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Il re bomba: Ferdinando II, il Borbone di Napoli che per primo lottò contro l'Unità d'Italia

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Nato nel 1810, dopo l'infanzia trascorsa a Palermo, dove i Borboni erano in esilio in seguito all'ascesa di Napoleone, e il ritorno a Napoli, Ferdinando salì al trono all'età di vent'anni, dimostrando subito di aver ereditato dal nonno Ferdinando I la capacità di farsi amare dal popolo, ma anche di possedere una singolare vocazione militare, preferendo indossare l'alta uniforme piuttosto che vestire abiti borghesi. Fu sempre geloso dell'indipendenza del proprio regno e si adoperò nel tenace tentativo di guidarlo verso una modernizzazione economica. Tuttavia fu molto duro nei confronti dei movimenti democratici, scatenando dure repressioni. In questo volume se ne ripercorrono la vita e le ideologie politiche.

453 pages, Hardcover

First published January 1, 2001

10 people want to read

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Giuseppe Campolieti

24 books1 follower

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Profile Image for Noloter.
141 reviews3 followers
May 1, 2021
L'impostazione è nettamente di parte, e se questo ce lo si può aspettare dal titolo, quel che non ci si aspetta è che sia così spudoratamente agiografico da arrivare a flettere la verità storica per farla calzare nella forma preconfezionata ad arte. Il vero grande problema è però un altro. Il problema è che il libro è scritto male. Ma proprio male.
Manca innanzitutto un quadro storico e geopolitico di riferimento ben introdotto e definito, già dalle prime pagine si viene subito calati nella Sicilia dell'esilio palermitano dei Borbone d'età napoleonica senza spiegazioni, e l'autore è così costretto ogni volta a digressioni per chiarire, motivare, collocare nello spazio-tempo situazioni, personaggi, contesti; questo sia in apertura che man mano che si procede. Manca anche una trattazione organica della politica interna ed estera (che comprenderebbe pure i rapporti con il papato e gli stati preunitari) ferdinandea, specialmente nei momenti di svolta storici del Risorgimento, ossia giocoforza il dinamico e complicatissimo contesto in cui Ferdinando II regnò. Moti liberali degli anni '30, moti del '48, crisi spagnola e guerre carliste, le crisi francesi tra regno orleanista, repubblica e Secondo Impero, crisi austriaca, Prima e Seconda guerra di indipendenza...niente di niente. In effetti il personaggio di Ferdinando II e il quadro del suo regno vengono delineati in modo confusionario, caotico, disorganico (e anche contraddittorio per certi versi), con il solo scopo non tanto riabilitativo (sulla carta ammissibile come tentativo, in un'epoca di revisionismo) quanto ultracelebrativo e nostalgico (per quanto si possa essere nostalgici a distanza di due secoli) attraverso la lente distorcente del meridionalismo e neoborbonismo militante che intende solo sostenere la tesi antiunitaria e tuttora infondata di un florido Sud conquistato, depredato, distrutto e schiacciato proditoriamente dai sabaudi piemontesi attraverso la bugia dell'unificazione nazionale con la complicità delle avide potenze egemoniche e imperialiste del tempo (Gran Bretagna massonica e Francia di Napoleone III). Sarebbe bastato semplicemente inquadrare la figura di Ferdinando II nel suo tempo, mostrarlo nell'ottica di un sovrano ancorato saldamente (ma fuori tempo) nell'ancién régime che dal suo punto di vista comprensibilmente (indipendentemente dal giudizio storico suo e nostro contemporaneo, che è un altro discorso) difende sé stesso, la propria dinastia, il proprio regno, i propri interessi e la propria fetta di potere nel Gran Mondo, e da qui dare spiegazione alle sue azioni e inazioni , alle sue aperture e repressioni , alla sua lotta antirisorgimentale dura e pura , al suo approccio ondivago ora curioso ed entusiastico e ora diffidente e frenante verso la modernità , alla sua vocazione all'isolazionismo. Entrare nella sua testa, insomma, mostrarne luci ed ombre. Invece l'autore ha voluto renderlo martire, santo, immacolato, giusto a prescindere, sempre di buone intenzioni, vittima innocente di propaganda avversa, di cospiratori interni ed esterni, di sabotatori, di parenti arrivisti, di funzionari corrotti, di un megacomplotto planetario ai danni del "regno più felice del mondo" (sic), di un popolo di topi che preferì seguire il pifferaio magico che agitava il feticcio illusorio del risorgimento e delle costituzioni invece che affidarsi al padre buono Ferdinando, colui che "ama Napoli più di tutti noi messi assieme" (sic). Il Ferdinando II che Campolieti ci mostra non ha difetti, casomai solo eccesso di pregi che gli si rivolgono contro per altrui malizia e per colpa di un destino ostinatamente avverso.

