Ci sono libri che ti commuovono e ci sono libri che ti fanno ridere. E poi ci sono quei libri speciali che sono capaci di fare entrambe le cose, e questa è un po' la firma di Stefano Benni. Achille piè veloce è un libro duro e poetico, un libro sulla vita, sull'impossibilità di viverla da una parte e sull'incapacità di cambiarla dall'altra. Il rapporto tra Achille ed Ulisse è un rapporto che di epico non ha soltanto il nome. Il viaggio che intraprendono è un viaggio mentale, letterario, che avviene nell'immobilità di una stanza buia ma nella velocità della scrittura. E' proprio la scrittura il punto di incontro fra queste due personalità così diverse, uno scrittore poligamo politropo e un ragazzo gravemente malato, che porterà i due a scontrarsi contro quei mostri che si nascondono sotto una parvenza di normalità. Mostri quotidiani, quasi banali. Benni affronta questi temi con ironia, facendoci capire come anche storie così terribili possono essere raccontate con piglio leggero, pur facendoci promettere, inconsciamente, di non dimenticarle.
Boh, ci sarà un momento in cui smetti di avere un normale rapporto, con un libro, e cominci ad avere invece una relazione amorosa. Sarà da qualche parte fra la quinta e la decima rilettura, fra la centesima e la duecentesima volta che lo consigli a chiunque ti capiti sottomano, fra il primo pianto che ti fai leggendo e il fatto che dieci anni dopo piangi ancora rileggendo pagine che ormai conosci a memoria. Ho letto un sacco di roba, di Benni, abbastanza da poterlo definire il mio scrittore italiano contemporaneo preferito senza troppi giri di parole e senza nessun imbarazzo, ma Achille sta tre spanne sopra a tutto il resto che ha scritto, e già tutto il resto mi piace una cifra, per cui immaginate quanto può piacermi Achille. E quanto mi diverte, e quanto mi rattrista, e quanto mi deprime e poi mi ridà gioia e speranza, anche solo per un attimo, l'attimo in cui mi concedo di ricordarmi che amo il mio respiro nonostante tutti i problemi che lo rendono affaticato, l'attimo in cui riscopro il mio nome nel buio.
"Sai cos'è un amico? Uno che non ti vede come un rosario su cui sgranare le proprie assoluzioni, ma come qualcosa di complicato e doloroso che cammina insieme a te, qualcosa che non capisci mai fino in fondo e che ti invade. Mentre tu parli io mi alzo da quella sedia e vado a vedere il mondo. Mentre io parlo tu ti siedi e scopri che sei muto e senza fiato, con la testa inchiodata e le mani incapaci di parare i colpi. Poi la vita ci darà strade diverse. Tu prenderai tutta la gioia che puoi, io mi accontenterò di sognare a una finestra, tu soffrirai per piccoli grandi dolori, io ti invidierò per questo. Il luogo dove si incontrano la nostra amicizia e la nostra invidia è un luogo raro, e basterebbe che tu lo ricordassi sempre perché io sia, una volta per tutte, rispettato."
Per uno scribacchino come me, leggere Benni è molto dura. Si rischia di ripetere "cacchio, avrei voluto scriverlo io" ad ogni riga. La prosa ricca, abbondante, piena di neologismi e parole inusuali, lo stile ironico, tagliente e cinico ti fanno sentire uno scolaretto alle prese con il primo penserino. Ogni parola che Benni scrive è la migliore che si potesse scegliere, ogni frase sembra celare un significato profondo, ogni figura descrittiva è originale. Sono un fan, lo so. So anche che spesso nei libri di Benni lo stile surclassa la trama, che a qualcuno può apparire troppo fantasiosa e sconclusionata. Non in Achille piè veloce. La storia di Ulisse e Achille è indimenticabile, forte, dolce, amara, priva di ogni forma di pietismo, che anzi viene più volte stigmatizzato e deriso. Mette a nudo tutti i limiti di un'umanità sconfitta, di una società in declino, ma non è senza speranza, tutt'altro. Sono solo i primi giorni di febbraio, ma dubito che quest'anno leggerò qualcosa che mi piacerà di più di questo.
