Troppo tardi per i ripensamenti, Susanna. Non avresti dovuto accettare quello strano incarico, anche perché il compenso era davvero troppo alto. Okay, avevi appena perso il lavoro e l’idea di dare la caccia a una vecchia pellicola scomparsa non ti sembrava male. Fare il topo di cineteca non è mai stato un mestiere rischioso, anche questo è vero. Ma almeno la fantomatica agenzia che ti ha assunta, per conto di un altrettanto misterioso collezionista, avrebbe dovuto insospettirti. Tutti quei soldi, quanti non ne hai mai visti in vita tua, per ritrovare un insulso documentario girato a Lisbona negli anni Sessanta? Andiamo, bastava rifletterci un po’. Ora invece salta fuori che si tratta di un film maledetto… Be’, cara Susanna, ormai è troppo tardi per ripensarci. E attenta a tutto quel nero.
Ha esordito come sceneggiatrice nel 2003 nella graphic novel L'amore ci separerà disegnata da Alberto Lingua; nello stesso anno, ha pubblicato diversi racconti sulla rivista trimestrale di narrativa thriller, M-Rivista del Mistero.
Ha tradotto in italiano le storie di autori quali Jeffery Deaver, Douglas Preston, Richard Stark e Jeff Lindsay (del quale ha tradotto alcuni romanzi del ciclo dedicato al personaggio di Dexter Morgan).
Nel 2006 ha pubblicato, la raccolta di racconti horror Il re dei topi e altre favole oscure (Alacràn). Il libro ha ricevuto il personale apprezzamento dello scrittore statunitense Joe R. Lansdale, che gli ha dedicato la frase di lancio.
Nel 2011 esce, per la collana Il Giallo Mondadori, il suo primo romanzo, Tutto quel nero, in cui l'autrice introduce il personaggio di Susanna Marino, studentessa universitaria appassionata di cinema horror; il personaggio tornerà poi nei successivi Tutto quel rosso e Tutto quel blu, risalenti rispettivamente al 2012 e 2014, omaggi al thriller d'azione anni '80 e al cinema di Dario Argento.
Nel 2015, il personaggio di Susanna Marino viene ripreso nel racconto breve Tutto quel pulp, ispirato al cinema di Quentin Tarantino e incluso nell'antologia Delitti in giallo (Il Giallo Mondadori).
Nel 2018, esce per la Elliot Edizioni il nuovo romanzo Tutto quel buio: il plot, ancora una volta a sfondo cinematografico, vede Susanna Marino alla ricerca di un film del periodo muto, il Drakula halála di Károly Lajthay, prima trasposizione non ufficiale (oggi perduta) del Dracula di Bram Stoker.
Normalmente non amo storie ricamate su persone e vicende reali, mi mettono a disagio; in questo caso poi la trama parecchio improbabile ha reso il tutto più imbarazzante. Comunque, ben scritto, con alcuni bei personaggi, e si parla di cinema che va sempre bene. Leggerò anche il secondo romanzo e vedremo :)
Il mio secondo incontro con Cristiana Astori, che con il romanzo successivo (da me letto per primo), “Tutto quel rosso”, mi aveva stregata. Ho ritrovato la sua anti-eroina Susanna, una ragazza un po’ sfigata, senza soldi e senza prospettive, e con la naturale predisposizione a infilarsi nelle situazioni più strane. Qui Susanna, rimasta senza lavoro, accetta, dietro lauto compenso, un inusuale impiego: quello di cercare una pellicola di un raro film portoghese degli anni ’60, interpretato da Soledad Miranda, una famosa e intrigante attrice dell’epoca, morta poi alla sola età di ventisette anni in un misterioso incidente stradale. Sembra una cosa da nulla, e invece Susanna, accettando questo incarico, vive una serie di avventure strampalate, tra spietati cacciatori di pellicole, locali ambigui e un veloce sopralluogo a Lisbona, dove la pellicola è stata girata. E, attorno a lei, tutti coloro che hanno avuto a che fare con questa pellicola, una pellicola “maledetta”, a uno ad uno muoiono. Cristiana Astori ha fatto un bel lavoro di ricerca e documentazione per scrivere questo giallo: Soledad Miranda e questa pellicola maledetta, esistono davvero. Così come esistono molti dei dettagli riguardanti le leggende che circolano attorno ad essa. La materia, c’è, e, per un giallo, è fra le più gustose, perché affonda le sue radici nella storia del cinema e nella vita di una giovane artista maledetta e sfortunata: il sapore del mistero, del sinistro, si sente, e un po’ si gusta. Peccato, però, che il risultato finale, sia ben lontano da quello di “Tutto quel rosso”...sarà che là c’era anche il palese omaggio alla filmografia di Argento a impreziosire il tutto, ma qua pare che i difetti, seppur minimi presenti là, si allarghino a macchia d’olio: le situazioni (troppo!) inverosimili con risvolti che sanno di grottesco, la superficialità dei dialoghi, la povertà delle parti narrative e descrittive. In breve, il giallo ha un buon contenuto, ma pecca nella forma, trattata in maniera troppo facilotta e superficiale, anche se bisogna pur tener conto che questo è stato, per l’autrice, il primo romanzo in assoluto. Resta comunque una piacevole lettura da ombrellone, dedicata in particolar modo agli appassionati di cinema. La Astori lo è stata sicuramente, e anche qui questa sua passione si sente in maniera evidente. Tre stelle, tre stelle e mezzo, ci stanno tutte, ma prima di questo, se riuscite, leggete “Tutto quel rosso”.
