Palos, Spagna, agosto 1492. Nuno ha sedici anni, ed è un granchio. O almeno questo è il soprannome che gli ha dato sua madre, morta pochi mesi prima, di cui Nuno conserva un ricordo che è dolore e luce insieme. Pur vivendo sul mare, Nuno non ha mai desiderato solcarlo, e preferisce guardarlo restando aggrappato alla terra, proprio come fanno i granchi. Finché, per una serie di circostanze tanto sfortunate quanto casuali, deve imbarcarsi su una nave di cui ignora la destinazione. Si tratta della Santa María, a bordo della quale Cristoforo Colombo scoprirà - per caso e per sbaglio - il Nuovo Mondo. Mentre Nuno si renderà conto, lui che di navigazione non sa nulla, di condividere lo smarrimento coi suoi compagni molto più tutti spaventati da quell'impresa folle e mai tentata prima. Avendo imparato dalla madre a leggere e scrivere, Nuno diventa lo scrivano di Colombo, e trascorrendo ore ad ascoltarlo sente crescere l'entusiasmo per i grandi sogni di questo imprevedibile esploratore visionario. Attraverso lo sguardo di Nuno, percorriamo il viaggio più importante della storia dell'umanità: i giorni infiniti prima di avvistare terra, fino alla scoperta di un mondo nuovo, una nuova umanità, una nuova, diversa possibilità di intendere la vita. In questo Paradiso Terrestre, Nuno imparerà quanta ferocia, quanta avidità possa motivare le scelte degli uomini, ma anche la forza irresistibile dell'amore, che lo travolgerà fino a sconvolgere i suoi giorni e le sue notti. In questo romanzo, Fabio Genovesi non solo ci racconta la navigazione di Colombo come mai è stato fatto prima, ma ci cala dentro una grande avventura umana, esistenziale e sentimentale, che si snoda attraverso imprese, amori, crudeltà spaventose e improvvise tenerezze, svelandoci come dietro la scoperta occidentale delle Americhe si nascondano violenze, soprusi e malintesi, ma soprattutto l'insopprimibile, eterno istinto degli uomini a prendere, consumare e distruggere tutto, persino se stessi.
Born in 1974, Fabio Genovesi is the author of three novels and is a regular contributor to Vanity Fair and La Lettura, the literary supplement to the Italian newspaper Corriere della Sera. He also writes for film and has contributed articles to Rolling Stone. His second novel, Esche vive (Live Bait), was translated into ten languages.
Genovesi affronta di petto un argomento non facile come il viaggio di Colombo e, nonostante il ritmo accattivante e l'efficacia narrativa della prima parte e di molte pagine relative all'esplorazione, resta in uno spazio indefinito a metà tra il romanzo storico e la narrativa sentimentale. Una volta comparsa Lei, l'orizzonte dell'attenzione di Nuno sembra ridursi in modo claustrofobico: la sua passione spinge l'equipaggio, l'esplorazione e il fascino della scoperta sullo sfondo, sacrificando molti degli spunti più interessanti a favore di una storia d'amore in parte irrealistica, in parte poco originale. Quando Lei non c'è, il romanzo riparte, salvo frenare di nuovo se Nuno si sofferma a pensare a lei. Nota positiva per Colombo, di gran lunga il personaggio più interessante, folle e strano, tratteggiato ancor meglio di tanti altri personaggi comunque ben riusciti, ai quali Genovesi restituisce unicità e una buona dose di tridimensionalità.
È il primo romanzo di Genovesi che leggo, mi è piaciuto molto. Mi sono affezionata subito a Nuno, ragazzo di sedici anni tenerissimo nella sua ingenuità. E mi sono innamorata del modo che ha l'autore di raccontare le parti più drammatiche del romanzo, come le tempeste in mare: ti immerge talmente tanto nel racconto che ti sembra di essere lì. Ho adorato anche le frecciatine a Colombo, che non ne esce benissimo come personaggio. Davvero una bella storia e ben narrata, leggerò sicuramente altri libri di questo scrittore.
Non mi è piaciuta né la trama, né lo stile. Ogni frase è uguale all'altra. Tutto è descritto in maniera eccessivamente pomposa. Probabilmente l'autore è affezionato alla figura retorica dell'asindeto o quantomeno agli elenchi di parole, perché il romanzo è tutto un "vedi, vini, vici, lui, lei, il cielo, il mare, noi..." Insomma un climax che rende il tutto lento per il dover fornire obbligatoriamente ulteriori aggiunte alla frase, quando bastava fermarsi alla prima virgola, massimo seconda.