Con il suo linguaggio tra il serio e il faceto in cui mescola ironia ed elementi surreali, Stefano Benni farcisce la storia di nuovi termini, come "dattiloscrittori" e "poligamo politopo", trasportando il lettore in una città non identificata, con una storia divertente, commovente e anche dolce. Alcuni dei personaggi come lo stesso Achille, ragazzo affetto da una malattia che comunica soltanto con il computer, che lo costringe a stare sulla sedia a rotelle e che ama la vita in ogni sfaccettatura e il suo incontro con Ulisse, scrittore e uomo in crisi. Il loro incontro sarà l'occasione per una bellissima amicizia sulla bellezza della comunicazione, il concetto di "normalità" e "stranezza" fino a un finale agrodolce. Una storia che presenta varie tematiche: dalla politica agli scioperi sino al permesso di soggiorno, ma anche molto altro raccontato con il solito piglio sarcastico di questo scrittore. Impossibile non amare questa storia e i suoi personaggi.
Federica, l'ho finito per te e per le pagine bianche che verranno. Tutto sommato non è stato male, ho trovato lo stile un po' troppo poetico e pompato per i miei gusti ma la narrazione era accattivante. Mi sono sentita stupida più volte mentre lo leggevo perché non penso di esser adatta a questo genere di scrittura e a tutto questo leggere fra le righe ma è stato interessante vedere lo sviluppo della relazione fra Achille e Ulisse e come entrambi si rapportassero col mondo. Non ho capito troppo lo sfondo politico-sociale perché forse non c'entrava troppo con la storia quanto più era un modo dell'autore di dire la sua su tot tematiche, cosa che però non credo sia stata legata bene alla trama principale. Non lo so, sicuramente esperienza positiva perché formativa come esperienza negativa ecco, baci
Ulisse è un giovane scrittore in crisi creativa (un tempo ha scritto un libro ma si è fermato lì), lavora in una casa editrice sull'orlo del collasso ed è innamorato di Pilar-Penelope, una bellissima immigrata senza permesso di soggiorno (ma non rinuncia alla sua inveterata poligamia). Un giorno riceve la lettera di uno sconosciuto che lo invita a un misterioso appuntamento. Ulisse, incuriosito, risponde e conosce Achille, un ragazzo gravemente malato che gli apre un mondo inatteso di assurdità, vitalità e dolore. Che dire? Un Benni in stato di grazia, e uno dei suoi libri più belli. Divertente e originale nei dettagli, nella cornice come nei concetti. Antiretorico ma toccante, e non è per nulla facile! Consigliato a chiunque per ridere, pensare e commuoversi.
Splendido. La disibilità, l'arte, la piccolezza quotidiana, Bologna e mille altri ingredienti miscelati con la colta ironia di Benni per creare una piccola perla. Nello stile tipico dell'autore il libro alterna pagine dense di ilarità, neologismi grotteschi, volgarità pungenti e critica alla società ad altre ricche di pathos, eroico a tratti come esplicitato nei nomi omerici dei personaggi, filosofia, poesia. Un libro che tocca, che non può lasciare indifferenti e che spinge a riflettere doppiamente sul tema della disabilità (e mille altri): la fortuna di chi può condurre una vita normale, rispetto a chi è affetto da handicap, e la grande vitalità di queste persone che affrontano la vita con tenacia e gioia, consci della loro condizione.
Stefano Benni è stato il mio scrittore dell'adolescenza, colui da cui mi sento di essere stato più influenzato, specialmente nella formazione del mio umorismo e del mio carattere. E quindi, ora, con la rilettura da adulto, vedrò se confermare le mie interpretazioni giovanili... ma iniziamo male.
Mi duole dover dare ad Achille Piè Veloce soltanto 2 stelle, che poi sarebbero 5.5/10 nella mia testa, ma quest'opera non merita di essere letta nella sua interezza.
Benni mi ha influenzato non solo la mia comicità ma anche le mie idee... che ora aborro quasi completamente. Un rifiuto violento, pieno, rabbioso, e che non potrebbe essere diversamente. Ma procediamo con ordine.