Passiamo allo stile. Per tutto il testo l'autore si rivolge al lettore in modo informale, colloquiale, anche inserendo di continuo apprezzamenti ed epiteti su personaggi storici. Le digressioni prolungate e inutili (in cui spesso ci sono o ricapitolazioni di episodi pregressi o anticipazioni di quel che dovrà ancora accadere - con, quindi, continui rimandi che sballottolano il lettore ora qui e ora là - se non addirittura faccende estranee al tema centrale) e il pettegolume di cui è infarcito il testo non aiutano a migliorare la situazione.
L'autore fa anche abuso di virgolettati che riporta spesso e volentieri senza fonte, e mette in bocca a re, regine, ministri, ambasciatori e personaggi vari non solo parole, ma dialoghi (perfino tra confessore e penitente) e veri e propri monologhi senza garantirne l'attendibilità, senza dichiarare da dove proverebbero; romanza, non fa Storia. Si avverte, a questo punto, anche la mancanza di un documento diretto di Ferdinando II su cui eventualmente appoggiarsi; un diario, un memoriale, un appunto. Senza questo tutto ciò che gli viene attribuito come pensieri, intenzioni, stati d'animo, sono solo chiacchiere, supposizioni, immaginazioni dell'autore. Ma la Storia si fa con i fatti, non con le suggestioni personali. E qui è pieno di "forse", "magari", "è probabile", "ne siamo certi", "ci piace credere", impliciti ed espliciti.
Pessima (e inspiegabile) la scelta editoriale di non tradurre né nel testo principale né con delle note le ampie citazioni in lingua straniera di lettere, diari e documenti - fastidioso danno per il lettore, per quanto mi riguarda ho iniziato a saltarle a piè pari una volta capito di essere stato lasciato effettivamente da solo.
Parlando di fonti, l'autore le suddivide dicotomicamente secondo il proprio uso e consumo; se parlano bene di Ferdinando II e del Regno borbonico sono veritiere, oneste, valide, se non lo fanno sono perfide menzogne, propaganda inaffidabile, campagna del fango. Le dichiarazioni citate (ma decontestualizzate) di un paio di diplomatici del tempo che definiscono il Regno borbonico un paradiso in terra vengono acriticamente prese per buone e veritiere come prova provata atta a sfatare l'immagine mainstream del Regno borbonico, mentre quelle di chi presenta un quadro nettamente differente sono esplicitamente assunte solo a malizie e calunnie; l'autore esalta e ingigantisce quel che di buono pure c'è stato, ma liquida con "A questo punto metterci a raccontare per filo e per segno[...]ci sembra una fatica perduta e sommamente noiosa"(cit.) ed altre espressioni simili, con sdegno e sufficienza, o più semplicemente bollandoli senza argomentazioni come bugie, dati ed eventi che mostrano un quadro ben diverso perché negativo, quando invece uno storico dovrebbe fare proprio quello che l'autore sembra non voler fare: confrontare, presentare, con oggettività senza partigianerie, i fatti, se fatti sono, o confutare e smentire, se di fatti non si tratta. Tra l'altro definisce solo gli storici e cronisti filo-borbonici (pochi) "liberi" e "attendibili", mentre quelli risorgimentalisti sono ora "faziosi", ora "maligni" ora "menzogneri". E arriva anche a ridicolizzare e insultare con disinvoltura personaggi storici e movimenti storico-colturali che considera avversi; ne ha per tutti, da Cavour a De Sanctis, a Carlo Alberto, a Pio IX, a Lord Palmerston, a Verdi, a Croce, ai fratelli Bandiera, a Napoleone III, a Rossini e tanti altri, perfino Dumas, tutti bollati con epiteti atti a evidenziarne la malafede, la perfidia, la mendacità, lo scarso acume, la disonestà intellettuale. Non è così che si fa Storia. Non è così che si fa lo storico. Ma c'è da dire che pur di difendere e riabilitare la dinastia borbonica, si fa apologo dell'assolutismo e detrattore dei parlamenti, delle costituzioni, del liberalismo. Purtroppo per l'inconsistenza delle argomentazioni non si inserisce neppure nel solco nobile di un De Maistre, per dire; il suo è solo vittimismo e piagnisteo neoborbonico.