Sinceramente non ho capito lo scopo del romanzo, perché a me sembrava un romanzo d'avventura, ma poi ho visto che non si è concentrato effettivamente su cosa abbia significato VIAGGIARE dall'altra parte del mondo. Poi, mi è sembrato come se a parte le tempeste, non ci fossero altri problemi a bordo su una nave per mesi, nessuna malattia (e lo scorbuto?)... Mi aspettavo un romanzo di esplorazione narrato dagli occhi di un ragazzo giovane. Ma c'è poca esplorazione e tanta riflessione "sull'amore". Io non sono riuscita a empatizzare con il protagonista. Il finale, tutto sommato, è stato piacevole. Lì si che lo stile poetico si adattava.
Nuno è un ragazzino che vive nella zona del porto di Palos. Ha da poco perso la madre e vive con la zia, che fa la prostituta. Nuno è un ebreo, e per non doversi convertire e non subire ripercussioni, decide di imbarcarsi come mozzo su una nave che sta partendo per una missione impossibile: attraversare l'oceano e giungere fino alle coste della Cina. E si imbarca proprio su una nave che si chiamava Gallega, come gallega era sua madre, e che adesso ha preso il nome di Santa Maria, la più grande della spedizione di tre caravelle, quella su cui viaggia il capitano straniero, proveniente dall'Italia, il religiosissimo Cristoforo Colombo, che proprio alla Madonna è estremamente devoto. Quando il Capitano scopre che Nuno (che lui chiama spesso Diego, come suo figlio) sa scrivere, decide di sfruttarlo come scrivano privato per compilare il suo diario, visto che ha problemi con la mano e molte delle cose che vuole scrivere devono essere tenute segrete all'equipaggio e agli inviati della corona spagnola. Forse perché è figlio e nipote di prostitute, Nuno è un ragazzo che rispetta gli esseri umani e, soprattutto, le donne, e non riesce a comprendere il comportamento sfrenato e l'avidità degli altri membri della ciurma, specialmente quando sbarcano e incontrano gli indigeni. Una bella storia con un bellissimo personaggio, ingenuo e delicato, che ci fa vivere un pezzo di storia fondamentale per l'umanità.
Un viaggio, anzi il viaggio che ha cambiato la vita di tutti, anche di Nuno che è il protagonista e che in questo viaggio (che è la scoperta dell’America) ha trovato l’amore. Infatti è un libro d’amore, perché dai, di che altro vuoi parlare. Oro puro lo si inizia e non lo si vuole più finire e infatti non finisce perché ti rimane dentro.
Do a malincuore tre stelle, è scritto molto bene ma la seconda parte del romanzo è un grande no. Nella prima parte c’è tutto quello che il libro di promette: viaggi, avventura, mare, barche, storia. La seconda diventa noiosa, si perde tutta l’avventura, ma il fulcro della storia diventa la cotta di Nuno, del protagonista, per una ragazza nativa. Bello eh, però a lungo andare stufa.
L’idea è carina e il libro è scritto bene. Peccato che non succeda nulla. Ma proprio nulla. Nada. L’unico evento “emozionante” è a pag 360 (di 437) e dura un capitolo, poi si ritorna alla noia
Questo è il terzo libro che leggo di Genovesi e, a differenza dei primi due ("Il mare dove non si tocca" e "Chi manda le onde") che mi avevano convinta pienamente questa volta ho dei dubbi.
È un libro scritto bene che si divora, il tema principale è certamente allettante ma... il grande MA che mi ha risuonano in testa per tutta la lettura del romanzo riguarda la voce narrante. Ancora una volta Genovesi si appoggia a un giovane dal cuore buono, un ragazzo che ha perso la mamma e conserva uno sguardo dolce e nostalgico sulla storia che racconta. Gli eventi narrati sono così marcati da una perenne ingenuità e purezza che alla lunga rendono la lettura stucchevole. Il personaggio principale è anche capace (Dio grazie) di gesti aggressivi che gli danno un minimo di credibilità ma la parte "buona" prevale quasi sempre e questo dopo un po' annoia e rende la lettura prevedibile. La sensazione è che i personaggi più curati da questo scrittore siano tutte buone persone che si vogliono tanto bene o che hanno subito un grande dolore che spiega i loro comportamenti. La vita è tremenda ma anche meravigliosa, il dolore ti annienta e l'amore ti illumina. The end. Manca l'impulsività, il conflitto, la realtà non patinata e più amara che, alle volte, convince di più.
Romanzo con uno spunto narrativo interessante, con alle spalle una lunga gestazione ed un'accurata ricerca storica, tuttavia non mi ha coinvolta, l'ho trovato noioso.
Partendo dalla lettura dei diari di Cristoforo Colombo e da una mezza riga in cui si narra che la Santa Marìa si incaglió mentre al timone c'era un giovane mozzo inesperto, Genovesi ha immaginato tutto il mondo descritto in questo romanzo, mescolando la storia alla fantasia. Senza dubbio un'impresa non banale, bisogna dargliene atto.