Se dovessi trovare una parola per descrivere il libro è: altalenante. Ci sono momenti molto alti, quasi commoventi, che si susseguono a elucubrazioni mentali imbarazzanti, direi proprio cringe.
L'opera è di pregevole fattura, Benni sa come scrivere e incanta, con la sua strabiliante capacità di dar vita a neologismi, sinestesie inusitate, figure retoriche variopinte... nulla da ridire, se non che ogni tanto si scade nell'auto-compiacimento e stucchevolezza. Di gran lunga, comunque, la forma in questo racconto la fa da padrona. Il libro risulta quindi un po' ostico, ma piacevole e entusiasmante. Quasi mai frasi incomprensibili buttate per far scena, ma con una chiara e sensata spiegazione di fondo, che le giustifica.
La storia trae ispirazione da esperienze autobiografiche dell'autore nel mondo dell'editoria e della scrittura. Non avendone avuto a che fare, non posso dire di aver sentito troppo mio questo romanzo, sotto questo punto di vista.
La trama orizzontale è presto detta: Ulisse, un editor presso una casa editrice, soffre di blocco dello scrittore, ed ha seri problemi con la sua fidanzata, la quale sta venendo licenziata e potenzialmente rispedita a casa sua, a causa di un problema burocratico con il permesso di soggiorno. Nell'email, però, incontra un messaggio di tale Achille, che lo invita ad incontrarlo, ed affascinato dalla sua scrittura, inizia la loro amicizia.
L'inizio del libro è accattivante, anche se si ripete un po' troppo l'illusione del sogno nei primi due capitoli, che stanca un po'. Si parla di Pilar, la fidanzata che combatte contro i cattivi padroni del supermercato, e che vogliono licenziarla durante una crisi, dei sindacalisti comunisti che si oppongono ai porci capitalisti, corrotti e fascisti, in una Italia alternativa dove a inizio anni 2000 governa ancora il Duce... La retorica comunista è francamente disgustosa. Forzata, stupida, infantile e fastidiosa. Il proprietario del supermercato licenzia le commesse in un periodo di crisi... cosa giustissima e sensata. Per quanto Benni si sforzi di mostrificarlo, nulla può negare l'evidenza della realtà.
Così come una battuta assurda, e divertente, segna un po' il senso del romanzo. Una guardia del centro commerciale afferma di non aver mai fatto nulla insieme ad un comunista, mentre la sindacalista davanti a lei dice di aver praticato la fellatio ad uno stronzo.
La cosa paradossale è che la battuta funziona, ma per intenzioni opposte a quelle di Benni. Il guardiano zittisce una donna che riesce a riscattarsi davanti a lui soltanto svendendo il proprio corpo e dandosi della prostituta. Il romanzo è pieno di questi momenti e critiche al capitalismo ed all'Italia, purtroppo.
Ma non si ferma qui, ovviamente. Ci sono evidenti leitmotiv ambientalisti, un po' spiccioli, ed anche anti-scientifici (i medici sono cattivi e anzi sembrano lavorare attivamente per uccidere Achille). Si arriva addirittura a leggere che Pilar, pianifica di tornare in Sudamerica perché disgustata dalla situazione in cui vive in Italia, preferendo un posto infinitamente peggiore sotto ogni standard economico e sociale... la pura assurdità.
Potrei sembrare pedante nel soffermarmi su questi temi, in realtà sono lo spirito pulsante del romanzo, che informano e influenzano direttamente i lettori. E queste idee marce non solo non le condivido, ma non hanno proprio senso.
Ulisse alla fine finisce per andare da Achille e stringerci amicizia. Quest'ultimo, un personaggio apparentemente complesso, si rivela un fallimento totale. I "dialoghi" con Ulisse sono meri monologhi auto-compiaciuti e cringe, nemmeno la capacità di scrittura di Benni riesce a salvarli. Risulta una persona stronza, irrispettosa, inutilmente collerica (sta per uccidere col lassativo Ulisse per essere arrivato in ritardo), e perversa.
