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El mar no banya Nàpols

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Som a principis de 1950, els soldats americans que van aterrar a Nàpols durant la Segona Guerra Mundial encara no n’han marxat i són només un teló de fons d’aquests relats narrats amb un detallisme cru i visceral. Ortese ens mostra una ciutat perduda que, quan l’aconsegueix enfocar, es revela encara més bruta, més pobra i més tràgica, plena d’una realitat intolerable, impossible d’acceptar. Convertit en un tot un clàssic europeu, el recull de relats d’El mar no banya Nàpols va captivar escriptors com Italo Calvino i Elena Ferrante, però inicialment va causar indignació a la ciutat, potser perquè les contradiccions que assenyala s’han acabat sedimentant com una gran metàfora de l’esperit de la segona meitat del segle XX.

256 pages, Paperback

First published January 1, 1953

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About the author

Anna Maria Ortese

48 books106 followers
Born in Rome in the year 1914, Anna Maria Ortese grew up in southern Italy (primarily Naples) and in Lybia, the fifth of nine children of a soldier's family often short on money. Like many poor girls of her generation, Ortese left school at age thirteen, initially with the idea of studying (and then, teaching) music in mind; until the discovery of literary romanticism, particularly the writings of Edgar Allan Poe and Katherine Mansfield, and her need for creative self-expression made her turn to writing.

She eventually studied with Massimo Bontempelli, proponent of the "magical realism" she herself would soon make her own as well, and in 1937 published her first collection of short stories, entitled "Angelici Dolori." Her work garnered her native Italy's most prestigious literary prizes (most notably, the 1953 Premio Viareggio for the collection of stories "Il Mare Non Bagna Napoli" – published in English under the title "The Bay Is Not Naples" - and the 1967 Premio Strega for the novel "Poveri e Semplici"), and she is considered one of the foremost Italian writers of the 20th century.

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Profile Image for Davide.
508 reviews140 followers
December 10, 2020
Il secondo libro di Anna Maria Ortese è il terzo.

Il mare non bagna Napoli uscì nel 1953, con un risvolto di Elio Vittorini, che in modo significativo saltava del tutto il secondo libro di racconti (L’infanta sepolta, pubblicato nel 1950 nelle edizioni di «Milano Sera», che in effetti passò quasi inosservato) e si ricollegava direttamente al primo, a quel “miracolo giovanile” di Angelici dolori, con una frase che - nel bene e nel male - avrà straordinaria fortuna, continuamente ripresa e citata.

Così Vittorini presentava Ortese nel '53: «Ebbe una notorietà di fanciulla prodigio poco prima dell’ultima guerra, per un libro che Bontempelli chiamò, lanciandolo, Angelici dolori. Sulla strada che si aprì con quel libro essa ha vagato per dieci anni come sonnambula. È stata una zingara assorta in un sogno. Ma ora che si è svegliata, e si è fermata, è Napoli di tutta la sua vita ch’essa si vede intorno, presenza e memoria insieme, e riflessione, pietà, trasporto, sdegno.»

E solo zingara assorta sarà, a lungo, per molti.

Letto per la prima volta adesso (oltre 65 anni dopo), devo dire che il libro accende in me tutt'altre risonanze. Anche anacronistiche, va da sé.

Innanzi tutto appare modernissima e avvincente la struttura complessiva così sghemba, asimmetrica che propone all'inizio due racconti veri e propri (belli): Un paio di occhiali e Interno familiare; prosegue poi con due pezzi che ruotano intorno al reportage giornalistico: Oro a Forcella e La città involontaria e si conclude con Il silenzio della ragione, un testo indefinibile (ci proverò dopo...), che da solo tiene quasi la metà del libro.

Equilibrio instabile, dunque.

E nell'insieme? non-fiction novel di racconti?
Meglio: un unico dipinto, fatto di cinque pezzi che sempre hanno del narrativo, del saggistico e del lirico ma li rimescolano in modo diverso. E che comunque, in comune hanno sempre, oltre all’ambientazione napoletana, una straordinaria capacità di descrizione allucinata di momenti di visione eccezionale.

Proviamo a fare i necessari accostamenti: dal racconto iniziale prelevo il primo sguardo sul mondo, scintillante, dopo aver infilato per la prima volta gli occhiali, della ragazzina “quasi cecata”, che viene da un “basso” e guarda dal negozio elegante di un occhialaio di via Roma:

«Sul marciapiede passavano, nitidissime, appena più piccole del normale, tante persone ben vestite: signore con abiti da sera e visi incipriati, giovanotti coi capelli lunghi e il pullover colorato, vecchietti con la barba bianca e le mani rosa appoggiate sul bastone dal pomo d’argento; e, in mezzo alla strada, certe belle automobili che sembravano giocattoli, con la carrozzeria dipinta in rosso o in verde petrolio, tutta luccicante; filobus grandi come case, verdi, coi vetri abbassati, e dietro i vetri tanta gente vestita elegantemente; al di là della strada, sul marciapiede opposto, c’erano negozi bellissimi, con le vetrine come specchi, piene di roba fina, da dare una specie di struggimento; alcuni commessi col grembiule nero, le lustravano dall’esterno. C’era un caffè coi tavolini rossi e gialli e delle ragazze sedute fuori, con le gambe una sull’altra e i capelli d’oro. Ridevano e bevevano in bicchieri grandi, colorati. Al disopra del caffè, balconi aperti, perché era già primavera, con tende ricamate che si muovevano, e, dietro le tende, pezzi di pittura azzurra e dorata, e lampadari pesanti d’oro e cristalli, come cesti di frutta artificiale, che scintillavano.»

Dal secondo racconto, Napoli che entra dalla finestra quando il mondo chiuso di Anastasia Finizio è travolto da una possibilità di tardivo amore, del tutto inaspettata; sconvolto non sa più se di speranza o d’angoscia:

«Non si vedeva una nube, la più piccola macchia, ma neppure il sole, e quel poco di muri e cornicioni che apparivano a livello del davanzale – scoloriti, aerei come un disegno – sembravano la bava di un mondo, più che la sua realtà. […] Per quanto l’occhio riusciva a vedere, molte finestre, data la bellezza della giornata, erano spalancate, e si vedeva qua e là una testata di ferro nera ed esile, la coperta bianca di un letto, l’ovale dorato di un quadro nero, un ramo scintillante di lampadario e il parato marrone, a colonnine dorate, di un salotto.»

Così, nel terzo pezzo, appaiono i vicoli percorsi per visitare il Monte dei Pegni con i suoi frequentatori abituali (ora il punto di vista è direttamente quello della scrittrice):

«Non vedevo le lenzuola di cui è piena la tradizione napoletana, ma solo i buchi neri a cui un tempo furono esposti: finestre, porte, balconi con una scatola di latta in cui ingiallisce un po’ di cedrina, vi spingevano a cercare, dietro le povere lastre, pareti e arredi e magari altre piccole finestre aperte e fiorite su un orto dietro la casa; ma non vedevate nulla, se non un groviglio confuso di cose varie, come coperte o rottami di ceste, di vasi, di sedie, sopra i quali, come un’immagina sacra annerita dal tempo, spiccavano gli zigomi gialli di una donna, i suoi occhi immobili, pensierosi, la nera corona dei capelli raccolti sul capo con una forcina, le braccia stecchite, congiunte sul grembo.»

Il quarto è l'attraversamento di un inferno contemporaneo, allucinato, abitato da un’umanità dolente e ostile («Qui, i barometri non segnano più nessun grado, le bussole impazziscono.»), quindi forse è meglio per una volta scegliere un esempio di mancata visione:

«Qualcuno, verso il fondo di questa strada, stava abbrustolendo del caffè, perché all’odore di orina e di umidità, si mescolava ora anche quello più grato dei chicchi bruciati. Il fumo, però, faceva lacrimare gli occhi, e metteva intorno alle lampade minuscole come spilli, un alone più roseo. Passai davanti, non vedendoli che quando mi furono vicini, a un gruppo di ragazzi che giuocavano a girotondo, tenendosi per le mani molto distante, e rovesciando indietro le teste arruffate, con una voluttà più forte di quella di un giuoco normale. Sfiorai ciocche di capelli duri, come incollati, e alcune braccia dalla carne fredda.»

