Massimo Carlotto began his literary career in 1995 with the noir novel The Fugitive, a fictionalized account of his time on the run. In 1998 he published Le irregolari, the semi-autobiographical novel on the Argentine military regime of the Seventies. In 2001 he released Arrivederci, amore ciao, which was adapted into a movie in 2005. In 2004 he published Death's Dark Abyss, a nihilistic noir on the theme of revenge.
101: storia di un numero primo che non è più solo.
Ieri mentre leggevo le pagine di questo libro sotto i ciliegi in fiore dei giardini dell'Eur ho provato una gioia talmente forte da riuscire quasi a capire cos'è il dolore per la perdita di un figlio, anzi per la sua sparizione. Le pagine sono fitte di nomi e di storie, di età tutte tragicamente simili tra loro, perché narra e ricorda vite giovani, giovanissime, bruciate dalla follia degli uomini negli anni del golpe argentino. Ieri, mentre leggevo la storia di Abel Madariaga che cercava suo figlio Francisco, ventuno anni all'epoca in cui Massimo Carlotto ha scritto Le irregolari, nel 1998, nato dopo il rapimento di sua madre Silvia, rapita e mai tornata a casa quando era incinta di quattro mesi, un lampo mi ha attraversato la mente: - Ma io questa storia la conosco, - mi sono detta - Francisco l'hanno trovato! E allora mi sono ricordata di un articolo letto poche settimane fa su Il Venerdì di Repubblica, dov'era raccontata la storia di Abel e di suo figlio, Francisco, che per oltre trent'anni aveva vissuto come Alejandro Ramiro Gallo, senza sapere di essere nato da una desaparecidos e senza sapere che suo padre, da quando aveva avuto la conferma della sua nascita, lo stava cercando. Ha dovuto aspettare altri dodici anni Abel, quest'uomo dal sorriso aperto e dagli occhi buoni, da quando aveva raccontato a Carlotto la sua storia; ha dovuto aspettare altri dodici anni per riabbracciare quel figlio mai conosciuto e che sembrava perduto. Il suo Francisco è il 101° ragazzo ritrovato dalle Nonne di Plaza di Majo, il 101° miracolo: per questo non bisogna smettere di cercare, per questo non è possibile dimenticare. Ieri, mentre leggevo questo libro sotto i ciliegi in fiore dei giardini dell'Eur, mentre cadevano i petali cadevano a pioggia su di me, hanno iniziato a cadere silenziose anche le mie lacrime, per una gioia talmente forte da essere quasi uguale al dolore.
"...perchè ho imparato che l'unica lotta che si perde è quella che si abbandona."
I meriti di questo libro sono da individuare quasi esclusivamente nel suo valore documentario, in quanto le pagine pregevoli dal punto di vista letterario e creativo sono davvero poche. Ciò che stupisce maggiormente è il fatto che Massimo Carlotto, originale inventore di trame noir, riesca a sminuire con situazioni al limite dell’assurdo – per non dire del ridicolo – la carica emotiva della vicenda più noir che si possa immaginare, tanto più sconvolgente in quanto reale e storicamente collocabile nello spazio e nel tempo. La desaparición messa in atto in America Latina, e in seguito “esportata” anche all’estero come strumento di terrore e di annullamento di ogni iniziativa di dissenso contro i regimi totalitari, è uno dei mezzi di coercizione più subdoli e crudeli, poiché non implica unicamente l’arresto, la tortura e la morte, ma la completa cancellazione dell’identità di una persona, tramite la sua scomparsa avvolta nel silenzio e nel mistero. È grazie alle “irregolari”, ovvero le madri e le nonne argentine di Plaza de Mayo, che è stata rivelata agli occhi del mondo la tragedia di un popolo, con una intera generazione di giovani sterminata dalla repressione della dittatura: i campi di concentramento, le torture più sozze e meschine, i cosiddetti voli della morte, le sepolture anonime e segrete in fosse comuni, le ragazze incinte fatte partorire e poi uccise, i neonati clandestinamente venduti o affidati a famiglie fedeli al regime... Queste donne, spesso semplici casalinghe prive di istruzione, sono state le uniche a prendere posizione con coraggio e determinazione indefessa, mentre i loro uomini subivano perdite e dolore in preda al fatalismo rassegnato e alla paura; e hanno condotto per anni una disperata battaglia contro le istituzioni, contro l’indifferenza o le acquiescenze di comodo dei governi e della chiesa, e infine contro la minaccia dell’oblio, generata da amnistie e dall’ipocrita perdono istituzionale nei confronti dei colpevoli delle sevizie e delle stragi in nome dell’”ubbidienza dovuta”. Il risarcimento preteso da queste donne, indomabili nonostante l’età, nonostante lo scherno e le minacce di cui erano bersaglio, non si è quantificato in richieste di denaro o in vuote parole di compianto e solidarietà, ma nel riconoscimento della verità: per fare conoscere ai nipoti dispersi le loro autentiche origini e soprattutto per rivendicare l'orgoglio e la dignità della morte dei loro figli in nome di un sogno e farli rivivere nell’unico modo possibile, cioè nelle piazze della protesta e nella memoria del mondo.
