Dopo la Caduta, una pace effimera lega le città della Gallea e i Numi tutelari che le proteggono. Clizia è una delle sacerdotesse di Mesio, città votata a Desteria, Nume della fertilità e dell’abbondanza. La vita al tempio per lei è complicata, sempre a contatto con la sua consorella Verdiana per la quale nutre sentimenti proibiti che ogni giorno si fanno sempre più forti. La situazione peggiora quando un oscuro presagio macchia il rito per la mietitura annuale: i poteri di tutte le sacerdotesse scompaiono all’improvviso, come se la divinità stessa le avesse ripudiate. Perché Desteria ha deciso di chiudersi in un silenzio che sa di abbandono, mantenendo solo un fievole collegamento con lei, ultima tra le tante? Per trovare la risposta e ripristinare il favore della Nume, Clizia finisce su un cammino pericoloso, che punta verso il palazzo dove la faida tra suo padre e quello di Verdiana mostra le vere radici corrotte della città: tra fazioni di rivoltosi, messi che avvizziscono e guerra civile, forse qualcosa di antico è pronto a gettare ancora una volta il mondo nel caos.
Giorgia D’Aversa nasce tra i campi della Brianza il 15 marzo 1997, duemilaquarantunesimo anniversario del Cesaricidio. Dopo il liceo Classico, nonostante la passione per la storia greca e il mito, fugge dalle lettere per laurearsi in Digital Marketing, ambito in cui ora lavora con soddisfazione. Dal 2016 chiacchiera di libri sui social con il nome di “Passione Retorica”: su YouTube, Instagram e TikTok si è fatta conoscere per via della sua ossessione per la mitologia greca e il fantasy italiano. Il suo sogno è quello di vivere circondata da cani e gatti e di fondare il Sacro Papero Impero. Nel tempo che rimane, scrive storie dalle tinte oscure.
"Lode al mio Nume. Che il mondo appassisca mentre noi divampiamo."
Il Tredicesimo Nume si apre con un’atmosfera bucolica e con un’innocenza di fondo che permea i personaggi e la vicenda. Una situazione per cui la parola più adatta sarebbe “armonia”. Ma tale idillio iniziale, e le conseguenti aspettative che il lettore è portato a crearsi, vengono progressivamente disattese da un mutamento graduale, ma inesorabile. Sia nel tono, che si fa sempre più cupo e privo di gioia, sia nelle rivelazioni che la trama man mano mette in campo. E questa cosa personalmente l’ho davvero amata. Apprezzo quando gli autori ti fanno perdere le certezze e sviluppano le loro opere in maniera imprevedibile. Quando ti tolgono la terra da sotto i piedi. E tutta la prima parte del romanzo, innocente e apparentemente “ingenua”, è costruita da D’Aversa proprio in modo che tale caduta sia più inaspettata e dolorosa. Da un certo punto in poi, questo libro è proprio uno scivolare inesorabilmente e inevitabilmente verso un epilogo inaspettato, emozionante e a suo modo poetico. Un finale allo stesso tempo cupo e dolceamaro.
Ho iniziato il libro con qualche preoccupazione, immaginandomi che fosse di un genere in cui non mi sento particolarmente ferrato e che a volte non apprezzo appieno, ma devo dirlo sinceramente: le aspettative che mi ero fatto sono state tutte ben presto infrante. E dico questo in senso decisamente positivo!
La prosa è curata e l'autrice la sfrutta con grande competenza e consapevolezza, in particolare proprio per mostrare il graduale corrompersi dell’atmosfera del romanzo e per sottolineare sempre più il progressivo disfacimento dello status quo e delle certezze che avevano portato i personaggi a credere immutabile la società descritta nel libro. Una perdita dell’innocenza che sarà il motore per ciò che accadrà anche a Clizia e Verdiana, le due protagoniste.