"Oro puro" affronta diversi temi, tra cui: l'amicizia, l'amore, la violenza, la natura e l'avventura. Di fatto, è un romanzo di formazione che mette l'oceano al centro della narrazione, sicuramente un intreccio poco esplorato nella letteratura italiana.
Il protagonista, Nuno, è un giovane ebreo portoghese che si imbarca sulla Santa Marìa per caso, e per caso diventa lo scrivano di Colombo, trovandosi quindi in una posizione privilegiata per poter raccontare il viaggio vissuto.
Il protagonista ci mette a parte dei sentimenti che prova e, anche se il narratore è un Nuno anziano che ricorda il periodo più significativo della propria vita, lo stile è quello di un ragazzo di sedici anni con una scarsa istruzione, che vive i propri turbamenti e le proprie ossessioni come qualsiasi altro adolescente.
Viviamo la meraviglia, l'innocenza e il disincanto del protagonista, il problema, però, è che la trama non avvince, non ci si identifica nei personaggi, che non evolvono davvero, e ci si annoia.
Penso che qualche pagina in meno avrebbe potuto alleggerirlo, in ogni caso non sono riuscita ad apprezzarlo fino in fondo.
Era iniziato benissimo, ho amato tutta la prima parte del viaggio sulla nave, poi da quando il protagonista incontra “Lei” è diventato un libro diverso, ripetitivo e tutto incentrato sulla fissa del giovane protagonista per la ragazza. Carino comunque il finale.
Conoscendo l'autore credo che fosse sua volontà trasformare un romanzo d'avventura basato su un'idea avvincente in qualcosa di più profondo e ricco. E riesce nel suo intento ma ne esce un cross-over interessante ma piuttosto lento, che si fa leggere, ma senza troppo entusiasmo
Diciamo subito che la prosa è terribile. Andrebbe denunciata al tribunale dell'Aja per crimini contro l'umanità. La lentezza del testo non si riesce a sopportarla e per fortuna io sono un lettore piuttosto veloce. Anche perché nel modo in cui è narrata la storia, sembra una stasi che dura per circa quattrocento pagine. E dico, ci vogliono duecento pagine solo per arrivare nei Caraibi senza colpo ferire, non una tempesta, non una descrizione del mare se non qualcosa di difficile comprensione ostacolato da una montagna di virgole. Il protagonista, che poi ha tutta una storia, insomma, si scopre poi che è il figlio di Giuseppe Baffo, mica un figlio di putt. qualunque, anzi IL figl.di.putt. (lì per lì mi sono chiesto un po' cosa servisse dargli finalmente un albero genealogico a fine romanzo), oltre a essere fastidioso e introverso ha una incredibile carriera a bordo: sa infatti scrivere. E' come avere un astrofisico a bordo. Ma come, il dottore di bordo non sa leggere? Perché qui si rimpiange Maturin, l'amico di Jack Aubrey, sebbene a separarli ci sono circa 300 e fischia anni di storia. Ma non solo, Nuno, o Diego, ha anche una calligrafia degna di nota, che serve come espediente per farci scoprire quanto è petulante Colombo (senza nemmeno un "belìn" in tutta la storia) e che ogni volta risponde alla domanda sbagliata. Ma assai più Diego Sanchez, ci guida attraverso la scoperta delle americhe un po' imboccandoci come bambocci nell'osservare gli indigeni che fumano il tabacco (e già parlandoci delle Marlboro), con Lei. Lui e Lei, l'indigena bellissima che ci traghetta fino al ritorno nell'unica tempesta peggio descritta della storia della letteratura. Insomma, è un romanzo che ha un che di nostrano, nel senso di narrativa italiana con tutti i suoi pregi e difetti. All'autore però non perdonerò mai le trincee di virgole.
È il primo libro che leggo di Genovesi, bella narrativa, descrizioni dettagliate e storia scorrevole; sicuramente ne leggerò altri. Mi è piaciuta molto l'empatia che si crea fin da subito con Nuno e l'idea di avventura e ignoto che che caratterizzano l'inizio del viaggio e tutta la prima parte del libro. La seconda parte cambia tono e sembra più incentrata sui sentimenti, piacevole comunque l, ma si perde il ritmo coinvolgente e misterioso della prima parte. In ogni caso lettura piacevole, consigliato.