La valutazione di sole tre stelle vuole essere una specie di punizione per lo scrittore, a mio avviso troppo indugiante in compiaciute autocelebrazioni familiari e sogni premonitori, nonché in misteriosi passi di tango e milonghe assortite.
Carlotto parte per l'Argentina alla ricerca delle tracce del nonno, ed entra nella realtà dei desaparecidos. E ne rimane sconvolto, non solo per la sua storia personale ma perché si tratta di una delle più agghiaccianti storie dello scorso secolo (insieme alle varie dittature repressive degli altri stati sudamericani). La narrazione è suddivisa per capitoli, ognuno dedicato a una persona incontrata che racconta la storia dei propri desaparecidos. Carlotto sceglie uno stile partecipe ma contenuto quando fa parlare gli altri, mentre quando si tratta della "sua" storia cade un po' troppo nel tono confidenziale che a volte è un po' irritante. Il libro si merita 4 stelle perché ogni voce che parla della storia negata dell'America Latina degli ultimi 30 anni è il miglior memento per non scordare (nella speranza che riusciamo a far sì che non si ripeta). Storia sconvolgente, ma lo è ancora di più se si pensa che queste cose sono successe dopo la 2a Guerra Mondiale, dopo la condanna al nazismo e a qualsiasi forma di dittatura, e diventa aberrante se si aggiunge che queste cose sono successe mentre la gente sapeva, mentre l'Italia andava in Cile per giocare a tennis, e in Argentina per i mondiali di calcio.
ha masticato il mio cevello per qualche settimana. eppure non è un bel romanzo, non ha un lessico ricercato, non vi si trovano ricercatezze stilistihce. non è Letteratura. ma è la vita e il dolore delle Madrie delle Nonne di Plaza de Mayo, gli orrori della dittatura argentina. La dittatura uccide, strappa alle madri figli appena partoriti. ragazzi senza identità adottati dagli assassini dei genitori naturali. è un libro denuncia, un rosario di dolore, un "horror tour" tra campi di concentramento, anni di torture, posizioni piuttosto ambigue per non dire complici di parte della chiesa. e queste donne, insegnante, casalinghe, apolitiche si trovano a dover reagire alle sparizioni dei figli, rapimenti di nipoti. il desiderio di riavere il corpo dei propri cari desaparecidos. è un viaggio in un dolore che pare lontano. l'incontro con la speranza rappresentata da un fazzoletto bianco di queste donne combattenti e coraggiose che non si arrendono.
è un viaggio doloroso. una via crucis con dei volti, dei nomi e delle date.
Un libro testimonianza, pieno di dolore ma che dalle sue pagine trasuda impegno sociale, volontà di sapere, di Giustizia. Una pagina tristissima della nostra storia, dove sono state calpestate le vite, le dignità di tantissime persone che si sono trovate a vivere quando al potere si sono assediate con la forza persone senza scrupolo, iniziando a sequestrare, torturare e far sparire nel nulla, alla fine quasi un’intera generazione. Il libro parla della dittatura in Argentina e a tratti tocca anche quella cilena negli anni 70. Famiglie che hanno cercato aiuto e che si sono ritrovate davanti a porte chiuse, porte corrotte, sia nella politica quanto nella chiesa. Porte chiuse che proprio grazie alla paura e al silenzio hanno potuto indisturbate perpetrare questo scempio. Donne, le nonne e le madri di “Plaza de Majo” si sono unite per tenere vivo il ricordo dei “Desparecidos”, mariti, figli e in molti casi nipoti. Nipoti che sono venute a sapere solo molti anni dopo di avere ma che non per questo non hanno smesso di cercare. Unite per cercare di arrivare a una verità, una certezza. Deve essere stato ed è uno stillicidio non avere un luogo, un corpo da poter piangere, per poter magari un giorno pensare di poter andare avanti.
