L’Occidente ha due il mondo greco e la tradizione giudaico-cristiana. Per quanto dischiudano orizzonti completamente diversi, entrambi descrivono un mondo dotato di ordine e stabilità. Ma noi viviamo nell’età della tecnica. È finito l’incanto del mondo tipico degli antichi. È finito anche il disincanto dei moderni, che ancora agivano secondo un orizzonte di senso e un fine. La tecnica non tende a uno scopo, non apre scenari di salvezza, non svela la verità: la tecnica funziona. L’etica, come forma dell’agire in vista di fini, celebra la sua impotenza. Il mondo è ora regolato dal fare come pura produzione di risultati. L’unica etica possibile, scrive Umberto Galimberti, è quella del viandante. A differenza del viaggiatore, il viandante non ha meta. Il suo percorso nomade, tutt’altro che un’anarchica erranza, si fa carico dell’assenza di uno scopo. Il viandante spinge avanti i suoi passi, ma non più con l’intenzione di trovare qualcosa, la casa, la patria, l’amore, la verità, la salvezza. Cammina per non perdere le figure del paesaggio. E così scopre il vuoto della legge e il sonno della politica, ancora incuranti dell’unica condizione comune all’umanità: come l’Ulisse dantesco, tutti gli uomini sono uomini di frontiera. Oggi l’uomo sa di non essere al centro. L’etica del viandante si oppone all’etica antropologica del dominio della Terra. Denuncia il nostro modello di civiltà e mette in evidenza che la sua diffusione in tutto il pianeta equivale alla fine della biosfera. L’umanesimo del dominio è un umanesimo senza futuro. Il viandante percorre invece la terra senza possederla, perché sa che la vita appartiene alla natura. Così ci guida “L’etica del viandante avvia a questi pensieri. Sono pensieri ancora tutti da pensare, ma il paesaggio da essi dispiegato è già la nostra instabile, provvisoria e incompiuta dimora”.
Nell’età della tecnica non comprendiamo più il mondo a partire da un senso ultimo. La storia non è più inscritta in un fine. L’unica etica possibile è quella che si fa carico della pura processualità: senza meta, come il percorso del viandante.
Nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia dellaStoria. Dal 1999 è professore ordinario all’università Ca Foscari diVenezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Dal 1985 è membroordinario dell’international Association for Analytical Psychology. Dopo aver compiuto studi di filosofia, di antropologia culturale e dipsicologia, ha tradotto e curato di Jaspers, di cui è stato allievo durante isuoi soggiorni in Germania: Sulla verità (raccolta antologica), La Scuola, Brescia, 1970. La fede filosofica, Marietti, Casale Monferrato, 1973. Filosofia, Mursia, Milano, 1972-1978, e Utet, Torino, 1978. di Heidegger ha tradotto e curato: Sull’essenza della verità, La Scuola, Brescia, 1973.
E niente, ci sono cascato ancora. Per la terza o quarta volta di fila finisco un saggio di Umberto Galimberti dicendomi che non ne leggerò più, ed invece poi ci casco sempre un'altra volta. Questa volta che non ne leggerò più non lo dico, va bene?
Non lo so se ho un problema solo con Umberto Galimberti o con la saggistica in generale, molto probabilmente tutti e due; al netto del fatto che se si parla di filosofia distinguere aspetti oggettivamente buoni e cattivi dell'opera da risonanze interne al lettore diventa difficile, provo a mettere in fila le cose.
Non è un periodo facile per leggere libri di saggistica, perchè se si comincia un saggio si è consapevoli che si sta per recepire delle nozioni o quantomeno degli stimoli alla riflessione, e quindi bisogna star lì con la testa. Un saggio non lo si legge per hobby nè per svago, lo si legge per migliorarsi, per conoscere. Di leggere saggi in questo momento della mia vita non ne ho nè il tempo (apro il libro a tarda sera) nè tantomeno le energie.
