Impiegato modello in un'azienda modello - italiano medio tragicamente modello -, Michele Gervasini fa coincidere la sua idea di felicità con gli angoli acuti del contratto a tempo indeterminato. E poco importa se ogni mattina deve affrontare il traffico isterico della via Pontina per raggiungere il suo ufficio alla Montefoschi, azienda leader nella produzione di latte e derivati. Lì lo aspettano gli altri dipendenti dell'Ufficio pianificazione e controllo, una pattuglia di buffi animali da scrivania che vive - non solo simbolicamente - all'ombra dell'enorme, minacciosa mucca aziendale in vetroresina che campeggia davanti agli stabilimenti. Ma un giovedì mattina la più mite fra le colleghe si dà fuoco nello sgabuzzino delle scope, e all'improvviso bisogna rivedere i confini di quelle giornate che fino ad allora avevano funzionato con l'efficienza di un formicaio. Con lo spirito dissacrante di una commedia tragicomica, Nessuno è indispensabile compie un piccolo miracolo: sovverte la tradizione del romanzo industriale seguendo il ritmo e la grammatica della contemporaneità, per descrivere in maniera umanissima e feroce i rituali, le mitologie, il misticismo laico che stanno alla base della vita aziendale. Peppe Fiore racconta la deriva impazzita del mondo in cui viviamo, la nevrosi da scrivania, i tic e le frustrazioni di ogni giorno, mettendo in scena con un'irresistibile dose di cinismo personaggi che non hanno a disposizione un'altra vita, né il desiderio di immaginarsela. Se è vero che in ufficio contano solo gli obiettivi raggiunti, quando un tuo collega lascia vestiti e scarpe a filo della balaustra - allineati con la massima precisione - prima di gettarsi nel vuoto in mutande e canottiera, forse la strategia va ripensata. E non solo quella aziendale.
La Montefoschi è l’azienda perfetta. Qui i dipendenti godono di diritti, flessibilità e opportunità. Un paradiso in terra, specialmente in un momento di crisi nera come quello che sta attraversando l’Italia. Almeno fino a quando alcuni impiegati non cominciano a suicidarsi sul posto di lavoro, in maniera atroce…
Punti di forza
Premettiamo una cosa: quello di Peppe Fiore può essere definito un romanzo che ti da la sensazione di un’encefalogramma piatto. Non è un tratto negativo, ma voluto. Mostrando la piattezza assoluta dei protagonisti l’autore vuole metterci di fronte, o meglio sbatterci in faccia, la piattezza della vita di molte persone, senza scopi ne prospettive. Le vite di Gervasini, Squeglia e gli altri sono vite non vissute, grigie, pallide e sfocate, dove sembra che alla fine del tunnel ci si trovi solo di fronte ad un muro grigio e impenetrabile. E allora sembra che il suicidio sia l’unica arma di salvezza per molti di loro. Non ci viene mai spiegato il perché di tali atti, perché il loro significato è troppo profondo e troppo chiaro alle stesso tempo. Come dice l’incipit del libro “i colleghi sono persone fino a un certo punto” e, in quarta di copertina, “l’uomo è quell’animale che, grazie al lavoro, sceglie liberamente di rendersi schiavo per tutta la vita“. E quale può essere la via d’uscita da questa schiavitù?
Punti deboli
Il libro parte bene purtroppo, man mano che ci si avvicina al finale, ha uno scivolone dal quale non si rialza più. Si passa troppo velocemente da una grigia realtà ad una situazione totalmente surreale, confusa, immaginaria, incredibile, dove non si capisce bene se quello che succede accade veramente o è solo frutto della mente contorta di uno dei protagonisti. Anche il lettore rimane straniato, confuso, domandando cosa diavolo sta succedendo, per poi rimanere deluso da un finale assurdo.
Perché leggerlo: perché fa riflettere sulla realtà della vita aziendale, dove appunto sei una persona fino ad un certo punto, per poi diventare un numero a cui nessuno veramente importa. Per comprendere come l’azienda, spesso e volentieri, trasformi in macchine le persone, rendendole grigie, opache, quasi inutili.
Perché non leggerlo: diciamo che il tema trattato è molto pesante e, soprattutto, fa troppo riflettere su una situazione in cui molte, troppe persone sono sprofondate, senza rendersene conto.
Peppe Fiore è sicuramente uno dei miei autori preferiti, la scoperta dell'anno, per me, assieme a Daniele Zito. Di Peppe Fiore leggerò qualunque cosa perché scrive una prosa perfetta, che scorre via come l'acqua nei fiumi o il cioccolato fuso sul pandoro (perdonate la metafora natalizia... è il periodo!).
La prima parola che mi viene in mente, pensando a "Nessuno è indispensabile" è straniante. Ora, è una parola che non uso spesso e allora sono andata a cercarla sul Treccani: Straniamento: nella teoria della letteratura, effetto di sconvolgimento della percezione abituale della realtà, al fine di rivelarne aspetti nuovi o inconsueti Ecco, sì, questa parola è perfetta, perché sotto lo sguardo della mucca gigante che campeggia all'entrata della Montefoschi, un gruppo di persone, colleghi, che più normali non si può (quasi stereotipati) si rivelerà per ciò che davvero è: un'umanità imperfetta, sofferente, in difficoltà in questa realtà che è quasi surreale, tanto è vera. Insomma, Peppe Fiore ci racconta il nostro mondo com'è, e lo fa con un'ironia, con una grazia, che hanno pochi, e con una capacità di descrivere i personaggi e soprattutto i luoghi che è davvero rara.
