A volte la vita ci colpisce fino ad abbatterci. E se invece di rialzarci, provassimo a guardare il mondo con gli occhi di chi è a terra? Forse proprio la resa può regalare un'inaspettata felicità.
Dopo il formidabile successo de Il rosmarino non capisce l'inverno , il nuovo, commovente romanzo di Matteo Bussola.
In pochi hanno saputo raccontare la fragilità maschile senza stereotipi, senza pregiudizi, senza vergogna. Matteo Bussola sa farlo con schiettezza e umanità. In queste pagine lancinanti eppure piene di luce, un uomo trova il coraggio di disertare la propria esistenza e costruire un sogno. Un padre in neuropsichiatria con il figlio impara ad accogliere la ferita di chi ha messo al mondo. Un anziano marito, prendendosi cura della moglie malata di Alzheimer, si domanda che cosa rimanga di una relazione quando chi amiamo sparisce, anche se possiamo ancora toccarlo. Un hikikomori che si è innamorato online vorrebbe incontrare chi è diventato per lui cosí importante, ma la paura di uscire lo imprigiona. Un bambino ubbidiente scopre la bellezza inattesa di deludere le aspettative. Incrinati, piegati, sconfitti, capaci però di cercare un senso, di intravederlo lí dove mai avrebbero creduto, questi protagonisti trovano ognuno un modo personale, autentico, spudoratamente onesto, di rispondere alla «Che cosa fa di un uomo un uomo?»
«La vita non è una montagna da scalare, un treno da non perdere, un obiettivo da centrare, ma è una piccola stanza da arredare con cura. Non è una cima da raggiungere a tutti i costi. È la scelta di un buon posto in cui fermarsi».
Ho comprato questo libro a scatola chiusa, come tutto di Matteo Bussola.
Se in “Il rosmarino non capisce l’inverno” il centro è la resistenza delle donne, in “Un buon posto in cui fermarsi” tutto ruota attorno alla fragilità maschile, alla mascolinità tossica con cui gli uomini hanno a che fare e che talvolta li sommerge a tal punto da non rendersene neanche conto.
È un inno al diritto di cadere, al diritto alle emozioni e alla sofferenza, al diritto a sbagliare senza per questo essere “meno uomo”, meno meritevole d’amore.
Perché, in fondo, siamo tutti persone e ciò che conta è ciò che si vede attraverso le ferite-feritoie, quella luce che irrompe nel buio.
Amato, approvato, consigliato. Per uomini e donne senza distinzione, per capire e per capirsi.
Un libro pieno di buone intenzioni ma purtroppo carente in tecnica, esperienza e stile. Ne risulta un testo naïf, zuccheroso e sentimentale, pieno di frasi a effetto tipo Tumblr. Prevedibile e con dialoghi irrealistici e telefonati, sommerso di melassa che smorza e rende artificiosa una storia potenzialmente intrigante e divertente. Soffocante da questo punto di vista nella prima parte, migliora nella seconda metà, per terminare con un florilegio candito prevedibile fin dalla prima pagina (carina l’idea del concatenamento di personaggi, per quanto non nuova, ma il fatto che la storia sia circolare è veramente molto banale).
Bussola descrive un mondo che non c’è, rapporti farlocchi; basta immaginare una delle situazioni del libro e immedesimarsi nei personaggi, per realizzare che nessuno dialogherebbe come fanno i protagonisti, e a riguardo non c’è ricerca e approfondimento; si preferisce la via facile creando un brodo buonista in cui tutti sono un po’ guru e dispensano saggezza a mitraglietta. Talmente pieno di buoni sentimenti cinematografici da essere già pronto per un film con Favino o simili.
In Un buon posto in cui fermarsi Matteo Bussola scrive di uomini e delle loro fragilità emotive, fisiche e psicologiche attraverso dei racconti lunghi dalle 5 alle 20 pagine. Il meccanismo che ha caratterizzato Il rosmarino non capisce l’inverno è ovviamente più evidente (o forse ci ho prestato più attenzione io) e giustamente Bussola non ricerca lo stesso effetto. In una catena di situazioni diverse, chi legge si ritrova ad emozionarsi più con una che con l’altra storia. La costruzione dei racconti mi è sembrata leggermente più articolata rispetto a Il rosmarino non capisce l’inverno forse perché si sono ricercate situazioni più specifiche o semplicemente perché è più difficile empatizzare con un uomo fragile e quindi ci vuole più tempo per addentrarsi nella sua mente? A voi l’ardua sentenza (semi cit.). Una bella lettura che, come il libro specchio precedente, fa riflettere ma che mi è parsa leggermente meno d’impatto.