Di contro, Ulisse non è da meno. La sua relazione con Pilar, che va male, viene sviscerata con Achille, al punto da mostrar foto, descrivere scene sessuali, causando la masturbazione davanti ai suoi stessi occhi del bastardo paraplegico, il quale inventerà fanfiction sessuali tra i tre, che Ulisse consumerà più che volentieri. Semplicemente disgustoso, sopratutto verso il finale in cui Achille si scopa Pilar (no, il tentativo umoristico fallisce miseramente, anche se in generale il romanzo riesce a far sorridere).
Pilar, poveretta, è una Mary Sue, o forse anche meno. I primi 5 capitoli sono dominati dalla sua presenza, e viene stabilito che Ulisse soffre per lei, e poi... niente, viene dimenticata, il suo rapporto tradito da un Ulisse che si fa la segretaria della casa editrice dove lavora, ma diventa gelosissimo appena lei è disposto ad andare a ballare per guadagnarsi i soldi.
Non è complessità, non è grigiore caratteriale, solo schizofrenia dell'autore che deve far andare la trama in una certa direzione.
Vedasi a pagina 141, quando Achille professa di non poter essere sempre un santo, ma che ha il diritto anche di incazzarsi ed essere stronzo, citando l'amore per Pilar da parte di Ulisse. Entrambe cose che vengono ripetutamente smentite precedentemente dallo stesso Benni, all'interno del romanzo. Quasi comico.
Ma Pilar, quindi? In un certo senso ottiene un lieto fine, grazie ad Ulisse, che corrompe il commissario in un modo molto simpatico e ispirato (è il padre di un autore che vuole essere pubblicato, apparso all'inizio del libro). E poi... finisce lì. Si rimettono insieme, come se nulla fosse, senza una risoluzione dei problemi, senza un approfondimento di quello che sembrava renderli sempre più distanti... un fallimento.
Achille finisce comunque per suicidarsi. Il tema dell'eutanasia viene toccato in modo interessante, ma troppo sbrigativo. Alla fine Achille si uccide da solo, per fortuna, e la sua casa viene venduta. Ma il romanzo che ha scritto, cioè lo stesso romanzo che leggiamo noi lettori, piace tantissimo e vuole essere pubblicato, salvando la casa editrice di Ulisse dalla bancarotta. Fin troppo conveniente e prevedibile... ma rimane un problema: il titolo.
E allora 3/4 pagine si riesce a scoprire che Achille aveva scritto, con le sue mani paraplegiche, il suo nome sulla copertina del "scrittodattilo", ed un dialogo interiore avvincente ci porta quasi ad ottenere il titolo omonimo dell'opera... finché Benni non conclude con 4 righe insensate sulla madre di Achille che chiama (il figlio è già morto) e lui che decide di richiamarla più tardi, in quanto impegnato. ???
L'altalenante torna in forza spesso nel libro, e purtroppo non migliora mai.
I cattivi sono iperbolizzati in maniera immeritata (anche il fratello di Achille, Febo, meritava più compassione, visto che deve sopportare un fratello del genere), ed i buoni scusati di ogni loro peccato.
Ci sono comunque vari guizzi di genio, tra cui i sopracitati "scrittodattili" il portmanteau "scrissulisse", l'ispirazione sui nomi (e la spiegazione per Achille e Ulisse, che ho trovato quasi commovente nella sua bellezza).
Purtroppo tutto questo non riesce a salvare l'opera da sé stessa e dalle sue convulsioni narrative.
Alcune altre cose sparse: Ho apprezzato la divisione in brevi capitoli, rendono la lettura molto scorrevole e più piacevole.
La stragrande maggioranza dei "dialoghi" di Achille sono da saccente che pensa di sapere tutto, e mi verrebbe di tirargli un pugno in faccia. Alcuni sono scritti cosi bene che mi dispiace quanto siano sprecati per un personaggio così venefico e ributtante (dentro!).