Diciamo la verità, questa domanda è una di quelle scomode. L’originalità di un giallo (ma anche di un noir o di un horror) pensiamo che sia il vero dilemma di ogni scrittore che si cimenti con questo genere. “Ma qui ricorderà un po’ troppo Lucarelli?”, “Ma questo passaggio non è troppo simile all’ultimo libro di King?”, “Oh, no mi sta venendo lo stesso plot di Nesbo, devo buttare via tutto”.
Del resto alcuni schemi nei libri per forza di cose si devono ripetere. Se parliamo di gialli o mistery o thriller o noir vuol dire che c’è un delitto, c’è un indagine c’è qualcuno che deve scoprire un assassino, o quanto meno scoprire che è successo. La bravura del giallista, o della giallista, alle prese con un nuovo romanzo non sta nel trovare per forza situazioni mai viste prima: il delitto in una camera chiusa sarà sempre un delitto in una camera chiusa, una partita a poker sarà sempre una partita a poker, i fantasmi saranno sempre fantasmi, la cena con delitto sarà sempre una cena con delitto. E il maggiordomo sarà sempre il maggiordomo. No, l’abilità starà invece nella brillantezza della soluzione del clichè proposto. Anche se poi il colpevole si rivelerà essere per l’ennesima volta il maggiordomo. Insomma, si può pensare che sul delitto in una camera chiusa si sia già detto tutto, poi puntualmente arriva una storia come quella narrata nel numero 146 di Dylan Dog (Ghost Hotel) che ti fa rimanere a bocca aperta. (Non ve lo spoileriamo tranquilli, conosciamo le regole del giallo!)
Tutta questa premessa per dire che la trilogia dei colori di Cristiana Astori (edita nella serie del Giallo Mondadori, che poi diventa una quadrilogia con l’ultimo capitolo edito da Elliot) è veramente una delle cose più originali (e belle, ca va sans dire) che ci è capitato di leggere negli ultimi tempi. Il punto di forza di questi tre romanzi è il personaggio dell’anomala investigatrice Susanna Marino, che non è alla ricerca di colpevoli ma di pellicole cinematografiche scomparse e maledette e, per questo, chicche imperdibili per i collezionisti d’arte.
Se all’inizio della lettura del primo romanzo della serie “Tutto quel nero” vi verrà da pensare che è un po’ troppo fuori dai limiti della sospensione dell’incredulità il fatto che una ragazza venga assunta (e fin troppo ben pagata) per ritrovare una pellicola perduta solo perché è una studentessa di “Storia del cinema” al Dams, vi consigliamo di arrivare fino in fondo perché la quadratura del cerchio della complicata storia è davvero il fiore all’occhiello di questo eccezionale tributo a Soledad Miranda, bellissima attrice spagnola poco conosciuta ai più, ma che difficilmente dimenticherete. E di cui vorrete sapere sempre di più, scommettiamo?
Ma Cristiana Astori non si limita a un semplice omaggio a questa attrice. Il libro (così come i due romanzi che lo seguono) è un florilegio di citazioni cinematografiche e, per non farsi mancare nulla, anche musicali. Mai a caso, mai gratuite, ma sempre finalizzate a completare perfettamente la storia raccontata.
