A diciotto anni, Imi ha finalmente realizzato il suo sogno di vivere a Londra. A bordo di un vecchio treno malandato ha lasciato l'orfanotrofio ungherese dove ha sempre vissuto e, nella metropoli inglese, si è impiegato in una caffetteria della catena Proper Coffee. Il suo sguardo è puro, ingenuo e pieno di entusiasmo: come gli altri orfani del villaggio di Landor, anche lui non permette mai al passato di rattristarlo, né si preoccupa troppo di ciò che il futuro potrebbe riservargli. Ha imparato a vivere nel presente, a godersi ogni più piccola emozione e si impegna di giorno in giorno, con costanza, a preparare un cappuccino sempre più delizioso. Le tante e minuziose regole che disciplinano la vita all'interno della caffetteria - riassunte nel Manuale del caffè cui i dirigenti della Proper Coffee alludono con la deferenza riservata ai testi sacri - gli sembrano scritte da mani illuminate capaci di individuare in anticipo la soluzione a qualsiasi problema pur di garantire il completo benessere di impiegati e clienti. La piramide gerarchica che ordina la Proper Coffee sembra a Imi assai più chiara e rassicurante del complesso reticolo di strade londinesi: che nascondono meraviglie, ma nelle quali è facile perdersi e disorientarsi. Dovrà passare molto tempo prima che Imi - grazie al cinismo di un collega spagnolo e ai saggi consigli della sua spensierata padrona di casa Lynne - cominci a capire la durezza di Londra e l'impietosa strategia delle regole riassunte nel Manuale del caffè. Tanto candore finirà per metterlo in pericolo: e sarà allora Morgan, il libraio iraniano dagli occhi profondi, a prendersi a cuore il destino di Imi - coinvolgendo nel suo audace progetto Margaret, vincitrice del premio Nobel per la letteratura: anziana e ormai stanca di tutto, ma ancora capace di appassionarsi alle piccole storie nascoste tra le pieghe della vita. Con la scrittura ferma, cesellata e limpidissima che da sempre è la cifra del suo stile, Nicola Lecca crea un'elegante fiaba contemporanea capace di affondare lo sguardo nei paradossi, nelle ipocrisie della società dei consumi e nell'affollata solitudine in cui ogni nostro bisogno ci consegna a una rete, appositamente tesa da altri per trarne profitto. La scelta di uno sguardo umile e "spoglio di tutto" come quello di un orfano pieno soltanto dei suoi desideri dà vita a pagine scintillanti, ironiche, capaci di illuminare la complessità del mondo e di emozionarci profondamente.
Se dovessi attribuire un aggettivo a questo romanzo, forse non ne troverei uno più immediato e spontaneo: delicato. Delicata è la figura di Imi, il giovane protagonista, delicati i suoi sogni; delicata anzitutto la penna dell’autore. Malgrado la storia narrata. Nicola Lecca vola lontano dalla sua terra, isolana e naturale location per tanti altri autori locali, lungo le rotte europee di quelli che sono, in definitiva, i suoi stessi viaggi. Attraverso queste pagine ci racconta emozioni e speranze infantili di un povero orfanotrofio di confine, la fredda cortesia, l’indifferenza e il vuoto esistenziale di adulti smarriti, chi per una ragione chi per un’altra, in una città opulenta e sfavillante ma non per questo meno povera d’orfani, così come ci svela l’incanto – e il suo diretto disincanto – di un mondo apparentemente perfetto, dominato da infallibili gerarchie e leggi di mercato e dalla omologazione persino del cappuccino servito nelle grandi catene di caffetterie alla moda. Un romanzo scritto con amore, ha dichiarato da qualche parte l’autore, e si sente. Una piccola grande storia, semplice pur nella sua complessità. Un libro profondamente bello, come tutti quelli che, nell’assurdità del nostro tempo, sanno ancora regalare un’emozione e far comprendere che quello della felicità è un segreto che, in fin dei conti, tutti potremmo scoprire se non ci ostinassimo a inseguire sempre e a ogni costo l’effimero e il materiale che non si possiede.
Un piccolo romanzo che riesce a raccontare con grande delicatezza e tinte pastellate un tema scabrosissimo, ovvero la feroce disillusione degli emigranti in fuga dalla miseria fisica, quando giungono nei paesi del primo mondo e si scontrano conb la miseria spirituale.
Il giovane Imi è esteriormente quanto di più povero si possa immaginare: orfano abbandonato in un cadente istituto sperso tra le macerie dell' Ungheria post comunista; ma in realtà è ricco dentro, dell'affetto di cui era piena la semplice vita di quella comunità. Appena raggiunge la maggiore età espatria in Inghilterra dove grazie alle sue energie ed alla sua volontà di emergere sembra integrarsi quasi subito. Solo che il rutilante mondo del turboliberalismo con le sue scintillanti vetrine, la spersonalizzante,. globalizzante multinazionale del caffè ("La piramide del caffè" appunto, che porta l'anonimo nome di Proper Coffee) presso la quale lavora, gradualmente mostrano il suo vero volto che è quello di un brillantissimo inferno.
Londra, la città degli orfani dentro. Ma tutto il mondo liberale è fatto di orfani dentro, perchè
"Questo è un paese di gente che si indebita fino al collo perchè non riesce ad accontentarsi di ciò che ha. Sembra che qui per sentirsi vivi sia necessario consumare, spendere e comprare in continuazione. Insomma: costruirsi una felicità instabile basata sul possesso. In una società del genere al primo posto si mette il lavoro, si lavora da matti: nove, dieci e anche undici ore al giorno. E quando i dirigenti ti offrono lo straordinario lo si accetta sempre e comunque. Lo straordinario diventa ossigeno per chi ha comprato senza limiti, e si è indebitato fino all'inaridimento più totale. Fino a perdere di vista la vera ragione dell'esistenza".