La copertina del libro, in praticamente tutte le sue edizioni, è molto azzeccata.
la storyline della casa editrice e della richiesta continua di prefazioni ai libri fallimentari è noiosa e non divertente. Forse la parte più brutta nel romanzo, al netto della sua brevità. Non basta un riscatto finale, della critica che inaspettatamente capisce di libri e premia il vecchio volume scritto da Ulisse stesso, per salvarlo. Questo deriva dalla mia convinzione che uno scherzo deve essere bello in tutte le sue parti, e se non lo è, deve durare il meno possibile prima di arrivare alla sua conclusione. La cosiddetta "punchline" non può arrivare a discapito di pagine e pagine di noia e ripetizione (prevedibili).
Il finale è esageratamente conveniente anche perché mentre il mondo va tutto a puttane... i cattivi vengono arrestati, scappano o sono indagati? E a che cazzo serviva condannare cosi tanto il paese, se alla fine i cattivi vengono beccati? Allora forse la liberal-democrazia non fa cosi schifo, caro Benni...?
Ulisse si dichiara molteplici volte geloso di Pilar... ma poi racconta ad Achille storie su di lei, del suo corpo, le mostra sue foto e lo fa masturbare davanti ai suoi stessi occhi. Tutto ok, Benni?
A tratti sembrava un racconto erotico più che un libro... esagerando. Anche se Benni sa scrivere bene pure questi...
Il libro è permeato dalla sensazione che Benni si stia auto-glorificando in maniera esagerata. É cosi bravo a scrivere che forse ci riesce anche, ma i personaggi che dicono le cose che lui scrive sono troppo antipatici, facendo fallire il progetto.
I nomi greci sono molto ispirati e a modo loro adatti, specialmente quelli dei protagonisti.
CONCLUSIONE
Tanta forma, poca sostanza... e le idee che muovono l'elaborato... ormai non fanno più parte di me. Per fortuna.
Continuerò con la rilettura di praticamente ogni opera di Stefano Benni, per capire se il mio fosse un abbaglio di gioventù o meno.
Lettura consigliata a: comunisti da centro sociale e non, anti-capitalisti, persone che lavorano nel mondo dell'editoria, Stefano Benni stesso (che si compiacerà tantissimo per quanto è geniale... e in parte meritatamente, aggiungerei).
5.5/10 lesseluigi (non mi è uscita bene come a Benni...).
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È scritto indiscutibilmente bene. Ma è troppo autocompiaciuto. Ho faticato per la prima metà, lento, lentissimo. Non riuscivo a entrare nella storia. Poi un po' alla volta sono riuscita a finirlo. Purtroppo molto lontano dal Benni che ho adorato in gioventù, quello che mi faceva piangere e ridere fino alle lacrime.
È il primo romanzo che leggo di questo autore e si è rivelato una gran bella scoperta. Benni amalgama un registro narrativo contemporaneo ad un linguaggio più rozzo o più colto, a seconda dell'ambiente descritto. Il testo è ricco di metafore, neologismi e riferimenti ai poemi omerici, con un narratore esterno non onnisciente, che racconta ogni avvenimento dal punto di vista di Ulisse.
Il romanzo è intenso, perché affronta molti argomenti e, di fatto, è una critica alla società sotto molti punti di vista.
La malattia viene affrontata con lucida ironia e sarcasmo, smorzandone la drammaticità, pur non sminuendone gravità e difficoltà quotidiane. Si parla indirettamente di politica, rappresentando la situazione di una giovane immigrata irregolare e di un giovane rampante senza scrupoli che affronta la scalata della carriera politica senza preoccuarsi di chi resta sotto. Si parla anche di scioperi e di disoccupazione e della solitudine dei caregivers.
Un romanzo che riesce ad essere ironico, dissacrante, commovente e che spinge a riflettere molto.
Pensavo che il mio Benni preferito fosse il Benni umorista, il Benni di pastarelle vendicative e nonni da bar. Invece, Achille Piè Veloce mi conferma il sospetto che invece le comitragedie sono i suoi veri capolavori. Ho riso, mi sono commossa, ho lottato con Ulisse, Achille e Pilar contro i piccoli grandi dolori da niente e le grandi tragedie. Da ogni pagina non trasuda altro che una gloriosa, imperfetta umanità, e se ne trae un grande insegnamento che ha poco a che vedere con il "sentiti fortunato perché c'è chi sta peggio di te" e più con il fatto che la vita, in tutte le forme che assume, anche le più sgradevoli, è un dono. Da rileggere, ancora e ancora. Ufficialmente nella mia top 3 dell'autore, insieme a Giura e Margherita Dolcevita.