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Sulla rotta verso l'ignoto. Un mondo nuovo, non quello che Colombo cercava, si presenta. Inaspettato, sconcertante e bellissimo come solo le terre colorate dei mari caldi possono essere. Non la reggia raccontata da Marco Polo, non le ricchezze tanto attese, non la Cina con i suoi sovrani le sue spezie e il suo oro. Colombo e il suo "scrivano" Nuno, il protagonista del romanzo. Una grande avventura umana, esistenziale e sentimentale, attraverso scoperte, amori, intrighi, svela come la scoperta occidentale delle Americhe nasconda violenze, soprusi, e un malinteso concetto di civilizzazione. "Sulla riva tra il mare e la terra, che da sempre e per sempre si toccano e si danno a vicenda una forma, si incontravano due mondi che non si erano mai sfiorati, mai nemmeno immaginati, e cercavano di capire come guardarsi, come accostarsi, come ripartire adesso che esistevano l'uno per l'altro." Grazie a Fabio Genovesi per Oro puro. Buona lettura
Qualcuno nella recensione ha titolato la lettura di questo libro “La ballata di Fabio Genovesi”. Altro che “ballata”, Genovesi ha fatto una vera e propria “navigata” nel mare grande, anzi, nel misterioso oceano della vita di un personaggio al quale ha dato un nome strano. Si chiama Nuno, un nome di origine portoghese, derivato dal latino “nunnus”, nonno, oppure “nonnus” monaco. In spagnolo troviamo il termine “nuño”. In portoghese c’è anche la variante femminile.
Palos, Spagna, agosto 1492. Nuno ha sedici anni, ed è un granchio. O almeno questo è il soprannome che gli ha dato sua madre, morta pochi mesi prima, di cui Nuno conserva un ricordo che è dolore e luce insieme. Pur vivendo sul mare, Nuno non ha mai desiderato solcarlo, e preferisce guardarlo restando aggrappato alla terra, proprio come fanno i granchi. Finché, per una serie di circostanze tanto sfortunate quanto casuali, deve imbarcarsi su una nave di cui ignora la destinazione. Si tratta della Santa María, a bordo della quale Cristoforo Colombo scoprirà — per caso e per sbaglio — il Nuovo Mondo. Mentre Nuno si renderà conto, lui che di navigazione non sa nulla, di condividere lo smarrimento coi suoi compagni molto più esperti: tutti spaventati da quell’impresa folle e mai tentata prima. Avendo imparato dalla madre a leggere e scrivere, Nuno diventa lo scrivano di Colombo, e trascorrendo ore ad ascoltarlo sente crescere l’entusiasmo per i grandi sogni di questo imprevedibile esploratore visionario. Attraverso lo sguardo di Nuno, percorriamo il viaggio più importante della storia dell’umanità: i giorni infiniti prima di avvistare terra, fino alla scoperta di un mondo nuovo, una nuova umanità, una nuova, diversa possibilità di intendere la vita. In questo Paradiso Terrestre, Nuno imparerà quanta ferocia, quanta avidità possa motivare le scelte degli uomini, ma anche la forza irresistibile dell’amore, che lo travolgerà fino a sconvolgere i suoi giorni e le sue notti.
Un libro che può essere definito enfaticamente sia poetico che poderoso (438 pagine), uno di quelli il cui finale, forse, vale la lettura delle pagine che lo precedono. E apre un mondo nuovo. Siamo nel 1492, a Palos, un porto paludoso della Spagna meridionale. Un romanzo storico atipico, collocato in uno di quei momenti fondamentali nella storia del mondo. Lo abbiamo tutti nella memoria, dove la storia ha un prima e un dopo: la nascita di Gesù, la Rivoluzione Francese e quando Cristoforo Colombo, per l’appunto, scopre l’America.
Io il libro l’ho letto in versione Kindle, e data la mole dell’opera, va detto subito che un libro di questo genere va letto in versione cartacea. Una narrazione di questo tipo, bisogna avere la possibilità di averla tra le mani, soppesarla, sfogliarla, guardarla, proprio come quell’oggetto di cui porta il titolo e il nome. La copertina la dice tutta. L’immagine dorata di un uccello che vola oltre il tempo e lo spazio e si misura con l’infinito.
Il tutto avviene nella mente del protagonista Nuno, nel quale l’autore si identifica sino alla fine. Se guardate bene la sua immagine, non potrete non convenire che Nuno è Genovesi e Genovesi è Nuno. Non conosco, nè l’ho mai incontrato, non l’avevo mai letto prima, ma devo dire che Nuno mi sembra proprio lui. Non a sedici anni, ovviamente, ma un pò più avanti in età. Faccia da marinaio, aperta, leale, sincera. Mi sarebbe piaciuto tanto vedere anche una immagine di “Lei”, quella mitica figura di donna che occupa tante pagine del suo libro e della sua mente.
Mi sono andato a rileggere sul tablet tutte le evidenziazioni che ho fatto durante la lettura. Grandi, straordinarie descrizioni narrative che si imprimono nella mente del lettore come virtuali videoclip della sua avventura. A Nuno non interessa molto la grande storia, interessano le storie delle persone, degli uomini di bordo, i loro legami e i loro sentimenti, interessa sapere perché la zia Blanca l’avesse messo così in guardia dall’innamorarsi. Ma quando se lo chiede, è già troppo tardi.