Il rosmarino non capisce l'inverno e Un buon posto in cui fermarsi non sono considerati una serie ma l'idea che c'è alla base degli stessi li rende estremamente connessi. Consiglio di leggere prima Il rosmarino non capisce l'inverno.
“La vita non è una montagna da scalare, un treno da non perdere, un obiettivo da centrare, ma è una piccola stanza da arredare con cura. Non è una cima da raggiungere a tutti i costi. È la scelta di un buon posto in cui fermarsi” Grazie per questo meraviglioso libro Matteo
Alcuni racconti proprio no Matteo, umanizzazione della violenza maschile bella e buona che mi ha proprio fatto storcere il naso. Alcuni racconti molto toccanti e ho apprezzato anche i vari crossover. Secondo me si poteva fare qualcosa di più che sottolineare l'ovvio (anche gli uomini provano emozioni), magari andare più a fondo e chiederci perché c'è bisogno di farlo notare.
Dopo il successo de "Il rosmarino non capisce l'inverno", che vede come protagoniste donne forti e coraggiose, Matteo Bussola torna con un altro capolavoro di sensibilità e delicatezza dal titolo "Un buon posto in cui fermarsi".
Questa volta, però, i protagonisti sono gli uomini e più precisamente la fragilità maschile, utilizzata dall'autore come arma per abbattere lo stereotipo, tipico della nostra società, dell'uomo forte, macho, schiavo del suo orgoglio, "il cui compito di uomo" deve essere "quello di stare sempre davanti". Bussola racconta quindici storie diverse che s'intreccciano tra loro perché legate da un comune interrogativo : "che cosa fa di un uomo un uomo?"
Ogni capitolo vede come protagonista un uomo diverso: si passa ad esempio dall'insoddisfazione costante di un uomo in carriera, al muto dolore di un padre di fronte all'autolesionismo del figlio, di quello di un marito di fronte all'avanzamento inesorabile della malattia della moglie, alla lotta silenziosa di un uomo nato in un corpo sbagliato.
Quindici scenari diversi, alcuni a mio avviso difficili da metabolizzare, che smascherano le vere identità dei protagonisti, e quelle di ognuno di noi, fatte di insicurezze, errori e debolezze. L'autore vuole diffondere una verità che al giorno d'oggi risulta ancora difficile da accettare, ovvero che "pure dietro un grande uomo, non c'è che una vita con il suo repertorio di inadeguatezze, di dolori, di inciampi e cadute. Di solitudini e incomprensioni, di giudizi taglienti, di immaginari disattesi e aspettative mal risposte".
Ancora una volta Bussola riesce a smuovere le coscienze dei suoi lettori, innescando in loro un'amara riflessione su quanto sia complessa la natura umana, che si ostina a nascondere le proprie fragilità, anzichè concepirle come punto di partenza per una rinascita. L'autore sembra dunque voler invitare i propri lettori a non aver paura di cadere o di emozionarsi ma soprattutto li invita a capire che sbagliare non è sinonimo di "uomo minore".
Anche questa volta mi sento di fare i complimenti a questo autore che, con la sua scrittura diretta e lineare, riesce sempre a trascinarmi in un turbinio di emozioni e a farmi osservare il mondo da un'altra prospettiva.
Matteo Bussola affronta le fragilità maschili con delicatezza e coraggio e lo fa cancellando la figura dell’uomo adone, forte e macho che vive di gratificazioni, competizioni e aspettative facendo emergere i delicati aspetti di anime imperfette in balia della vita.
“Un buon posto in cui fermarsi” è proprio questo, è un attimo di pausa in cui guardare se stessi e trovare la direzione giusta e non la direzione imposta. Uomini in carriera, uomini fragili, uomini feriti, uomini traditori, figli, genitori, hikikomori e tanti altri che sperimentano l’attimo in cui capiscono il valore di ciò che sono, del loro percorso, dei loro sbagli, delle insicurezze e, se possibile, della giusta direzione da intraprendere.
