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Epepe

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Macar yazar Ferenc Karinthy’nin başyapıtı kabul edilen Epepe bilinmeyen bir dil ve kültürde kaybolan bir dilbilimcinin hikâyesini anlatıyor.
Helsinki Dilbilim Kongresi’ne katılmak üzere uçağa binen Budai kendisini bambaşka bir ülkede bulur. Yerel dili ve yazıları bildiği hiçbir dile benzetemez. Hızla yükselen inşaatları, kalabalıkları, uzun kuyrukları, tuhaf prosedürleri ve âdetleriyle çözmesi zor, labirentvari bir büyükkente düşmüştür. Eve dönmekten başka çare yoktur ama dilini bilmeden bu yerden ayrılmak öyle kolay olmayacaktır. Budai bilimsel akıl yürütmelerle yerel dili çözmek ve birileriyle iletişim kurup derdini anlatabilmek için çeşitli taktikler dener, bu sırada başına belalar açılır. Yine de bir çıkış olduğu umudu hep vardır.
Ferenc Karinthy dil ve kültürün insanları nasıl etkilediğini ele alırken yabancılaşma ve kimlik arayışını da büyük bir beceriyle işliyor.
Kafka’nın Dava’sı, Huxley’nin Cesur Yeni ­Dünya’sı, Orwell’in 1984’üyle birlikte anılan Epepe’deki akıl almaz kentin her şeyi hem çok yabancı hem de çok tanıdık gelecek.

240 pages, Paperback

First published March 1, 1970

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5402 people want to read

About the author

Ferenc Karinthy

50 books28 followers
Ferenc Karinthy was a novelist, playwright, journalist, editor and translator, as well as a water polo champion. He wrote more than a dozen novels. Epepe ("Metropole") and Budapesti Tavasz ("Spring Comes to Budapest") have been translated into English, as have two of his plays.

Karinthy worked as a script editor for Nemzeti Színház and Madách Theatre, as well as theatres in Miskolc, Szeged and Debrecen. Between 1957 and 1960, Karinthy translated a number of writers into Hungarian including Machiavelli and Molière. He won a number of awards for his own writing including the Baumgarten Prize, the József Attila Prize and the Kossuth Prize.

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Displaying 1 - 30 of 489 reviews
Profile Image for Ilenia Zodiaco.
284 reviews17.6k followers
January 14, 2022
Racconto paradossale di un autore ungherese semi-sconosciuto, kafkiano ma senza quel senso di disperazione acuta. Altresì deprimente e angoscioso ma si legge come un sofisticato gioco letterario, una raffinata metafora dell'incubo della vita moderna che accettiamo come se fosse accettabile.
è la storia della solitudine sterminata di un individuo, scaraventato in una città pullulante e vorticosa, attraversata incessantemente da una moltitudine vociosa ma che al protagonista suona muta perché - nonostante la professione di acclamato linguista - non riesce proprio a individuare che idioma strambo si parli nella misteriosa metropoli da cui non riesce a tirarsi fuori. Non è forse la vita di ognuno di noi? Ci hanno convinto che ci sia una razionalità insita nel fare le code ovunque e nel muoversi con affanno da un luogo all'altro tutto il giorno, senza parlare con nessuno e prestare attenzione a niente. I palazzi si costruiscono a una velocità sovrumana ma tutto questo progresso sembra direzionato verso il nulla. I giorni si affastellano tutti uguali e benché mettiamo in campo tutte le nostre risorse e tutto il nostro ingegno non ne veniamo proprio a capo...

L'autore incornicia perfettamente il logorio e la banalità della vita metropolitana con tutti i suoi riti incomprensibili, le sue smanie e i suoi rumori incessanti e indistinguibili. Peccato che questo concetto perda slancio con il proseguo delle pagine, si afflosci con una rapidità sorprendente dopo pochi capitoli e infine si sfracelli al suolo arrivati appena a metà. Moscio.
Profile Image for Nostalgiaplatz.
180 reviews49 followers
July 29, 2019
Avevo sentito parlare per la prima volta di ‘Epepe’ su Radio Libri, ormai un paio d’anni fa, e mi aveva colpito subito. Avevo immediatamente messo il libro in wishlist, senza informarmi oltre sulla trama, sui giudizi, sull’autore, e lì è rimasto per un bel po’, in attesa del suo momento, che è venuto solo in questi ultimi giorni.

È la storia di Budai, un linguista; diretto a una conferenza, sbaglia l’aereo durante un cambio, si addormenta in volo, e finisce in un’enorme e brulicante città dove si parla un idioma a lui completamente sconosciuto, impenetrabile sotto ogni aspetto: grammatica, sintassi, fonetica, scrittura.
Il protagonista, che ha fatto dei linguaggi il suo mestiere e la sua vita, si ritrova così completamente isolato e impotente, in un luogo di cui ignora il nome e persino l’ubicazione. Impossibile trovare qualcuno che parli la sua lingua, che si sforzi di capirlo, ma anche riuscire a telefonare a casa, o spedire una lettera. Inutili i tentativi di ritrovare l’aeroporto, o almeno una stazione ferroviaria.
Persino instaurare un rapporto umano, anche superficiale, sembra impossibile; prova a chiedere aiuto, si sforza di farsi comprendere usando anche metodi elementari come gesti, onomatopee, ma tutto cade nel vuoto del disinteresse.

Una lettura scorrevole, e allo stesso tempo angosciante; un incubo in cui non si finisce mai di sprofondare: la frustrazione di Budai, e poi la sua paura, la sua rabbia, il suo senso di alienazione, diventano anche quelli del lettore. All’inizio è convinto di risolvere facilmente il contrattempo, ma giorno dopo giorno i suoi tentativi vengono annientati e la sua razionalità deve fare i salti mortali per trovare una spiegazione a ciò che gli sta accadendo.
E non è solo la lingua, che sembra un farfugliamento, a costituire un mistero, ma anche la città stessa e i suoi abitanti: sono tantissimi, una folla infinita che incessantemente formicola per strade e piazze, che riempie ogni spazio. Una bolgia in cui bisogna farsi strada a ginocchiate e gomitate, da cui si viene trascinati anche contro il proprio volere, che costringe a infinite e ripetute code per qualunque cosa, finendo persino col far perdere la nozione del tempo.
Privo della possibilità di comunicare, del suo ruolo e dei rapporti umani, il ben educato, civilissimo Budai, perde via via la sua compostezza e le regole morali che credeva incrollabili.