Allora, vorrei racchiudere tutto il libro in un commento veloce ma penso proprio sia impossibile. All’inizio mi è sembrato ridicolo, in alcuni passaggi ho davvero riso (ridere leggendo un libro è una cosa che non mi capita quasi) per le cose assurde che stavo leggendo. Però poi andando avanti è diventato sempre più profondo, l’autore ha letteralmente scavato nella sensibilità usando l’ironia, fino ad arrivare alla fine, che è una fine aspettata ma allo stesso tempo imprevedibile, perché ci si arriva in mille modi non convenzionali. Poi tutti i collegamenti che c’erano tra i nomi troppo belli, proprio geniali
Un libro che fa provare al lettore varie emozioni contrapposte, tra allegria e inquietudine, tra odio e amore, e con uno stile che non ho trovato tanto scorrevole e semplice.. mi è sembrato molto pesante delle volte e soprattutto ci sono troppe caricature volgari 😅. Ma anche se non è un genere ed uno stile che leggerei volentieri, è comunque un libro che porta a riflettere su molte tematiche sociali, con satira e ironia, e allo stesso tempo anche con rabbia e disperazione. Ma in fin dei conti, è un buon libro!
Il mio primo Benni: intenso, denso, affilato, un coltello che mentre ti trafigge ti solletica con la punta. Una bellissima riflessione sulla bruttezza della vita, su come ti schiaccia, ti deforma, ti lascia senza respiro. Ma dietro l'orrore c'è sempre ordine e poesia. I nomi omerici rendono i personaggi eroici nella loro mediocrità (tranne per Achille). La realtà si fonde con il sogno, ma il sogno è senza illusioni. Non è una lettura impegnativa, cattura molto facilmente l'attenzione con le sue trovate di scrittura geniali. Grazie Benni, tornerò da te presto.
Generalmente se devo scrivere recensioni mi piace farlo a caldo, ma ieri sera ero veramente troppo stanca. Comunque, mi è stato che per conoscere Benni forse ho scelto il libro sbagliato (e quando mai incontro gli autori di cui mi innamoro con i loro scritti più "tipici"?) e per le prime quaranta pagine circa ho concordato (non so se sia stato effettivamente il libro o la vacanza, ma per tre giorni mi sono ritrovata con il blocco del lettore). Passate quelle mi si è aperto un mondo. Ho capito perché Benni è lo scrittore preferito di diverse persone che conosco. Sono stata rapita dallo stile, prima di tutto, troppo abituata alle descrizioni che parlano degli oggetti così come sono e piacevolmente alla riscoperta di ricordi dell'infanzia in cui il "deagobruco" non era uno strano animali mitologico ma una chiara descrizione di un mezzo di trasporto urbano. Secondo ci sono i personaggi. Partendo da Achille, passando per Ulisse e finendo con tutti gli altri. Troppo belli, particolari ed intensi per dire qualcosa. Nulla, mi è piaciuto moltissimo e lo consiglio a tutti tutti tutti.
Un libro che mi ha fatto ridere, mi ha depressa, mi ha costretta a prendere una penna per sottolineare perle di saggezza e renderle mie. La trama di per sé non mi ha coinvolta tantissimo e non staró a farne un riassunto perchè è già stato fatto da altri, ma l'Achille di Benni resterà uno dei miei personaggi preferiti nel mondo della letteratura: spietato, pragmatico, brillante, diretto, una mente influenzata dalla solitudine e dal buio della vita in cui è costretto. Ho amato l'ilarita, i collegamenti all'Iliade e la malinconia in cui Benni riesce a far calare il lettore parlando di temi quali la malattia e la disabilità. Achille è un mentore che ti induce ad apprezzare quello che ti offre la vita:
"Spero che legga queste parole mentre cammina sull' erba di un prato o sulla riva di un fiume. Quando mi conoscerà capirà perchè. La prego chiami all'ora precisa: solo così avrò forse la possibilità di ascoltare la telefonata. Sia puntuale, io purtroppo lo sono. La vita di un puntuale è un inferno di solitudini immeritate. Non trova?"