Proporre il ritorno di Susanna Marino in “Tutto quel rosso” era già un azzardo in se. Una sfida davvero dura; come continuare a rendere il personaggio di Susanna forte e fragile allo stesso tempo dopo ciò che sappiamo dal capitolo precedente? (E che non spoilereremo neanche sotto tortura, sia ben chiaro). Ma anche stavolta la penna dell’Astori trova soluzioni che sono allo stesso tempo credibili, eleganti e spettacolari. E se il rosso del titolo fa capire che al centro della storia ci sarà inevitabilmente il capolavoro di Dario Argento “Profondo Rosso”, la scena iniziale che ci presenta Susanna risvegliatesi dal suo sonnambulismo sul tetto di uno studentato, rende chiaro che l’intero libro è un omaggio a “quei film gialli malati e deviati degli anni ’70” (citazione di una delle protagoniste del libro). Citiamo come vera chicca contenuta in questo secondo capitolo, una delle scene di inseguimento automobilistico più riuscite della storia della letteratura. E non sono poi tante, se ci pensate un attimo! Sarà che Cristiana Astori è anche appassionata di 007 e del Pulp Tarantiniano, ma mentre si sfogliano le pagine sembra davvero di essere al cinema a vedere l’inseguimento della polizia che cerca di catturare Susanna e Steve Salvatori (co-protagonista dei tre romanzi, e anche qui ci sarebbe da aprire una serie di riflessioni sulla grande capacità dell’autrice di inserire al fianco di Susanna una figura così forte senza che questa le rubi la scena e diventi il protagonista).
Arriviamo così a “Tutto quel blu”, un tuffo negli anni ottanta. Basterebbe dire che uno dei protagonisti del libro è Bon Scott (il primo indimenticabile cantante degli AC/DC) per capire quanto osa la Astori quando scrive. Osa, ma sempre a ragion veduta e sempre con un incastro perfetto di tutto ciò che racconta e, in aggiunta, sapendo che i suoi personaggi non possono essere immutabili nel tempo li ripropone sempre in modo coerente con lo scorrere di questo. Ci sta quindi che in questa terza avventura Susanna perda un po’ della sua fragilità e diventi più intraprendente (ma non troppo, le sue paranoie non le lascia mai). Ci sta! Come del resto ci sta tutto che il “filo blu” (non rosso, blu questa volta) che guida la storia in questo terzo capitolo sia lasciato alla figura indimenticabile del Terminator T-800 (modello Schwarzenegger per intenderci).
Le avventure di Susanna Marino proseguono in “Tutto quel buio” (Eliott, 2018), dove sarà costretta a lasciare la sua amata Torino per Budapest alla ricerca della pellicola perduta del Dracula Halala, ovvero il primo Dracula della storia cinematografica e precedente al Nosferatu di Murnau. Forse l’avventura più surreale e metafisica della detective cinematografica (possiamo chiamarla così?); forse anche un punto di svolta verso storie meno gialle e più gotiche che la vedranno protagonista. Del resto Cristiana Astori di horror ne sa, essendo anche un’autrice di Dylan Dog. La sua ultima raccolta di racconti “Fuori Orario” è un ottima vetrina della poliedricità della sua scrittura.
Letteratura e cinema / Cinema e letteratura. Un rapporto di tanto amore e anche tanto odio: quanti libri sono stati “rovinati” da pessimi film? Invece pochi sono i casi, ma ci sono, di libri rivalutati da film che li hanno migliorati. Cristiana Astori sulle cui pagine social si può apprezzare la sua fame compulsiva di lettrice e spettatrice, rende un grande omaggio ai film da cui prende spunto; per questo riteniamo questa quadrilogia una sorta di splendido Bifrost che unisce queste due forme di arte.
This entire review has been hidden because of spoilers.
… Cristiana Astori, classe 1974, astigiana di origine, è scrittrice, traduttrice, saggista e sceneggiatrice di comics. Tutto quel nero è il primo capitolo di una originale serie costruita intorno al personaggio di Susanna Marino, studentessa squattrinata e appassionata di cinema dell’orrore, destinata a ritrovarsi perennemente implicata in rischiose avventure a caccia di pellicole perdute, che ritroveremo in Tutto quel rosso, Tutto quel blu, Tutto quel buio (Elliot) e in Tutto quel viola, recentemente pubblicato da Fratelli Frilli Editori. Intrigante l’omaggio reso dall’autrice a Soledad Rendón Bueno, in arte Soledad Miranda, attrice spagnola, protagonista di diversi film, la cui figura è stata resa iconica da Jesús “Jess” Franco, il regista che la elesse a propria musa, facendole interpretare il personaggio di Lucy nel suo Conte Dracula (1970), al fianco di Christopher Lee. Sorretta da una scrittura incisiva e avvincente, la trama, costruita su più piani temporali, mescola elementi thriller e mystery con una abbondante manciata di soprannaturale, svela e trasmette la fascinazione di Cristiana Astori per il potere suggestivo delle immagini, per il cinema e i suoi protagonisti, per le storie che si intrecciano in quei territori di confine ove la differenza tra realtà e fantasia sfuma, in un continuo gioco di illusioni, rimandi, sogni, lasciando sul palato del lettore un deciso, inconfondibile, stuzzicante sapore weird…
Sorprendente ed appassionante esordio nel romanzo lungo di un’autrice specializzata in narrativa breve e saggistica, "Tutto quel nero" afferra il lettore sin dalle prime parole e lo fa scivolare nel delirio nero che vive la protagonista. Cristiana Astori ha il merito inoltre di donare alla letteratura — non solo di genere — un nuovo e fenomenale personaggio che finora era apprezzato solo da una ristretta cerchia di intenditori: Soledad Miranda.