Stucchevole è anche la vera e propria ossessione antisabauda dell'autore, ogni occasione è buona per tirare in ballo (anche fuori tempo) la da lui detestata dinastia piemontese, vuoi per attribuirle fantomatici piani malefici da Spectre per assoggettare la Penisola risalenti addirittura a Carlo Felice (conferendo così non solo una lungimiranza ed uniformità di vedute a ben tre sovrani consecutivi e svariati primi ministri, ma dando anche l'idea di non considerare il dinamico contesto geopolitico del XIX secolo), vuoi per minimizzare tutte le pecche, tutte le arretratezze, tutte le corruttele che funestavano il Regno con espressioni del tipo (non cito a memoria) "se pure è vero che...è stato così anche dopo l'avvento dei Savoia"; infatti ogni volta che proprio non può tacere la realtà e deve ammettere l'effettiva situazione, allora aggiunge anche, con esibita soddisfazione da tanto-peggio-tanto-meglio, che comunque nell'Italia sabauda le cose continuarono ad andare male. Tra l'altro l'autore sembra travisare la differenza tra il regime borbonico assolutista e verticistico e il regime unitario italiano che era sì monarchico ma parlamentare costituzionale, addossando le colpe di una classe dirigente nazionale solo su di una dinastia che effettive responsabilità dirette non ne aveva nell'amministrazione - vigendo già lo Statuto del 1848 - o comunque, quantomeno, non tante quante i re Borbone che erano stati investiti in prima persona della guida diretta ed esclusiva di tutto l'apparato statale proprio in virtù del legittimismo e assolutismo che l'autore decanta e difende così appassionatamente. Ma il meglio lo si ha con il salto logico, suggerito implicitamente, secondo cui senza l'unificazione ora il Sud sarebbe una specie di Danimarca del Mediterraneo, volendo riassumere.

Per quanto riguarda le intenzioni dell'autore, i risultati alla fine sono opposti ai suoi auspici; si può cercare di presentarli nella luce più positiva possibile, si possono spendere tutte le parole di comprensione e giustificazione, ma i fatti restano - appunto - fatti e da queste pagine il lettore (al netto delle omissioni, delle mistificazioni e degli sbertucciamenti) trae comunque da sé le proprie conclusioni su cosa fosse il Regno delle Due Sicilie, in che condizioni versasse davvero, da chi venisse amministrato e soprattutto come, con buona pace dell'illusorio e autoassolutorio piagnisteo neoborbonico idealizzante e vittimistico.

Mi ci ero approcciato positivamente, con le migliori intenzioni e la sincera aspettativa di poter smentire le opinioni mainstream consolidate: a fine lettura le ho dovute confermare tutte.
Profile Image for Silvio Sasia.
1 review
March 19, 2025
Bel libro che delinea il percorso biografico di Ferdinando II dalla fanciullezza sino alla morte. Un libro che reputo piuttosto equilibrato nel descrivere l'attività di un sovrano che spesso viene immotivatamente contestato (quando non ridicolizzato) senza calarlo nel contesto storico e sociale in cui visse ed operò. Unica pecca è che spesso l'autore da per scontati dei passaggi storici importanti e descrive soltanto parzialmente i passaggi salienti (ad esempio Costituzione e moti del 1812 e 1820) ed il lettore deve avere già una buona base di conoscenze storiche per evitare di non capire fino in fondo quanto narrato.
Profile Image for Marco.
80 reviews
September 21, 2012
An excellent book telling the story of Ferdinand II, king of the "Kingdom of the Two Sicilies", who, in the 19th Century, firmly opposed to the unification of Italy (at least, to a certain "unification", financed by the English Free-Masonry, with the implicit assent of France and the greedy will of expansion of the Northern Kingdom of Sardinia and its dinasty of Savoy! ...).
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