Lo sviluppo dei personaggi è molto equilibrato e realistico. Solitamente io non amo i protagonisti, proprio perché in quanto tali tendono ad avere una caratterizzazione più stereotipata e ad essere troppo “perfetti”, rispetto ad altri personaggi più credibili. In questo libro, le caratterizzazioni risultano credibili: le protagoniste hanno i loro pregi e i loro difetti (e l’autrice è abile a far sì che le due ragazze siano credibili figlie del mondo in cui sono cresciute) e soprattutto la loro personalità è interessante e si sviluppa in modo coerente rispetto a ciò che le due stanno vivendo. Il focus è concentrato in particolare proprio su queste due sole protagoniste, per cui l'autrice delinea con gran cura sia la personalità sia il rapporto che le unisce. Questo non è affatto un pregio da poco: se ci si concentra su poche caratterizzazioni, il rischio di idealizzare e banalizzare i personaggi c'è sempre. Il fatto che Clizia e Verdiana diventino così “reali”, che la vicenda sia vista sempre direttamente con i loro occhi, tra l’altro, consente di empatizzare con entrambe e di seguire con un coinvolgimento emotivo maggiore le vicende narrate. Tutti i personaggi, anche quelli minori, hanno il proprio modo di esprimersi, la propria personalità e il proprio modo di vedere il mondo. Le due protagoniste, di cui vediamo anche il punto di vista, sono presentate in modo che persino il loro peculiare modo di approcciarsi col mondo sia reso in maniera originale. Una scrittura molto “sensoriale”, che permette di vedere la realtà del libro proprio come la stanno esperendo le due ragazze. Una caratterizzazione dei personaggi che influisce quindi anche su ciò che noi lettori possiamo cogliere (o meno) rispetto a ciò che stiamo leggendo, proprio perché vediamo con gli occhi di Clizia e Verdiana, ascoltiamo suoni e annusiamo profumi e odori con loro. Viviamo in presa diretta ciò che accade. Uno stile scorrevole e immersivo, che contribuisce a mantenere sempre vivo il coinvolgimento, insieme a un ritmo sapientemente dosato, che accelera quando necessario fino al concitato ed emozionante epilogo.
I rapporti fra i personaggi, in particolare quello fra le due protagoniste, non voglio approfondirli troppo, perché avrei bisogno di fare qualche spoiler, ma a mio parere sono gestiti in maniera interessante, coerente e originale. Altra nota di merito è il fatto che, come nelle opere che preferisco, i personaggi più importanti non siano solo presentati come “buoni” o “cattivi”, ma abbiano ognuno le proprie gradazioni di “grigio”, le motivazioni che li inducono ad agire coerentemente con la propria caratterizzazione e il proprio sviluppo all'interno della storia.
Concludo con un appunto sul sistema magico pensato per le sacerdotesse protagoniste: i loro poteri sono coerenti col mondo in cui sono inseriti ed è molto interessante la commistione fra magia e divino, con le protagoniste in grado di sfruttare il potere dei Numi (qualora essi siano d'accordo). Tali abilità sovrannaturali non sono mai esagerate e si inseriscono perfettamente nella trama, fornendo ulteriori spunti per arricchirla, mantenendola credibile in un contesto low fantasy come quello del libro.
In definitiva, Il Tredicesimo Nume è un romanzo d’esordio autoconclusivo davvero interessante, in cui niente è lasciato al caso e che, peraltro, ha dato vita a un’ambientazione evocativa, a una mitologia dal grande potenziale e a personaggi memorabili. In ogni aspetto D'Aversa ha lavorato in maniera originale e consapevole, senza indulgere in stereotipi o banalizzazioni. Personalmente lo consiglio a qualsiasi tipologia di lettore, perché travalica i generi in cui teoricamente nasce ed è un libro davvero curato, in grado di avvincere ed emozionare anche i lettori meno avvezzi al fantasy e alla mitologia.
[commento privo di spoiler al di là di informazioni già rivelate dall'autrice prima dell'uscita del libro]
Il Tredicesimo Nume è il romanzo d'esordio di Giorgia D'Aversa. Non sono tra coloro che hanno seguito la nascita del libro tramite i social dell'autrice e della casa editrice, ma fin dall'inizio sono rimasto intrigato dalle premesse della vicenda e in special modo dall'ambientazione ispirata all'antica Grecia, tant'è che ho comprato il romanzo il giorno stesso della pubblicazione. Prima di iniziare col mio commento, che credo giustificherà un voto più basso della media attuale (non potendo usare decimali, ma al 3 stellette e mezzo ci sarei arrivato ben volentieri, anche 3.75), voglio dire che ITN ha una delle qualità che più amo in una storia, bella o brutta che sia: ti lascia con TANTO di cui parlare. E quindi, ne parlo.