Soledad era un’attrice rivelazione del cinema spagnolo di genere negli anni Sessanta, e sin dal decennio successivo la sua vita ha assunto valenze misteriche e nebulose. Oggi Susanna — ragazza che vive il disagio dell’odierna società italiana, cioè la precarietà e la mancanza di fiducia nel futuro — riceve un incarico “strano” da una società altrettanto “strana”: deve ritrovare una rara e semisconosciuta pellicola che corrisponde al materiale girato per un vecchio documentario portoghese. C’è Soledad in quel film, e la pellicola negli anni si è conquistata l’aggettivo di “maledetta”: quale mai ne sarà la causa? Susanna scopre ben presto un mondo sotterraneo ed inquietante che ignorava, fatto di appassionati-ossessionati di cimeli filmici e da cacciatori di pellicole con parecchio pelo sullo stomaco; ex dive dal comportamento bizzarro e collezionisti davvero poco raccomandabili. In un viaggio nel nero più nero — come quello d’una sala cinematografica o come quello d’un fotogramma di pellicola vuoto — Susanna vive un viaggio tanto infernale quanto oscuro, in cui l’unica luce guida paradossalmente è quella della più inquietante delle entità: Soledad.
Tutto quel nero è un romanzo che sfugge ad ogni catalogazione, in quanto abbraccia diversi generi letterari senza sposarne nessuno. È una luce che racconta il buio, quindi non può avere altra etichetta se non questa: buona letteratura. È un romanzo unico in quanto la fenomenale ricerca storica che ne è alla base può fare riferimento a scoperte incredibili non ancora a conoscenza del grande pubblico, il quale non può far altro che rimanere in balìa della Astori e lasciarsi guidare dal suo stile che solo all’apparenza è scorrevole, ma che in realtà penetra sotto la pelle e paralizza il lettore. Malgrado il romanzo si “beva” d’un sol fiato, ogni parola ha una propria caratura ed è studiata per l’effetto finale, quando i nodi vengono al pettine e tutte le trappole con cui l’autrice ha disseminato il testo scattano e imprigionano il lettore, che all’improvviso si ritrova invischiato... in tutto quel nero!
Ci sono romanzi che raccontano la realtà ed altri che l’inventano: il libro della Astori la crea. Crea un’iconologia legata al mondo in cui Soledad Miranda visse e in cui lasciò perennemente la sua impronta; raccontando l’aura di mistero che avvolge la donna in realtà crea il suo mito e stuzzica — con mano sapiente — la curiosità del lettore, che alla fine è più che convinto che quanto ha letto sia tutto vero. Per quanto l’autrice specifichi nella nota finale quanto sia reale e quanto romanzato, il lettore non può fare a meno di ignorarla e di credere... sentire che quanto raccontato è la realtà. Fotogrammi misteriosi, donne che negano il loro viso ad una telecamera invadente ed inopportuna, pellicole maledette che donano morte invece di sogni, il vento che scompiglia i capelli di Soledad sulla strada dell’Estoril e il suo vestito che si agita e copre il sole ad intervalli di 24 fotogrammi al secondo. Tutto quel nero è un romanzo di sensazioni, di emozioni, ma anche di richiami visivi, di fotogrammi impressi nella mente che l’autrice ricompone per il proprio personale film. E per ultimo — ma non da meno — è un romanzo di deliziose citazioni nascoste, di quegli omaggi mascherati che ogni lettore-spettatore ama riconoscere e cercare.
Rimane solo un enigma, in tutta questa storia: quanto tempo dovremo attendere il prossimo romanzo di Cristiana Astori?