Anche se il linguaggio è molto semplice ed i personaggi sono appena abbozzati, trovo notevole come Nicola Lecca abbia saputo dosare in modo graduale, goccia a goccia, il disvelamento del lato oscuro del cosiddetto primo mondo, unificante, disumanizzante, dove ciascuno è reso schiavo dai suoi desideri, che poi sono i desideri fittizi generati dalla pubblicità. Suggestivo il particolare che la micidiale Proper Coffee si stia espandendo anche all'estero. E' una cosa della quale mi sono reso conto da tanto tempo: le periferie commerciali di Piacenza, di Castellòn, di Lisbona o di Breslavia sono incredibilmente, pazzescamente tutte uguali. Sempre gli stessi centri commerciali, sempre le stesse catene di vendita una a fianco all'altra, che hanno schiacciato il commercio locale e nelle quali sgobbano con orari massacranti, precari con la minaccia del licenziamento e con salari che non consentono alcun futuro giovani di tutto il mondo ma tutti dannatamente uguali nelle loro impeccabili divise.
A fronte dell'inferno londinese c'è l'infernale squallore della campagna dell'est Europa ex comunista. Dipinto con tinte foschissime, questo territorio non sembra concedere davvero una esistenza migliore, nella stragrande maggioranza dei casi. Al punto che l'orfanotrofio sembra essere un'isola felice: "la piramide del caffè" non è certo un libro che propaganda la decrescita felice. Pure, la miseria fisica della Spagna (dalla quale tantissimi giovani emigrano verso l'Inghilterra ancora oggi, incluso il giovane amico di Imi) o dell' Ungheria lascia spazio alla unicità dei singoli, anche nella fame.
Non si sta parlando di alta letteratura: personaggi e situazioni sono abbastanza stereotipate, ed il finale è deliberatamente troppo, troppo favolistico. Pure, questo libro smaschera in modo efficace il volto violento del cosiddetto mondo libero, e conferma una riflessione che mi era già capitato di fare. Se per un immigrato dell'est Europa, che pure è contiguo culturalmente all' occidente, l'invasione dello stile di vita turboliberale è intollerabile, come potrebbe sopportarla un arabo,un persiano, un cinese? Come ha giustamente intuito Mohsin Hamid, il terrorismo che insanguina le città del ventunesimo secolo non è altro che una feroce e disperata reazione di fronte al mondo liberale che avanza in terre che non lo hanno mai conosciuto nè voluto, spazzando via senza riserve il vecchio mondo in cui le persone di quelle terre vivevano, in miseria ma in pace. La religione non ci ha niente a che vedere, e libri come questi lo dimostrano (se non bastasse il fatto che la capitale della Cristianità è l'unica che in vent'anni non ha mai subito attentati). Il punto è che noi accettiamo passivamente di dannarci in nome del consumo, perchè noi nel quarto cerchio dell'inferno dantesco ci siamo nati e cresciuti. Ma chi ha visto e concepito un altro modo di sopravvivere, magari più povero ma che lascia spazio al sè, reagisce. A volte con la fuga, a volte lasciandosi ingannare dalle prediche dei falsi profeti che inneggiano alle bombe, al sangue.
Questo libro è stata una scoperta, non pensavo fosse così carino, triste e divertente nello stesso momento. Una storia semplice, intensa, raccontata con uno stile fluido ed elegante, che ci lascia diversi spunti di riflessione (la solitudine, lo sfruttamento dei lavoratori, la discriminazione nei confronti degli immigrati). Toccanti le descrizioni dei ragazzi dell’orfanotrofio, poche pagine ma dense; magari si poteva scrivere qualcosa in più nel finale, dove sono quasi scomparsi. “La felicità non dipende tanto da quel che si possiede; ma dal sapersi rassegnare a ciò che non si ha.” “I sogni sono la droga dei poveri. E i poveri ne diventano dipendenti.”
Il più grande privilegio, in questo mondo gelido e senza speranze, è quello di riuscire a scatenare una scintilla: un’emozione capace di far battere forte il cuore.
Se c’è una cosa da cui noi italiani siamo ossessionati è il caffè. In Inghilterra le tisane vanno per la maggiore, in America ci sono le miscele targate Starbucks, ma è qui nel Bel Paese, specialmente al Sud, che il caffè diventa una sorta di divinità in tazza. Pensateci, qual è la prima cosa che si dice ad un ospite, prima di farlo accomodare e subito dopo i saluti di circostanza? “Ti preparo un caffè?” . E guai a dire di no. Qui la tazza di caffè è custode dei pettegolezzi più succosi, ancora di salvataggio nelle giornate più uggiose, contenitore di fresche speranze mattutine e, per quanto mi riguarda, compagna fedele nelle fredde nottate di studio intenso. Ho imparato anche a riconoscere chi ho di fronte dal tipo di caffè che beve più spesso: io, ad esempio, non amo il caffè amaro e molto concentrato, sono sempre alla ricerca dei piccoli piaceri della quotidianità (questo concetto ricorrerà spesso nella recensione a seguire), difatti, specialmente d’inverno, ingurgito dosi aziendali di cappuccino tanto schiumoso e ben zuccherato. Il cappuccino è la nota che aggiusta la melodia, quell’abbraccio caldo che ti dice “Stai tranquillo, andrà tutto bene”. Ecco perché non ho saputo resistere all’accattivante titolo dell’ultimo romanzo di Nicola Lecca, La piramide del caffè. Per non parlare della meravigliosa copertina: vecchi libri, una bella tazza colorata e un paio di baffi. Sembra un’immagine presa da Tumblr. E poi sì, devo dire che questo libro per certi versi somiglia ad un buon cappuccino. La dolcezza c’è, e vi è anche quell’effetto da “caldo abbraccio” di cui parlavo sopra, e sono questi elementi a renderlo una sorta di favola postmoderna carica di ottimismo, nonostante, a saper guardare bene, l’autore non si astenga dal lasciare un certo retrogusto amaro, il tagliente spaccato di una società globalizzata dove spesso l’individuo è alla ricerca di una felicità lontana e alienante, che lo spinge a perdere non solo la capacità di stupirsi per le piccole cose, ma anche la sua stessa identità.
Caro Imi, benvenuto nella città degli orfani.
