressants, qui ne donnent pas envie qu'on se soucie de leur sort, mais une fin amère assez inattendue, qui fait que j'ai paradoxalement fini le livre sur une bonne note.
J'ai une longue histoire avec cette trilogie, depuis que j'ai vu jadis à la télévision quelques minutes de la mise en scène de Giorgio Strehler : et ç'a d'abord été une histoire de spectateur, avant que récemment je ne la lise dans cette nouvelle édition. L'idée d'une trilogie comique est typiquement goldonienne et l'ensemble formé par "La Frénésie de la villégiature", "Les Aventures de la villégiature" et "Le Retour de la villégiature" en est la plus célèbre illustration : trois pièces qui peuvent se voir indépendamment, avec chacune un dénouement suffisamment satisfaisant, fût-il provisoire ; mais qui forment un long tout dramatique dont la valeur est supérieure à la somme des parties. Les personnages sont de Livourne, mais Goldoni leur a attribué un travers paraît-il typique de la Venise de son époque : aller mener grande vie à la campagne à la saison des vendanges, sous prétexte de surveiller leurs vignes. Cette villégiature, où l'on met sa gloire à s'habiller plus à la mode qu'en ville, et à entretenir le plus grand nombre possible de parasites, hum, excusez-moi, je veux dire d'invités, est un loisir narcissique et très coûteux. Or au début de "La Frénésie de la villégiature", la plupart des personnages ne peuvent plus se le permettre et se trouvent face à la nécessité de mener un moins grand train, de se faire inviter par les autres, ou... de remettre la question d'argent à leur retour. L'observation satirique, minutieuse et réjouissante, est propulsée par une intrigue sentimentale complexe, au coeur de laquelle on trouve un quatuor de jeunes gens. Leonardo est amoureux de Giacinta, autour de laquelle tourne le libertin Guglielmo, cependant que Vittoria, la soeur de Leonardo, entre en compétition d'élégance et de popularité avec elle. Autour d'eux gravite tout un petit monde plein de silhouettes cocasses et de situations qu'on dirait croquées sur le vif (il y a notamment une scène au café qui évoque irrésistiblement, avec deux cents ans d'avance, un célèbre dessin de Sempé), mais l'ampleur dramatique de l'ensemble en fait l'équivalent, pour les quatre jeunes gens, d'un véritable roman d'éducation, sous les yeux attendris, parfois inquiets et parfois narquois de leurs valets, plus expérimentés qu'eux et bien plus sages. Le premier et le troisième volet, d'une vivacité parfois proche de la frénésie, entre bouderies des amoureux, problèmes pratiques liés au voyage et besoin d'argent, encadrent "Les Aventures de la villégiature", plus calme et contemplatif même si l'intrigue avance, où le comique se fait plus psychologique et sociologique. Et petit à petit, sans que la trilogie cesse d'être chorale et de développer tous les caractères, une héroïne s'impose, dont le caractère apparemment capricieux s'avère l'indice d'une ardeur et d'une indépendance indomptables - on me pardonnera de ne pas la nommer. Rétive à toute emprise sur son existence, désireuse de mener sa barque à sa manière quitte à devoir affronter déceptions et coups durs, elle finit même par se révolter contre l'auteur en refusant de dire une tirade, geste littéraire d'une extraordinaire modernité ; volontiers qualifié de "Molière italien", Goldoni, qui nourrissait une intense admiration pour Jean-Baptiste Poquelin, est bien plus que cela : il est Goldoni, un dramaturge extrêmement original qui ouvre la voie à bien des esthétiques théâtrales futures.