Quindi abbiamo un uomo che si trova a che fare con l’incomunicabilità, con una società frenetica, anonima e spietata che lo strapazza, che lo costringe a comportarsi in modi che non gli appartengono, che lo fagocita ma che allo stesso tempo non lo accetta, che lo opprime, che non lo capisce e che lui non capisce a sua volta. Che lo fa sentire più solo che mai, seppure sia circondato da chissà quanti milioni di persone.
Mi pare quindi ovvio che questo, più che un romanzo, sia una metafora dei tempi moderni, di ciò che significa viverci dentro, della fatica di rimanere se stessi, nonostante tutto, di farsi capire e di capire gli altri; dell’essere prigionieri di un ingranaggio e del desiderio di uscirne.
A rendermelo ancora più evidente c’è un episodio in particolare: Budai, a un certo punto, finisce in uno stadio dove si sta giocando una strana partita; lui ignora di che cosa si tratti: c’è un enorme campo, circondato da una recinzione che in alcuni punti è piuttosto bassa, in altri molto alta. Centinaia di giocatori si mescolano in maniera confusa, impossibile dedurre le regole; ma Budai presto nota che lo scopo dei giocatori pare essere quello di arrampicarsi sulle recinzioni. Quando un giocatore riesce ad arrivarvi, lesto si inerpica, ma tutti gli altri si lanciano per afferrarlo e a riportarlo giù in campo.
Tutto finisce quando un giocatore riesce a sfuggire agli avversari; si arrampica fino in cima e salta giù dall’alta parte, libero e sorridente, e se ne va; a quel punto gli spettatori, soddisfatti, cominciano ad abbandonare lo stadio.

Non aggiungo altro, non voglio anticipare le peripezie di Budai a chi ancora non le conosce, ma voglio dire qualcosa sul finale.
Ho letto altrove (non qui su GR) critiche a tal proposito; non le condivido. Questo non è un ‘comune’ romanzo, dare una spiegazione alla vicenda di Budai non era lo scopo di Karinthy; e nemmeno fornire un epilogo netto. Non sono elementi indispensabili, in questa storia.
Forse Budai ha trovato un modo per scappare, o forse si ritroverà con un nulla di fatto… non è importante. L’importante è ciò che l’autore ha cercato di comunicare sulla natura umana.
Profile Image for Dagio_maya .
1,107 reviews350 followers
July 29, 2020
"La solitudine l’aveva reso fragile e incapace di dominare le proprie emozioni"

Budai, esperto di linguistica e specializzato in etimologia, è atteso ad Helsinki per una conferenza. Scende dall'aereo dopo aver fatto, durante il tragitto, una lunga dormita.
La bocca impastata, gli occhi cisposi e si ritrova nella hall di un albergo schiacciato da una folla scalpitante. Arrivato davanti all'addetto alla reception scopre di non potere comunicare.
Budai conosce più o meno bene circa venti lingue ma a nessuna di queste sembra essere compresa.
Dov'è capitato Budai?
Cos'è successo?
E come continuerà questa avventura?


Una favola dal sapore kafkiano.
Una metafora dell'intellettuale contemporaneo e del suo fallimento nell'estenuante tentativo di comunicare un messaggio che abbia significato.
L'intellettuale è dunque straniero, straniero, alieno.
Rinchiuso nei propri pensieri di logica razionale non riesce ad entrare in sintonia con la massa fluttuante e rabbiosa che lo circonda.
La comunicazione è disturbata e l'intellettuale coglie solo il suono di slegate sillabe strozzate.
L'amore- seppure temporaneo- può essere uno spiraglio perchè scavalca le necessità del linguaggio verbale.
L'uomo nella sua dimensione intellettuale è dunque solo: non capisce, non è capito e, a volte sospetta che anche gli altri fingano di comprendersi.
Le relazioni non hanno consistenza e l'identità, pertanto, non ha senso perchè manca un riconoscimento da parte dell'altro.
E mentre smarrimento e solitudine si alternano al rifiuto di arrendersi, la vita prosegue nella continua difesa della sopravvivenza del sé.
Profile Image for Brad.
Author 2 books1,917 followers
July 13, 2010
I didn't like Metropole, but I expected to. The reviews I'd read around here said it was excellent. The quotes on the front and back covers raved (even going so far as to compare it to Nineteen Eighty-Four and The Trial).

There were times when I nearly quit reading, then some tiny moment recaptured my attention (sometimes a quite good moment, but most times a moment that pissed me off), so I toughed it out. I am suppose I am glad I did, but I don't recommend it even though I can't embrace hating Ferenc Karinthy's book.

But here are the 5 things I seriously disliked about this book and the three things that fractionally mitigate my dislike, thereby earning Metropole a second star.

The Five
1. The first half of this book was written by a linguist for linguists, dallying forever over matters of the anonymous city's gibberish. I would love to hear what a linguist thinks of this book (I'll mail you my copy if you haven't already read this Manny), but I found myself getting bored far too often.

2. Budai, the protagonist, is a bit of an idiot, although he brags up his intelligence constantly. Just as I felt with Blindness (although I can't remember particulars of that book anymore), the protagonist left too many possibilities untried. He wasn't imaginative enough in his attempts to communicate with others or escape his pseudo-captivity or achieve any of his stated goals. This kind of behaviour drives me crazy, particularly when it isn't clear that the author recognizes the shortcomings of his own characters.

3. Budai is a rapist, and he thinks his raping of Epepe/Dede/Gyegyegye/etc. (whatever her name is) is the finest, most intimate, most mutually satisfying love making he's ever encountered.

4. There's this skyscraper in the story that so blatantly stands in for the Tower of Babel that I winced whenever Budai counted the new floors.

5. Boo hoo. Seriously. Get a grip, Budai. I just couldn't care about you, fella.
The Three
1. How can one possibly translate a book by a Hungarian Linguist about a city with an incomprehensible language without a significant part of the story being lost in translation? I don't think it can be done, so I must concede that Metropole is very likely better in the original Hungarian.

2. There was a moment when I thought the book was making a powerful point about how close all we city dwellers are from finding ourselves homeless on the streets of our concrete habitats. It was the best two pages of the book. I wanted more.

3. There was something about Epepe/Dede/Gyegyegye/etc., something vulnerable and touching, that I liked. I wonder if Metropole would have been more compelling from her perspective. Even if not, I think I would have liked it more.
Now to dumb myself down with a little Sookie.
Profile Image for Savasandir .
273 reviews
June 14, 2021
E sebbene le proporzioni di quella città lo atterrissero, e di fatto lo tenessero prigioniero, non poteva negarne l'imponente bellezza. Da lassù sentì quasi di amarla.

Difficile per me dare un giudizio secco su Epepe, perché il romanzo mi ha fatto cambiare idea più volte nel corso della lettura, ed anche ora che l'ho finito non saprei dire con assoluta certezza se mi sia piaciuto o meno.
L'idea di partenza, un linguista poliglotta che si addormenta durante un viaggio aereo e finisce in un'immensa e sconosciuta metropoli in cui tutti parlano una lingua assurda e nessuno comprende uno solo dei molti idiomi che lui parla, è geniale; presumo possa essere considerata come un'allegoria dell'incomunicabilità del pensiero intellettuale individuale con il mondo fisico ed il nostro prossimo, problema insito nella natura umana stessa.