Ciò che palpita ed è interessante nella narrazione non sono tanto i fatti o i personaggi della storia, ma lo sguardo che Nuno ha per ognuno di essi. La sua attenzione ai dettagli, sia quelli interiori, della mente e nella mente dei suoi personaggi, che in quelli esteriori, nella osservazione, nello studio attento sia del mare che della terra. Memorabile il momento in cui, Nuno/Genovesi, incredulo, osserva lo sbarco degli Spagnoli davanti alla giungla nel Nuovo Mondo, forata dagli occhi dei nativi nascosti nell’ombra, umida e cupa.
In quel mattino fuori dal mondo e dal tempo, Nuno ci fa capire, a distanza di cinquecento anni, che quei momenti avrebbero cambiato per sempre sia il mondo che il tempo. In uno scenario davvero nuovo, terre e mari, piante e animali, pesci, uccelli e occhi che non si erano visti né sognati mai, un drappello di signori eleganti, secondo gli standard spagnoli, in modo molto scrupoloso, si mette a leggere a voce alta l’atto con cui prendono possesso di un intero mondo. In questo sommo gesto burocratico c’è lo splendore assurdo della scrittura e del documento, della mappa che determina il mondo, e non il suo contrario.
Ma in quella foresta fitta c’è anche il primo sguardo di una fanciulla, che da lì a poco diventerà Lei, la donna assoluta. Tutto ciò che Nuno vede e pensa, Genovesi lo fa diventare davanti agli occhi del lettore “Oro puro”. Dove si trova, l’oro puro? Forse, ci dice Nuno, nelle pagine che seguono, non nelle grandi o nelle piccole azioni, nemmeno negli oggetti o nei possedimenti.
Non è una città, una miniera, non è nemmeno quello delle persone. È, invece, il tempo che hai a disposizione con loro: anche solo tre anni, tre soli anni. Quanto basta per caricare la vita di tutti i significati necessari. E scrivere, con l’Ammiraglio, una certa lettera, che poi però non è mai partita, per errore, o sfortuna, o paura, o tutte e tre queste cose insieme. E che avrebbe potuto cambiare ogni cosa.
Nonostante le ottime premesse, ho trovato il libro lento, noioso e onestamente anche un po’ superficiale. Il contesto storico rimane sullo sfondo senza alcun vero approfondimento (soprattutto il viaggio in nave all’inizio mi è sembrato assurdo: nessuno muore per malattia, avvelenamento di cibo, nessuno impazzisce, neanche una tempesta, a parte quelle due grandi onde sul finale?) Ma soprattutto non ho apprezzato lo stile, che ho trovato eccessivamente forzato, sempre alla ricerca della metafora, della “frase a effetto”, del tipo: Come XXXXXX (metafora lunga venti righe). Poi improvvisamente accadde l’impensabile. Come XXXXXX (altra lunga metafora) Lui cadde. Nel vuoto. Degli occhi. Lei. (Chiusura a effetto)
Voto 2. A malincuore un voto basso. Mi ha deluso molto questo libro. Ricco di spunti e temi interessanti che però sono stati trattati in maniera frettolosa... libro che parte benissimo, ma scade in una parte centrale noiosa da non sapere come fare ad andare avanti. Finale meraviglioso con mille spunti di riflessione che però non sono stati trattati a fondo, forse per la fretta di chiudere la narrazione. Poteva essere un libro su Colombo "diverso", anche molto bello, ma che è stato trattato male (non intendo a livello di italiano, in cui Genovesi è bravissimo), a livello di tematica e analisi dell'argomento. Ovviamente è il mio parere e sono aperta a altre opinioni 😊
Mi spiace ma il giudizio non è positivo perché ho trovato il libro estremamente noioso, ripetitivo e superficiale. Peccato, mi aspettavo molto di più da Genovesi, che ho apprezzato molto nei libri precedenti
“La mamma aveva ragione quando diceva che al mondo c’è chi è bravo a parlare, chi a raccontare, a convincere, a cantare o incantare, ma a me veniva bene la cosa più rara: ascoltare” La scoperta dell’America è stato davvero un passo avanti per l’umanità? Se sì a che prezzo?Questa è la storia della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo dal punto di vista, modernissimo, dell’ultimo mozzo della Santa Maria. Ma, soprattutto, è un grande romanzo di mare, vero protagonista dalla prima all’ultima pagina e metafora della vita. Non siamo di fronte a un capolavoro, questo va detto subito, però il romanzo rimane godibile e, per quanto riguarda me, l’ho letto volentieri. Se qui l’originalità non è nella scrittura, che non affascina ma si lascia leggere, lo è a mio parere molto il punto di vista di un uomo contemporaneo (tale è immaginato Nuno, il protagonista) su un fatto del 1492 tanto rivoluzionario. Figlio di una ex prostituta che sa leggere e scrivere, Nuno impara quest’arte insieme a lei al porto di Palos, dove la madre, che ha lasciato la professione alla nascita del figlio, scrive lettere d’amore su