E per l'ultimo pezzo ci sarebbe davvero l'imbarazzo della scelta.
Potrebbe essere l'iniziale percorso lentissimo in tram:

«Sporgendomi dal finestrino, vidi per l’estensione di un chilometro e più, quant’è lunga la Riviera di Chiaia, un vero formicolìo di uomini seminudi, grigio il dorso, grigi i calzoncini, grigia la testa e le mani con cui lavoravano a rompere le pietre. I basoli della strada erano tutti smossi, conferendole l’aspetto di un torrente in piena, le morbide acque, precipitose e oblique, improvvisamente drizzate e pietrificate.»

O il ritorno in strada un po’ sconvolta dopo uno dei colloqui:

«Era l’ora che Napoli si accende e gonfia come una medusa; e le sue ferite risplendono, i suoi cenci si coprono di fiori, e la popolazione barcolla.»

Questa lunga dolente e colorata, accesa, visionaria, pazzesca conclusione, ossia Il silenzio della ragione, merita un discorso a sé.
Nasce dichiaratamente dalla richiesta di scrivere un reportage sugli «scrittori giovani di Napoli» per un rotocalco: Michele Prisco, Domenico Rea, Raffaele La Capria... E il Virgilio di questo viaggio nella scrittura napoletana contemporanea, la guida per chi ritorna dopo un’assenza (Ortese si era trasferita a Milano nel 48), per chi rivede Napoli da una certa distanza, dovrebbe essere il più significativo esponente della generazione immediatamente precedente, la migliore incarnazione delle speranze e dell’impegno dell’immediato dopoguerra, alimentate dalla rivista «Sud» di Pasquale Prunas, dell’adesione degli intellettuali al partito comunista napoletano... cioè Luigi Compagnone.

Ma in realtà, più che un viaggio nel presente per raccontare “cosa fanno gli scrittori giovani di Napoli” oggi, la scrittura inizia a ribollire e il testo diventa non un pezzo giornalistico ma una sorta di incrocio tra la narrazione della preparazione di un reportage giornalistico-culturale e, ancora una volta, una descrizione allucinata della città e poi un viaggio nella memoria, che fa ricomparire a ondate larve di dialoganti, attraverso incontri più fantasmatici, immaginati o ricordati, che attuali, presenti. E una meditazione complessiva sul significato di quelle esperienze.

Il gruppo di «Sud», subito dopo la fine della guerra, aveva cercato di capire la "malattia" del popolo napoletano, smontando «il mito dell’allegria, e ravvisando in quelle esistenze, in quei canti, una convulsa desolazione». Si cercava di proporre una crescita culturale contro il mito del sentimento. La stessa Ortese aveva partecipato. Erano anche gli anni napoletani di Vasco Pratolini (che infatti compare ad un certo punto nel Mare).

Ora sono passati pochi anni ma la visione di Ortese li dilata a distanza abissale, come ritrovamenti di antiche civiltà sepolte nelle sabbie, e la narrazione diventa anche quella del fallimento di un programma di rinnovamento; della fine di una speranza di riscatto per la città.

Dicevo all'inizio che è un testo indefinibile: perché è davvero un saggio di storia culturale, e pure un saggio letterario, ma con una coloritura visionaria invincibile che rimescola sempre le carte.
Non c'entra niente, però la contiguità di letture mi fa venire la forte tentazione di avvicinarlo agli scritti letterari di Bolaño: una critica tutta sciolta nelle descrizioni fisiche degli scrittori, delle case, delle passeggiate, dei dialoghi e degli incontri, e ancor più nelle associazioni fantastiche di pensiero e di immagini.

«Come uscendo da un sogno talvolta cadete in un altro, e il cervello appena desto di nuovo s’oscura e, dentro, una mano invisibile accende ancora miriadi di lampade, vidi persone che avevano riempito tutte le pagine del dopoguerra a Napoli, le rividi senza l’alone allegro del dopoguerra, nei vapori di una sera d’estate.»

Soprattutto, alla fine, proprio Pasquale Prunas, rappresentato come l’epitome della lotta impossibile contro la natura, e quindi come un morto vivente, simbolo delle velleità sconfitte di combattere con la ragione, il pensiero e l’azione culturale contro la strapotente natura:

«un piccolo uomo dal viso appassito, dallo sguardo monotono. Uno che non aveva più il coraggio di alzare gli occhi, di riprendere un discorso, di pensare un pensiero chiaro, logico. La città lo aveva distrutto. E perché non avrebbe dovuto distruggerlo? Tutti erano caduti qui, quelli che avevano desiderato pensare o agire, tutte le lingue si erano confuse ed erano andate a incrementare la dolente vegetazione umana.»

Il libro ebbe successo: ottenne il premio Viareggio 1953 (per la precisione il “premio speciale per la narrativa”, il premio per la narrativa andò a Gadda per le Novelle dal ducato in fiamme); innescò dibattiti (e vorrei vedere!).
Certo i ritratti degli scrittori incontrati non sono dipinti per farsi amare; è proprio il contrario di un reportage ruffiano.
Io ho letto l’edizione Bur 1975, che vanta un'introduzione inutile di Giulio Cattaneo ma ha il pregio di riprendere in copertina un dipinto di uno dei personaggi che fanno capolino nel finale, il pittore Paolo Ricci.
Profile Image for Dagio_maya .
1,107 reviews350 followers
May 10, 2019
Le lenti della borghesia: dal sogno alla realtà.


Cinque racconti in cui serpeggia la descrizione lapidaria di una Napoli distrutta dall'uomo e dalla storia: Napoli che (sopra)vive tra le macerie del dopoguerra.
Vite sotterranee, vicoli umidi dove non si sente neanche il mare perchè ogni vitalità, ogni speranza dell'umano è persa.

"–Ce sta ‘o sole... ‘o sole!– canticchiò, quasi sulla soglia del basso, la voce di don Peppino Quaglia. – Lascia fa' a Dio, – rispose dall'interno, umile e vagamente allegra, quella di sua moglie Rosa,"

Il sole è il primo ad apparire e ritorna costante più volte in tutti i racconti.
Un sole vivo, caloroso, che illumina e s'intrufola in squallidi cortili, in case misere e sui volti orripilanti degli uomini.
Il sole è il sogno, l'illusione che presto, però deve scostarsi perchè il reale si offre agli occhi in tutta la sua drammatica essenza.

Lo sguardo della Ortese è palesemente specchio della borghesia a cui appartiene.
Non nasconde la stizza nel raccontare dei miseri tuguri dove uomini e donne sono storpi, difettosi, mancanti e i bambini ti fissano con sguardi da vecchi.
Non c'è compassione nè comprensione in queste pagine.
C'è , invece, tanto ribrezzo ed amarezza per una realtà che stuzzica solo la voglia di fuggire.

Non a caso, il primo racconto s'intitola " "Un paio di occhiali" ".
Eugenia è una bimba che abita in un basso.
E' brutta, sporca, cisposa e mezza "ciecata". Con ansia attende di avere un paio di occhiali perchè ora ciò che vede è tutto sfuocato, vago e la tentazione del vedere è forte.
Qualcuno l'avverte: " Figlia mia il mondo è meglio non vederlo che vederlo .
Ma il desiderio di uscire dalla nebbia è intenso e la porterà ad un inaspettato epilogo.