Le atmosfere paiono squisitamente kafkiane -Ionesco non lo tirerei nemmeno in ballo-, però, nonostante le medesime iniziali, Karinthy non è Kafka, e dopo un po’ mi è sembrato che l'intreccio procedesse per espedienti, con la riproposizione perpetua della stessa situazione, ma ambientata in un luogo diverso, come in Curioso come George, e tutto ciò mi ha provato non poco: il protagonista va in albergo e non lo capiscono, va al ristorante: non lo capiscono, va al mercato: non lo capiscono, va allo zoo: non lo capiscono, va in metrò: non lo capiscono, va in libreria: non lo capiscono, va al supermarket: non lo capiscono, va allo stadio: non lo capiscono, va in una casa di piacere: non lo capiscono (invero, ora che ci penso, non credo che lo scimmiotto George sia mai stato in una casa di piacere, ma potrei anche sbagliarmi).
Durante la lettura le mie sensazioni passavano dall'angoscia per il ritrovarsi in terra straniera, in una megalopoli popolatissima dove tutti sono ammassati in code lunghissime e tutti per strada spintonano tutti (che come immagine, dopo più di un anno di distanziamento sociale, mette già di per sé una certa ansia) senza possibilità di comunicare con nessuno, e la rabbia per la stupidità del protagonista che, proprio come il curioso George, sbaglia scioccamente dieci volte prima di avere la giusta intuizione.
Vorrei poter dire che sul finale si riprende ma, a parte un breve guizzo ad una cinquantina di pagine dalla fine, per me la conclusione non ha aggiunto granché al dramma dell‘incomunicabilità enunciato ad inizio libro.
Con la metà delle pagine mi sarebbe piaciuto il doppio.
Profile Image for Eylül Görmüş.
756 reviews4,677 followers
July 27, 2023
Agota Kristof ve Magda Szabo deneyimlerimin ardından "şu Macar edebiyatına biraz dalayım ya ben" demem üzerine yolumun kesiştiği Ferenc Karinthy kitabı Epepe çok... klostrofobik - ve bence bu iyi bir şey.

Bir kongreye katılmak üzere uçağa binen Budai isimli bir dilbilimcinin bir şekilde kendisini dilini, yazısını asla çözemediği ve bildiği dilleri konuşan hiç kimsenin olmadığı bambaşka bir ülkede bulmasıyla başlıyor anlatı. Sonra da Budai'nin bu tuhaf memleketten kurtulmaya çalışmasının öyküsünü okuyoruz.

Her şeye Kafkaesk denmesine sinir oluyorum ama yarattığı sıkışma, anlamlandıramama, dışına çıkamama hissi itibariyle tam bir Kafkaesk anlatı bu. Tam burada Milan Kundera'nın Roman Sanatı kitabında Kafkaesk kavramına dair yazdıklarını hatırlamak iyi olur sanki. Epey uzun bir bölüm bu ama şu üç unsuru bu bağlamda hatırlayabiliriz. Şöyle diyordu Kundera: "1. Kahraman, kurtulmayı başaramayacağı ve anlayamayacağı, labirente benzeyen bir dünyanın ortasındadır. 2. Kafka'da mantık tersinedir. Cezalandırılan kişi neden cezalandırıldığını bilmez. Cezanın saçmalığı o kadar tahammül edilmezdir ki, suçlanan kişi huzura kavuşmak için, kendini çektiği çileyi hak ettiğine inandırmak ister. Ceza suçunu arar. 3. Komik, Kafkaesk'in özünün ayrılmaz bir parçasıdır ancak hikâyesinin komik olduğunu bilmek, kahraman için pek küçük bir avuntudur. Kafkaesk bizi içerilere götürür, bir şakanın derinliklerine, 'komiğin korkunçluğuna' götürür."

Bu kitap tam da bu işte ve tam da bu sebeple ziyadesiyle Kafkaesk. Dilini çözemediği, kültürünü, geleneklerini asla anlayamadığı bir ülkede kaybolan bir dilbilimcinin yavaş yavaş kimliğini de yitirmesini anlatıyor Karinthy ve dil ile kimlik arasındaki ilişkiye dair daha derinlikli düşünmeye davet ediyor okuru.

Ben çok sevdim ama zor bir kitap olduğunu düşünüyorum. Fakat Kafka seviyorsanız hiç düşünmeden girişiniz derim.

Şu nefis soruyla bitireyim: "Bir seferinde trenlerden birinde aniden bir gürültü koptuğunda Budai herkesin yalnızca anlamsızca bağırıştığını, gırtlağını yırttığını, kimsenin kimseyi dinlemediğini fark etti. Düşündü: Ya onlar da birbirlerini anlamıyorsa? Ya insan sayısı kadar dil varsa?"

Ya varsa sahiden? :)
Profile Image for ♑︎♑︎♑︎ ♑︎♑︎♑︎.
Author 1 book3,800 followers
February 20, 2019
This novel depressed me deeply. Even so I loved it for presenting a dystopian vision that comes very close to metaphorical truth. And for all that, it's also remarkably funny. And darn, I want to read it again right now after reading Lorde by João Gilberto Noll, a book that has many parallels to this novel. But in September I gave it to a friend whom I knew would love it. Thus proving the law of book physics once more, that not too long after you give a book away you will need it desperately.
Profile Image for DC.
13 reviews
September 7, 2009


This is an odd book, one picked up on a whim in Borders when it caught my eye. The obvious comparison is with Kafka, but I don't think that is quite right. Anyway...

Budai is a linguist, heading to a conference in Helsinki. Something goes wrong in the journey though (perhaps he goes through the wrong gate at the airport), and he ends up in a strange city, a very strange city: the language is completely unrecognisable, the writing uses no alphabet or character system he has ever seen before. The place is crowded, with queues everywhere; people rush around, elbowing and kicking others aside if they get in the way; lifts in the hotel where Budai gets deposited are crammed full of people. It is a nightmarish, hellish environment, and when at one point Budai gets to the top of a high building, he can see no end to the city, no sea on the horizon, no river running through it. Try as he might, he can get no one to understand him, not even Epepe (Bebe? Bebebe? Tetete? Tchetche? Egyegye? — one of his frustrations is that he cannot even identify the phonemes in the local language, so he never truly knows her name), a lift operator in the hotel with whom he forms an odd relationship despite their mutual incomprehension. She is the only person who seems to acknowledge his existence in any way as an individual.

Budai explores the city as best he can, struggling at first even to do basic things like get food. Try as he might, he cannot get anyone to understand his pleading requests to be shown the way to the airport or a railway station, and wander as he might he never sees one. His despair grows, initially he is angry and irritated that he will be late for his conference, then he wonders if he will ever see his family again. He finds himself in various situations: revelry on an apparent public holiday, an abattoir, a strange (religious?) ceremony where everyone is removing their clothes, a violent revolution... and all of it without understanding a word anyone says. At one point, he wonders if anyone understands anything anyone is saying, if in fact there is no single language here but every individual has their own, and no one understands anyone else. Across the road from the hotel, there is a skyscraper under construction, floors being added every day: the Tower of Babel symbolism is obvious.