indicazione dei marinai di passaggio. Costretto a lasciare Palos per la persecuzione di chi non era di religione cattolica Nuno si trova per un caso non voluto ad essere assoldato come ultimo dei mozzi sulla Santa Maria, la più grande delle tre caravelle in partenza verso mari e terre sconosciute con altissimo rischio di non tornare mai più. Proprio lui, che ha sempre amato rimanere attaccato alla terra come i granchi! Il Capitano Colombo scopre che Nuno sa leggere e scrivere e lo assolda durante il viaggio come suo scrivano per tenere il diario di bordo. Il romanzo, nel descrivere il viaggio, narra anche dell’umanità persa che è a bordo delle caravelle (molti sono condannati a morte che tra la morte certa e la morte probabile hanno optato per quest’ultima), nell’attesa, nella paura, nello sconforto e nel desiderio di tornare a casa, se mai ciò fosse possibile, fino all’arrivo in un’isola sconosciuta e all’incontro con gli indigeni. Popolazione buona e che li adora come divinità, pronta a regalare ai nuovi arrivati ciò che per loro è più prezioso, benché nulla di tutto questo abbia valore per Colombo e gli altri. I naviganti continueranno a cercare ciò di cui a loro parere le Indie, dove credono di essere arrivati, dovrebbe essere ricca, l’oro. Non trovano invece nulla che a loro parere meriti ma si accorgono di quanti frutti, alimenti e cose nuove le isole dove sono arrivati siano portatrici. La bellezza, il mare limpido, la pace di queste isole le rende comunque un paradiso che Colombo e i suoi non vedono l’ora di fare proprie, conquistare e saccheggiare, considerando gli indigeni loro proprietà, quasi oggetti. Nuno si innamorerà perdutamente di una di loro, assisterà al male che possono fare gli uomini ad altri uomini incolpevoli, soffrirà questo processo con lo sguardo sgomento da ultimo tra gli ultimi ma che vede più lontano degli altri. Oro puro ci accompagna poi nel travagliato e periglioso viaggio di ritorno fino ad accennare alle spedizioni che seguiranno quella di Colombo mentre Nuno invecchia e si domanda come diversamente sarebbero potute andare le cose. Il racconto non vuole essere una precisa ricostruzione storica ma solo un romanzo che nel narrare un evento di così grande portata, in mezzo a tante luci ha avuto anche molte ombre. Non va cercata quindi la precisione dei fatti ma va letto con l’animo di chi vuol provare a leggere la scoperta del nuovo mondo con gli occhi disincantati di chi è consapevole di quanto male possa fare l’uomo nel suo progresso. Ma Oro puro è anche una grande storia di umanità perché sono proprio tutti gli uomini con i quali Nuno avrà a che fare, ad essere protagonisti della storia.
3 agosto 1492: si parte. La storia la conosciamo tutti; possiamo così concentrarci su altre vicende, quasi insignificanti, ma ben più universali di un qualsiasi atto notarile. Quindici anni fa, Fabio Genovesi leggeva, nei diari di Cristoforo Colombo, un passaggio che attribuiva a un giovane mozzo inesperto l’incagliamento e la distruzione della Santa Maria. Con i resti della nave, venne costruita la fortezza nota come La Navidad, primo insediamento europeo nell’odierna Haiti. Ufficiali, re ed esploratori costituiscono però lo sfondo del romanzo, incentrato sul sedicenne Nuno, abitante di Palos e figlio di una prostituta ebrea, chiamata la Vedova, o la Gallega. La donna è una figura indipendente e, insieme al signor Nuno, dal quale il giovane prende il nome, insegna al figlio i fondamenti della lettura e della scrittura.
Nuno, il ragazzo, cresce nella Spagna da poco riunificata, dopo secoli di Reconquista, e subisce gli effetti del Decreto dell’Alhambra, con cui il re Ferdinando il Cattolico sanciva l’espulsione dai territori del regno di tutti gli ebrei che rifiutavano di convertirsi al cristianesimo. Un evento storico che, per molti spagnoli di origini ebraiche, fu molto più rilevante dell’imminente scoperta delle Americhe. Nuno però è fortunato. Per una serie di coincidenze, viene imbarcato su una nave che lo porta prima alle Canarie e poi in mare aperto, da dove nessuno – così si diceva – era mai tornato. Fortunato, sì, ma fino a un certo punto. Lo scalo alle Canarie è un momento significativo. È quel passaggio intermedio, prima del grande salto, dove molti tendono a fare un passo indietro. L’arcipelago è il primo ostacolo, nelle vesti seducenti di un’isola paradisiaca, in cui abitano nativi che guardano soltanto il mare, «e sono contenti così». E Nuno è tentato di fermarsi tra quelle genti, magari per assistere il frate eremita che ha conosciuto, ma – ancora una volta – un vento invisibile lo sospinge contro la sua volontà, un po’ come Giona in fuga, riportato alla sua dimensione.