Questo libro l'avevo scoperto nel 2020 e l'anno scorso ho avuto modo di trovarlo nell'usato e ne ho approfittato! Carlotto, attraverso la forma del romanzo, fa una cronaca della dittatura argentina, quella dei "Desaparecidos" ossia tutte quelle persone (principalmente giovani) che si opponevano alla Giunta militare tra il 1976 e il 1983. Ci sono testimonianze fortissime delle famose nonne e madri di Plaza de Mayo, le "irregolari" del titolo: donne comuni che hanno protestato per anni contro la dittatura per avere giustizia e informazioni sui loro figli e figlie fatti sparire dai militari ma anche sui nipoti, che il governo dava ad altre famiglie appena nascevano. Vengono descritte le torture, la pianificazione a tavolino delle sparizioni, si parla del coinvolgimento degli USA nel posizionare dittature nel Sud America e del clero che benediva persino gli assassini. E ci sono anche collegamenti con il nostro paese e la P2... Come è finito tutto? Amnistie e poche personalità in galera per gli orrori compiuti nei campi di prigionia. In alcune parti la scrittura di Carlotto non mi ha fatto impazzire ma è un libro che mi è piaciuto comunque molto, mi ha fatto scoprire di più sulla dittatura argentina di cui sapevo poco 🇦🇷❤️
Un piccolo libro, un gioiello e un pugno allo stomaco. Importante da leggere, diretto, forte, necessario.
"Per eliminare duemila guerriglieri che si opponevano alla dittatura, ne hanno ammazzati trentamila."
"D'altronde la democrazia ha perdonato gli assassini che portano ancora la divisa e continuano ad usare i metodi di una volta."
"Nel mio Paese la verità dei tribunali è troppo spesso ambigua, e scontenta le coscienze. Talvolta le indigna."
"Gli uomini della dittatura e quelli della democrazia le odiano perché non permettono a nessuno di dimenticare. Gli uomini... perché di loro si tratta - la violenza del potere maschile - non sopportano di trovarsi di fronte, all'opposizione, delle casalinghe che si sono trasformate in un soggetto politico forte e autonomo, in una forza morale rispettata in tutto il mondo... al contrario del corrotto governo argentino."
"La democrazia promulgò leggi, concesse indulti e amnistie ma non arrivò nemmeno a processare i duemilatrecento militari materialmente responsabili delle torture e degli omicidi dei nostri figli."
"Non si può riparare con denaro quello che deve essere riparato con Giustizia. E in Argentina non c'è Giustizia, c'è solo impunità, violenza perversa, corruzione."
"Siamo irregolari e chiediamo alla gente di disobbedire perché senza giustizia non può esserci democrazia."
Libro bellissimo, romanzo che racconta una vicenda vera, quella dell'incontro tra Carlotto e le nonne e mamme della Plaza de Mayo.
Carlotto è uno scrittore che mi piace molto, ha un tratto asciutto, non c'è nulla di inutile, nessun "fronzolo" nei suoi libri, a maggior ragione in questo, che racchiude la memoria di molti figli e nipoti desaparecidos, di come è andata avanti la vita di queste famiglie.
Mi ha fatto venire voglia di approfondire un argomento di cui so poco.
Siento que es un libro muy bien hecho desde el lado periodístico, muestra verdades e historias muy personales de uno de los peores crímenes cometidos contra la humanidad. Hay un hilo conductor pero la narrativa no logró conmocionarme con el protagonista, cuando sentía que todas las historias alrededor eran mucho más complejas e importantes. Igual es de leer para no dejar de hablar de este tema, especialmente ahora.
Leggere Le Irregolari é doloroso. Lo lessi per la prima volta 10 anni fa, prima della mia piccola parentesi di vita a Buenos Aires, e mi impressionó per la sua crudezza, per l'agonia che trapelava da ogni pagina, per il racconto cosí dettagliato e minuzioso della tortura. Rileggerlo, mi ha suscitato le stesse identiche sensazioni. E mi correggo: Leggere Le Irregolari é tanto doloroso, quanto necessario.
Un libro che dovrebbero leggere tutti, perché purtroppo sui desaparecidos si sa ancora troppo poco. Siamo ancora troppo poco informati.
Conosco giá molto bene Carlotto e per quanto questo piccolo libriccino tratti un tema pesantissimo e orribile, é impossibile staccarsi dalle sue pagine e dallo stile narrativo di Carlotto.
E purtroppo, tutto ció che è scritto al suo interno, é tutto vero.