The copyright page of the book gives no information about the original publication (the dates relate to French editions and the English translation), but it is obvious from the text that this is a book written while Hungary was under Communist rule. A little research revealed it was originally published in 1970 (which makes sense: for one thing, in the modern world it is hardly likely that one could go through the wrong gate at an airport, and it fits with the basic technology Budai encounters), under the title Epépé. (The word “Metropole” occurs nowhere in the book.)

Bearing that in mind, the book operates on more than one level. It is a traveller's nightmare: the unintelligible writing and language, the bizarre customs of a strange place — anyone who has ever gone to a strange city can imagine the horror of the situation Budai finds himself in. It is also an indirect depiction of life under the Soviet Communist system: people are cogs in an inscrutable machine, forced to dash around except when they are in the interminable queues; words are untrustworthy and mean different things at different times (for example, the hotel doorman uses precisely the same words when admitting Budai as he does when barring him from entry). The revolution, which clearly echoes the 1956 revolution in Hungary, sees violence on the streets, buildings stormed and ruined, executions... yet after a day or two everything is back to “normal” and the signs of violence have largely been covered up. In Metropole, Karinthy depicts in an almost dreamlike succession of events a true nightmare: the whole world under a Stalinist regime, a world without trust, a world where the individual barely exists and certainly does not matter, a world where true communication with anyone is impossible. The book ends on a hopeful note, but I am not at all sure whether or not it might be false hope.

For all that the comparison is the one which immediately comes to mind. I don't think Karinthy's book is actually very like Kafka: he is doing something rather different (there is no sense, for instance, that Budai is being personally persecuted: the point is that his situation is one where an impersonal system has no regard for him as an individual at all). However, the comparison of quality with Kafka (and Orwell, the other author mentioned on the cover) stands. It's an odd book, but worth reading; a pity, though, that it is only now available in English.
This entire review has been hidden because of spoilers.
Profile Image for Gabriele.
162 reviews136 followers
December 7, 2015
Si parla di incubo, nel risvolto di copertina, ed effettivamente questo "Epepe" sembra dare vita a un sogno fra i peggiori.

Immaginate per un attimo di finire in una città di cui non solo non avete mai sentito parlare, ma che è praticamente sconosciuta a tutta la nostra civiltà. Non basta: questa città, apparentemente estesa su una superficie immensa, è talmente popolata che aggirarsi per le sue strade significa essere travolti da una massa di persone inarrestabile. Dover comprare qualcosa nei negozi significa fare delle file che durano ore. Cercare di procurarsi un pasto è un'impresa che richiede tempi biblici. E non solo: questa massa di persone, del tutto simile per aspetto a noi, parla una lingua tutta sua, completamente incomprensibile. Impossibile capirne la composizione, impossibile riconoscerne elementi o parti note, impossibile anche solo cercare di pronunciare o ripetere le parole usate. E, neanche a dirlo, nessuna delle lingue usate nel resto del mondo sembra essere compresa. La scrittura? Una serie di simboli cuneiformi, indecifrabile anche per un esperto linguista.

Ed è proprio un linguista - di chi poteva essere incubo una storia del genere? - il protagonista di questa vicenda. Al termine di un viaggio in aereo, Budai si risveglia e si ritrova per errore in questa città sconosciuta. Inizia così la sua odissea che per settimane si trascina fino alla disperazione, una lunga discesa che inizialmente lo vede risoluto nel cercare, grazie ai suoi studi, un meccanismo per decifrare questa lingua impossibile e trovare così una via di fuga dalla metropoli, ma a cui pian piano deve rinunciare pur di sopravvivere nell'immediato. Fra strane congetture e incontri casuali, persone che nel caso migliore lo ignorano e nel peggiore cercano di approfittare di lui, la città sembra pian piano fagocitare, con la sua enorme massa di gente, un Budai oramai intellettualmente perduto, fino a trascinarlo in inspiegabili sommosse popolari e guerriglie urbane. Ma è durante questa incredibile vicenda che il linguista incontra una persona, l'unica che sembra in qualche modo interessata a lui e al suo essere completamente estraneo alla metropoli: è quella Epepe del titolo, la ragazza che lavora agli ascensori dell'hotel in cui Budai risiede. Ma Budai non può essere sicuro di niente, visto che anche solo il nome, "Epepe", risulta completamente incerto: potrebbe essere Etjetje, o Dede, o Debebe - tutte combinazioni possibili in un linguaggio incomprensibile anche all'orecchio più allenato.

Questo libro di Karinthy non è kafkiano, ma con Kafka condivide il suo non essere un'allegoria in cui cercare un significato preciso: l'autore non ci vuole raccontare di possibili scenari futuri, non cerca di spiegarci la civiltà esasperandone determinate caratteristiche, non vuole dare alcuna morale alla sua narrazione. La storia deve essere presa per quella che è: un incubo, e in particolare l'incubo di un linguista alle prese con qualcosa su cui ha studiato per tutta la vita ma che per una volta non riesce a comprendere, e non ci riesce proprio nel momento in cui comprenderla risulterebbe decisivo per la sua stessa sopravvivenza. Che sia vera o meno l'esperienza di Budai è indifferente per noi lettori: ciò che Karinthy mette in scena diventa reale a pagina 1 e smette di esserlo nel momento in cui si chiude il libro, ed è in questa sua realtà che l'autore riesce a sconvolgere tutte le certezze che il lettore (e il protagonista stesso) possono avere. E anche se per una volta è proprio il protagonista ad avere maggiori conoscenze rispetto al lettore - non ci troviamo davanti a un personaggio intellettualmente limitato, né a un protagonista a cui l'autore nasconde certe conoscenze che potrebbero aiutarlo nella sua odissea -, il suo non riuscire è ancora più grande: il lettore non può che vederlo fallire miseramente lì dove lui stesso fallirebbe. Per questo motivo "Epepe" è un libro che riesce a raggiungere il suo obiettivo.

Tre stelle e mezzo, che diventano quattro se avete un debole per questo tipo di racconti inspiegabili. Karinthy ha purtroppo il limite di dilungarsi un po' troppo (200 pagine risultano eccessive per una trama del genere, una cinquantina in meno e sarebbe stato perfetto), ma per il resto la narrazione è buona ed è esattamente quello che mi aspettavo. Non per tutti.