Ho deciso di iniziare con le critiche perchè, come in una buona storia, un buon inizio è fondamentale per acchiappare il lettore, e si sa che su internet le critiche catturano più dei complimenti. Dunque, il problema più grosso che ho riscontrato nella lettura è anche quello che più di ogni altro tradisce la natura di opera prima di ITN, che come tante opere prime uscite da una penna che ha delle cose da dire ha la tendenza a dirle in modo troppo didascalico. Non ho intenzione di scendere troppo nel dettaglio per non anticipare nulla, ma una volta che una determinata critica sociale viene mossa, in questo caso alla società patriarcale, posso sentire il bisogno di sviscerare quel dato punto di vista piuttosto che sentirmelo ripetere sempre allo stesso modo senza mai ampliare o approfondire il discorso. L'aspetto a parer mio più debole de ITN è legato proprio a questo: mi riferisco alla croce e delizia di chi scrive fantasy, il worldbuilding. Tanto dal punto di vista geografico, quanto religioso e sociale, la regione della Gallea è a dir poco approssimativa. Dal momento che la vicenda si svolge in un'unica città non era necessario conoscere il mondo in tutta la sua estensione, ma almeno uno sguardo d'insieme su di esso poteva aiutare a orientarvisi. Invece la città di Mesio, teatro degli eventi, è a malapena abbozzata e risulta difficile preoccuparsi per le sue sorti o per quelle dei suoi abitanti, mentre sulla religione dei Numi sappiamo il minimo indispensabile e quel poco che sappiamo fa sorgere non pochi dubbi sul contesto socioculturale in cui vivono le protagoniste. In linea di massima, i secondary world tendono a ispirarsi al mondo reale anche quando ciò non avrebbe molto senso e questa è la ragione per cui abbiamo innumerevoli mondi fantasy affollati di castelli e cavalieri prelevati direttamente dal Medioevo europeo, ma trapiantare dinamiche della nostra realtà in un mondo fittizio lasciandole tali e quali a come si presentano nel mondo reale senza pensare a come le caratteristiche specifiche di quel mondo fittizio andrebbero a influenzarle è una leggerezza che si può perdonare quando detto mondo fittizio è solo un sfondo, un tabellone colorato su cui muovere i propri personaggi-pedina: ma questo non è il caso di ITN, in cui la vicenda personale delle protagoniste è legata a doppio filo alle dinamiche del mondo in cui vivono, e queste dinamiche presentano molte contraddizioni. In un mondo in cui gli dei esistono al di là di ogni ragionevole dubbio e hanno una così forte presenza nella vita quotidiana delle persone, è credibile che ci siano uomini che ne sfidano il volere con tanta noncuranza? In un mondo in cui quegli dei conferiscono veri e propri superpoteri a sacerdotesse di sesso femminile è sensato che la condizione della donna sia precisamente quella che possiamo trovare nel nostro mondo? Queste domande non hanno una risposta univoca, per questo più che di problemi mi sento di parlare di occasione sprecata: sarebbe stato davvero tanto interessante osservare perchè in un mondo dalla natura tanto diversa da quella del nostro finiscano col ripresentarsi precisamente le stesse dinamiche di potere, invece di ritrovarcele 1 a 1 perchè sì. In sostanza, si è persa l'occasione di rappresentare diverse incarnazioni del potere maschile e patriarcale, che invece soffre di una raffigurazione stereotipata e poco ancorata alla realtà della storia. Un peccato anche perchè la storia personale di Clizia e Verdiana, invece, da questo punto di vista è assai più incisiva e sarebbe bastata a far passare il messaggio implicitamente senza la necessità di incollarlo alla buona su altri aspetti di un'ambientazione già di per sè non così particolareggiata.