"È chiaro che in Argentina dovranno morire tutte le persone che saranno necessarie al fine di garantire la sicurezza del paese" (dal discorso pronunciato dal generale Videla alla conferenza degli eserciti americani qualche mese prima del colpo di stato)
purtroppo una ricerca nobile e un tema importante non fanno da sé un libro eccellente e questo ahimè non mi è piaciuto e anzi mi arrischierei a dire che mi ha quasi mandato in blocco per fortuna l'ho finito war is over posso tornare alla serena lettura
Leggere questo libro fa male, male, male, indigna soprattutto se si pensa alle terribili sofferenze che i desaparecidos e le famiglie hanno dovuto affrontare e subire. In questo saggio Carlotto ripercorre la storia dei desaparecidos, delle Madri, delle Nonne di Plaza de Mayo raccontandoci una pagina terribile della dittatura militare. Una pagina di orrore, di morte, di cadaveri, di sofferenza, di atroci torture, di elettroshock, di unghie strappate, di ossa rotte in nome delle donne che chiedono che giustizia sia fatta e che tutto ciò che hanno vissuto non diventi oblio. Un libro che spacca il cuore, fa lacrimare il cuore, piangere e commuovere.
Un ringraziamento speciale a Claudia Pezzetti per averne parlato e avermi spronato a leggerlo.
Libro importante per mantenere la memoria di fatti noti ma poco "conosciuti", per prima da me. Un Regime del terrore con tecnica di repressione dei dissidenti chirurgica, studiata nei dettagli, con una complice omertà elevata a sistema per preservare il potere. Forse la parte più importante è proprio, oltre alle storie personali dei desaparecidos, la descrizione della creazione di un metodo talmente funzionale allo scopo da esser pronto per l'esportazione. Interessante anche il ruolo della chiesa, l'accenno ai mondiali del '78 e le vicende di queste Nonne agguerrite. Carlotto mi è parso peró troppo vanesio, una voce a tratti irritante.
Il romanzo mi ha fatto fisicamente male e più volte ho dovuto interromperne la lettura.. Quando l'ho finito mi sono chiesta come sia possibile che dei Desaparecidos in Argentina, se ne sappia così poco: parlo per la mia generazione non avendo modo di fare confronti con chi questo periodo l'ha vissuto, ma chiedendo in giro nessuno dei miei amici mi ha risposto: "Sì, ho presente, che vergogna!". Niente, l'oblio.. Il testo di Carlotto dovrebbe essere obbligatorio nei licei, o quantomeno fortemente raccomandato! Io stessa l'ho letto sotto consiglio di un'amica e perché con Carlotto avevo già avuto una buona esperienza ("Arrivederci amore ciao", anche se i due romanzi sono completamente diversi), altrimenti anche io sarei rimasta ignorante :/
Carlotto compie un viaggio in Argentina per scoprire di più su suo nonno che qui vi ha passato una parte della sua vita e finisce per conoscere il 'movimento' delle nonne e delle mamme di Plaza de Mayo, le "Irregolari": sono le nonne e le madri dei desaparecidos del periodo della dittatura argentina (fine anni '70/inizio anni '80) che cercano di scoprire la verità sui loro figli e nipoti e lottano per veder riconosciuti i crimini commessi in quegli anni. L'Horror tour di cui parla è quello che compie sera dopo sera visitando le case dei desaparecidos e - forse ancora più inquietante - di tutti i personaggi del potere che hanno compiuto stragi e porcate, la maggior parte dei quali ancora al potere. Anche per il lettore è un tour dell'orrore, un tour che alla fine di ogni tappa ci fa sentire sporchi, cattivi, 'non abbastanza'. Molte storie sono simili, con torture, uccisioni, cancellazione della memoria, schifezze imperdonabili.. Eppure mi è pianto il cuore per ognuna di loro, impossibile non essere scossi per queste povere anime! Scossa, certo, ma anche arrabbiata, disgustata, senza parole e d'altro canto ammirata e fiera delle Irregolari: donne forti, coraggiose, che non si lasciano intimidire dalla violenza fisica e verbale dei militari.. Il mondo avrebbe bisogno di più persone come loro!
Temo di fare un torto al libro con il mio blablabla.. Vi lascio alcuni passaggi che mi sono segnata con il consiglio di rimediare il libro e seguire per voi stessi l'horror tour..
"Quando mi vennero a prendere, una giudice mi disse che dovevamo parlare" mi spiegò Elena, passando il dito sul bordo della tazza. "Io sapevo già di essere stata adottata e quando lei mi raccontò che mio papà e mia mamma non mi avevano abbandonato, come mi era stato detto, ma che erano stati sequestrati, volli sapere due cose: se quelli che io avevo chiamato mamma e papà fino a quel momento ne erano a conoscenza e che cosa era successo esattamente ai miei veri genitori".