***

"Un'altra volta però, in un sottopassaggio della metropolitana dove era scoppiato un improvviso tafferuglio, Budai ebbe l'impressione che le persone urlassero e blaterassero parole vuote, e che nessuno stesse a sentire nessuno. Forse nemmeno gli abitanti si capivano l'un l'altro, forse in quella città si parlavano dei dialetti diversi, o perfino lingue diverse? Nella sua mente sovraeccitata balenò il dubbio assurdo che avessero tante lingue quanti erano."
[Epepe, Adelphi, 2015, p.144]
Profile Image for Cosimo.
443 reviews
December 12, 2016
Stanza, casa, città

“Odiava quella città, la odiava profondamente perché gli riservava solo sconfitte e ferite, lo costringeva a rinnegare e a cambiare la sua natura, e perché lo teneva prigioniero, non lo lasciava andare, e ogni volta che provava a fuggire lo ghermiva e lo tirava indietro”.

Forse questo libro di Ferenc Karinthy non è una semplice storia, ma un labirinto, un dedalo di ipotesi non dimostrabili, un laboratorio per linguaggi intraducibili. Forse è stato pensato per un lettore che non comprende, per un musicista privo di udito, per un geografo che non si orienta, per un amico che non si fida. A me il senso di estraneità e rassegnazione di Epepe ha fatto pensare al racconto di Hawthorne Wakefield e al film di Charlie Kaufman Anomalisa. C'è nel testo una concezione del caos come assenza e massa, un proliferare di forme e di significati che sembrano non poter arrivare a nulla, un'eterna separazione tra azioni e parole, il contagio parallelo di una follia invisibile. Il protagonista del racconto, uno studioso del linguaggio, Budai, si aliena nella fedeltà alla parola e al logos, mentre il reale non gli concede alcun conforto né premio né riconoscimento; le uniche modalità che si trova a esperire nella città fantasma dove approda per errore, luogo madre, metropoli cosmo, città ombra, sono sradicamento e insensatezza, assurdità ed esclusione. Il percorso narrativo descrive l'incompatibilità tra soggetto e massa, l'impossibilità di dialogo tra il singolo e l'altro, la loro reciproca diffidenza, incoerenza e infondatezza. Un comunicare il silenzio che allontana e contrasta ogni sintesi eventuale. L'ignoto è una minaccia che disorienta, un abitante esclusivo e ostile: solo superando una impenetrabile nebbia di casualità e una diffusa e sospettosa angoscia si arriva ad una logica intermedia, che mescola il lato onirico con il versante razionale. Il tempo stesso in questo romanzo è una dimensione a più incognite: ogni tentativo di cominciare è un precipizio nel quale affondare. La moltitudine dà origine a un piano allucinatorio e delirante, sul quale l'autore costruisce una soluzione pensabile e funzionale, per resistere al potere nel suo volto assoluto, ottuso e univoco. Una storia incentrata sull'ossessione per la parola si conclude su un orizzonte di inquietante e prepotente silenzio; una profezia che contiene un pericolo metafisico, uno specchio che rivela un'identità infernale e anonima.
Profile Image for Talkincloud.
291 reviews4,237 followers
Read
January 15, 2025
Intrygująca to była podróż. "Epepe" to historia, którą dziś moglibyśmy odczytać jako metaforę poruszania się w świecie informacyjnego chaosu, jak w przestrzeni internetowej – po omacku, w szumie i zdezorientowaniu. Czy w takim środowisku jesteśmy w stanie się porozumieć? Po części tak, ale zdarza się, że prawdziwe intencje czy przesłanie przygaszają emocjonalne filtry – gniew, frustracja – które wzmacnia potwór zwany algorytmem. A przecież musimy się mu podporządkować, chcąc zaistnieć w sieci i odnosić sukcesy.

Ale od początku: mamy tu bohatera, Budaia, lingwistę, który wybiera się na konferencję naukową do Helsinek. Tylko że zamiast w Finlandii, trafia do obcego państwa, gdzie otacza go tłum mówiący niezrozumiałym, jakby pozaziemskim językiem. Wszystkie próby odkrycia, gdzie się znalazł i jakim językiem posługują się mieszkańcy, kończą się fiaskiem. Już od pierwszych stron "Epepe" jawi się jako alegoryczne ujęcie zagubienia w świecie. Budai może symbolizować każdego, kto czuje się jak kosmita w otaczającej go rzeczywistości. Z rozdziału na rozdział narasta jego osamotnienie i egzystencjalny lęk, zwłaszcza gdy zaczyna tracić nadzieję, że kiedykolwiek będzie w stanie z kimkolwiek się porozumieć.

"Epepe" to dzieło trochę kafkowskie, trochę huxleyowskie – dystopia w wydaniu węgierskiego pisarza. Karinthy w sposób przenikliwy krytykuje totalitaryzm. Budai porusza się w wielkim labiryncie biurokratycznych absurdów i opresji, które szczególnie uwydatniają się w finałowych rozdziałach powieści. Oprócz tego, autor wplata wiele refleksji na temat natury języka i komunikacji, co czyni tę książkę gratką dla każdego lingwisty i miłośnika semiotyki.

Łatwo w tej historii przepaść – jej klaustrofobiczna atmosfera pochłania bez reszty. Choć książka ma już swoje lata, to wciąż zachwyca aktualnością przesłania. Nie wszystkie elementy fabuły były jednak dla mnie równie porywające. Nie przypadła mi do gustu część dotycząca romansu Budaia z pewną kobietą i scena ich zbliżenia – według mnie była zupełnie zbędna. Niemniej mówiła coś o realiach XX wieku, a może nawet więcej, niż mogłoby się wydawać.

Jako zapomniany klasyk, który właśnie doczekał się wznowienia w Polsce, "Epepe" zdecydowanie warto przeczytać!
Profile Image for Nathanimal.
198 reviews135 followers
February 10, 2018
This review might've easily become a tirade about how valuable my time is. But then screaming as much onto the internet to no one in particular struck me as ironic. And, let's face it, my time really isn't that valuable.

Okay so, this seemed like a no-brainer, a book starred for inclusion in my personal canon. Plot: A linguist, Budai, gets dropped at Ground Zero of the Tower of Babel (figuratively, probably, though there are signs that the author might've meant it literally too i.e. the suspicious skyscraper in the distance that keeps crawling towards heaven). All Budai's academia and logic are useless for making sense of the local patois, and he is soon washed like a castaway across a sea of humanity, anemic for lack of human intimacy, finding in its place mass spectacle, a sad but compelling substitute for meaning, as we moderns are only too aware. I was expecting the kind of odd adventure found in Kazuo Ishguro's The Unconsoled crossed with a Borgesian fixation on language. How could I not love this book?

What happened is that this book is dismally written. I mean it. A real sack of turds. At first I thought he was going for this kind of reigned-in, careful style. But soon I realized that the writing lacked the precision to pull off even that. It was boring. Full of those lame quandaries that talk down to the reader (Oh no! What will Dorothy do now? Will she ever find her way back to Kansas?). Full of tired, empty turns of phrase. Redundant. Obvious. With no sense of economy at all. I was actually dazzled by my ability to harrumph and pshaw my way through to the end.