Ma parlando di Clizia e Verdiana... come dicevo, ho scelto di iniziare con le critiche perchè, se l'inizio è fondamentale per ancorarti a una storia, è il finale che decide quale posto nel tuo cuore avrà quella storia. Non si perdona una storia che inizia bene e finisce male, ma una che inizia prendendosi il suo tempo e poi ti tiene incollato fino all'ultima pagina, quella è una storia che ti resta impressa nel tempo, e al di là di un worldbuilding fumoso e di una vicenda tutto sommato prevedibile questo è proprio quello in cui ITN riesce meglio, e ci riesce soprattutto grazie a due protagoniste realmente memorabili. ITN è principalmente la storia di Clizia e Verdiana, con la loro relazione (e la relazione con i personaggi che ruotano loro intorno) che è il cuore della vicenda - ed è un cuore che pulsa, vivo come vive e verosimili appaiono loro, due personalità diverse che ben combaciano tra loro ma che con l'incedere degli eventi si rivelano sempre più contrapposte. Mi è capitato spesso, di recente, di leggere storie i cui personaggi si comportano proprio come la trama richiede che si comportino; in questo caso, è la trama che è l'inevitabile conseguenza dell'incontro e dello scontro tra le due protagoniste e in tal senso non la si può che sentire come autentica. Tratteggiare personaggi credibili e ben definiti, che parlano e pensano con una voce propria e che sono davvero protagonisti della loro storia, è tra le sfide più grandi che chi scrive si trova ad affrontare, ed è una sfida che l'autrice vince a mani basse, senza mai cedere ad alcuna faciloneria o forzatura e senza mai lasciare il lettore con la spiacevole sensazione del "è andata così perchè non hanno fatto/detto la cosa che sarebbe stata più sensata da fare/dire". Clizia e Verdiana sono l'anima della storia e non sono personaggi fatti per piacere, sono personaggi che piaceranno proprio perchè tanto di quello che sono può non piacere affatto.
Un altro grandissimo pregio di ITN è che è una storia delle dimensioni "giuste" per un'opera prima: è un racconto contenuto nella portata, che non ha pretesa di gettare le basi di una grande saga, non è un volume 1 di x che forse non saranno mai scritti, non è una storia enorme stretta in uno spazio troppo piccolo o una troppo piccola che si prende più spazio del dovuto, ma al tempo stesso la narrazione incalza costantemente nel corso dell'opera e ogni volta che si inizia a pensare che il ritmo stia rallentano o che le tue aspettative possano essere disattese sposta l'asticella verso l'alto e trova sempre il modo giusto di farti girare un'altra pagina.
In conclusione, lettura consigliata? Per chi cerca una storia character-driven senza dubbio, mentre chi ama immergersi in mondi alternativi finemente e dettagliatamente costruiti o ricerca trame e intrecci politici sorprendenti o di spessore potrebbe non trovare quello che vuole. In ogni caso, se è vero che di problemi in questo romanzo d'esordio ce ne sono tanti (almeno dal mio punto di vista) è anche vero che le cose che l'autrice fa bene sono quelle che sono davvero importanti, e se la base di partenza è questa quello che potrà costruirci sopra è davvero tanto.
La lettura è stata deludente: ho avuto l'impressione di una storia potenzialmente molto bella, ma raccontata male sotto diversi punti di vista. Il pregio dell'opera è l'interiorità delle protagoniste, ben diversificate tra loro e molto realisticamente umane nei sentimenti e nei pensieri. Anche la caratterizzazione dei personaggi secondari è ben fatta, persino il cane Ferus ha un suo ruolo. La lettura è fluida, il romanzo è scritto bene, pur con qualche oscillazione in alcuni punti che danno un po' l'idea di scritto in fretta e non riletto. Il ritmo è invece uno dei problemi rilevanti: si ha l'impressione di un racconto lungo dilatato per raggiungere la dimensione di un romanzo, e per questo molte scene diventano lente e si hanno spesso ripetizioni degli stessi concetti, fino a ben oltre la metà del libro. Ma il problema principale è dovuto alla vaghezza di tutta l'ambientazione. Prendendo spunto dal concetto narratologico di "infodump" (troppe informazioni riversate sul lettore che rendono noiosa e pedante la lettura), direi che questo romanzo soffre dell'esatto opposto, che potremmo chiamare "infolack", ovvero troppe informazioni che sarebbero utili ma non vengono date. Se la storia è molto basata su persone e relazioni, ci può stare anche un'ambientazione vaga, ma almeno certe "milestones" avrebbero dovuto essere presentate.
Se la nume Desteria a un certo punto smette di rispondere in modo "normale", perché non ci vengono mostrate le sue risposte "normali", in modo che il lettore sia più conscio della differenza? Se ci sono problemi relativi a regole violate o comportamenti errati delle sacerdotesse, perché non ci viene mostrata in modo più approfondito la vita monastica, con regole, ritmi e consuetudini? Se la Caduta di due antiche città è rilevante ai fini della storia, perché viene solo accennata e non si racconta in dettaglio la leggenda sorta intorno a questo evento?
C'è troppa vaghezza che alla fine fa perdere interesse per una vicenda che, ripeto, avrebbe avuto tutti i crismi per essere un'ottima storia se solo fosse stata strutturata un po' meglio.