"Sono più di vent'anni che cerco di avere sue notizie, ma finora non ho trovato né una traccia, né un testimone. Capisce cosa voglio dire?". Non attese la mia risposta e continuò: "E' un inferno vivere così. La dittatura continua a torturarci, noi famigliari, ininterrottamente da vent'anni. Nemmeno il nazismo è arrivato a tanto: alle famiglie degli oppositori politici eliminati veniva sempre comunicato il decesso.
"Lo definiscono il tema del duelo, del lutto" spiegò ancora Paz. "Se una madre può stringere tra le braccia, seppellire e piangere il figlio assassinato, riesce a farsene una ragione e a vivere il lutto. Ma se il figlio è desaparecido morto chissà come e sepolto chissà dove, allora la madre non riesce a razionalizzare il lutto e la vita è un dolore continuo…
Quando trovavano dei bambini, se non erano morti durante la sparatoria iniziale portavano via anche loro. Raramente li lasciavano ai vicini, o li abbandonavano per strada, oppure davanti ai portoni degli ospedali o degli orfanotrofi. Se erano neonati o molto piccoli, li vendevano o li regalavano a famiglie di militari e poliziotti che non potevano avere figli. Quando però la patota sequestrava una donna incinta, il cattolicissimo esercito argentino, con un controllo medico costante perché non morisse o abortisse a causa delle torture, si premurava di tenerla in vita fino al parto per poi strapparle il neonato partorito su qualche tavolaccio o lurido pavimento di una cella e regalarlo o venderlo al miglior offerente. C'era addirittura un tariffario. I prezzi variavano a seconda della bellezza della madre e del suo stato sociale…". "E poi?". "A quel punto la madre veniva eliminata. Come tutti gli altri". "E le donne sapevano che avrebbero fatto quella fine?". "Sì. Incredibilmente i casi di aborto furono davvero pochi. Sopportarono tutto con grande coraggio, attaccandosi alla vita con le unghie pur di portare a termine la gravidanza. Dare la vita a quei bambini era il loro testamento. Un atto d'amore… E di ribellione…".
La tortura più diffusa era la picana, amorevolmente chiamata dai golpisti "la piccola Lulù": elettrodi applicati su tutto il corpo. A un certo punto i sequestrati da interrogare furono così tanti che si dovette inventare la picana automatica, una rete di metallo dove veniva legato il prigioniero che riceveva una scossa elettrica di tre secondi ogni tre secondi per tre ore. Quasi tutte le donne e buona parte degli uomini subirono sevizie sessuali, i militari argentini reintrodussero l'impalamento che i conquistadores avevano soppresso nel 1558.
I militari e i loro complici ci disprezzavano, ci chiamavano pazze e ci bastonavano appena possibile. La società argentina fingeva di non accorgersi di noi perché non ci comportavamo come tutte le altre donne. Eravamo considerate, come dire, irregolari, perché avevamo deciso di non accettare la morte dei figli e il rapimento dei nipotini. Molti arrivarono alla crudeltà di tentare di convincerci che non era giusto "traumatizzare" i bambini restituendo loro la vera identità al costo di scoprire che i loro genitori naturali erano stati barbaramente assassinati.
"La verità sulla ESMA si seppe grazie a un errore dei militari" raccontò ancora Santiago. "Dimenticarono di eliminare un testimone veramente scomodo: Victor Melchor Basterra. Era rimasto nel campo quasi cinque anni; per non morire aveva collaborato lavorando in un laboratorio di falsificazione dei servizi. Tra il materiale a sua disposizione c'era una macchina fotografica che adoperò clandestinamente per documentare la vita all'interno del campo. Un anno dopo la sua liberazione si presentò alla commissione governativa che indagava sui desaparecidos con una quantità impressionante di prove inconfutabili. Ovviamente non servì a nulla. La democrazia si affrettò a varare due leggi: la prima detta della "ubbidienza dovuta", che sancì l'impunità per il personale militare fino al grado di colonnello; l'altra, chiamata del "punto finale", a protezione degli ufficiali superiori, pose il divieto di istruire nuovi processi".
"E tu in che campo sei finita?" domandai cauto. "El Banco. Con mio marito" rispose stancamente. "Quando lo torturavano riconoscevo le sue urla. Duravano esattamente il tempo delle scosse elettriche: tre secondi. Alla fine un urlo durò più a lungo… capii che me lo avevano ammazzato".
A pagina undici trovai il pezzo, intitolato "Accumulando delitti". Luis Abelardo Patti era un delinquente confesso che durante la dittatura si era macchiato dei peggiori crimini: sequestri, omicidi, stupri e torture, ma come tutti gli altri era stato amnistiato. Oggi, poteva ancora ricoprire l'incarico di intendente di polizia, solo grazie all'esplicita protezione del presidente Menem e del governatore Duhalde. Si vantava con la stampa di torturare i sospetti e di tenere in cella di sicurezza imputati minorenni fino a quindici giorni, prima di avvertire il giudice.