È anche una serie di racconti, tutti collegati, che invitano a riflettere sulla figura che ricopriamo, sulle responsabilità, sui sentimenti, sulle preoccupazioni nostre o di chi amiamo, una raccolta di vite che mette in evidenza le ombre, le ferite e le insicurezze infondendo speranza.
Una raccolta di racconti brillante, incentrata sulle figure maschili e autentica, raccontata con dolcezza e delicatezza, dosando le parole e adeguando in modo camaleontico la narrazione al protagonista del racconto, usando termini che spesso troppo poco si affiancano alla figura maschile e che invece brillano e acquisiscono ricchezza in questa versione poetica, umana e garbata che Matteo Bussola tratteggia e affida alle pagine.
Quelli lasciati in dono sono quindici ritratti unici che, come in un dipinto, rappresentano opere d’arte da ammirare, da apprezzare e che meritano una pausa per concedersi di osservare e fare tesoro di ciò che custodiscono e da cui ognuno può trarre l’insegnamento o il consiglio di cui più ha bisogno per scalare una marcia, non arrivare primi, ma godersi il panorama sulla strada della vita.
Ho giudicato il libro dalla copertina. L'ho fatto, ho pensato "dai c'è un corgi e un ragazzo con i capelli rosa in copertina e promette di parlare di mascolinitá in modo diverso dal solito quindi puó valere la pena di leggere questa serie di racconti". E invece assolutamente no. Una raccolta di banalitá e luoghi comuni, con dialoghi talmente irreali da non sembrare neanche scritti dall'intelligenza artificiale. Io non metto in dubbio il fatto che l'autore avesse un sacco di intenzioni buonissime, ma purtroppo il risultato è stato abbastanza scadente e colmo di una narrativa che tutto è fuorchè rivoluzionaria, anzi tende a descrivere alcuni personaggi perpetrando eternamente gli stereotipi invece di porsi contro lo status quo. In generale è veramente molto dimenticabile.
Libro parallelo al suo precedente ("Il rosmarino non capisce l'inverno"), racconta di uomini, di anime maschili, che sono alla ricerca di un significato: di un buon posto in cui fermarsi. A volte questo luogo può essere raggiungibile, altre volte meno; la ricerca può condurre a fraintendimenti o epifanie, al bene o al male, per sé e per gli altri. I racconti sono tra loro tutti collegati, e questo rende il percorso del lettore sempre più forte e presente. Ancora una volta, la sensibilità di Matteo Bussola coglie nel segno.
Raccolta di racconti il cui scopo principale è quello di mostrare la fragilità maschile e dare un volto diverso alla ormai desueta figura alpha.
Sono racconti circolari, nel senso che i protagonisti sono tutti collegati tra loro, il primo è anche colui che chiude il cerchio a questa panoramica molto variegata di personalità, vite, avventure e casualità.
Vengono trattati vari argomenti, anche di una certa profondità: autolesionismo, solitudine, inadeguatezza, violenza, desiderio di cambiamento, svincolo dai legami e dalle imposizioni della nostra società, resilienza, rinascita..
L’anima di questi racconti è infatti molto bella, peccato che Bussola si perda sempre nella forma. C’è un’abbondanza di dialoghi inverosimili e completamente distanti dalla realtà delle cose. Nessuno parlerebbe come fanno i personaggi di questi racconti, che rasentano sempre quel buonismo estremo ed artificioso. Frasi acchiappalike, baci perugina che si sprecano e pensieri che - sebbene concettualmente siano molto interessanti, dando adito a tanti spunti di riflessione - si perdono poi in uno stile affettato, pomposo e canzonatorio, tanto da arrivarci superficiale e interamente costruito a tavolino.
"Non ti diranno che ci addestrano alle vette, mentre ci sono vallate meravigliose. Ti sentirai forzato alla retorica della sfida, al culto dell'efficienza, [...] a sognare il cielo piuttosto che in un filo d'erba."
Diverse storie, molti personaggi, un filo rosso li unisce: le sfumature dell'umanità. Quasi tutti sono accomunati da una presa di coscienza, dalla consapevolezza di una svolta, dall'accettazione; chi si ferma, chi sbaglia, chi rallenta... una cosa è sicura: ad un certo punto si trova un posto in cui bisogna fermarsi, che sia una vetta altissima, che sia una vallata meravigliosa... l'importante è vivere pienamente, secondo il proprio equilibrio.