Benni stavolta non mi ha convinto. Ci sono due tematiche con dinamiche completamente diverse ed è un peccato, forse, che l'autore non abbia deciso di approfondire ciascuna di esse con la dovuta attenzione: le problematiche familiari, sociali, creative, sessuali di una disabilità dura e isolante come quella di Achille; il mondo del lavoro precario, la lotta per la sopravvivenza di extracomunitari e "scrittodattili" che vogliono ergersi allo status di autori. Solo le riflessioni sull'editoria e i compromessi quotidiani di una piccola azienda mi sono sembrate convincenti. Le parentesi con Achille invece sono troppo scollate dal resto e il finale (spoiler!) è troppo drammatico senza una vera ragione. So già che Benni è bravo (forse anche di più) anche quando non vuole divertire per forza, ma in questo caso l'ho trovato poco concentrato.
La penna di Benni è sempre entusiasmante, sia quando descrive situazioni divertenti e scanzonate, sia quando si cala in abissi di sofferenze inaudite. Una vertigine di mito, letteratura e fantasia che fa tentennare l'ordinarietà delle consuetudini quotidiane. Vedo Benni sia come Ulisse che come Achille, ma soprattutto come un Omero che attraverso la narrazione dona ai suoi eroi l'immortalità e a noi lettori uno scorcio d'immensità. Naturalmente d'ora in avanti per me i tram saranno tutti dragobruchi!
Se ero rimasta delusa con "La compagnia dei Celestini", con questo libro Benni si è salvato dalle mie aspre critiche. Credo che esista una sola parola per descriverlo: bellissimo. Delicato (con la sua innaturale delicatezza, si intende) nel trattare temi duri e crudeli come la vita, in tutte le sue sfaccettature. Curioso il modo di descrivere il mondo dell'editoria. I nomi mitologici... Più che azzeccati. Ma la parte che mi ha sconvolto di più è stato capire il messaggio del libro: la mostruosità dell'umanità. I veri mostri siamo noi.
I love it when a novel makes me laugh (out loud), and makes me cry (out loud). If a novel can do this to me (without shamelessly taking advantage of the fact that I'm just a sentimental gal deep down), then I won't care about its shortcomings. This novel has shortcomings. Plenty of them. It's just an "okay" novel, if I look at it "objectively". But from an emotional perspective (is there such a perspective?) it's great.
L'idea di per sè l'ho trovata carina, con i parallelisti tra racconti classici e il romanzo di Benni. Tuttavia resta quasi tutto campato per aria, senza concretizzarsi in nulla che personalmente ritengo apprezzabile. Mi pare la classica situazione del moderno romanzo italiano, per il quale conta molto di più la forma del contenuto. I virtuosismi narrativi diventano il vero romanzo e il resto fa solo da cornice. Un'occasione sprecata.