La città degli orfani in questo romanzo è la multietnica capitale britannica, Londra, che qui vediamo inizialmente filtrata dagli occhi del protagonista Imi, un diciottenne che al compimento della maggiore età lascia l’orfanotrofio ungherese in cui è cresciuto per inseguire il sogno della grande città. Imi è un personaggio puro, candido, ricolmo di speranza e aspettative, nonostante la vita lo abbia privato di molte cose, prima fra tutte l’affetto di una vera madre. Cresciuto tra le cure delle neni – questo il nome delle donne che si occupano dei bambini nell’orfanatrofio – Imi è fondamentalmente una persona felice, i suoi occhi luccicano alla sola vista dei grandi grattacieli londinesi e riesce a svolgere con passione ed allegria anche l’umile lavoro di dipendente della Proper Coffee, una grande catena di caffetterie che mette a disposizione dei lavoratori un Manuale, tipicamente inglese, che regola per filo e per segno il comportamento di ogni dipendente della multinazionale.
In un Paese in cui tutto avviene secondo regole e manuali che elencano le possibilità A, B, C e D, un ragazzo arguto come Imi è prezioso: perché ha la prontezza necessaria a risolvere anche i casi E, F e G, e cioè tutti quelli che nessun manuale riuscirà mai a contemplare.
Ben presto, però, alcuni personaggi secondari aiuteranno Imi a capire i sottili inganni e le furberie di un’azienda così allargata, e potente sempre alla ricerca di trarre il massimo guadagno, dove il singolo cliente perde la sua individualità e diventa un numero da inserire in grafici e statistiche, e ancora più il dipendente non è più un Uomo, bensì il minuscolo ingranaggio di un’enorme catena di montaggio nel quale tutti devono attenersi alle regole del Manuale, spesso mettendo in primo piano la produttività allo stesso rapporto col cliente. Così, accanto al luminoso ritratto della Londra dei sogni del giovane orfanello, si accosterà quello di una città meno idealizzata, fredda e aggrappata alla logica capitalistica occidentale. Importante è, in questo contesto, la moltitudine di caratteri che costellerà la vicenda di Imi, caratteri ai quali vengono affidate poche frasi, spesso anche brevi, piccoli capitoli di una o qualche pagina. L’autore non si concentra troppo sull’analisi psicologica, la maggior parte dei personaggi è quasi solo abbozzata, come se volesse semplicemente accostare accanto alla descrizione di un’azienda che vuole rendere i suoi dipendenti tutti uguali privandoli della loro componente individuale il più verosimile esempio di umanità: diversa, variegata, e con tanti differenti modi di approcciarsi alla non sempre felice quotidianità. Ad esempio c’è Lynne, buona, solare, eccentrica, e capace, grazie alla sua spontaneità, di scaldare anche il freddo cuore della diffidente vicina di casa, schiva, diffidente, impaurita dal diverso e sempre chiusa in se stessa. Poi ci sono Victoria e Andrew, i dirigenti della caffetteria in cui lavora Imi, interessati solo a vincere il viaggio che la Proper Coffee mette in palio ogni anno, vuoti, freddi, le loro figure appaiono grigie, degradate, squallide, annichilite, private di qualsiasi scintilla di calore, ripongono le loro speranze in sogni vaghi e lontani da cui poi rimangono irrimediabilmente delusi, incapaci di applicare quella regola che, alla fine della fiera, sembra essere la chiave di volta dell’intero romanzo, l’unico vero trucchetto scaccia-crisi: essere felici per le piccole cose, essere felice nel presente.
I desideri sono ossigeno per il futuro, ma è il presente l’unico istante in cui è possibile essere felici per davvero. Rimpiangere quel che è stato o preoccuparsi di ciò che ancora non è accaduto è faticoso per l’anima: la sfinisce.
Accanto alle vicende londinesi, infatti, Nicola Lecca ci parla dell’orfanatrofio di Landor, dove è cresciuto Imi, e dei piccoli ospiti che vi vivono all’interno, bambini che spesso si portano dietro veri e propri drammi famigliari, che sono stati abbandonati dai loro genitori e che non hanno niente e nessuno se non le cure delle amorevoli neni, qualche rara barretta di cioccolata e, magari, qualche piccolo animale domestico da barattare in cambio di un po’ di shampoo al chewing-gum. Eppure sono bambini felici perché, come dice l’autore, stesso, la felicità non dipende tanto da ciò che si possiede, ma dal sapersi rassegnare a ciò che non si ha. Difatti Imi non ha nulla, ma riesce a infilare della felicità anche nel più semplice dei gesti, il fatto che il suo cappuccino sia più buono degli altri è molto metaforico, e i clienti vogliono che sia proprio lui a servirli perché bramano quel pizzico di felicità giornaliera, ed ecco perché questo spaventa le fredde logiche aziendali: in un mondo dove i cappuccini sono tutti uguali non c’è spazio per essere se stessi, non c’è spazio per la felicità. Molto interessante è soprattutto il personaggio di Margaret Marshall, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura, solitaria, sconfortata dal presente, stanca di lottare, ancorata al passato e ai suoi amati libri, solo alla fine del romanzo ritroverà un motivo per riprendere in mano il suo abito più bello e indossare i panni della perfetta fata madrina delle fiabe, piegando al potere della letteratura anche il direttore di una grande e ricca multinazionale e restituendo, così, giustizia ai più deboli. Nicola Lecca, con uno stile lineare, pacato e scorrevole e spesso ingiustificatamente sovrabbondate di “…” chiude il cerchio con un finale un po’ telefonato, un po’ buonista, ma perfettamente in linea con l’atmosfera dell’intero racconto. Di questi tempi disperati l’autore de La piramide del caffè punta sulla scelta più coraggiosa di tutte: donare un concentrato di speranza in poche pagine, proprio come quella modesta tazza di caffè di prima mattina, proprio come quel caldo cappuccino sorseggiato mentre fuori imperversa la tempesta.
Perché la speranza è forte: una droga innocua e potente capace di vincere sempre e comunque su tutto. Anche sulla disperazione.