Questo libro mi ha tolto il sonno, la realtà raccontata mi ha tolto la serenità, quel “se lo llevaron” continua a girarmi nelle orecchie. Però l’orrore di una realtà tragica non toglie la necessità di parlarne.
Carlotto lo fa in maniera eccellente, con delicatezza, quanto lo si può essere con un argomento pesantissimo come dittatura tortura e desaparecidos, con precisione e grande umanità.
Questo romanzo onora l’incredibile forza di donne coraggiose, ma irregolari, in quella che pare la regolarità argentina, dove è come se nessuno sia scomparso, tutto normale, tutto a posto. Dove non tutti ma parecchi chiudono orecchie e occhi su un orrore che pure sta tutto intorno a tutti. I desaparecidos venivano fatti sparire solo perché si opponevano, solo perché lottavano, come era loro diritto, per avere giustizia e libertà in un Paese che invece applicava esattamente l’opposto. Sparivano solo perché non la pensavano come il governo voleva che pensassero. E tutto nell’ombra, con una repressione illegale, violentissima, impunita.
Viene narrata la storia di queste madri di plaza de Mayo, la loro protesta, il modo in cui sono state ignorate dal proprio Paese, dal proprio governo, dai capi religiosi, dai propri connazionali, per i quali erano e sono scomode, come sempre è scomodo chi non ci sta a chiudere bocca e occhi, e continua a parlare di ciò che non si vuole sentire. Ignorate anche a livello internazionale. Hanno dovuto faticare tantissimo per ottenere attenzione, e ancora faticano per ottenere giustizia.
Alla fine della lettura non si può non trarre la conclusione che si è trattato di uno sterminio, trentamila persone torturate e scomparse in campi clandestini, cadaveri spariti, sono uno sterminio, sono un crimine tremendo contro l’umanità, che ancora oggi non ha ricevuto la dovuta giustizia. Restiamo impietriti di fronte all’olocausto ma andiamo in Argentina per i mondiali di calcio, invochiamo giustizia e poi facciamo affari sottobanco con chi infligge ingiustizia.
Un libro durissimo da leggere perché durissima è la realtà narrata. Realtà, fatico a crederlo, eppure è realtà, vorrei non lo fosse, ma è realtà.
Questo libro è da leggere perché per quanto duro, niente lo è più dell’ignorare la verità.
Verità che conoscevo in parte, ma non dall’interno, non attraverso gli occhi e il cuore di queste madri e nonne, e di quest’autore, che continua a conquistarmi per la sua incredibile umanità e per le particolari vicende che si trova a vivere, prima, e a narrare, poi. Anche se ogni suo libro per un motivo o per l’altro mi toglie il fiato, andrò avanti. Prossimo libro in programma Nessuna cortesia all’uscita. Il mio tour continua.
La vicenda umana è talmente mostruosa, specie se la si colloca alla fine degli anni Settanta / inizio anni Ottanta del secolo scorso, che assomiglia ad un forte pugno allo stomaco. A distanza di alcune settimane dalla lettura di “Tre anni a Buenos Aires” di Osio, ricompare la chiesa cattolica non solo incapace di denunciare, ma volutamente complice dei dittatori. Il pregio di questo libro è la forza documentaria, fornita dai racconti prima manu delle madri degli scomparsi, ma anche i figli ritrovati e quelli tuttora dispersi (di alcuni ho scoperto l’epilogo positivo, incluso quello del nipote di Estela Carlotto) segnano un’intera generazione -anzi due, quella dei genitori scomparsi senza futuro, e quella dei figli rapiti, senza passato - ed un’intera nazione, forse non ancora venuta a patti col proprio tragico, recente passato. Le parti sui sogni col nonno e sui passi di tango le ho trovate forzate e poco in linea con il racconto, quasi come quegli inframezzi a sfondo sessuale in certi romanzi di Houellebecq.
No, non basta. Volti e nomi, date e portoni. Non basta. Quella del Sudamerica è - ed è stata - una realtà complessa che non si può ridurre a una sfilza di nomi, dimenticando di tratteggiare i caratteri: quelli degli assassini e delle vittime, delle madri, delle nonne e dei figli. Non esiste un horror tour se non si racconta la storia, se non si narrano le azioni. Le torture, i voli della morte: ci hanno mostrato già tutto al cinema. Rimane da scavare a fondo e questo libro non lo fa. E' commovente, senza dubbio. Ma manca di approfondimento sul contesto generale e sulla lotta politica portata avanti da chi è scomparso e da chi è rimasto. No, qualche accenno non basta.