Lo stile di Matteo Bussola lo distingue per i temi e per la profondità con cui scrive storie importanti che potrebbero essere le storie di tutti.. " Un buon posto in cui fermarsi" racconta di uomini che dalle loro fragilità rinascono inventandosi, ritrovandosi in quel che erano e non sono più. Sono autori delle proprie debolezze e della loro forza per superarle. Ogni racconto è un tassello di un intero, perché alla fine " il cerchio si chiude" e la circonferenza è il risultato di vite che si incastrano, si incontrano e il lettore attento le ritrova nella tela tessuta dalle parole, dalla ricerca di sè, da uno specchio appannato in cui l'immagine nascosta non risalta, chi si specchia vorrebbe evitarla. I temi trattati sono di grande sensibilità: ragazzi che devono affrontare i mostri dei loro cambiamenti, la consapevolezza di trovare la propria dimensione contro ogni luogo comune. L'Alzheimer che annulla la memoria ma c'è chi la condivide in modo da bastare per due. Non sempre il movimento è costruttivo: a volte bisogna fermarsi a riflettere. La domanda di un uomo al figlio: "Cosa fa di un uomo un uomo?" E la conquista della risposta! Leggetelo è bellissimo!
Un libro che non mi stupisce affatto. Molto profondo e ricco di storie, una diversa dall’altra, tutte attuali (il ragazzo autolesionista, quello che nn esce più di casa, l’uomo con un ordine restrittivo e quello che finisce in carcere..) ma sempre collegare tra loro. Bussola è sempre una garanzia!
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Meh. Carino ma un po' troppo pieno di cliché e smielato. Non che volessi qualcosa di deprimente, è bello che almeno nei libri, nonostante tutte le sofferenze, poi le cose finiscano per il meglio. Quando le persone ci provano davvero riescono a far funzionare le cose.
Grandi storie, personaggi statuari dotati di immane statura morale, stanno lì come miti, come modelli cui aspirare ma troppo distanti per poterli raggiungere. E poi all’improvviso, ci imbattiamo in storie di tutti i giorni, che potrebbero essere le nostre, dei nostri vicini; e sono proprio queste ultime che più ci colpiscono, ci entrano nell’anima, perché sentiamo che in qualche modo ci descrivono, persi come siamo nella ricerca della straordinarietà. Ma la vita è terribilmente semplice.
4.5 ⭐ “la vita non è una montagna da scalare, un treno da non perdere, un obiettivo da centrare, ma è una piccola stanza da arredare con cura. non è una cima da raggiungere a tutti i costi. è la scelta di un buon posto in cui fermarsi.”
ho amato il messaggio dietro questo libro e ho amato tutte le piccole storie, alcune di più e altre di meno. nel complesso è davvero un bel libro. ps: sì ho pianto anche qui.
Eh vabbé. Cosa posso aggiungere? Io lo adoro e questo libro é una coccola pazzesca. Come descrive le fragilità maschili lui.... Nessuno mai. Leggetelo! Lo straconsiglio! ❤️
Ammetto la maggiore fatica nella lettura rispetto alla raccolta precedente. Ho sentito empatia in particolare per tre storie e forte pena involontaria per una. Non rileggerei, ma soddisfatta di aver letto.
Una stellina perché l'idea di avere storie che nascono l'una dall'altra è molto carina, per il resto ricordati che puoi scegliere di essere felice e gli uomini non sono tutti cattivi etc etc
Capolavoro indiscusso di sentimenti fragilità e vita reale che girano intorno al punto di vista maschile, un libro toccante con una lettura coinvolgente ed emozionante, consiglio tutti i libri di Matteo bussola
Tante piccole storie, coinvolgenti e interessanti. Mentre ne "Il rosmarino non capisce l'inverno" l'autore dipingeva la vita di molte donne, qui si concentra invece su ritratti di uomini. Mi sarebbe piaciuto che ci fosse un legame più forte tra le varie storie, però è proprio un libro piacevole.