‘Kavos piramidė’ - tokia trumputė, tokia lengvutė ir tokia paprastutė, gal net kiek vaikiška, kad apie ją tik trumpai, tik lengvai ir tik paprastai. Labai įdomus stilius. Iš vienos pusės labai scenografiškas – mėtomasi per epizodus, kurie prasideda lyg nuo vidurio ir baigiasi pakibę, palikdami atvirą lauką interpretacijoms. Kartu visa tai primena ir vaikiškas knygutes – labai naiviai ir paprastai vienu ypu pristatomi veikėjai, jie labai epizodiški, egzistuoja tik tam tikru tikslu, kurį įvykdę dingsta be jokios žymės. Kai kurie, net ir to aukštesnio tikslo – kažkuo rimtai papildyti pagrindinę siužeto liniją – lyg neturi. Optimizmo bomba, kaip skalambija nugarėlė? Vargu, bet tikrai graži, miela ir lengva istorija, kurioje gyvenimo neteisybės daug, bet ji skambiai nugalima. Knyga apie svajones? Galbūt, bet labiau apie pasirinkimus, brandą, žmogišką ryšį.
Le favole insegnano che i draghi esistono. Ma si possono combattere e vincere. Questa è una favola moderna. Mitteleuropea ma anche no. Dolorosa e insieme piena di speranza, in cui le crisi sono cosa buona e giusta perché senza c'è solo stasi. Perché crisi significa fine ma anche inizio.
2,5* arrotondato perché il narratore dell'audiolibro era bravo.
Bei personaggi, storia carina, ma... capisco che vuol essere una favola moderna, ma io ho un enorme problema col narratore onnisciente che mi descrive lo stato d'animo anche delle comparse (che compaiono letteralmente per due paragrafi e riempiono metà del libro senza motivo) con una prosa zeppa di aggettivi qualificativi che non fanno bene allo show don't tell. E comunque, se per salvare dal baratro chi ha fatto una buona azione bisogna usare una cattiva azione, anche no.
Finalmente un libro fresco e divertente che racchiude in sé tematiche sociali e politiche più profonde di quello che ci si possa aspettare da questo libro oserei dire sconosciuti. Se non fosse stato per la copertina accattivante forse non l'avrei mai letto e dicendo questo mi rendo conto di essere anche io vittima di qualche marketing editor.... Ma ben vengano queste piccole trappole se poi il libro è ricco di contenuti interessanti quali: l'umiltà di un ragazzo cresciuto senza essere viziato, il suo buon senso e il suo stupore davanti al mondo, la ricchezza incontrollata di un magnate che neanche più sa cosa desiderare, la solitudine di una donna anziana malata che finalmente ritrova il coraggio di affrontare la realtà.. Insomma un libro che si legge tutto d'un fiato e se il finale è un po' banale poco importa, perché le altre pagine sono ricche di contenuti interessanti.
“Welcome to the city of orphans” Started reading it four years ago but remember everything because it slayed A beautiful story about being exploited by capitalism and the struggles of being an Eastern European in London 😙 Served ate and left no crumbs Viva la revolution
Un racconto che arriva dritto al cuore, e allo stesso tempo offre mille e più spunti di riflessione sulla società attuale. Lo stile di Nicola Lecca è sempre irresistibile.
Questo libro è una favola moderna che ha come protagonista un ragazzo orfano che ha vissuto per 18 anni in un orfanotrofio ungherese e che sogna un futuro radioso in una accogliente ma temibile Londra. È una storia dolce, non smielata, basata sulla voglia di riscatto e di crescita ed è vissuta con gli occhi di un adulto che però è rimasto un po’ bambino, in un mondo sorridente che è pronto a fagocitarlo. Sono presenti alcune chicche storiche (che non vi svelo) e la costante capacità di Nicola Lecca di dipingere in modo superbo le ambientazione dei suoi libri. Un romanzo leggero che però mette in luce contenuti attuali e che fanno riflettere in maniera naturale.
La piramide del caffè è una fiaba moderna, la storia del riscatto morale del giovane Imi, dall'orfanotrofio in uno sperduto villaggio ungherese alla conquista di Londra, metropoli del mondo, città di passaggio, città di solitudini e di orfani. E', al tempo stesso, una storia sulla ricerca della felicità, che spesso ti porta lontano da casa salvo ritrovarla dove meno te l'aspetti. Attorno la vicenda di Imi, una simpatica galleria di personaggi e un intreccio di storie secondarie che scaturisce alla fine in un esito comune. L'intero romanzo si compone essenzialmente di due piani narrativi: la storia di Imi, appena approdato a Londra, il suo lavoro alla (non tanto) immaginaria caffetteria Proper Coffee, e dall'altro lato l'orfanotrofio ungherese, con le vite di chi è rimasto e va avanti. Con abilità l'autore dipinge due mondi distanti e profondamente diversi, che trovano difficile mediazione nella figura di Imi, che cerca di coniugare la falsa diplomazione british con l'onestà e la rigida franchezza austroungarica, il lusso della metropoli e la povertà del villaggio. Eppure, ciò che non muta con il mutar dello scenario è la dimensione del sogno, del desiderio, la ricerca della felicità. E la felicità non è un luogo da raggiungere, ma qualcosa da riscoprire dentro di sé.
La piramide del caffè racconta la storia del giovane Imri che, cresciuto in un orfanotrofio in Ungheria, non appena diventa maggiorenne decide di trasferirsi a Londra dove, ospite della generosa, nonché in bolletta, Lynne, trova un lavoro come commesso in una caffetteria della catena Proper Coffee. Imri è un personaggio talmente buono e positivo da sembrare quasi un sempliciotto: per lui ogni angolo di Londra è meraviglioso, la Proper Coffe è un paradiso in terra che ti offre delle grandi opportunità, è giusto dire sempre e comunque la verità nuda e cruda e sogna di vivere al St. George Wharf (che per lui assomiglia alla casa di Batman). Parallelamente alla storia di Imi, conosciamo anche l'orfanotrofio da cui proviene, e i vari orfani che sembrano tutto sommato condurre vite ben più felici di quanto ci si potrebbe aspettare.
deliziosa fiaba su un ragazzo ungherese cresciuto in un orfanatrofio che si trasferisce a londra e trova lavoro in una caffetteria, diventando parte di quella piramide di cui parla diffusamente il manuale del caffè- lettura fondamentale per gli impiegati della catena e a cui, inizialmente, imre sembra dare ciecamente credito. tuttavia, pian piano, perderà la sua ingenuità e scoprirà le durezze della vita- superandole e diventando adulto con l'aiuto di una eccentrica signora, di un ragazzo spagnolo ribelle, di un giovane libraio appassionato e di una scrittrice malata e reclusa. nonostante qualche ingenuità e alcune idee un po' approssimative questo romanzo è pieno di grazia e freschezza e fa sognare, sperare e credere fortemente nel doveroso e inevitabile lieto fine.