Nuno ha sedici anni ed è costretto a lasciare la sua Palos in Spagna. Per errore viene scambiato come sostituto di un mozzo che non si è presentato alla partenza delle tre navi che cambieranno la storia. Siamo nel 1492, la Nina la Pinta e la Santa Maria si stanno preparando a salpare, proprio su quest'ultima, Nuno troverà tutto quello che la vita può offrire, dolore gioia, tragedia e meraviglia. Nuno non è un marinaio, sta malissimo a bordo, ma ha una dote rara per quel tempo, sa leggere e scrivere, così quando il capitano viene a conoscenza di questo fatto, lo invita a scrivere sotto sua dettatura il diario di bordo, diventa così lo scrivano di Cristoforo Colombo. La scoperta delle Americhe ha cambiato la visione del mondo ed è accaduta per caso. In questo libro che parla della storia del viaggio dell'uomo, si percepisce lo studio che l'autore ha intrapreso grazie ai diari di Colombo. Da questi resta colpito da una vicenda di poche righe: la Vigilia di Natale, la Santa Maria viene affidata ad un mozzo inesperto, la nave si incaglia e resta al molo per essere riparata. Non vi sono altre indicazioni di questo mozzo, ma lo ritroviamo costruito nella fantasia di Genovesi che lo prende e lo rende protagonista. In questo viaggio epico, l'uomo poteva riscattarsi da un millennio di guerre e malattie, avrebbe potuto cambiare strada. Invece la reazione dell'uomo occidentale di fronte alla bellezza del luogo e alla disponibilità degli indigeni è una sola: prendiamo tutto quello che possiamo portare via e distruggiamo tutto il resto. Oro puro, dà il titolo al libro perché gli indigeni che incontreranno gli esploratori, gli faranno dono di pezzi d'oro. Lo donano come se fosse normale, senza pretendere nulla in cambio e senza sapere che quello sarà il primo passo verso nuove guerre. Per Nuno invece, l'oro puro sarà la visione di una ragazza della quale si innamorerà. Il messaggio che ho colto, è quello dell’avidità dell'uomo e anche se ogni tanto affiorano sentimenti buoni, l'ineluttabile voglia di prevalere sugli altri, ha sempre il sopravvento.
Quando la disperazione può diventare un abbraccio di seta. "Changing our ways, taking different roads". E tutto attorno a te muta colore, forma, percezione. Ho cozzato su 'Oro Puro' - ignavo di cotanta penna - dopo aver sentito una presentazione del suo autore, scoprendovi un affabulatore con una voce narrante che è un maestrale pronto a incunearsi ovunque, soprattutto tra le pieghe di queste 444 pagine.
Una rivelazione, un'epifania. Quante ne puoi avere lungo la vita? Quella sempre troppo occupata a strappare e mordere e remare contro? Remare, già. 'Risospinti senza posa nel passato'.
'Oro Puro' è un viaggio smisurato lungo un oceano tenebroso di onde che accarezzano e cauterizzano. Una storia che raccoglie tutti gli 'altroquando' del mondo, i mai adatti, gli ultimi degli ultimi, quelli che non hanno voce ma se sussurrano frantumano i vetri. Anche delle nostre esistenze. Per imparare a sentirci vivi e tendere una mano. Un libro a suo modo politico e vergato con una sensibilità femminile e introspettiva che accoglie e contiene una immensità di acqua e pensieri. Sta dunque a noi prendere e comprendere l'abisso bellissimo che Fabio Genovesi ci ha disegnato addosso. Perché siamo navigatori costretti ad andare, andare, andare. Anche se non sappiamo di essere in partenza. Un porto (e un posto) ci accoglierà sempre.
"Quel mattino, Venerdì 3 agosto 1492, mentre il porto di Palos ci spariva dietro e l'acqua senza fine ci prendeva con sé, il mondo intero ancora non esisteva. Andavamo noi a trovarlo."