Erano giusto gli anni di quei campionati di calcio. Negli stessi istanti in cui tutto il mondo si appassionava alle gesta di Zoff, Platini, Rummenigge, Zico... a poche centinaia di metri dagli stadi venivano massacrati dalla dittatura argentina migliaia di giovani. Questo libro di Carlotto andrebbe letto anche soltanto per questo: per non dimenticare, per non continuare a voltare la faccia dall’altra parte. Coma da allora abbiamo fatto altre centro volte. Come facciamo ancora e sempre.
Da un punto di vista puramente letterario, non è senza dubbio il migliore lavoro di Carlotto. Ma è una importante testimonianza, un viaggio scritto quasi fosse in presa diretta, di un orrore che in Italia conosciamo sì, ma ci appare sempre così lontano, così astratto, quasi da non sembrare vero. Carlotto dà voce alle madri e alle nonne di Plaza de Mayo, ma soprattutto rende esempio del dolore abissale causato dalle dittature militari argentine.
Storia pazzesca e dolorosa, ma perché di fatto lo è. Sicuramente c’è stato un botto di studio da parte dell’autore. Però lo stile non mi è piaciuto, il libro in sé non mi è piaciuto. Mi è piaciuta la storia, ma perché sono ignorante e nella vita non ho studiato abbastanza.
Finisci questo libro e la tua vita ti appare improvvisamente inutile e priva di significato. Basta, da domani in strada ci sarà un militante in più, ché il mondo, ahinoi, ne ha un tremendo bisogno.
Un libro triste che riguarda la tragedia di Argentina nei anni 70. Puo essere molto repetitiva ma le storie sono importantissime a raccontare. Ho imparato un sacco
Questo libro mi ha aperto gli occhi su l'orrore vissuto in Sudamerica, ed in particolare in Argentina, durante le varie dittature ed anche dopo. Carlotto ricostruisce storie, tutte simili ma al tempo stesso uniche, di alcuni desaparecido e delle loro famiglie. Mi è piaciuto molto.
Di primo acchito quattro stelle. Per stile e storia.
"Era meglio prendere una strada sbagliata contro la dittatura che avere ragione obbedendole", scrive Carlotto citando Osvaldo Soriano. Ma pure che " i professionisti della ferocia" sono i vincenti. Non è "solo" la storia dei desaparecidos argentini, una via crucis di infiniti orrori uguali e insieme diversi, anche, anzi in special modo, la contrapposizione fra identità come rifiuto di resa e compromesso, quale ricerca di giustizia in un universo abitato da altolocati criminali. Forza motrice una resistenza interna invincibile nonostante tutto. Questo libro è altresì un monumento ad una generazione, quella degli anni Settanta, che in Argentina venne letteralmente polverizzata, mentre in Europa fu "solo" ideologicamente sconfitta. Ma non si esaurisce in questo. La dittatura militare era riuscita ad inventare un modello repressivo di inaudita efficacia, che cercó di esportare. Le aderenze internazionali furono parziali a causa dell'avidità interna, sola ragione della caduta della stessa. Non l'ONU, non le organizzazioni umanitarie, non il papato, rimasto a lungo sordo e indifferente, bensì la cupidigia dei singoli.
Carlotto racconta tutto ciò, e racconta di sé, di sogni infranti e guerriglieri indomiti. Della onnipresente CIA, del beneplacito della Chiesa argentina attraverso un romanzo che è mémoire, autobiografia, inchiesta, poesia, onirismo. Ci risparmia statistiche e saggistica e, al contempo, conficca un punteruolo nelle nostre coscienze. Cinque stelle piene.