Another wonderful book by Nicola Lecca, an author that I've been following for a long time and that never ceases to amaze me. This is maybe a lighter story than his usual, but it retains the bittersweet flare that characterises all of his production. Nicola has a talent for creating believable characters in a sort of magic-realism environment. This is a book that warms and touches your heart and, as an Italian immigrant in London, I can't but find so many references to my own experience. If you want something to remind you that you indeed have a heart, something to make you laugh through the tears, pick up this, or any other Nicola Lecca book. You won't be disappointed! :)
La piramide del caffè è la splendida storia del giovane Imi, cresciuto in un orfanotrofio ungherese, che approda a Londra col sogno di potersi costruire una nuova vita, attraverso il lavoro in una delle caffetterie della catena Proper Coffee (immaginaria ma neanche tanto...). Una storia di dolore, di speranza e di crescita, che vedrà il protagonista scontrarsi con una realtà che non è tutta rosa e fiori come la immaginava. Una storia in cui ognuno può tranquillamente riconoscersi. O almeno, questo è quello che è accaduto a me leggendo questo romanzo.
Galiu pasakyti, kad "Kavos piramidė" susiskaitė tikrai labai skaniai, knyga kartu paprasta, bet kartu savyje turinti šį tą ryškaus. Knyga skleidė optimizmą, kas šiuo metu man tikrai nepamaišytų. Patiko, jog knyga parašyta ne iš vieno, o iš kelių veikėjų perspektyvos. O, tai visai nenuslopino pagrindinio veikėjo ir jo istorijos. Knyga patiks tiems, kurie mėgsta pamokančias knygas, kurie mėgsta iš knygos pasisemti vidinės jėgos ar išsirašyti vieną kitą citatą.
Ho letto libri molto più impegnati, più profondi, più ricercati, sicuramente anche più belli; ma alla fine a questo libro mi sono affezionata come ad un amico e quando l'ho chiuso avrei voluto davvero abbracciarlo come un amico.
"I sogni sono ossigeno per il futuro, ma è il presente l'unico istante in cui è possibile essere felici per davvero".
Nicola Lecca con La Piramide del caffè ha scritto una favola contemporanea, evanescente, delicata e indimenticabile.
La storia è semplice, classica, attuale: il giovane diciottenne Imi, si trasferisce nella promettente e brillante Londra, dopo essere vissuto in un orfanotrofio ungherese. Pieno di positività e speranza dei suoi anni, trova lavoro in una caffetteria della Proper Coffee, disumanamente gerarchizzata in una struttura verticistica. Nessun cambiamento o iniziative sono ben viste. Perfino l'eccellenza non è tollerata: i dipendenti devono assolutamente attenersi alle regole scritte nel ‘Manuale del caffè’. Imi, con il suo animo puro, non consapevole delle dinamiche del capitalismo avido occidentale, idealizza la compagnia. Vuol dare il meglio di sè, non deludere, si sente finalmente parte di quel qualcosa che gli è sempre mancato: la famiglia. In realtà, alla Proper Coffee, l'insensibilità la fa da padrone. Tutto è scandito dai tempi di produzione e consumo. Un approccio asettico e razionale che esclude la componente umana dall'insieme finito del: lavorare. Imi, con una visione astratta e sognante della vita, si troverà catapultato in realtà fredda e ipocrita.
"In un Paese in cui tutto avviene secondo regole e manuali che elencano le possibilità A, B, C e D, un ragazzo arguto come Imi è prezioso: perché ha la prontezza necessaria a risolvere anche i casi E, F e G, e cioè tutti quelli che nessun manuale riuscirà mai a contemplare".
La narrazione si divide e si intreccia tra le vicende attuali del protagonista e l'infanzia trascorsa nell'orfanotrofio, piccoli frammenti di vita passata che nascondono il segreto della vera felicità. E' un libro impalpabile. La scrittura di Lecca è delicata, sofisticata ed elegante. Proprio con eleganza Lecca denuncia una realtà disumana che negli ultimi anni si è imposta anche in Italia; nelle grandi catene commerciali, si cerca di dare l'immagine di "gruppo/famiglia" al cliente, ma che dietro nasconde meccanismi atti solo a screditare e offendere la dignità dell'essere umano.
La Piramide del caffè è un vero e proprio gioiello. E’ un romanzo-racconto duttile e malleabile che riesce ad adattarsi ad ogni tipo di lettore, ad ogni storia, ad ogni situazione. Ideale per chi ha voglia di leggere qualcosa di fresco e leggero, senza dover rinunciare ad una lettura di contenuto. Ottimo anche come regalo.
Imio gyvenimas tikrai nėra iš lengvųjų. Dar kūdikį jį paliko prie vaikų namų durų. Būtent ten jis ir užaugo su būriu kitų vaikų. Nors auklytės visus be galo mylėjo ir rūpinosi jais, tačiau vis dėlto negalėjo suteikti to, ko trokšta vaikų širdelės. Kai Imiui sukanka aštuoniolika, jis palieka vaikų namus Vengrijoje ir išsikrausto į neramųjį Londoną. Šis miestas visada buvo vaikino svajonė, todėl, kai pasitaikė proga gauti globėją, kuri priėmė Imį gyventi pas save, jis nė akimirkos nesudvejojo ar keliauti ten. Su keistuolės globėjos Lin pagalba jis įsidarbina populiariame kavinių tinkle "Proper Coffee". Iš pirmo žvilgsnio viskas atrodo puiku: draugiškas kolektyvas bei vadovai, didelės ateities perspektyvos, įvairūs priedai už stropų darbą. Tiesa, yra ir šiek tiek griežtesnė pusė - kiekvienas įsidarbinęs turi vadovautis "Darbuotojo atmintine", kurioje surašytos visos pareigos, kuriomis turi vadovautis jų firmos darbuotojas. Pradžioje net ir tai neišgąsdina Imio. Deja, jaunuoliui, atvykusiam iš provincijos, nėra taip lengva pritapti prie miestietiško, inteligentiško ir modernaus Londono. Šio miesto gyventojai nėra linkę priimti Imio tiesmukiškumo ir atvirumo. Negana to, pasirodo, kad "Proper Coffee" atmintinė slepia nešvarius šios įmonės reikalus ir elgesį su darbuotojais, kurie kaip knygos herojus yra emigrantai. Į jų pinkles patenka ir pats Imis. Visa laimė, kad jis susipažįsta su knygų parduotuvėje dirbančiu Morganu. Jis taip pat emigrantas, todėl supranta pastarojo bėdą. Morganas nusprendžia padėti Imiui išsikapstyti iš šių spąstų, o tam į pagalbą pasitelkia savo ekstravagantišką draugę, kuri yra rašytoja.