Un’azienda modello, per profitti e per il trattamento che riserva ai suoi lavoratori. Un’azienda come tante (tutte?) che sotto all’apparenza… proprio come i suoi lavoratori; l’insieme fatto d’unità. Personaggi che nascondono le vere identità ai colleghi e che di fronte alle morti misteriose e improvvise che si susseguiranno tra di loro durante la storia, iniziano a svelarsi uno dopo l’altro. La caduta del velo sarà tutt’altro che edificante, portando alla luce esistenze meschine, patetiche o ancora sconfitte, nel migliore dei casi. Peppe Fiore scrive bene, a tratti molto (alcune scene sono decisamente azzeccate), e ha un buon ritmo. Il romanzo nella prima parte è proprio buono (ottimo l’incipit), ma non regge a questi livelli nella seconda, perdendo mordente e accusando un po’ di confusione mano a mano dell’avvicinarsi all’epilogo.
In un'azienda perfetta, dove tutti sono importanti, tutti sono famiglia, i dipendenti muoiono come mosche: è un'epidemia di suicidi.
Il romanzo viaggia al confine tra l'assurdo e il verosimile; il protagonista è un impiegato dalla vita vuota e squallida, un deserto emotivo in cui l'unica oasi è stato un amore consumatosi in soltanto sei mesi. La prima metà si legge in un attimo, complice la prosa brillante ed evocativa; la vita di Michele è il ritratto della mediocrità contemporanea, della vita passata in ufficio fianco a fianco con persone con cui non si ha nulla da condividere. Fiore riesce a ritrarre l'incubo del capitalismo in maniera vivida e terrificante.
Peccato che si perda nella seconda metà, in una spirale discendente graduale ma senza riprese. Da un certo punto in poi, il romanzo abbandona il confine menzionato poco sopra e diventa una sequenza di scene sempre più assurde; anche la prosa perde mordente, si disancora dalla realtà e diventa sempre più astratta ed effimera. Le ultime pagine mi sono costate una certa fatica.
L'idea mi sembrava davvero molto carina, soprattutto per uno che come me chiuso in un ufficio ci lavora 10 ore al giorno, però alla fine non ci siamo. Qualche spunto si salva così come qualche personaggio però la storia non decolla mai come potrebbe. Alla fine rimane una veloce lettura ma nulla di più. Peccato.
Secondo me un pizzichino geniale. Divertente,irriverente,esploratore. Bello. (E forse un giorno si dirà necessario). Io un film di questo libro lo vedrei bene: regia di Virzì,tipo.
La vita scialba di un impiegato di medio livello in un'azienda che, apparentemente, è una sorta di paradiso. Sotto il velo della normalità, mano a mano, si dipana una bella trama, scandita dai diversi suicidi, che tiene incollati e porta verso un finale inatteso. Ottima la caratterizzazione dei personaggi, soprattutto Sgueglia (le pagine dedicate alla sua tossicodipendenza hanno un bel ritmo). Mi sono piaciute meno le descrizioni dei paesaggi, eccessivamente negative: Roseto Capo Spulico, ad esempio, viene descritto come un "addentellato semiabusivo di villette a schiera sulla statale ionica". C'è molta critica verso i reality, le chat e la tv che è "il succedaneo catodico del coma farmacologico". Complessivamente un ottimo libro.
Il libro parte a bomba. Si ride (amaro, ma si ride tanto), si annuisce tantissimo e - purtroppo - ci si riconosce nel povero insignificante Gervasini, la cui vita si riduce ad entrare presto a lavoro, uscire tardi da lavoro e non sapere come occupare il poco tempo che avanza. Sul finale però (per quel che mi riguarda la svolta si ha quando Gervasini va a dormire da Pigafetta) tutto diventa confuso, non si distingue la realtà dalle storture mentali del protagonista, e il tutto si risolve davvero troppo in fretta. Mi sarei aspettata una riflessione più profonda sul mondo del lavoro. Non che non si capisca dove Fiore voglia andare a parare, ma già che hai iniziato perché non andare fino in fondo?
Concordo come riportato in altre recensioni che la trama è un po' appannata e il finale, anche se surreale, è buttato lì. A parte questo faccio tanto di cappello all'autore per la fantasia e la freschezza romanesca, con cui delinea i personaggi. E' vero, saranno anche grotteschi, ma sono credibili e azzeccati. Purtroppo concentrandosi così tanto sulla comicità e sull'originalità, la storia finisce per soffrirne. Ma l'originalità e un sarcasmo cinico verso alcuni aspetti del mondo d'oggi, ci sono.
All'inizio il libro è scritto molto bene e la storia è costruita con talento, ma verso la fine l'autore a mio avviso non fa il salto di qualità che ci si aspetterebbe concludendo un po' fiaccamente. Una sorta di Ballard senza coraggio ma più ironico, mi sarei aspettato un finale molto più violento e esplosivo e i personaggi un tantino più complessi.
Classico romanzo del filone aziendalista, il racconto prende da subito una strada da "giallo" all'italiana. Personaggi dalla tipologia riconoscibile, una memorabile scena di chat notturna e dialoghi serrati. Peccato che nella seconda parte si trasformi in un guazzabuglio intricato e, infine, pure irrisolto.
Bello. Divertente e scorrevole, a tratti ricorda Ammaniti per l'uso di situazioni paradossali per creare effetti comici, ma con una maggiore padronanza linguistica.