Da A.: E io sottoscrivo il tuo. Marco ha detto il Feb 6, 2010
Questo me lo devo proprio leggere... Chik67 ha detto il Feb 6, 2010
Sì, Piper, non ho resistito e l'ho anteposto ad altre letture. Marco grazie, ma tu hai reso molto meglio il senso del libro. Chik è una lettura splendida, ma molto dolorosa. charta ha detto il Feb 6, 2010
allora appena leggo Dürrenmatt ti chiamo per lo scambio! :-) Piperitapitta ha detto il Feb 8, 2010
Okkappa :-) charta ha detto il Feb 8, 2010
bellissima recensione; ricordo che, appena uscito, ho dovuto leggerlo in due volte perché l'orrore del primo centinaio di pagine mi aveva sopraffatto josé daniel fierro ha detto il Apr 20, 2010
Infatti l'ho letto a puntate. Ma è una testimonianza straordinaria della violenza bestiale, disumana della follia e, per contrasto, dell'umanità autentica, che non si lascia sopraffare e non cede mai. charta ha detto il Apr 20, 2010
Immediatamente nella lista desideri! Ti ringrazio per il commento, molto!! sandrascurani ha detto il Apr 28, 2010
Grazie a te :-) charta ha detto il Apr 28, 2010
Strane opinioni sulla recensione. La qquale è di buon livello anche se la scrittura è meno nitida di altre occasioni ☺ Pertinace scrive nel gruppo"Pert a Sinistra ma non in fondo". E le banche paghino l'IMU ha detto il May 9, 2010
Maestro rimugino a lungo ma poi scrivo di getto, Lei lo sa ;-) charta ha detto il May 20, 2010
Sarò impopolare, ma di Carlotto non sopporto la sintassi, intesa prorio come sintassi. GloriaGloom ha detto il Jul 22, 2010 Rimuovi
Non è un purista della lingua, ma qui lo stile giornalistico ci sta tutto. charta ha detto il Jul 22, 2010
p.s. non sei impopolare, anzi viva la dialettica (sennò sai che monotonia... ;-) ) charta ha detto il Jul 22, 2010
Da tempo mi aspetta questo libro . Adesso diviene urgenza!!! Grazie. marinaf ha detto il Sep 17, 2010
Questo libro tratta un argomento che mi sconvolge da sempre, al pari dell’Olocausto: le dittature sudamericane (in questo caso quella argentina), i desaparecidos, le Nonne di Plaza de Mayo. Persone scomparse nel nulla, di cui si può solo immaginare la tragica e dolorosa fine; neonati strappati alle madri condannate a morte e cresciuti nella famiglia di chi le ha torturate; nonne che, più di 20 anni dopo, cercano ancora i loro nipoti, i figli dei loro figli, disperatamente ma nello stesso tempo senza perdere la speranza. Come al solito Carlotto racconta tutto questo con grande umanità, ricordandoci quanto l’essere umano può essere spietato anche con i propri simili. Attraverso una carrellata di storie, tenta di rendere a quelle persone scomparse un'individualità che le estragga dal mucchio e riconsegni loro un nome, un ideale, un lavoro, una famiglia, una vita.
Durante la lettura mi è capitata una gradevole coincidenza, una cosa bella tra tante dolorose tragedie: il quarto capitolo racconta la storia di Abel Madariaga, all’epoca della dittatura attivista del movimento dei Montoneros. Nel gennaio del 1977 sua moglie Silvia Quintela, anche lei attivista e incinta di quattro mesi, viene sequestrata in una località in provincia di Buenos Aires. Viene lasciata in vita fino al parto. Il giorno successivo alla nascita di Francisco, sparisce. Alla fine della dittatura, Abel si unisce alle Nonne di Plaza de Mayo per ritrovare suo figlio Francisco. Il racconto di Abel finisce qui.
Leggendo quel nome, Abel Madariaga, ho avuto la sensazione di averlo sentito di recente. Mi sono ricordata di aver letto pochi giorni prima un articolo che racconta di un ragazzo vissuto per 32 anni con il nome di Alejandro Ramiro Gallo, ufficialmente figlio di un ufficiale dell’esercito in servizio, negli anni della dittatura, in una delle squadre della morte. Il ragazzo, una volta adulto, comincia a sospettare seriamente di non essere il figlio di coloro che lo hanno cresciuto; oggi dichiara: “Sono stati 32 anni di angoscia, con tanta violenza. Anni oscuri, durante i quali sentivo dentro un vuoto inspiegabile, come se non appartenessi a quella famiglia”. Si rivolge alle Nonne, che lo invitano a sottoporsi al test del Dna. La scoperta è sconcertante: è Francisco Madariaga Quintela, e oggi lui e il suo vero padre sono inseparabili.
Questo libro Carlotto lo ha pubblicato alla fine degli anni ’90. E trovo che sia fantastico che io abbia deciso di leggerlo (senza sapere di cosa parlasse) proprio pochi giorni dopo aver letto quell’articolo. Il destino ha voluto regalarmi una storia a lieto fine tra tante che forse una fine non l’avranno mai. Oppure ne hanno una tutt’altro che lieta. Ringrazio il destino per questa piccola opportunità che mi ha voluto donare e per avermi suggerito che in fondo non sempre tutto è perduto.
Va bene, fine dei sentimentalismi.
Il racconto di Carlotto ferisce, e spiega anche come la comunità internazionale (compresa quella ecclesiastica) abbia volutamente ignorato il problema e soltanto di recente lo abbia affrontato e riconosciuto.