Resta comunque vero che tanti libri di Umberto Galimberti, come quelli di tanti altri saggisti che di certo non hanno il dono della sintesi, faticano a tenere un filo logico chiaro. Anche questo "L'etica del viandante" scappa un po' da tutte le parti, è confusionario, si perde in migliaia di citazioni dei filosofi più disparati, andando avanti ed indietro tra il terzo ed il quinto anno del liceo.
Citazioni che peraltro sono la parte godibile del libro, che ho vissuto come se fossero un ricordo di quegli anni che fatico a ricordare con nostalgia (non ho avuto di certo un'adolescenza felice) ma di cui sicuramente la scoperta della filosofia a scuola è stata una degli aspetti migliori.
Aggiungo che le formidabili doti di divulgatore di Galimberti si manifestano assai meglio nelle lezioni magistrali che tiene girando per i vari fesstival, quelle sì che sono magnetiche! L'effetto negativo però è che si apre il saggio avendo già ben chiaro come la pensa l'autore, e quindi il saggio stesso aggiunge poi ben poco.
What a book and what a writer. Whenever history accelerates and you feel like you are losing track of the important things in life, you know it's time to look at philosophers. Galimberti is exactly what I needed in this period of my life. His deep dive in Western thought history brought back so much nostalgia, and I discovered so many flavors I had never noticed before. I think he reaches the peak whenever he speaks about Nietzche, and this book is no different. For a man to be able to understand and forecast so well his time and the recent future is simply incredible.
By the end, Galimberti spends a number of chapters to draw the guidelines for a new modern ethics to help us navigate our time better. I found all the provocative thoughts and comfort thoughts I really needed in this time.
I am happy to say I am one of these modern wayfarers. And I am happy I got so many new tools after reading this book!
Recommended to those looking for smart alternatives while never giving up the conviction that "complexity is the rule of the universe"!
Nel momento in cui la potenza della tecnica può sovvertire le leggi della natura e non sono più prevedibili le conseguenze dello sviluppo tecnico, non si può più prendere in considerazione la tecnica come se fosse un semplice strumento. La tecnica da mezzo si fa mondo e diventa ingovernabile, secondo Galimberti. Non è più possibile per la politica occuparsi dei fini per raggiungere i quali ci si servirà della tecnica. Ormai sono i mezzi a giustificare i fini. Umberto Eco sosteneva che governare la tecnica significasse prima tutto distinguere tra ciò che si può fare e ciò che si deve fare. Non tutto quello che è possibile fare va fatto. Ma secondo Galimberti non è più possibile appellarsi a questi criteri di buon senso. Che fare dunque? Entra in gioco la pars costruens, sostituire a un' etica normativa ormai inattuale e inattuabile, un etica della differenza, sulla scorta di Levinas, che consiste nello sfruttare l' anelito universalistico del capitalismo e della globalizzazione per promuovere un etica capace di riconoscere le differenze e fermarsi di fronte al diverso e alle minacce alle quali la volontà di potenza e di controllo possono portare. un' etica che riconosce i problemi ambientali come non ignorabili e che desitua l' uomo dal ruolo di re del creato. La paura della distruzione totale dovrebbe essere il metodo più efficace per sdoganare questa nuova forma di vita che in fondo non è altro che il ritorno all' origine del pensiero, il ritorno alla meraviglia di fronte all' ignoto e alla diversità.
Veramente complesso da recensire, piú che altro per la mole mastodontica di concetti, di filosofi citati, di ideologie, correnti filosofiche, eventi storici, critiche sociali, religione, chi piú ne ha piú ne metta. Davvero, dovessi metter giú una recensione mi servirebbero le due ore di italiano a scuola per il tema.
Galimberti propone una lettura della realtà contemporanea in favore del lettore che desidera esplorarla non originale, ma la sua ampia dissertazione la connota con riflessioni acute a cui è difficile non dare il credito che meritano.
Opera maestosa, non semplice, ma densa di spunti incredibilmente attuali e concreti, oltre che di una visione filosofica ricchissima. La lettura mi ha richiesto 5 mesi, ma ne è assolutamente valsa la pena.