At first I had it out for translator—from what I remember about Hungarian, there's no strict word order, so I leave it to the translator to fix at least the needlessly split infinitives, and other clarity-sapping devices—until I realized that George Szirtes was the same guy who gave us the vibrant and complex translations of Laszlo Krasznahorkai (now there's a Hungarian writer everybody should know!). I'm not a grammar Nazi, I swear I'm not. Usually if the story is good, then that's enough for me to find SOMETHING to praise about a book. But this perfectly awesome premise was flat out ruined by perfectly cruddy craftsmanship.
Profile Image for Arwen56.
1,218 reviews336 followers
March 25, 2016
Mi ha rammentato “Il paese dei ciechi”, di Wells. Solo che quest’ultimo è, molto opportunamente, in primo luogo un racconto e quindi non la tira inutilmente per le lunghe, ripetendo troppe volte gli stessi concetti e le stesse situazioni, come invece accade in qui. E, in seconda battuta, è assai più coerente e logico nell’esposizione dei fatti, che sono in entrambi i casi anomali e paradossali.

“Epepe” manca di incisività, per quanto mi riguarda. La situazione, molto interessante e densa di spunti e interrogativi, non è gestita in modo adeguato. Questa novella “Babele” convince poco dal punto di vista narrativo, anche considerandola quale metafora politica, qual è.
Profile Image for Simona.
72 reviews97 followers
February 4, 2018
Tra gli Adelphi che vedo spesso fotografati in questi giorni c’è Epepe - romanzo di uno sconosciuto Ferenc Karinthy. Credo che sia comparso in primis in un video di @juliedemar - e che poi progressivamente si sia intrufolato nei nostri carrelli, nelle nostre borse, nelle nostre librerie. Inclusa la mia, ovviamente.
Epepe è un romanzo assurdo, nel senso che racconta una storia completamente assurda: Budai, un noto linguista, prende un aereo per Helsinki e si ritrova in un posto sconosciuto, dove nessuno parla inglese o qualunque altra lingua conosciuta, dove nessuno sembra aver intenzione di voler comunicare con il nostro protagonista.
È un incubo a occhi aperti: Budai tenta ogni strada per farsi capire, per farsi ascoltare, per vincere il limite linguistico. Budai tenta di analizzare la lingua, di studiare i suoni, di capire la grammatica - senza successo. La città sconosciuta lo spinge verso un baratro di disperazione e di rassegnazione - e progressivamente Budai perde le speranze di riuscire a comunicare, di tornare a casa, di vivere dignitosamente in questa città assurda. E a un certo punto ci viene da chiedervi se non siano degli incubi, i piccoli avvenimenti che interrompono la monotonia delle giornate di Budai - e fino all’ultima pagina speriamo di riuscire a svegliarci da questo delirio. Inutile dire che non farò spoiler: dovrete leggerlo per scoprire come finisce, la storia di Budai.
Nel complesso, uno splendido libro: ricorda Kafka, ricorda Samarago, ricorda Ballard - eppure è unico nella precisione chirurgica con cui descrive le mosse di Budai, e ha una fluidità degna della lingua incomprensibile di questa città assurda: Epepe, Ebebe, Etete?
Profile Image for Roberta.
2,000 reviews336 followers
June 18, 2016
Romanzo insensato, se fosse stato scritto da un americano sarebbe finito tra i distopici. Grazie al cielo l'ha scritto un ungherese, quindi abbiamo uno splendido racconto incentrato sull'impossibilità di comunicare.
Immaginate di risvegliarvi per sbaglio in una città sconosciuta. Non capite dove siete e meno ancora capite le persone che vi stanno intorno, le quali parlano una lingua che non sembra riconducibile a nessun idioma conosciuto. Attorno a voi un gran casino, una sovrappopolata metropoli-mostro dove tutti vanno di fretta. Cosa si può fare per tornare a casa? Il protagonista le prova tutte, passando da euforia a disperazione a rassegnazione, e noi con lui. A voi scoprire il finale.
Profile Image for Arybo ✨.
1,468 reviews176 followers
November 5, 2021
Mi aspettavo molto di più. Concetto interessantissimo, ma conclusione (e svolgimento) molto deludente. Un girare attorno senza un vero senso, parole su parole che non portano a nulla. Indice di innata incomunicabilità nella popolazione umana? Sarà, ma almeno una trama da qualche parte ci poteva pure essere, visto che dal punto di vista del linguaggio dell'autore non c'è chissà quanto sforzo. Le frasi raccontano semplicemente quello che avviene. Me delusa. Eppure all'inizio ho adorato la sezione sulle diverse tipologie di lingue e scritture e, più avanti, gli sforzi del protagonista nello sciogliere il mistero della lingua e della scrittura di questo paese cacofonico e sempre in movimento.
Profile Image for Paul.
Author 0 books106 followers
September 25, 2019
This is my third reading of Ferenc Karinthy's dystopian novel. I speculated in January as to whether this would be my year of reading Hungarian literature, and so it has transpired. I re-read 'Metropole' for a discussion with some like-minded readers. Its correct title is 'Epepe'. This is the title used in the earlier French translation. Since it's the name of the female lift operator with whom the central character forms his only human relationship, it's a fitting one. Presumably, it was changed for reasons of marketability, here in the Yahoo-Kay. The introduction to the French edition is actually rather illuminating. Intriguingly, the French novelist Emmanuel Carrere suggests that Perec would have loved this book and places it in a list with other works he's read three times, including Sebald's 'Austerlitz' and Alexeivich's 'Chernobyl Prayer. Exalted company...

In a nutshell, Budai is a linguist and polyglot, heading for a conference in Helsinki (I'd like to think it's the same conference at which Jarmo Aurtova is arrested on suspicion of murder in 'Last of the Vostyachs'). At Budapest airport he somehow boards the wrong plane and finds himself in another city. Taken by shuttle-bus to a vast hotel, he hands over his passport and some traveller's cheques in exchange for a quantity of the local currency. It soon becomes clear to him that nobody here understands any of the many languages of which he has a command. Nor can he understand a word of the local idiom. And so the nightmare begins. Indeed, the entire novel has a dream-like quality. I refuse at this point to use the K-word, though. Let's just call it Karinthyesque.

The relentless pursuit of the central, nightmarish conceit is remarkable. This is a book you don't forget. The descriptions of the city are evocative. Budai's attempt to break the code of the city's language is an epic in itself. And the construction is masterful. There are a series of key events by which Karinthy ratchets up the tension. These are highly memorable and leave the reader despairing. One of them I blogged about last time I read the book: https://paulsuttonreeves.wordpress.co...