Mi è piaciuto il ROSMARINO NON CAPISCE L’INVERNO, ho amato UN BUON POSTO IN CUI FERMARSI. Ho conosciuto Matteo Bussola grazie a una mia studentessa, non credo avrei letto niente altrimenti, quindi, grazie Cecilia per avermi insegnato tanto e spero di poterti dare tanto anche io. Ho 27 anni e mi hanno insegnato, più a fatti che a parole, che: “se cadi sette volte e devi rialzarti otto”, ma forse il bello del mondo lo si può vedere anche da sdraiati. Questo libro non è per persone che non vogliono provare niente, sarebbe uno spreco di potenziale. È uno scritto che fa piangere, ridere… provare emozioni. Un libro che non fa sentire sbagliati i lettori nonostante i loro lividi, i loro tagli, le loro debolezze; non ci sono strade predefinite, c’è sempre tempo per cominciare a vivere. Potrei scrivere un saggio su questi libro, ma non lo farò. Ti dico solo, a te che stai leggendo la mia recensione, che è più lineare del Rosmarino non capisce l’inverno, che è speciale, è un libro che mostra gli uomini nella loro umanità.
It was such a heartwarming book. I cried with some stories and it was good to see the point of view of men on life. We don't always see what's in their mind or how fragile they can be as well.
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È stato un libro commuovente. Ho pianto con alcune storie ed è stato bello vedere il punto di vista degli uomini sulla vita. Non sempre vediamo cosa gli passa per la testa o quanto possano essere fragili anche loro.
Come per il precedente romanzo di Bussola che ho letto ("Il rosmarino non capisce l'inverno"), l'aspetto che più ho amato è stata la concatenazione di storie e personaggi, fino ad una chiusura circolare che ho apprezzato moltissimo. Alla luce di ciò, posso dirvi che ho preso in mano questo libro con la curiosità di scoprire come l'autore, dopo aver esplorato l'universo femminile, avrebbe messo a nudo quello maschile. Salvo poi ritrovarmi a fare i conti con storie in cui l'uomo non è affatto isolato, e anzi a definirlo sono proprio quelle "concatenazioni" di cui parlavo prima: i rapporti con le mogli e i figli. Il racconto che ho preferito è stato quello di Arnaldo, "Perché non ci frequentiamo?", che narra con una tenerezza indicibile il modo in cui un marito si prende cura della moglie malata di Alzheimer. In generale, però, tutte le storie mi hanno colpita in qualche modo, in virtù del modo accorato in cui gli uomini creati da Bussola sembrano rivolgersi, piuttosto che alle loro mogli e ai loro figli, direttamente al lettore, a cui danno lezioni di vita fondamentali.
"Il fatto è che crediamo alle favole, maledizione, a tutte quelle storie che l'amore sia sentirsi sempre a mille, e le farfalle nello stomaco, e la voglia dell'altro addosso come una febbre e tutto il repertorio. Non riusciamo a sopportare quando le emozioni si allentano, quando non c'è sufficiente intensità. Perché da sempre si canta l'ardore dell’incontro, ma nessuno ti dice quel che viene dopo, e cioè che un matrimonio è fatto di centinaia di giorni tutti uguali, giorni di piccoli gesti invisibili e di attese e di abbandoni immeritati e ritrovamenti inaspettati, senza alcun clamore, in cui devi accettare anche i momenti di silenzio in cui ti sembra che non stia succedendo niente. Ma quel silenzio è solo ciò che prepara il tuo meglio. Quell'attesa è solo ciò che testimonia il tuo amore. Invece abbocchiamo a un'idea facile di felicità, ci convincono che la passione stia nell'incendio che divampa e non nel tepore del sole seduti sulle scale."
"Pietro si stende sul letto, si gira su un fianco. Mi sembra così piccolo e solo e lontano. Irraggiungibile. [...] Vorrei dirgli senti, so che ti apparirà incomprensibile o scontato, ma ti prometto che un giorno questo passerà, passeranno il senso di inadeguatezza e sconfitta, la tua paura del mondo, troverai la tua via come tutti e incontrerai qualcuno da amare e guarderai le tue braccia piene di cicatrici e penserai: ma perché mi sono punito in questo modo? E ti odierai per averlo fatto. [...] Quando questo lo avrai superato sarai solo uno che ha rovinato il suo corpo per sempre, per il dolore di pochi attimi, per non aver saputo attendere il proprio futuro, per avere creduto solo al presente, ma la tua vita è molto più dello scorcio che intravedi adesso."