Ho letto questo libro in un momento veramente strano della mia vita: ricco di cambiamenti e povero di tempo. Ritrovarmi in questa storia con un ritmo tranquillo che parla di cambiamenti e equilibri mi ha semplicemente fatto star bene (nonostante le poche gioie presenti tra queste pagine) Non sono sicuramente tra le persone che si sono follemente innamorate di questa lettura, ma neanche tra quelli che lo distruggono, mi trovo (come spesso accade) in un onestissima via di mezzo che ricorderò con piacere.
Vi consiglio questa lettura se leggendo la trama vi incuriosisce: si merita una possibilità! Ve la sconsiglio se cercate una storia adrenalinica piena di colpi di scena o di una storia con grande mondo da esplorare
“Siamo della terra, e terra torneremo un giorno…ma con il favore di Desteria”.
Il tredicessimo nume è il primo romanzo che leggo di Giorgia D’Averso. Me l’ha consigliato Goodreads una volta che avevo finito un altro libro di fantasy italiano. Ho letto il riassunto e a dire il vero, mi ha convinto.
Prima di cominciare questa recensione, voglio dire che questo libro l’ho letto in italiano. Non c’è ancora traduzione né in inglese né in spagnolo. Per quanto riguarda il livello linguistico, io lo classificherei tra un B1-B2. La prosa dell’autrice è leggera ma presenta un vocabolario proprio del mondo fantasy. Ciò può rendere più difficile e tediosa se e il tuo primo libro in questa lingua. Io, invece, te lo consiglierei una volta abbia letto altri romanzi più leggeri.
“Divina Desteria, accogli il nostro sacrificio per questa terra. Usa le mie mani per infondere la tua potenza nel raccolto, perché sia ricco e di buon auspicio per la stagione di mietitura”.
Ora che ho finito la lettura, ammetto che per me, questa storia da un punto de vista obiettivo sarebbe da 4 stelline, ma da un punto soggettivo 3 stelline. Mi spiego.
Dalle prime pagine, si vede un grande lavoro di ricerca da parte dell’autrice per creare questa storia, soprattutto per quanto riguarda lo scenario in cui si sviluppa la storia. Si percepisce anche il suo fascino per il mondo e la mitologia classica. Tuttavia, personalmente, mi è mancata un poco di profondità, cioè, mi sarebbe piaciuto conoscere di più l’universo del libro perché mi sembra veramente affascinante.
“Scoprirò il perché, e si pentiranno di aver portato l’empietà a Mesio. Tutti quanti”.
Per quanto riguarda l’argomento è stato interessante, soprattutto il fatto che la storia utilizza una gestione dell’intradiegetica per arrivare al climax e non sembra così irreale. È vero che mi aspettavo un altro tipo di storia e più intensità, ma, in linea generale, ne sono contenta.
Infine, le protagoniste e personaggi secondari sono state carismatiche. Ho capito il perché delle loro decisioni all’interno della storia. Tuttavia, quello invece che mi è mancato è stato un po’ di profondità nel loro sviluppo, soprattutto per quanto riguarda i personaggi secondari.
In definitiva, questa storia mi è piaciuta, allo stesso tempo che è interessante. La consiglierei ma non credo che entri tra le mie migliore letture dell’anno. Ma, questo non significa che non voglia leggere i suoi altri romanzi perché ne sono interessata.
“Questa è una preghiera disperata”.
****
ESPAÑOL
“Siamo della terra, e terra torneremo un giorno…ma con il favore di Desteria”.
Es la primera novela que leo de Giorgia D’Averso. Me la ha recomendado Goodreads cuando acabe otro libro de fantasía italiana. He leído la sinopsis y a decir la verdad, me convenció.
Antes de empezar esta reseña, quiero decir que este libro lo he leído en italiano. No existe todavía traducción ni en ingles ni en español. En cuanto al nivel lingüístico, yo lo clasificaría entre un B1-B2. La prosa de la autora es ligera, pero presenta un vocabulario propio del mundo de la fantasía. Esto puede llegar a ser difícil o tediosa si es tu primer libro en esta lengua. Por eso, te aconsejaría leerlo una vez hayas leído otras novelas más ligeras.
“Divina Desteria, accogli il nostro sacrificio per questa terra. Usa le mie mani per infondere la tua potenza nel raccolto, perché sia ricco e di buon auspicio per la stagione di mietitura”.