•Knyga, kuri pagrinde akcentuoja dvi jautrias temas. Tai - gyvenimas vaikų namuose ir diskriminacija darbe.
•Pagrindinis knygos herojus Imis, užaugęs šioje įstaigoje, turėjo svajonę, kuo greičiau iš čia išvykti, tačiau net ir tą padaręs, jis nepamiršo savo likimo brolių ir toliau su jais palaikė ryšį, siuntė lauktuves. Žinoma, augęs tokioje aplinkoje, tuo labiau provincijoje, ir atvykęs į didžiulį miestą - paprasčiausiai nesupranta čionykščio bendravimo etiketo. Imis yra papratęs visada sakyti tiesą, kad ir kokia kažkam ji gali būti skaudi ar nemaloni, jis nelinkęs pataikauti. Deja, visuomenėje, kur visi nori girdėti tik liaupses ir komplimentus, toks vaikino atvirumas prilygsta įžūlumui ir yra nesuprantamas. Norėdamas čia pritapti, turi elgtis taip, kaip visi kiti. Sakyti tai, ką žmonės nori girdėti.
•Su diskriminacija ir įvairiomis nelogiškomis sąlygomis darbe susidurti gali kiekvienas. Ypatingai tai paliečia emigrantus iš neturtingų šalių, nes turtingesniųjų valstybių verslininkai yra linkę juos išnaudoti. Būtent apie tai ir pasakojama šioje knygoje. Įmonėje, kurioje jis įsidarbino, labai didelį būrį žmonių, atvykėlių, buvo įdarbinę neoficialiai. Beje, kas įdomu, knygoje minimi ir lietuviai bei kitų Baltijos šalių piliečiai! Absurdiškiausia pasirodė tai, kad "Proper Coffee" kavinių tinklo savininkai nusprendė maistą, kuris praranda prekinę išvaizdą, geriau išmesti į šiukšlių dėžę, nei atiduoti darbuotojams. Pilnai tikiu, kad tokių situacijų galima surasti ne tik knygoje, bet ir realybėje.
•Nors knygoje kalbama geromis ir aktualiomis temomis, tačiau labai didelio įspūdžio ji man nepadarė. Kadangi knygoje šnekama trečiuoju asmeniu, erzino tai, kad pasakotojas šokinėjo nuo pasakojimo apie vieną herojų, iki pasakojimo apie kitą. Toks rašymo stilius glumino ir nesužavėjo.
Knyga, dvelkianti šiltumu ir nuoširdumu. Įkvepia būti geresniu, suteikia optimizmo, išmoko džiaugtis gyvenimu ir gali padėti tiems, kuriems šią akimirką nesiseka rasti šviesos tamsaus tunelio gale! ✨ Nuostabi istorija su dar nuostabesne pabaiga 🥰 Labai patiko tai, kad skyriai trumpi, ir nors visa knyga tarsi bendras pasakojimas, bet kiekviename skyriuje tarsi skirtinga istorija.
È davvero una bella storia. Lecca costruisce una narrativa coerente e coinvolgente. soprattutto scrive di economia e psicologia in modo competente, cosa questa difficile da trovare in libri di narrativa. L'innocenza del protagonista è contagiosa, sia per gli altri protagonisti, sia per il lettore. leggerò di sicura altri suoi libri.
Trumpa, bet pamokanti knyga apie herojų Imi, kurio gyvenimas tikrai nėra lengvas. Augęs vaikų namuose jis palieka vaikų namus Vengrijoje ir išsikrausto į Londoną, kur įsidarbina kavinėje. Nors kalbama ir apie rimtas problemas, bet knyga susiskaito lengvai, iš jos galima pasisemti gyvenimiškų pamokų.
Non mi ha lasciato molto questo libro. Alcuni passaggi mi sono sembrati senza senso ai fini dell'economia del racconto. La scrittura però è stata scorrevole e ho letto il libro velocemente.