Un romanzo con molte pagine belle, ma anche qualche ingenuità. D’altronde, il tema è tanto controverso da far tremare le vene e i polsi, soprattutto in questi anni di radicale revisione del passato coloniale e precoloniale (a partire dal lessico, su cui invece questo romanzo casca più di una volta). Ho molto apprezzato il punto di vista: quello di un giovane ebreo, mozzo, ultimo degli ultimi, con sguardo innocente e appassionato, quasi un “Candido” alla Voltaire. Peccato per le troppe tirate sentenziose: ogni occasione è buona per fare affermazioni sapienziali sulla vita, sull’amore, sul mondo (“L’amore è…”, “La vita è…”: mannaggia al verbo essere con funzione di copula!) che scivolano nell’effetto Baci Perugina. Alla fine, ne emerge una visione delle cose un po’ scontata, ovvia, che non può non destare il favore di tutti. Sono proprio queste, temo, le “verità” più pericolose da sbandierare: quelle che non dividono nessuno, un po’ qualunquistiche, che che ci rassicurano e ci fanno sentire a posto con la nostra coscienza, senza interrogarci e turbarci. L’estrema complessità dell’argomento avrebbe potuto stimolare l’occasione per una rilettura più profonda e “storica” (non moralistica ma critica) dell’eurocentrismo, della perdurante e presuntuosa idea di Occidente. Purtroppo, non è questo il caso. Si tratta comunque di un romanzo godibile alla Fabio Genovesi: con ironia (spesso un po’ facile, “toscanaccia”), buon ritmo, passione, qualche accensione lirica ma senza quella melassa retorica tipica di molti autori italiani.
La storia di Nuno ci offre una prospettiva nuova e insolita sulle vicende che hanno accompagnato la scoperta dell'America di Colombo. L'ultimo degli ultimi, il mozzo, assurge per caso fortuito a mano destra del Capitano Colombo e scrive di suo pugno i diari della navigazione. C'erano molti agganci per rendere questo un buon testo, di avventura, di esplorazione, di scoperta del sè e dell'altro (questo, in effetti, c'è). Genovesi però sceglie la via intimistica, della riflessione filosofica sull'Altro, ci porta ad indagare sugli effetti catastrofici che questa scoperta ha avuto sulle comunità indigene delle Americhe. Tutto sacrosanto, innegabile, quasi doloroso nella sua spietatezza. A tratti, incredibilmente noioso . Si trova a ripetere concetti triti e ritriti, il romance della storia fa venire il diabete, il protagonista è insopportabile da quanto sia inerme alla vita. .
Grande delusione a mio avviso, per un autore che adoro e che avrebbe potuto fare meglio con questa opera. La scelta stilistica pesa sulla struttura del testo e lo affossa.
So che le cinque stelle che do io nelle valutazioni sono poco affidabili, ma questo libro mi è piaciuto davvero davvero tanto. Lo dico in senso positivo, ma non sembra nemmeno un libro scritto da un italiano! Ho trovato piacevole il modo con cui il colonialismo viene raccontato tramite gli occhi di Nuno: il tema non viene trattato con gli occhi di uno del 21 secolo (come qualche scrittore americano avrebbe fatto) e Nuno non diventa paladino degli ultimi, ma un semplice ragazzo che osserva e non condivide tutto quello che viene fatto in nome della scoperta.
Unico aspetto negativo è che spesso i pensieri di Nuno si ripetono da capitolo a capitolo, quindi magari nel capitolo 23 (faccio esempio) lui fa certi ragionamenti sull'amore, che vengono ripresi e ritrattati quasi allo stesso modo nel capitolo 24. Ma comunque problemi da poco, nulla che possa rendere la lettura spiacevole.
Lasciatemelo dire: l'ho amato. Tutto di questo libro è perfetto, la storia è interessante e coinvolgente (sia da un punto di vista storico che da un punto di vista umano), i personaggi si evolvono in ogni pagina, la storia d'amore è dolce e pura e la scrittura... La scrittura. Di solito annoto molto, ma qui? Ho commentato una sola pagina perché questo libro dice già tutto. Mi sono innamorata di questa storia e del modo dell'autore di descrivere le emozioni. La prima parte del libro mi ha preso veramente tanto, molto triste ma a ragione, la parte centrale è affascinante e mi ha scaldato il cuore, la parte finale è stata un pugno nello stomaco dopo l'altro fino alla fine. Davvero DAVVERO adorato.
Questo romanzo è la storia del viaggio di Cristoforo Colombo verso quello che lui pensava fosse l'Asia, raccontata da Uno un mezzo imbarcato poco prima della partenza grazie al fatto. Numo sale ed è un ragazzino torna dopo sette mesi che in meno di un anno è esponenzialmente cresciuto grazie all'esperienza di quel viaggio tra marinai ufficiali e Colombo che lo tiene sotto la sua ala protettrice perché Nino sa scrivere. Viaggio che lo arrivo chisce e lo svuota svelandogli parti della sua vita a lui sconosciute e che gli fa trovare l'Amore. Amore raccontato e vissuto in varie sfumature la principale è la dolcezza ma ognuno vive la sua forma.