Nel secondo racconto ( "Interno familiare" ) cambia il contesto ma anch'esso si determina sull'amaro passaggio dal sogno alla realtà.
Anastasia è una commerciante.
Non è bella ma si presenta con un forte carattere: una corazza costruita nel tempo facendosi carico dell'intera famiglia con il suo lavoro. Non pensa ad una vita sua fino a quando arriva voce del ritorno in città di un antico amore di gioventù. Qualcosa in lei crolla e la fantasia incomincia a prendere il largo progettando una vita a due basandosi solo su un naturale desiderio di essere altro.

Calca, grida, un gran muoversi. Che succede? Una rissa?
" Niente stanno facenno, signò (...)vuie sunnate."
Napoli è anche questo.
Illusione che stia accadendo qualcosa di straordinario mentre in realtà si osserva la quotidianità. Passeggiando si osserva una folla che altrove parrebbe strana: una corte dei miracoli in eterno movimento. Così Ortese osserva nel tragitto per recarsi al Monte dei Pegni.
Il terzo scritto ("Oro a Forcella" ) così come i due seguenti è, di fatti, un reportage di stampo giornalistico.
La scrittrice dunque osserva "un groviglio confuso di cose varie".
Un luogo (quello del Monte dei Pegni) in cui va in scena la disperazione con un copione che nessuno ha bisogni di studiare.
La voce trascinata ed annoiata, per l'abitudine, degli impiegati, il brusìo della folla e le grida disperate di chi recita enfatizzando il suo dramma così da riuscire a scavalcare la fila.

Questo la scrittrice osserva e riporta ma qualcosa di diverso accade :

"Improvvisamente, si fece un gran silenzio, poi un mormorio trasecolato, pieno d'infantile stupore, percorse le tre file dei Pegni nuovi.".

Una farfalla volteggia nella sala, un piccolo sprazzo di poesia s'insinua nella miseria.

Ne "La città involontaria" lo stile giornalistico si fa più evidente.
Ortese si reca al III° e IV° Granili, un imponente edificio risalente alla fine del '700 e situato nella zona costiera della città. Originariamente edificato allo scopo di depositare granaglie e vettovaglie in genere, diventa durante i bombardamenti della II° Guerra Mondiale un rifugio per i senzatetto nonostante sia in parte già danneggiato e pericolante. L'entrata in questo edificio è pari ad una discesa all' inferno("Perché questa non è una casa, signora, vedete, questo è un luogo di afflitti. Dove passate, i muri si lamentano" recita la guida che l'accompagna).
Dopo una prima descrizione tecnica in cui ci fornisce le esatte dimensioni dell'edificio e calcola la popolazione che occupa questi spazi (3000 persone! Una città nella città. Una città nascosta che nasce dal caso ed è quindi involontaria) la scrittrice riferisce dell'ambiente interno senza nasconderne il ribrezzo che le provoca la vista dei volti mostruosi (per essere troppo rigonfi, o al contrario, troppo scavati), l'incontro con "creature profondamente tarate".
Neppure i bambini muovono a compassione "malati nel corpo e stravolti nell'animo, con sorrisi corrotti o ebeti, furbi e desolati nello stesso tempo".

Questo racconto procurò alla Ortese l'etichetta di anti-napoletana per il suo disprezzo della miseria e per passaggi forti come il seguente:

" Perché il III e IV Granili non è solo ciò che si può chiamare una temporanea sistemazione di senzatetto, ma piuttosto la dimostrazione, in termini clinici e giuridici, della caduta di una razza. Secondo la più discreta delle deduzioni, solo una compagine umana profondamente malata potrebbe tollerare, come Napoli tollera, senza turbarsi, la putrefazione di un suo membro, ché questo, e non altro, è il segno sotto il quale vive e germina l'istituzione dei Granili. Cercare a Napoli una Napoli infima, dopo aver visitato la caserma borbonica, non viene più in mente a nessuno."

Lo scritto, a onor del vero, portò alla luce un reale problema della città che probabilmente si voleva ignorare e, in seguito al quale, l'Amministrazione Comunale dovette trovare delle soluzioni per non perdere la faccia.
L'allontanamento da Napoli della scrittrice, tuttavia, è maggiormente attribuibile all'ultimo scritto "il silenzio della ragione" anche esso di stampo giornalistico ma in ben altro contesto, ossia quello intellettuale.
Ortese racconta una genesi che li vede occupati politicamente e socialmente nell'immediato dopoguerra. Impegnati, con stili e linguaggi differenti, soprattutto nello scoperchiare la vera Napoli e smentire la favola dell'eterna spensieratezza.
Avviene poi un graduale e perentorio cambiamento di rotta: dalla anima te discussioni si passa a pacate conversazioni da salotto, dalla preoccupazione del futuro collettivo l'interesse si concentra sulla carriera personale.
In questo modo si spengono le voci della ragione ed il silenzio che ne consegue è pari ad un sonno, un'apatia che Ortese segnala come caratteristica di tutta la popolazione meridionale.
Dichiarazioni ed accuse molto forti che le costeranno caro e la relegheranno ai margini della vita culturale.
Profile Image for The Frahorus.
991 reviews99 followers
January 15, 2019
Prima opera della Ortese che leggo.

Il mare non bagna Napoli è una raccolta di racconti della scrittrice Anna maria Ortese, raccolta che vinse nel 1953 il Premio Viareggio per la narrativa. Questa raccolta contiene i seguenti racconti:
- Un paio di occhiali
- Interno familiare
- Oro a Forcella
- La città involontaria
- Il silenzio della ragione

I primi due sono racconti letterari, mentre i rimanenti tre sono veri e propri reportage giornalistici vissuti dalla stessa autrice.

Ho amato molto il primo racconto, la storia di questa bambina quasi cecata che va con la zia a comprarsi un paio di occhiali e la meraviglia che la avvolge quando finalmente vede tutto, in maniera nitida, il mondo che la circonda. Ma essendo la prima volta che porta gli occhiali inizia a girargli la testa e quasi sta per svenire.
Nel secondo racconto, Interno familiare, la protagonista è Anastasia Finizio la quale mantiene la sua famiglia e non smette di credere in un amore di quando era più giovane.
In Oro a Forcella e La città involontaria emerge tutta la povertà che vi era a Napoli in quell'anno, nel dopoguerra: il primo ci mostra le persone che fanno la fila al banco dei pegni e di un escamotage che inventa una donna pur di passare davanti a tutti, nel secondo l'autrice ci descrive una sua visita nel Palazzo dei Granili in cui vivono molti senzatetto e persone con una povertà estrema (impressionante il corteo funebre del bambino morto i cui genitori non hanno neanche i soldi per una bara).
L'ultimo racconto, Il silenzio della ragione, un finto reportage sugli intellettuali progressisti che avevano fatto parte della rivista "Sud", offese alcuni intellettuali napoletani che furono citati con le loro generalità e rappresentati con le loro invidie e sospetti reciproci. Per questo motivo la Ortese stessa, che faceva parte di quel gruppo di intellettuali, non mise più piede a Napoli per il resto della sua vita.

