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Nuova edizione italiana a cura di Fabrizio Desideri, Giovanni Matteucci
Teoria estetica, che qui si presenta in una nuova traduzione attenta a restituirne le peculiarità stilistico-espressive, è l'ultima opera a cui ha lavorato Adorno. Rimasto allo stato di grande frammento per l'improvvisa morte dell'autore (1969), questo testo rappresenta l'estremo punto di approdo della riflessione adorniana, che si volge alla realtà dell'arte rimeditando esperienze che hanno segnato il Novecento (da Valéry a Beckett, da Schönberg a Celan, da Klee a Brecht), per tentare però di cogliere le dinamiche costitutive dell'opera d'arte in generale e documenta un pensiero all'atto del suo stesso istituirsi nel confronto con ciò che maggiormente sfugge alla discorsività razionale, appunto la dimensione concreta dell'arte. L'estetico viene inteso da Adorno come il luogo di massima negatività per la ragione, ma non nel senso di qualcosa da esiliare nell'irrazionale, bensí nel senso di ciò che, in quanto costitutivamente altro, muove dall'interno e sollecita il pensiero dialettico nell'epoca della piena affermatività. La presa di distanza da facili schemi ideologici che riducono la creazione artistica a veicolo di messaggi, la demistificazione dell'edonismo che impera nella concezione dell'esperienza estetica propria del senso comune borghese, la sottile analisi delle implicazioni sottese ai rapporti dialettici tra arte, natura e mito, e non da ultimo la lucida enucleazione delle difficoltà in cui è invischiata la stessa tradizione della filosofia moderna dell'arte, fanno di Teoria estetica di Adorno uno dei massimi testi del Novecento filosofico ed estetico, in grado di dialogare con l'orizzonte culturale dell'odierna contemporaneità.
507 pages, Paperback
First published January 1, 1970
As a phenomenology of art, phenomenology would like to develop art neither by deducing it from its philosophical concept nor by rising to it through comparative abstraction; rather, phenomenology wants to say what art is. The essence it discerns is, for phenomenology, art’s origin and at the same time the criterion of art’s truth and falsehood. But what phenomenology has conjured up in art as with a wave of the magic wand, remains extremely superficial and relatively fruitless when confronted with actual artworks. Whoever wants something more must engage a level of content that is incompatible with the phenomenological commandment of pure essentiality. The phenomenology of art comes to grief on the presupposition of the possibility of being without presupposition.
Art mocks efforts to reduce it to pure essentiality. It is not what it was fated to have been from time immemorial but rather what it has become.
In whatever civilization it is born, from whatever beliefs, motives, or thoughts, no matter what ceremonies surround it—and even when it appears devoted to something else—from Lascaux to our time, pure or impure, figurative or not, painting celebrates no other enigma but that of visibility.