It has its flaws, but what novel doesn't? From reading this book, it seems fairly safe to say that while Hungary in 1970 might have been a so-called people's republic, it was far from politically correct. So be prepared for some questionable descriptions of ethnicity, for instance. The prose doesn't always sparkle. By the twentieth time Karinthy gives the woman in the lift a different name, the fact that the local language is mutable has been done to death for even his least perceptive reader. I'm still not sure what purpose Budai's violence against Epepe serves and it risks alienating the reader. In addition, while I'm grateful to Telegram for publishing an English translation - and let's face it, most of us were never going to read it in Hungarian - there are a large number of errors in the text, including the cardinal howler "comprised of". Ouch.

Is it an allegory of some kind? Perhaps. This metropolis prefigures the emergence of the world's sprawling super-cities in recent decades. There may be an underlying Malthusian theme at work. I don't think we can read it as an anti-communist work. Karinthy held himself back from the communist-capitalist debate. It contains elements of the survivor's quest, a kind of celebration of the resilience of the human spirit when faced with insurmountable odds.

Budai bears more than a passing resemblance to his creator, also a well-travelled intellectual with a background in linguistics. As a Hungarian speaker, Karinthy would be well placed to connect with a character whose language no foreigner could understand. I always like to learn some of the local language before travelling. I struggled when I visited Budapest. Karinthy was accustomed to the variety of horrors described in the novel. He lived through the Nazi invasion of 1944 and the brutal rule of the puppet Arrow Cross regime, the Soviet invasion of 1956 and the totalitarian regime it installed under Kadar's leadership. Karinthy's mother was murdered by the Nazis at Auschwitz. Ferenc himself somehow passed under the Nazi radar to leave us this brilliant and dark Odyssey. For me, it joins an irrealist canon including 'The Unconsoled', 'Men of Stones' and 'The City and the City'.
Profile Image for Tittirossa.
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October 19, 2017
Un incubo infinito, quello di Busai studioso di etimologia ed espertissimo linguista che si ritrova in un non-luogo di baumanniana memoria.
In mezzo a una continua fiumana di gente che si muove incessantemente senza uno scopo apparente, con un linguaggio di cui– pur con tutte le sue competenze – non riesce a cogliere il minimo significante (ma non gli viene mai in mente di disegnare per farsi comprendere e ottenere qualche parola da decodificare?), Busai all'inizio combatte per comprendere, poi si lascia andare alla corrente, poi reagisce e forse (speriamo!) trova una via d'uscita.
L'assoluta insensatezza del luogo in cui si trova non è data dalle attività che vi si conducono – che sono simili a quelle della sua vita passata: la gente lavora, mangia, si sposta, si diverte, scrive libri – ma dalla completa assenza di una chiave di lettura linguistica.
E' la parola che definisce il nostro essere, senza la comprensione della parola il cervello di Busai è inutile.
Solo Epepe (nome fittizio che dà alla ragazza bionda degli ascensori, nome peraltro variabile: Etete, Edede, Ejeje, ….) accetta un contatto "umano" con lui, e negli sviluppi del "contatto" Busai arriva a pensare che forse ne è valsa la pena. Ma anche Epepe viene risucchiata dal luogo, e lui è di nuovo solo.
Il limite del libro è la lunghezza, 200 pagine pur se scritte benissimo sono troppe (ci ho messo 6 mesi di abbandoni e riprese a finirlo) per tenere avvinti a una storia che meritava la stringatezza di un racconto lungo la metà.
Non mi ha fatto pensare a Kafka o a Ionesco, ma a un viaggio in Ucraina dove comunicare sembrava impossibile, pur muniti di triplo dizionario, di fronte a una popolazione (soprattutto femminile) che sicuramente qualche parola di italiano capiva, ma mostrava una ottusa volontà di non comunicare (e non volevo discussioni sui massimi sistemi, ma indicazioni stradali e similari).
Le guardie di confine in uscita erano paurosamente simili al portiere dell'albergo di Busai….
Profile Image for Martina Barlassina.
21 reviews34 followers
June 22, 2018
Potrei riassumere la sensazione provata al termine della lettura di questo libro in una sola parola: perplessità.
Avendo letto e udito recensioni unicamente positive, ho acquistato il romanzo a occhi chiusi e... ringrazio il mio scetticismo nell’iniziare qualsiasi romanzo con aspettative alte altrimenti la valutazione, con l’aggiunta dell’elemento delusivo, sarebbe stata di due stelline (risicate).

L’idea alla base della narrazione è senza dubbio originale e particolare: una distopia dai toni cupi e soffocanti che non lascia indifferenti.

MA. Era davvero necessario prolungare il racconto per più di 200 pagine? Ben vengano le descrizioni e l’indagine introspettiva dei personaggi ma, in questo romanzo, non posso dire di aver trovato nulla di tutto ciò: le descrizioni mi sono parse più che altro un mero elenco di fatti, di oggetti e di nozioni di linguistica tanto che, per la prima volta in tutta la mia esperienza di lettrice, sono stata colta dall’irrefrenabile voglia di avanzare nella lettura tralasciando intere frasi (anche se il mio rispetto per l’autore e l’opera letteraria me ne ha impedito la messa in atto).

Inoltre, in un romanzo in cui la figura del protagonista si condensa nel solo Budai, mi sarei aspettata di entrare più in confidenza con il personaggio e giungere a una conoscenza più profonda della sua personalità e della sua emotività. Nulla di tutto ciò, anzi: ho trovato non poche incongruenze tra la presunta intelligenza del personaggio e le sue decisioni e il suo modus operandi. Vorrei poter fare esempi concreti ma voglio risparmiare il rischio di spoiler.

Che dire, infine, della conclusione? Se nelle intenzioni dell’autore ci fosse il desiderio di diffondere un messaggio di denuncia sociale, almeno per quanto mi riguarda, egli non ha colpito nel segno.