Ho adorato lo stile di scrittura della Ortese: mi ha affascinato, mi ha ipnotizzato sia nella descrizione delle vie di Napoli che percorre a piedi, sia nella descrizione del popolo che si muove come tante formiche in quei vicoli labirintici e claustrofobici, sia nel carattere dei personaggi che ci pennella. Ne esce fuori una Napoli distrutta dalla guerra e dall'uomo, alla ricerca di un pezzo di pane e di un tetto per dormire, ma con la speranza che non sembra essere morta, come afferma il padre della bambina cecata del primo racconto:

"–Ce sta ‘o sole... ‘o sole!– canticchiò, quasi sulla soglia del basso, la voce di don Peppino Quaglia. – Lascia fa' a Dio, – rispose dall'interno, umile e vagamente allegra, quella di sua moglie Rosa."
Profile Image for Albus Eugene Percival Wulfric Brian Dumbledore.
587 reviews96 followers
October 2, 2020
Lassa fa’ a Dio
Nel 2011, Paolo Poli portò in scena “Il Mare”, uno spettacolo basato su dodici racconti dell’Ortese, tra cui "Un paio di occhiali", splendido racconto di apertura di qiuesto libro. Di lei, Poli dice: “Ha qualcosa della zampata diabolica di Kafka e delle illuminazioni di Joyce”.
Quando «'A dummeneca 'e Pasca d' 'o mille e noveciento», 'o Pateterno, accompagnato da San Pietro (“santo napulitano e, ‘mparaviso, capo guardapurtone”) decide di scendere sulla terra, sceglie proprio Napoli. In Piazza Dante, i due entrano nelle belle “sale ornamentate” del Caffè Diodati e ordinano due mezze limonate.
«Erano 'e ddiece e mmeza
e 'a iurnata era bella. A mille a mille
passiàveno 'e ggente
pe mmiez''a strata e ncopp''e marciappiede
e vedive mmiscate
femmene, uommene, gruosse e piccerille,
nutricce, serve, priévete e surdate...
- Oh, qual vista gentile !
(dicette 'o Pateterno
pusanno 'o cucchiarino)
ma com' è che si dice
caro quel mio Pierino,
che la Terra è infelice?
Ma guarda, guarda un po' che movimento,
che scena pittoresca e che allegria!
Via, son proprio contento!...
Be'?.Pietro?. E parla, vecchio brontolone!
Non sei della mia stessa opinione?
- Sì, rispunnette 'o viecchio e opera vosta
è certamente tutta chesta ccà :
certo: chi 'o ppò nega’?..
Però... Vi siete presa 'a limunata?...
- Si, ho finito... - Embè, usciamo.
Signori, a tutti!...- Buona passeggiata!
-Dunque dicevi? E c' aggia di'?.Guardatel
Tenite mente attuorno!... Che bedite?
Che ve pare?... Dicite.
Dio guardaie spaventato. Mmiez''a strata,
stuorte, struppie, cecate,
giuvene e bicchiarielle,
guagliune senza scarpe,
vicchiarelle appuiate a 'e bastuncielle
scartellate, malate,
e ciert' uocchie arrussute
chine 'e lacreme - e mane
secche, aperte, stennute...
-A carità!...
Sta voce '
e voce a centenara
sentette, a tutte parte,
disperate, strellà:
e quase lle parette
dint' a n' eco e 'a luntano,
sentì 'o stesso lamiento:
- 'A carità!...»...

La poesia di Salvatore di Giacomo racconterà di come ‘o Patre Eterno resterà frastornato alla vista della miseria e delle sofferenze della povera gente e degli esiti finali di una sua decisione.
La Ortese, che ci racconta la Napoli dell’immediato dopoguerra, si sofferma a descrivere, con sincerità e crudezza, proprio l’umanità dolente di cui ci parla Di Giacomo nella sua poesia.
Ma forse, anche a causa dello spaesamento e dei traumi della guerra vissuti in prima persona, la narrazione assume in alcuni momenti toni drastici, con un atteggiamento di condanna verso una realtà sociale cui lei attribuisce “una infinita cecità del vivere”.
Ed è così che, mentre i primi racconti ci parlano con occhio critico ma pacato, della varia umanità che popola e anima la città, la seconda parte del libro, “La città involontaria” e “Il silenzio della ragione”, appaiono forse come un duro J’accuse nei confronti di un intero popolo, sia esso plebe, borghesia o intellighenzia.
Ed è forse per questo che molti interpretarono il libro come una narrazione “contro” Napoli.
Da quel poco che ho letto e ascoltato (illuminante quanto racconta Goffredo Fofi qui http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/...) e da quanto raccontato dalla stessa Ortese nella prefazione del libro, credo che l’intento della scrittrice fosse invece quello di una denuncia di una situazione di degrado fisico e morale di una società che usciva da un’esperienza tragica come quella del conflitto mondiale, che tante ferite aveva inflitto alla città, e della sua incapacità di incanalare le tante energie positive verso un percorso di crescita culturale ed etica, cui avrebbe dovuto corrispondere un affrancamento dalla miseria per le classi più povere.
E così nella prima parte passiamo dal toccante racconto di Eugenia, la bambina “quasi cecata” e i suoi occhiali nuovi costati “ottomila lire, vive vive”, all’”Interno familiare”, palese omaggio all’opera di Eduardo: «Ma la cosa più interessante era il Presepio, una enorme costruzione di cartone e di sughero, opera di Eduardo, che ogni anno cominciava a lavorarci due mesi prima, con la passione di un bambino, strillando come un pazzo se qualcuno lo distrurbava.»
La seconda parte si apre invece con una cruda descrizione delle terrificanti condizioni di vita dei “Granili” (grandioso e degradato edificio pubblico della fine del ‘700, destinato a deposito di grano e vettovaglie, occupato dalle tantissime famiglie dei senzatetto) e prosegue con una feroce critica nei confronti degli intellettuali napoletani, incapaci, a suo dire, di modificare realmente la società napoletana dell’epoca e di essere solo rivoluzionari ‘di facciata’. Compagnone, Rea, La Capria, Prunas, Prisco vengono severamente valutati e giudicati... senza appello.
«Esiste, nelle estreme e più lucenti terre del Sud, un ministero nascosto per la difesa della natura dalla ragione; un genio materno, d’illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è affidato il sonno in cui dormono quelle popolazioni. Se solo un attimo quella difesa si allentasse, se le voci dolci e fredde della ragione umana potessero penetrare quella natura, essa ne rimarrebbe fulminata.»
Una denuncia senza sconti, urticante, che le valse il rancore e forse l’odio di molti, tanto da indurla poi a lasciare Napoli senza farvi più ritorno.
Ma, in fondo, Pinuccio e la sua tazzulella ‘e cafè raccontavano forse la stessa realtà... https://www.youtube.com/watch?v=XYTO7...
Profile Image for wutheringhheights_.
581 reviews200 followers
March 25, 2022
Bellissimi racconti e scritti. Soprattutto il primo racconto Un paio di occhiali mi ha colpito molto, per la commistione di tristezza, disagio, povertà che si avverte. E la purezza triste della bambina, a cui vengono comprati un paio di occhiali da vista - Ottomila lire vive vive sono costati - colpisce al centro dello stomaco. Tanta è la povertà in quella casa, che forse sarebbe meglio continuare a vederci malissimo. La madre malata, i parenti cenciosi, la zia che si lamenta in continuazione per gli occhiali, e per tutto; la padrona di casa, la marchesa, piena di falsa generosità. Ad un certo punto regala alla bambina un vestito tutto rattoppato, e lei, ancora senza occhiali, si meraviglia perché le sembra nuovissimo. Più tardi la madre dirà, mentre lo tiene tra le mani, è da buttare.
Profile Image for Domenico Fina.
291 reviews89 followers
September 25, 2020
Cinque prose, le prime due sono racconti, impressionanti, il secondo “Interno familiare” è un capolavoro. La terza e la quarta prosa sono rappresentazioni documentaristiche della miseria vissuta in luoghi come Forcella e nei Granili (dove vivevano i senzatetto). Il quinto è uno scritto riguardante la gioventù intellettuale napoletana, brillante o meno (descritta in preda a un fatale immobilismo).