E' la prima opera di Nicola Lecca che affronto e lo promuovo a pieni voti. Saranno tre stelle, ma il terremoto emotivo non c'è stato quindi cinque non posso proprio. COmunque, mi è piaciuto. La storia narra di Imi, giovane ungherese che, lasciato l'orfanotrofio di Landor, va a vivere a Londra ospite di una signora, Lynne, che ha già ospitato orfani. La signora in questione è un pò svanita. Condivido il suo voler vivere la vita, ma rischiare lo sfratto per questo no. E la vicina sarà acida, ma diavolo... Questa fa casino a tutte le ore. La vicina sicuramente è da psichiatra, ma anche lei..Darsi una calmata e regolata pare brutto? Imi aveva il sogno di andare nella capitale inglese, lo ha sempre visto come un paradiso e vede tutto ad occhi sgranati, pieno di meraviglia. Per lui è splendido anche essere stato assunto presso la Proper Coffee, fittizia catena di caffè nominata nel libro, che addirittura fornisce un manuale completissimo per imparare davvero bene il mestiere di barista. Per lui è un'azienda giusta ed equa. Accetta le eventuali rimostranze dei gestori della sua sede anche quando sono palesemente sbagliate perchè li è un manovale alle prime armi. Ed ha anche la brillante idea di inimicarsi uno dei due responsabili quando alla domanda se il nuovo taglio di capelli gli piace risponde che sembra Jessica Fletcher, non un gran complimento, soprattutto verso una donna insoddisfatta! Ad un certo punto però per Imi sarà troppo, si rifiuterà di eseguire un ordine, datogli dopo e per colpa di essersela cavata con arguzia da una situazione che i superiori avrebbero ritenuto arrogantemente da richiamo scritto, essendo contro i suoi principi morali. Non si può chiedere ad uno che ha vissuto la fame di buttare cibo avariato!!!! Al posto di Imi lo sfogo me lo sarei tolta, tanto ormai il posto lavoro rimane compromesso. E' interessante la sua amicizia con Morgan, il ragazzo della libreria che va talvolta al Proper Coffee, un giovane brillante ed arguto che si intrattiene a parlare con un'eccentrica vecchietta che vinse il nobel anni fa e non riceve più nessuno in casa salvo i fattorini che le recapitano quanto chiede. Questi due saranno importanti per Imi che non lo immagina neppure. Anche se, dei personaggi secondari, ho amato Jordi, realista e che cerca di aprire gli occhi all'ingenuo Imi e che sopporta la Proper Coffee finchè può. Però la vita non è sempre il sogno che ci figuriamo, nemmeno se raggiungiamo i nostri obiettivi. Certo per Imi è "più facile" perchè lui sente un lavoro di responsabilità ed importanza quello del barista perchè da dove viene lui è davvero così. Ed è davvero così. In Europa, se non è la tua passione, lo fai perchè non hai trovato altro, così come per molti altri lavori. Tutto sembra dorato dopo la vita nella povertà, una povertà felice comunque. Perchè non ha avuto nulla, ma gli è stato insegnato a sentirsi ricco con quel che ha, ad inseguire un sogno e coltivarlo senza perdersi in fronzoli. E ogni tanto Lecca ci presenta la realtà di Imi con qualche capitoletto che ci fa vedere come se la cavano gli ex compagni, dando dunque dimostrazione della vita che può aver condotto Imi. Amato, ma niente gli è stato regalato. Per quei bambini era una festa quando c'era una torta per i compleanni di qualcuno, per un europeo è anche troppo comune e lo dimostra l'obesità! Gli altri cibi che mangiano per noi sono poco comuni, da poveri. Andare dallo psicologo qui è costoso, ma soluzioni si trovano, li sono una risorsa che la direttrice richiede raramente perchè quel poco che hanno deve bastare a vivere, a radi bisogni straordinari per i bambini, lo psicologo è un lusso e ci si svena solo per casi gravi. Imi comunque scoprirà presto le ombre di Londra e i difetti del suo luogo di lavoro e purtroppo soffrirà perchè è troppo buono ed ingenuo. Sarebbe bello che fossimo tutti più simili a lui, si vivrebbe meglio e ci sarebbe meno cattiveria! Le sorprese che regala questo romanzo sono molte e così come le riflessioni sulla vita.
La piramide del caffè è una fiaba moderna, la storia del riscatto morale del giovane Imi, dall'orfanotrofio in uno sperduto villaggio ungherese alla conquista di Londra, metropoli del mondo, città di passaggio, città di solitudini e di orfani. E', al tempo stesso, una storia sulla ricerca della felicità, che spesso ti porta lontano da casa salvo ritrovarla dove meno te l'aspetti. Attorno la vicenda di Imi, una simpatica galleria di personaggi e un intreccio di storie secondarie che scaturisce alla fine in un esito comune. L'intero romanzo si compone essenzialmente di due piani narrativi: la storia di Imi, appena approdato a Londra, il suo lavoro alla (non tanto) immaginaria caffetteria Proper Coffee, e dall'altro lato l'orfanotrofio ungherese, con le vite di chi è rimasto e va avanti. Con abilità l'autore dipinge due mondi distanti e profondamente diversi, che trovano difficile mediazione nella figura di Imi, che cerca di coniugare la falsa diplomazione british con l'onestà e la rigida franchezza austroungarica, il lusso della metropoli e la povertà del villaggio. Eppure, ciò che non muta con il mutar dello scenario è la dimensione del sogno, del desiderio, la ricerca della felicità. E la felicità non è un luogo da raggiungere, ma qualcosa da riscoprire dentro di sé. Variopinta è la galleria di personaggi secondari, incasellati negli ambienti chiusi tra i quali si muove Imi: innanzitutto Lynne, l'anziana donna che lo ospita in casa sua, disordinata, perennemente indebitata, eppure sempre piena di vita; niente a che vedere con la vicina di casa, sola, impaurita, ossessionata dalla pulizia, volto malato di una società solipsitica rinchiusa in se stessa. Quindi il volto multiforme della Proper Coffee: i colleghi, giovani immigrati da ogni parte del mondo, e contrapposti a loro i superiori Andrew e Victoria, grotteschi nel loro pignolo attaccamento alle regole assurde della grande catena, e tristemente reali nelle loro solitudini che vedono una sola possibilità di salvezza nell'effimero premio aziendale offerto dalla compagnia. Ma ci sono anche: una vecchia scrittrice vincitrice del Nobel, che unirà il suo destino a quello di Imi, un giovane iraniano impiegato in una libreria, il dickensiano proprietario della Proper Coffee, che sarà capace di un improvviso mutamento sul finire del romanzo. E poi c'è il mondo dell'orfanotrofio, di una infanzia mutilata, spesso muta, ma piena di sogni e talvolta di rancore: nomi e volti che appaiono e scompaiono ma che l'autore dipinge con abilità, con poche ma vivide pennellate. Molto apprezzabile lo stile e la narrazione: in un tempo che vede dominare il gusto della narrazione in prima persona, si riscopre con questo romanzo il piacere del narratore esterno, il piacere puro del narrare una storia. Esilaranti le regole del Manuale del Proper Coffee, e tutte le piccole vicende che fanno scontrare il giovane Imi, ingenuo e puro, con una tradizione e uno humour british che non riesce mai ad afferrare. Il finale risulta un po' artificioso. Pur essendo esente da buonismo - e sarebbe stato facilissimo ricadervi - la contrapposizione un po' troppo idealizzata tra personaggi buoni e puri, da un alto, e altri meschini ed egoisti, dall'altro lato, graffia un po' il realismo che pure si fa sentire nella penna di chi scrive, di chi ha viaggiato e sa raccontare il mondo e le sue città nei minimi dettagli. Ma, come si è detto all'inizio, questo romanzo è una fiaba moderna, una storia buona, positiva, un sogno a occhi aperti. Non si può criticare chi vuole concedersi, anche per un istante, il lusso di credere che le cose possano andare bene, che la generosità esista ancora, che sia possibile una ricerca della felicità. Ora più che mai, c'è bisogno di romanzi come questo.