Ormai do come fatto ampiamente accertato ed acquisito l’altalenanza qualitativa della scrittura di Benni. Grandi capolavori preceduti o seguiti da cosette monotone e ripetitive. Questo libro, pensavo di iscriverlo nella seconda categoria (soprattutto dopo aver letto il recente, e splendido, “di tutte le ricchezze”) visto che, alle prime pagine, vedevo cose e situazioni viste e straviste, tipo la dimensione urbana alienante, la critica al consumismo becero, il totalitarismo strisciante o conclamato, l’invenzione linguistica scoppiettante, il “realismo magico” a profusione… Poi però, man mano che la vicenda si sviluppava, ne sono rimasto sempre più coinvolto. Il fulcro della storia è il rapporto tra lo scrittore-redattore editoriale-lettore di manoscritti per una sfigata casa editrice e un aspirante scrittore gravemente disabile, che vive in una casa-antro accudito dalla madre e detestato dal fratello. La mia impressione è che questo soggetto - di grande interesse e magistralmente sviluppato - avrebbe potuto benissimo sorreggersi da solo, facendo a meno di tutto il contorno di invenzione linguistica ed immaginifica di cui Benni sembra proprio non riuscire a farne a meno, e di cui per certi versi sembra essere schiavo. Tanto per dire, l’onomastica mutuata dai poemi omerici è del tutto inutile ed avulsa da questo contesto. Onore al merito, comunque, di aver tracciato un’immagine decisamente realistica e credibile di disabile gravissimo per quanto geniale, praticamente uno Stephen Hawking molto più sfigato, privo di quella dimensione “spirituale” e “trascendente” che noialtri pensiamo come propria della grandissima sofferenza ma invece lorda di rabbia, astio, odio, disprezzo di sé stesso e degli altri; dimensione che, oggettivamente, mi pare decisamente più realistica. Come realistico pare anche il tratteggio delle figure di contorno che vivono e soffrono a contatto di tanto disagio, soprattutto la madre e il fratello. Tra l’altro sorprendente il fatto che - come facilmente prevedibile - buona parte della sofferenza del disabile nasca dalla forzata astinenza sessuale, che prende forma in fantasie sfrenate e descritte, cosa nuova in Benni, senza troppe metafore e giri di parole, anzi al limite della pornografia (detto in senso stilistico, non morale). (A questo proposito, mi piace ricordare che in un Paese evidentemente più civile del nostro, la Danimarca, il sistema sanitario fornisce un servizio di prostitute che offrono prestazioni sessuali ai disabili gravi, quelli che dalle donne “normali” otterrebbero al massimo solo un po’ di pietà).
"Achille piè veloce" è un romanzo di Stefano Benni. Attraverso l'ironia che caratterizza la sua scrittura, qui Benni racconta la storia di Ulisse, uno scrittore con il blocco della scrittura dopo appena una sola pubblicazione. Lavora per una casa editrice sull'orlo del fallimento, è fidanzato con Pilar che ha la sua dose di problemi e comunica quotidianamente con tutti gli scrittori emergenti he gli mandano i loro "scrittodattili" potenzialmente pubblicabili. Un giorno riceve una strana lettera da un certo Achille e la curiosità lo spinge ad incontrarlo: l'uomo è affetto da una grave malattia che lo ha fatto nascere malformato e che lo costringe a vivere sulla sedia a rotelle.
Il romanzo si concentra principalmente sull'immobilità e la staticità della vita: Ulisse non riesce a dare una svolta alla sua vita, non riesce a prendere delle decisioni per migliorare la sua situazione mentre Achille vorrebbe poter fare di tutto ma è impossibilitato dalla sua condizione. Non manca uno sguardo al mondo dell'editoria e della politica, entrambi corrotti e in cui vigono delle leggi non scritte che li governano. Sempre presente l'ironia tipica di Benni, anche se qui presente in minore quantità e in modo diverso rispetto a quanto riscontrato nei suoi racconti brevi.
Avevo letto qualche racconto di Benni a vent'anni e avevo deciso che non era uno scrittore per me. La comicità surreale, a tratti grottesca, mi appariva forzata, alla lunga noiosa, e avevo trovato asfissiante la prosa dall'aggettivazione ipertrofica. A distanza di trent'anni, qualcosa è cambiato. Ho letto "Achille" su indicazione di una carissima amica, che stimo molto come lettrice: il racconto mi ha emozionato, commosso e portato a rivalutare quella stessa prosa che, in passato, non ero riuscito ad apprezzare. La storia è terribile e dolce al contempo, pervasa da un senso di profonda umanità; estremamente attuale in un panorama contemporaneo nel quale incomprensioni, barriere, incomunicabilità sembrano il paradigma di ogni rapporto. E proprio da un incontro in condizioni difficili, e apparentemente al di là di ogni possibilità, che nasce un'amicizia profondissima, un rapporto dolce e intenso, capace di cambiare la vita dei protagonisti. Lo stile incostante e spiazzante di Benni, con la continua alternanza di toni farseschi e tragici, velati sempre di una vena surreale, fa da contraltare e da punto di forza per una vicenda intrisa di malinconia.