Detto ciò, opplà, salto le polemiche che caratterizzarono il libro. Mi preme soltanto dire che Anna Maria Ortese ha scritto alcuni dei migliori racconti della letteratura italiana del Novecento, avrei desiderato che ne scrivesse di più. “Interno familiare” è degno del miglior ‘Gogol. Eccovi alcune righe:

Terribilmente infelice, la sorella maggiore dei Finizio, non aveva nessuna espressione, e i suoi momenti più tristi erano anche quelli perfettamente banali. C’era della stupidità, nella sua mente, ecco tutto, benché qualche volta se ne accorgesse, una sonnolenza, come l’effetto di uno sforzo sostenuto molti secoli indietro. Non poteva pensare, vivere. Qualche cosa era vivo in lei e neppure poteva dirlo. Questa era la sua bontà, la sua forza, questa incapacità d’intendere e di volere una vita sua. Soltanto ricordare poteva, di quando in quando vedere, e poi subito quel lume, quel paesaggio era spento. Ricordava Antonio come fosse ieri: non alto ma solido come una colonnetta, coi capelli castani e la pelle scura, e quei suoi occhi tristi, di uomo, e la bocca dai fitti denti, bianca nel sorriso; e quei suoi modi affettuosi, quasi venati di pietà, che aveva con tutti, quasi tornasse sempre da lontano: «Come state, Anastasia?». «Che volete, la vita è uguale...». «È vero, ma potrebbe essere più bella». (E chissà che cosa alludeva con quel «più bella»).
Profile Image for Giulia.
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September 7, 2025
"Figlia mia, il mondo è meglio non vederlo che vederlo".
Profile Image for Sara (Sbarbine_che_leggono).
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August 2, 2022
“Il mare non bagna Napoli” l’ho ascoltato in primavera e la prosa di Anna Maria Ortese per me ha la voce di Iaia Forte.

Seguendo il tono, ascoltando le pause mi sono addentrata nei vicoli tortuosi della Napoli misera e rassegnata del dopoguerra. L’ho osservata deformarsi attraverso gli occhi miopi di Eugenia (“Un paio di occhiali”). Srotolarsi e nascondersi - serpente ferito - nell’oscurità dei Granili, rifugio per i più poveri tra i poveri (“La città involontaria”).

Nei racconti di Anna Maria Ortese c’è questo bisogno di vedere la realtà, accompagnato da un anelito alla deformazione, al camuffamento. La critica ha parlato infatti di “realismo narrativo di tipo visionario”: la scrittrice ha bisogno di vedere la realtà, ma la realtà è dolorosa, la fa inorridire. È così raccapricciante da diventare nei suoi racconti “orrido fantastico” - orrido che denuncia e non è mai inquinato dal sentimentale.

La Ortese racconta tutto - anche i pensieri più meschini - senza imbellettamenti, in modo distaccato. Lo fa in “Interno familiare” ad esempio, quando con lucidità e senza attenuanti punta la lente di ingrandimento su una madre crudele, sulla figlia infelice e su tutta la sua famiglia in un giorno di festa.

Racconta una Napoli grottesca e disumana - o forse troppo umana - in “Oro a forcella”: gli uomini sono larve, le donne instupidite e nevrotiche e i bambini pallidi e macilenti.

Il racconto che è costato all’Ortese “l’esilio” (“Il silenzio della ragione”) è l’unico che non mi è piaciuto, che per me è invecchiato male. Racconta e critica gli intellettuali napoletani degli anni ‘50. Immobili, accomodati e ciechi.
Profile Image for Gaia.
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June 28, 2018
Forse è lo stile, forse il fatto che non vado particolarmente d’accordo con le raccolte di racconti, probabilmente il fatto che in questo periodo ho bisogno di letture più veloci e accattivanti, ma andare avanti nella lettura di questo libro è stata un’impresa: infatti ho dovuto abbandonarlo a poche pagine dalla fine (una cinquantina). Nonostante la lettura a spizzichi e bocconi (ho letto un racconto alla volta), l’ho trovata lenta e per niente coinvolgente. Nonostante ciò riconosco che il limite sia mio, e sono stata in grado comunque di apprezzare lo scorcio su Napoli, sulla sua povertà e sulla sua innegabile forza, fascinosa e ferina (motivo delle due stelline, ritengo ugualmente la lettura di qualità, me ne rendo conto).
Profile Image for Simona.
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March 7, 2021
«A te, che ti serve vedere bene? Per quello che tieni intorno!… Figlia mia, il mondo è meglio non vederlo che vederlo».

Bellezza e miseria è il binomio con cui si può sintetizzare questa opera della Ortese. A cominciare dal primo racconto dal titolo "Un paio d'occhiali" si percepisce quanto questi due termini vadano di pari passo come a volersi fondere l'uno nell'altro. "Il mare non bagna Napoli" si apre con due racconti che descrivono la miseria e la povertà, non solo delle condizioni di chi li abita, ma anche dei sentimenti e desideri che si infrangono come accade in "Interno familiare".
Negli altri tre, la Ortese mette da parte il genere racconto per abbracciare il reportage e descrivere al lettore, tramite i suoi occhi, di una Napoli lacerata dalle ferite della guerra dove neanche il mare riesce più a lambire le sue sponde perché ormai troppo chiusa nel suo dolore.
C'è una umanità dolente, sofferente, ma ci sono anche sprazzi di poesia che la Ortese riesce a raccontare con eleganza e classe rara.

Profile Image for Riccardo Mazzocchio.
Author 3 books88 followers
May 18, 2021
Come dice la Ortese nella prefazione al libro "...nella scrittura si trova la sola chiave di lettura di un testo, e la traccia di una sua eventuale verità." La scrittura è accattivante, intima e realistica, capace di far rivevere gli interni e gli esterni dei vicoli con i colori e gli accenti drammatici del teatro di Eduardo De Filippo, specie nei primi quattro racconti. Qui la verità fa male. La seconda parte del libro è autobiografica, la scrittura lapidaria, definitiva come se non ci fossero ripensamenti. "Si scopriva non esservi un popolo, al mondo, infelice come il napoletano, e infelice perchè malato...incapace ormai di...prendere viva parte alla storia dell'uomo, anziché esserne continuamente oppresso e umiliato."
Profile Image for Denise Cosentino.
87 reviews8 followers
May 27, 2024
Pensavo fosse un romanzo, invece si tratta di una serie di racconti che narrano della Napoli del dopoguerra. Da leggere assolutamente, a dispetto dell'accusa di antinapoletanità che è stata mossa a questa raccolta.
Profile Image for Victoria Ferrari.
80 reviews6 followers
October 7, 2021
criterio banale: su cinque racconti me ne sono piaciuti due. il libro offre in prestito il suo punto di vista, borghese, sulle tristezze e la sporcizia che si agitano per la Napoli del dopoguerra. come dall'alto di un balconcino, piuttosto di una galleria, in un teatrino misero. abbiamo il privilegio ma anche l'ingombrante limite di essere spettatori. non mi sono chiare le intenzioni della scrittrice, se il suo distacco fosse premeditato. lo stile mi ha esasperata.

se è un capolavoro e l'ho frainteso per favore ditemelo! insegnatemi a vedere quello che non ho visto.

quando ho accennato a un amico che stavo provando a leggere la Ortese, lui ridendo mi ha detto che lo stile di un altro libro della stessa autrice (che non aveva terminato) gli aveva trasmesso l'immagine "di una donna aristocratica, o che si creda aristocratica, che passi tutto il tempo a spolverare gli oggetti del suo castello, e che mentre agiti il suo scopettino parli tra sè a voce alta"
io avevo risposto che in questo libro qui sembrava più una pentolaia. ma nel mentre, col paragone di questa impressione altrui, ho avuto l'epifania: una pentolaia travestita, che parli come parlerebbe una pentolaia agli occhi di un'aristocratica.

il testo a tratti ribolle, rigurgita, è difficile ritagliarsi una strada che conduca con chiarezza -e interesse- verso la fine. alla fine, di molti passaggi non sono neanche riuscita a confezionarmi un ricordo
Profile Image for Anna Ricco.
188 reviews33 followers
April 1, 2020
<< Rivedevo la casa del giovane, a Posillipo, entro le grotte di Palazzo Donn'Anna; i maglioni celesti e bianchi di lui, che fino a pochi anni addietro era stato uno dei primi giovanotti della zona, sempre annoiati e scalzi in riva all'acqua. Malgrado tutto questo, non mi appariva importante per una identificazione di Napoli,e difatti egli non era Napoli, ma la cultura e i vizi di una borghesia più che altro meridionale, la cui patria finisce sempre per essere Roma. Io cercavo invece qualcosa che fosse Napoli, il Vesuvio e il contro Vesuvio, il mistero e l'odio per il mistero,i sussulti di un figlio di queste strade, di un fedele di queste strade, che fu, o cessò di essere soffocato,e tornò ad essere soffocato.>>