E' una favola in chiave moderna, carina ma ingenua e la giusta valutazione sarebbe 3 stelline e mezzo. Sono pagine ricche di piccola umanità, alcuni personaggi credibili, alcuni meno: le tante “neni” (zie) dell’orfanotrofio dove è vissuto il protagonista, donne semplici che riescono a creare un ambiente ricco di amore nonostante gli stenti, i bambini dell’orfanotrofio con le loro storie tristi, ma con già i semi del riscatto che germogliano nelle loro menti, il giovane Morgan, immigrato iraniano anche lui a Londra che lavora in una libreria e che sulla cultura costruisce la sua vita. Il signor Carruthers, proprietario dell Proper coffee, con Andrew e Victoria dipendenti, tutti arrivisti e frustrati. E poi c’è Imi, il nostro protagonista, che dall’orfanotrofio ungherese arriva a Londra: ricco di speranza, di un’ingenuità disarmante, felice e orgoglioso di lavorare in una delle tante caffetteria della catena della Proper coffee. Questo forse mi è sembrato il personaggio meno credibile: ingenuo, puro di cuore, incapace di credere che nella meravigliosa città di Londra esistano l’arrivismo, lo sfruttamento e il ricatto verso gli immigrati non in regola, la falsità. Il suo candore arriverà addirittura a metterlo in pericolo e saranno proprio la sua amica Lynne, Morgan e Margaret, molto più realisti, cinici e disincantati, a trarlo d’impaccio. Il pregio di questo libro è la sua delicatezza, la speranza che infonde in chi legge che con la cultura, l’amicizia e l’unione si può vincere il male. Ormai non ci si crede più, ma fa comunque bene leggerlo. Riporto un passo che mi è piaciuto e che sottolinea l'importanza di essere "strateghi delle piccole cose": “La libreria per cui Morgan lavora è molto rinomata e ospita le presentazioni londinesi dei più importanti scrittori. Lui non se ne perde mai una e negli anni, è riuscito a collezionare una lunga serie di libri autografati. I suoi colleghi potrebbero fare lo stesso. Invece preferiscono spendere il denaro necessario all’acquisto di quei libri in altro modo. Come se una pizza, una birra o un pacchetto di sigarette potessero davvero valere di più. Morgan non sarebbe mai capace di tanta superficialità. Lui è un ragazzo diverso: estraneo alle troppe consuetudini che regolano il mondo. Da bravo stratega delle piccole cose ha imparato a scegliere sempre con cura fra le mille possibilità offerte dal destino. La maggior parte dei suoi colleghi, invece, trova più comodo affidarsi al caso. Vivere senza fatica: come rami secchi trasportati dalla corrente. Morgan no. Lui sente la responsabilità di essere pienamente se stesso in ogni circostanza:” Non esiste vento favorevole per le barche alla deriva”. Una frase di Seneca che Morgan, ancora ragazzino, si era appuntato nel suo diario: certo che quelle poche parole – così scarne e definitive – l’avrebbero aiutato nella ricerca della felicità”
Questo libro mi ha incantato; soprattutto mi ha fatto scoprire un autore di cui ignoravo l'esistenza (chiedo perdono) e la cui scrittura ha avuto per me lo stesso effetto di una lunga e buona sorsata d'acqua quando si ha la gola secca. Perché ‘La piramide del caffè’ ha placato la sete di emozioni che mi porto dentro quando solitamente apro un libro. Dolore, in varie sfaccettature, solitudine, tradimento, sfruttamento e annullamento della persona, bramosia, corsa al potere e all'arricchimento, solidarietà, apertura all'altro, innocenza, amicizia, vendetta... di tutto questo parla il nuovo romanzo di Nicola Lecca e ancor di più. Nel momento esatto in cui Imi lascia l'orfanotrofio in cui è cresciuto, partendo per Londra con la sua valigia carica di aspettative, nulla più è come prima. L'orfanotrofio - i cui piccoli abitanti vivono "la vita momento per momento: senza permettere a ciò che è stato di rovinare un solo attimo di presente" - è lontano da Londra, quella "gabbia arrugginita abitata da persone orfane anche di sè", in cui non si riesce a piangere più. Imi dovrà affrontare le delusioni che solo la sete di potere e di ricchezza riescono a produrre. C'è da dire che fortunatamente non tutte le aziende sono come la Proper Coffee (in cui tutti, dai dirigenti ai dipendenti, sono costretti in un ruolo da manuale) ma al contempo va detto che non è facile imbattersi in una Margaret Marshall qualsiasi che, a spada sguainata, ci prenda sotto la sua ala protettrice. Una bella qualità di questo romanzo è la 'trasparenza' di cui Lecca ammanta la sua scrittura. La persona narrante è sempre quella terza dell'autore ma nelle varie situazioni Lecca dà voce a tutti i suoi personaggi permettendo ad esempio al lettore di osservare dapprima la scena dall'esterno, poi di entrare in Imi, leggendone il pensiero, di sapere cosa pensa al contempo un altro personaggio presente nella stessa sequenza e di uscire di nuovo fuori ad osservare il tutto come su uno schermo cinematografico, in un volo che tutto rivela e che lascia senza fiato. Il romanzo è quindi a mio avviso incentrato su un buon equilibrio tra descrizione ed introspezione. Infine, scrive l'autore: "il più grande privilegio in questo mondo gelido e senza speranza, è quello di riuscire a scatenare una scintilla, un'emozione capace di far battere forte il cuore" e Lecca, con il suo ‘La piramide del caffè’ ci è riuscito alla perfezione. N.b. le citazioni sono tratte dal libro stesso.