Tre stelle: perché ho apprezzato l’idea fondante, perché lo stile di Karinthy è indubbiamente ammirevole e perché, in fondo, è un libro che “si fa leggere”.
Profile Image for Hulyacln.
987 reviews564 followers
July 24, 2023
Helsinki Dilbilim Kongresi’ne katılmak için yola çıkar Budai. Gideceği yeri bilir ama vardığı yer şaşırtır onu.
Bir yanlışlık olmalıdır, burada bambaşka bir dil vardır, bilmediği hatta hiç duymadığı bir dil.. Öyle kalabalıktır ki burası gözünü korkutur Budai’nin. Yapması gereken tek bir şey vardır: beklenildiği yere gitmek.
.
Dil ile birey arasındaki ilişkiyi, bilinmezliğin ve çaresiz hissetmenin anlatıldığı akıcı ama zorlayıcı bir eserdi Epepe. Zorlayıcı diyorum çünkü Epepe’yi okurken sürekli sıkışmış hissettim, insanlara sıkışmış-duvarlar arasına sıkışmış-yollarda sıkışmış.
Anlamak ve anlaşılmak ne önemliymiş dedim. Halbuki kendi kendimi anlamaya çalışmak bile yeterli olur sanıyordum, değilmiş.
Sevdiğim, üzerine bolca düşündüğüm, sonunu kafamda kurgulamaya devam edip eklemeler yaptığım bir eser oldu, tavsiye ederim ~
.
Sevgi Can Yağcı Aksel çevirisi, Virginia Elena Patrone kapak tasarımıyla ~
Profile Image for Surymae.
204 reviews32 followers
January 6, 2017
Quando ancora frequentavo assiduamente la biblioteca della mia città - prima, quindi, di essere folgorata sulla via del Kindle - avevo la fantasia di essere la prima, o l'unica, a leggere determinati libri. Sciocchezze, ovviamente. Ma con Epepe credo che la fantasia sia diventata realtà. Già dopo un paio di settimane era passato dallo scaffale delle novità a quello della narrativa ungherese - non esattamente lo scaffale più "di tendenza" della biblioteca - e forse sarebbe potuto rimanere lì ancora a lungo.
Invece spero che dopo averlo riportato Epepe trovi un'altra casa, perché se lo merita. Angosciante nella banalità della sua premessa (un linguista approda, solo e senza documenti, in una città dalla lingua indecifrabile), intrigante, con un pizzico di critica sociopolitica che non guasta mai; perché non sia più conosciuto è un mistero per me. Magari, chissà, se l'autore fosse stato americano...
Ma se un giorno vi capitasse di passare davanti allo scaffale della narrativa ungherese della vostra biblioteca/libreria, potreste rimediare. E non ve ne pentireste.
Profile Image for Giulia e i libri.
89 reviews51 followers
May 6, 2021
Ansiogeno
Delirante in alcuni punti
Una lettura che non credevo mi avrebbe conquistata in questo modo!
Mi è piaciuto tantissimo, mi ha tenuta incollata alla storia e sopratutto mi ha fatto riflettere!
Lo consiglierei veramente a chiunque
Profile Image for Massimiliano.
409 reviews83 followers
September 1, 2018
Un romanzo kafkiano non scritto da Kafka: già questo preambolo, una frase fatta per attirare lettori, mi ha fatto storcere il naso.
Ho trovato la storia di Budai troppo impersonale e stagnante; non che io sia uno di quelli che non sopportano quando "non accade nulla", ma qui credo si raggiunga la definizione di immobilità, non tanto per l'azione in sé quanto per lo stile di scrittura, troppo ripetitivo e poco arioso (ma qui ammetto che magari contribuisce a rendere l'atmosfera dell'ambientazione).

Se alcune brillanti riflessioni sull'impossibilità di comunicazione, sulla lingua e sulla solitudine del protagonista sono i fattori che mi spingono a dare tre stelle a questo romanzo, non mi sento di recensirlo meglio perché posso dire col cuore che mi ha lasciato l'amaro in bocca. Non esiste, o non si raggiunge, la classica ironia del vero Kafka e inoltre la conclusione non soddisfa per nulla. Oserei quasi dire che gli ultimi capitoli sono del tutto confusionari e molto semplicemente la storia finisce in "vacca".

Vorrebbe essere un romanzo cupo, ma non lo è fino in fondo, a tratti vorrebbe anche essere tenero, ma non lo è fino in fondo... ogni sfumatura del romanzo resta, appunto, sfumatura, senza lasciare il segno.
Di certo non è insufficiente, è buona letteratura, è decisamente piacevole per un lettore assiduo, ma nulla di più.
Profile Image for Brad.
48 reviews1 follower
June 16, 2012
I loved loved loved this book. The kind of book that you can read and not really "get" the underlying meaning of until long after. It's been at least a month or two since I finished reading it and I still can't stop thinking about it. Truly one of the few really deeply emotionally moving books I've read, and it didn't even make much sense to me when I read it.
Profile Image for Sara Booklover.
1,011 reviews870 followers
April 23, 2019
Ammetto di aver acquistato e letto questo libro a seguito delle varie opinioni entusiaste e positivissime sia sui blog che su youtube. Questo in realtà non è un libro novità, è stato scritto e pubblicato per la prima volta nel 1970, ma è solo nel 2015 che la casa editrice Adelphi ha deciso di pubblicarlo, e ne è seguita dopo appena 2 anni l’edizione economica che è questa.
Questa piccola premessa per dire che le mie aspettative erano ovviamente altissime e non sono state del tutto soddisfatte, e allo stesso tempo sento comunque di avere letto un buon libro.
Una strana sensazione. Ma partiamo con ordine.
L’inizio di questo libro è folgorante, interessantissimo e mi è piaciuto tantissimo. Come mi è piaciuta tantissimo l’idea sulla quale si basa la storia che è originalissima e assolutamente inquietante. E’ una storia che mette l’ansia. L’argomento principale di questo libro è l’incapacità di comunicare. Essere in mezzo a tantissime persone eppure essere di fatto soli, soli in mezzo alla gente. La comunicazione può essere verbale, scritta o gestuale, ma comunque ci deve essere e questo libro fa veramente rendere conto che se manca totalmente non si può andare avanti. Epepe è di fatto geniale proprio perché fa riflettere su tematiche sulle quali non si è mai riflettuto. Però se devo giudicarlo non solo sul concetto che esprime ma anche sulla storia in sé e sulla gradevolezza della lettura allora devo purtroppo dire che da questo punto di vista sono rimasta delusa.
La storia come dicevo mi era piaciuta moltissimo all’inizio ma poi andando avanti diventa monotona e ripetitiva al punto che anche l’ansia iniziale sparisce per dare spazio a un senso di fastidio. Il protagonista viene descritto come un personaggio colto, istruito e più intelligente della media eppure non ho avuto questa impressione a causa delle tante ingenuità che commette e a livello di empatia con il lettore zero, l’ho sentito davvero molto distante. Infine il finale non mi è piaciuto.
Quindi, tirando le somme voto questo libro solo 3 stelline su 5 nonostante ne riconosca in pieno la genialità, nonostante sia davvero un bel romanzo a causa delle tematiche trattate, ma a mio avviso non è stato sviluppato bene e non posso giudicare un libro solo per le intenzioni.
Profile Image for Stewart.
168 reviews16 followers
May 26, 2008
"At the beginning of Italo Calvino’s If On A Winter’s Night A Traveler there is a passage on the various types of books we meet in our lives, such as those we haven’t read, those we needn’t read, and those we plan to read. One of the more obscure categories is books that fill you with sudden, inexplicable curiosity, not easily justified, and it’s to this category that I assign Ferenc Karinthy’s Metropole (1970), published in English for the first time. Well, perhaps not inexplicable, as its strange premise and eye candy cover help justify the curiosity."

Read my full review here.
Profile Image for Daria.
30 reviews48 followers
August 2, 2018
L'ho apprezzato molto fino a tre quarti di lettura, più per i temi affrontati e l'idea di base che per la scrittura (un po' piattina). Ma il finale, francamente, non mi ha convinto.
Displaying 1 - 30 of 489 reviews

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