Ho incontrato Anna Maria Ortese al Salone del libro di Torino 2019, vagavo per i padiglioni e mi sono ritrovata ad assistere ad una riflessione sulla sua vita ed i suoi romanzi,e subito acquistai questo libro,affascinata dalla storia della sua esistenza. Il mare non bagna Napoli è un raccolta di tre racconti che fotografano,(in modo molto crudele,senza filtri e distaccato) la città nel secondo dopoguerra. Il primo dei racconti è il mio preferito, e merita decisamente il massimo dei voti,ma purtroppo gli altri due (l'ultimo in particolare)mi ha a tratti annoiata e mi aspettavo di più. Ma non abbandonero' l'autrice, cercherò di leggere altro di suo.
Profile Image for Outis.
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October 8, 2020
4.5/5
Il mare non bagna Napoli contiene cinque racconti: i primi due sono veri e propri racconti (di fiction), gli ultimi tre sono reportage con un taglio più giornalistico. Sono tutti racconti spietati, quasi senza speranza, che raccontano una Napoli appena uscita dalla guerra lontana dall'immagine da cartolina o dallo stereotipo che la identifica come la città felice.
Nonostante i temi dei racconti richiamino la tradizione neorealista, questo libro non è neorealista, al contrario, tutto è filtrato dallo sguardo "espressionista" dell'autrice che sente il reale come intollerabile.

I primi due racconti sono per me entrambi da 5 stelline. Un paio di occhiali , lo inserirei tra i miei racconti preferiti in assoluto ma anche con Interno familiare siamo ad un livello altissimo. Pensando al grande successo di Elena Ferrante (che comunque non mi dispiace), che racconta anche la Napoli di quegli anni, mi verrebbe da commentare: altro che Ferrante!
Gli ultimi tre racconti mi sono piaciuti, ma un po' meno dei primi due. Di questi ultimi mi ha colpito in particolare il terribile reportage La città involontaria , mentre ho trovato meno riuscito Il silenzio della ragione , secondo me, troppo lungo.
Profile Image for Pitichi.
608 reviews27 followers
February 24, 2025
«Aveva il cuore delicato come le corde di un violino quel giorno e, a sfiorarlo, suonava».

Il dolore di vivere, le ambiguità di una città colorata e chiassosa, ma piena di contraddizioni, sofferenze e privazioni: Anna Maria Ortese sfiora corde scoperte nel raccontare la sua Napoli, e lo fa senza sconti, svelandone ogni più (melo)drammatico dettaglio.
Uno dei racconti più suggestivi è sicuramente quello della piccola Eugenia, che attende con trepidazione gli occhiali nuovi e, dopo tanta febbricitante smania, mista a sensi di colpa per il danno economico provocato alla famiglia, prova disgusto per la realtà senza filtri che le si para davanti.
Immenso anche il racconto della visita ai Granili, il formicaio umano in cui si nascondono, percorrendo lunghi e malsani corridoi, bambine incapaci di crescere, quasi larve nel loro bozzolo, mentecatti e parassiti di vario genere, donne senza più speranza e malati di mente, veri o presunti.
La Ortese non tace nulla, restituisce tutto ciò che vede, cita per nome e cognome scrittori di cui ha grande, poca o nessuna stima, si inimica una città intera, ma la realtà è che la sua Napoli batte, scalpita, strepita e pulsa di vita come non mai. È il realismo più puro che si possa immaginare.
Profile Image for Frances.
75 reviews29 followers
April 20, 2023
Con Il mare non bagna Napoli, Anna Maria Ortese svela d’un tratto la quotidianità più concreta e tangibile della Napoli del secondo dopoguerra. Una realtà cruda fatta soprattutto di bruttezze, sporcizia e miseria.


Come in un dipinto fiammingo vengono sorprendentemente rivelati piccoli ma significativi dettagli che in questo caso mettono a nudo le caratteristiche meno poetiche dell’uomo, finora ignorate o rigettate. La realtà raccontata è quella di una Napoli nascosta, quella dei piccoli vicoli dove gli abitanti sembrano muoversi all’interno di spazi ristretti, soffocanti, a volte quasi dei tuguri dove sembra mancare l’ossigeno. Le rughe, i segni lasciati da una vita di povertà e di mancanze, bambini allevati ad uno stato che si direbbe selvatico, esposti a malattie fatali che rendono l’infanzia ciò che d’infantile aveva solo gli anni, per parafrasare una frase della stessa autrice.

E’ questo il ritratto della tanto amata Napoli che la Ortese, con una prosa elegante e una scrittura centellinata, vuole offrire ai lettori di questa raffinata raccolta. 
Una lettura imprescindibile, un gioiellino.
Profile Image for Giada.
208 reviews18 followers
April 22, 2025
In cinque racconti, Anna Maria Ortese è riuscita a rendere tutte le contraddizioni di una Napoli viscerale che vive d'umanità e di miseria. Il mare non bagna Napoli è una raccolta di racconti, apparentemente slegati uno dall'altro, ma che rimangono legati da contesti sociali, famigliari e relazionali che dimostrano la fatica di una città che, agli occhi di tutti, è scintillante ma, come altre, ha molti punti oscuri. Dai Granili (quartiere periferico) fino A un paio di occhiali( il primo racconto che mi ha colpito fin dalle prime pagine),
Ortese rappresenta la realtà quasi con un occhio documentarista, mantenendo uno stile sensibile e delicato che si dedica più alle descrizioni che alle trame. La Napoli dell'Ortese, però, non è una città morta ma una città piena di vita, di sopravvivenza e di tantissima dignità che si muove nei vicoli, nella ricerca di una sistemazione ( come nel secondo racconto) o negli ambienti letterari come nell'ultimo).
Leggendo le sue pagine, non ho potuto non pensare all'Amica geniale: a quel rione tanto misero (e non solo economicamente) quanto vivo fino all'ultimo volume della tetralogia.
Profile Image for Utti.
508 reviews35 followers
March 8, 2023
Forse le parole migliori per iniziare a parlare di questo libro le dice la stessa autrice nell'ultimo racconto: "Insomma, io non amavo il reale, esso era per me, sebbene non ne fossi molto consapevole, come non lo sono forse nemmeno ora, era quasi intollerabile."

Nonostante l'ostilità dell'autrice per il reale, questa raccolta di racconti di Anna Maria Ortese è permeata di realtà e apre una finestra sulla Napoli del dopoguerra. I racconti sono distanti l'uno dall'altro ma il filo che li unisce è la povertà, la frustrazione e la difficoltà a trovare un proprio posto in questo mondo pulsante che è la capitale partenopea.

È un libro difficile, spesso doloroso ma scritto con estrema maestria. A tratti lo stile è giornalistico, sembra quasi di leggere un reportage: il racconto sui Granili in particolare mi ha spinta a fare ricerche e cercare di approfondire che cosa fosse questa città nella città, questa città involontaria appunto.

Un'opera densissima e splendida.
Profile Image for Antonella Imperiali.
1,268 reviews144 followers
February 5, 2019
Una serie di racconti amari, dai quali traspaiono il disagio della povertà e dell’ipocrisia, della giovinezza sfuggita e dei rimpianti, del bisogno di tirare avanti con ogni mezzo, e le illusioni e le amarezze, in un periodo, quello dell’immediato dopoguerra, colmo di incertezze e speranze.

*Un paio di occhiali (racconto)
La piccola Eugenia, la zia Nunzia e il disagio degli occhiali (Ottomila lire, vive vive!).

*Interno familiare (racconto)
Vigilia di Natale: il ritratto grigio della non più giovanissima Anastasia e della famiglia che ha sulle spalle... e una blanda speranza che le fa ancora battere il cuore.

*Oro a Forcella (reportage)
Il degrado del quartiere, la povertà che ammanta e pervade case, cose e persone, bambini soprattutto; la bolgia e i pianti al Banco dei Pegni dove molti tentano, separandosi dagli oggetti più cari, di ottenere quanto basta per tirare avanti ancora un po’, a volte con scaltri atteggiamenti e strategie.

*La città involontaria (reportage)
A Napoli c’è una città nella città: i Granili, dove vivono migliaia di persone. Al piano terra e al primo la miseria è assoluta e la morte ne è degna compagna (commovente il funerale del piccolo Scarpetella, semplicemente tenuto in braccio dalla madre avvolto in una coperta sbrindellata, seguito dal padre e dal corteo dei vicini, muti, i volti chiusi nel dolore). Ai piani superiori il degrado si stempera e la vita prende un po’ di respiro e di luce. Ma ai piani bassi, dove l’orrore e il nulla impregnano i locali, la luce non arriva e i respiri sono rantoli...

*Il silenzio della ragione (reportage)
Forse il taglio giornalistico rende questo racconto un po’ meno avvincente degli altri; è interessante però conoscere l’ambiente decadente degli intellettuali - scrittori, poeti, giornalisti, pittori e artisti in genere - dell’epoca. Come pure osservare, attraverso gli occhi dell’Autrice, la gente e le strade di una Napoli ripiegata su se stessa, che appare spaurita, che ha perso tutti i colori e si mostra inconsistente, come dietro un velo di polvere che la ingrigisce e la appiattisce.

Non vedevo linea, qui, ma un colore così turbinoso, da farsi a un punto bianco assoluto, o nero. I verdi e i rossi, per la rapidità erano divenuti marci; gli azzurri e i gialli apparivano sfatti. Sotto il cielo, a momenti, viveva, e la sua luce era tale che bisognava farsi schermo agli occhi.

Come uscendo da un sogno talvolta cadete in un altro, e il cervello appena desto di nuovo s’oscura e, dentro, una mano invisibile accende ancora miriadi di lampade, vidi persone che avevano riempito tutte le pagine del dopoguerra a Napoli, le rividi senza l’alone allegro del dopoguerra, nei vapori di una sera d’estate.

No, di sicuro qui il mare non arriva, il mare non bagna questa Napoli dimenticata, perché da qui il mare è lontano.

⛓ RC 2019 ~ Catena gennaio
📚 RC 2019 ~ Abbatti la TBR -> 33
🔠 RC 2019 ~ Alphabet Autori -> O
📚 RC 2019 ~ Lo scaffale traboccante
Profile Image for Lee Foust.
Author 11 books213 followers
June 11, 2024
Anna Maria Ortese is an extraordinary writer, even a writer's writer--that is to say a writer who cannot be read simply, easily, or at face value. Il mare non bagna Napoli, her third book, each of them a collection of short texts, is a wonderful mix of fiction and reportage that blurs the lines between these genres and wonderfully creates something well beyond both. In my estimation, butting these genres together functions to evidence the reality within fictions and the subjectivity, the imagination, that is always also present in nonfiction.* Here it's all just text and genre becomes a moot point--we could just as easily consider this a novel in five parts. The protagonist is the city of Naples as the author knew it during the war years and just after, up until 1953, when she returned to write the last piece, said all that memory and impression allowed about her own experience with the city in that brief but fecund period of travail and reconstruction to say before abandoning it and the friends she had made there definitively.

Hence the book's pessimism: it's something of an elegy for a place and time the author is leaving and which she knows cannot be recaptured. This imminent abandonment allows Ortese the freedom to say everything. Her voice here is like a ghost speaking from beyond the grave. I have never read such an honest and therefore at times cruel narrator, particularly when speaking of the writers with whom she worked on the review Sud, subject of the fifth and longest section. Yet this text remains, for most of these writers, their greatest legacy.

(This last section, "Il silenzio della ragione," or "The Silence of Reason," [but you must know that ragione, besides reasoning, is also used frequently in Italian to refer to speaking, particularly in terms of discussing or speaking together, thus dialoguing, so the juxtaposition with silence is accentuated] reminded me very much of Roberto Bolaño's books about his youthful gallivanting around Mexico City with poets and writers in the 1970's, even if the elegiac tone here is more about the review Sud's dissolution and the end of the collective's experience as its stars rose--figuratively and geographically--to fame and affluence, and its tireless creators faded into obscurity, death itself as Ortese frames it, even though they lived for many years after this book was published, is wholly different than Bolaño's fond evocations of his well-spent youth.)

I see that Il mare... has been recently re-translated--in tandem no less--and marketed in the wake of the newest Neapolitan writer's, Elena Ferrante, great success. Sadly I see that the nearly untranslatable title was adapted by them (or the marketing team) to link the book, anachronistically, to Ferrante. But allow me to explain, for my English-language readers, that the title is key to the situating of Naples, to giving meaning to its literary presentation of the city, and to what the book does overall, how Ortese approaches the subject of the city and its effect upon its inhabitants and writers.

The title comes from the third section, "Oro a Forcella," "Gold in Forcella," which refers, ironically, to the pawning of precious items as a way of life for the city's poor--Forcella being a street on the edge of Spaccanapoli, the city's heart, near the once squalid but now rather spiffy train station. The observation is made, watching the people waiting in endless lines to pawn their jewelry and other belongings, "Qui il mare non bagna Napoli." Literally, "Here the sea doesn't wash up against Naples." What it signifies, however, is not at all literal, but that the sun and sea, the beauty of the nature surrounding this sprawling urban metropolis--and it does: while one can live years in New York City, for example, forgetting completely the ocean and rivers surrounding it, Naples, with its hills and sea views, churches, medieval castles, surrounding mountains and its towering volcano neighbor, Vesuvius, is forever reminding one of picture postcards and Italian vacations. But here, in the government pawn shop, there is another Naples, a city full of--as the piece demonstrates in its narrative and descriptions--desperation and the theatrics of its desperate yet colorful inhabitants.

Therefore, there is Naples, and then there is Naples. The city itself is balanced between extremes, is even paradoxical. Each of the five pieces of Il mare... are formed of juxtapositions of extremes: blindness against insight in the first, personal pleasure against familial duty in the second, desperation against theatrics in the third, extreme poverty and ignorance against a kind of spiritual transcendence in the fourth, writerly ego and jealousy against literary camaraderie and sponsorship in the fifth. This is part of why, to me, the book is so good: it relies on the tension between nature and culture, speaking and silence, Naples and its inhabitants, beauty and ugliness, and the bourgeoisie and the plebe, as Ortese so frequently calls the members of these two groups of Neapolitan inhabitants, forever united, forever distanced and unknown to each other. While perhaps all cities carry such contradictions within them--and that's what might make this book essential reading for all those interested in urban issues--nowhere are these juxtapositions more obvious or astounding than in the Partenopean city.

I'm leaving for Naples at 8:30 tomorrow morning for a short, but long-awaited, 4-day visit. This was the perfect preface to returning to my favorite place in the world.



* Here's a passage I think exemplifies this technique. Toward the end of the book, in the most journalistic section, the story of writing the story about her Neapolitan writer friends, the narrator says: "provavo la stessa agghiacciante sensazione... che tutto fosse pensato, immaginato, sognato, e anche realizzato artisticamente, ma non vero: una inquietante rappresentazione." "I felt the same terrifying sensation... as if everything were thought, imagined, dreamed, and even artistically brought to life, but not true: a disturbing representation." Although only the description of a feeling of a passing instant, I think Ortese here implies that all writing is merely "a disturbing representation" of our thoughts, imagination, and dreams--anything but truth.


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I just read this terrific collection for a third time and taught it in my Neapolitan Women course. it was well received and this time through, besides the paradox or dichotomy theme, I began to think of it as a sort of expression of Naples' intellectual class's PTSD from the war. Even as the last article describes their post-post-war malaise: it's as if they were able to celebrate their liberation when young, but then as middle age hit, the dream fell apart and they all felt trapped and useless. It's interesting that the group of all male writers of whom she speaks were all six years her junior. Being female and a little older, I think she was perhaps the perfect person to write about them, even if they hated it--she is indeed merciless. An amazing book. Now that I live here, I was able to see each street corner, bar, and back alley she mentions. It's all so very vivid.

I looked into the new English translation some, which version my students were reading, and found it the usual mess--either too literal or just oddly wrong in spots. Even some of the footnotes gave false info--I live in Piedigrotta and the festival they describe was discontinued many years ago apparently, although the translators seem to think it's still going on. There are so many of us living in Italy with better resources for translating: why do they give the jobs to these hacks in the USA who seem to know little more than Google translate?

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Just returned to this stellar book again to refresh for a summer course I'm teaching and ended up spending the whole day rereading it. It's so odd to me that this book I read when first learning Italian all takes place practically in the neighborhood where I live--I'm only a block or two from Compagnone's mezzanine apartment--in, ironically, my own mezzanine apartment--and another two blocks from Via della Cupa, where poor Eugenia saw her courtyard for the first time and, according to the plaque, Anna Maria Ortese lived. Wild. it's like the path leading me to the life I'm living now was laid out in 1953 but I didn't find its first traces until 1990 nor follow it until 2022. So glad I did. I've read quite a few Neapolitan books these last two years, but this one remains my most deeply felt. I live its paradox.
Profile Image for Anna [Floanne].
624 reviews301 followers
November 17, 2023
Non un’immagine da cartolina quella dipinta dalla Ortese in questa raccolta di racconti dedicata alla Napoli del secondo dopoguerra. Descrivendo senza filtri le miserie della sua città e dei suoi abitanti, proprio per il contenuto di questo libro, la Ortese sarà allontanata dalla cerchia culturale partenopea e costretta ad abbandonare, anche se solo fisicamente, la città. I racconti inclusi nella raccolta sono cinque, i primi due opere di invenzione, gli ultimi tre veri reportage giornalistici.
Tra i racconti mi ha commosso molto il primo, intitolato “Un paio di occhiali” in cui la piccola Eugenia, praticamente cieca, viene accompagnata dalla zia ad acquistare un paio di occhiali. Per tutto il racconto Eugenia, con la semplicità tipica dei bambini, freme dalla gioia per l’imminente novità che cambierà la sua vita in meglio e racconta a tutto il vicinato del paio di occhiali, mentre la zia, cinica e sprezzante, non perde occasione per rinfacciarle il costo di quel regalo che ha voluto farle. Il finale lascia l’amaro in bocca.
Nel secondo, invece, la protagonista è una donna sulla quarantina, Anastasia Finizio, che ha accantonato il sogno di un amore giovanile per dedicarsi a mantenere, col suo negozio, tutta la sua numerosa famiglia. Quando, il giorno di Natale, le giunge voce del ritorno in città di Antonio, il giovane di cui era stata innamorata, Anastasia deve reprimere nuovamente i propri sogni di amore e indipendenza per sottostare al suo dovere di capo-famiglia e sacrificarsi così per gli altri.
In “Oro a Forcella” il lettore viene invece catapultato all’interno di un banco dei pegni, con tutto il carico di povertà e disperazione di chi lo frequenta per la necessità di sopravvivere.
Il racconto che, però, ho trovato sconvolgente e in assoluto più duro da affrontare è “ La città involontaria”. Ai Granili, un vecchio ed immenso edificio borbonico a ridosso del porto, sorge una vera e propria città nella città, in cui si accalcano migliaia di vite dei miserabili che hanno perso la propria casa durante i bombardamenti. Sembra di leggere delle bolge dantesche. Ai piani alti vivono le persone un po’ più abbienti, con un lavoro e con gli appartamenti un po’ più soleggiati. Man mano che si scende ai piani bassi, si moltiplica la miseria più nera. Tra prostituzione, degrado, morte, malattia, topi, fetore e il buio più buio migliaia di derelitti si trascinano come in un girone dei dannati. Un pugno allo stomaco leggere queste pagine in cui le descrizioni accurate e precise come una lama chirurgica non lasciano spazio alla redenzione per nessuno. Da lì non ci si può salvare, c’è solo il buio che inghiotte tutto e tutti.
L’ultimo racconto, che si intitola “Il silenzio della ragione” è quello che onestamente mi è piaciuto meno, anche se le descrizioni iniziali della città, del lungomare e dei suoi vicoli sono molto affascinanti.
Voto: 4 stelle

Profile Image for Inderjit Sanghera.
450 reviews143 followers
January 10, 2022
Ortese offer snapshots into the world of Naples; heady and hedonistic, Ortese’s Naples draws the reader in with its inimitable cast of characters, from poverty stricken children, to its intelligentsia, Naples comes alive via the pictures Ortese paints, as the reader is dazzled by the panoply of colours and characters who inhabit the stories.

The reader can sense the impact Ortese had on writers such as Elsa Ferrante, as her style is sometimes didactic, almost journalistic in its account of the lives of its characters. So the reader experience the joys and sorrows of a young girl whose partial blindness will be resolved by the purchase of glasses her family can’t afford, a family gathering is punctuated by the death of a neighbour, a young woman takes wonder at the kaleidoscope of colours which glitter on the Neapolitan seascape; these are the quotidian details which help Ortese’s stories come alive. In many ways the stories act as eulogies for times long gone which will never come back, a world hopelessly lost to the vestiges of time. Nowhere is this more apparent than in the latter set stories which explore the lives of Naples intellectuals and artists, who Ortese depicts as a set of characters hopelessly lost in petty squabbles and doomed to obscurity.

‘Evening Descends Upon The Hill’ are a brilliant and evocative set of short stories which deserve to be read more widely, transporting the reader to a long vanished world.

Profile Image for La lettrice controcorrente.
592 reviews247 followers
March 20, 2021
Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese (Adelphi) è una raccolta di racconti che ho affrontato insieme al gruppo di lettura di Emanuela, meglio conosciuta come Manumomelibri su IG.

Emanuela ha creato un vero e proprio esercito di lettori: sono centinaia le persone che ogni mese affrontano un libro diverso. Questo, faceva parte del gruppo Italiani non vi temo.

Mi sono avvicinata con molto timore a questa raccolta perché un paio di anni fa ho cominciato e purtroppo mai finito, Il porto di Toledo. C'è qualcosa in Ortese che mi attira ma mi respinge allo stesso tempo. Sensazioni opposte che però misteriosamente mi hanno conquistata.

Il porto di Toledo era troppo difficile per me: non riuscivo a mantenere il filo, non capivo chi stesse parlando o cosa stesse succedendo. Ne Il mare non bagna Napoli ho amato praticamente tutto.

Ortese è ruvida, brusca eppure si muove con grande delicatezza. Disegna una Napoli in sofferenza eppure bellissima. 
RECENSIONE COMPLETA: www.lalettricecontrocorrente.it
Profile Image for blue solange.
76 reviews8 followers
May 27, 2022
Come non rimanere affascinata da un libro sulla mia amata, controversa, pura Napoli… l’Ortese - attraverso una raccolta eterogenea di racconti - tratteggia gli aspetti più veri, autentici, nascosti di questa città, incuriosendo chi poco la conosce e sorprendendo chi ne é già coinvolto.
Ne deriva una Napoli quanto mai viva e vulcanica ma anche sospesa e silenziosa tra le sue sofferenze.
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April 10, 2023
Non è possibile che non succeda mai niente. Un giorno, forse, capiterà qualcosa. Allora mi farà piacere essere rimasto qui, ad aspettare.
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