Ahora que he terminado la lectura, admito que para mí, esta historia desde un punto de objetivo sería de 4 estrellas, pero desde un punto subjetivo serian 3 estrellas. Me explico.
Desde las primeras paginas se ve un gran trabajo de investigación por parte de la autora para crear esta historia, sobre todo en lo que se refiere al escenario en el cual se desarrolla la historia. Se percibe también su fascinación por el mundo y la mitología clásica. Sin embargo, personalmente me ha faltado un poco de profundidad, es decir, me habría gustado conocer de más el universo del libro porque me parece de verdad fascinante.
“Scoprirò il perché, e si pentiranno di aver portato l’empietà a Mesio. Tutti quanti”.
En cuanto al argumento ha sido interesante, sobre todo con el hecho que la historia utiliza una gestión de la intradiegética para llegar al clímax y no parece tan irreal. Es verdad que me esperaba otro tipo de historia y más intensa, pero en líneas generales, estoy contenta.
Al final, las protagonistas y los personajes secundarios han sido carismáticos. Entendí el porqué de sus decisiones a lo largo de la historia. Sin embargo, llo que me ha faltado ha sido un poco de desarrollo en su desarrollo, sobre todo en cuanto se refiere a los personajes secundarios.
En definitiva, la historia me ha gustado y al mismo tiempo che ha sido interesante. La recomendaría, pero no creo que entre entre mis mejores lecturas del año. Pero esto no significa que no quiera leer otras de sus obras, porque si que estoy interesada.
Se dovessi scegliere degli aggettivi per descrivere “Il Tredicesimo Nume” essi sarebbero sicuramente 𝘰𝘮𝘣𝘳𝘰𝘴𝘰, 𝘷𝘢𝘨𝘰, 𝘮𝘪𝘴𝘵𝘦𝘳𝘪𝘰𝘴𝘰, per tutta l’atmosfera ricreata intorno a esso e la narrazione a cui si presta. È un dark-fantasy con premesse che non hanno potuto che invitarmi a cimentarmi nella lettura, quali la chiara ispirazione euripidea – si vede benissimo l’influenza dei suoi intrecci più cupi e contorti – e l’ambientazione della cittadina di Mesio chiaramente greco-romana. Proprio riguardo quest’ultima utilizzerei uno degli aggettivi citati in precedenza, ovvero “vago”, per la sua descrizione generale, forse l’unica cosa che davvero ho apprezzato meno del libro. Sappiamo che Mesio è una delle dieci città della Gallea – il mondo in cui è ambientata la storia – che ancora non è andata incontro alla Caduta, ma non conosciamo coordinate geografiche precise, né antropologiche, né linguistiche, se non mediante sparuti riferimenti. Sarò di parte poiché forse il 𝘸𝘰𝘳𝘭𝘥𝘣𝘶𝘪𝘭𝘥𝘪𝘯𝘨 è ciò che più mi interessa da vedere e leggere in un fantasy, e ho risentito molto di non essere riuscita a visualizzarlo nel mondo di Giorgia. L’altro difetto che mi sento di menzionare è quello legato alla narrazione: l’ho trovata leggermente didascalica, soprattutto all’inizio, e vi ci sono strascichi durante tutto il proseguimento del libro oltre ad alcune frasi – soprattutto pronunciate da Verdiana – ed esortazioni/imprecazioni che ho trovato “forzate”; tuttavia, dopo lo scoglio delle prime centodieci pagine, la storia fluisce in maniera accattivante e non c’è mai stato un momento in cui avessi pensato di abbandonarla; anzi, più si andava avanti e più avevo desiderio di conoscerla e di proseguire. Giorgia è stata davvero brava a tenere vivo il ritmo e grazie a ciò capisco anche il motivo per cui si procede 𝘨𝘳𝘢𝘥𝘢𝘵𝘪𝘮: da una situazione iniziale eterea e idilliaca, caratterizzata da profumi di campi di grano e dorata luminosità, si degrada in un’atmosfera sempre più cupa, in cui serpeggia il vero antagonista dell’opera: la 𝗰𝗼𝗿𝗿𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲, che investe chiunque ma soprattutto chi detiene il potere della città, ovvero gli uomini. La piramide sociale è immediata: vi è il re, Meleagro; il sommo sacerdote, Anneo, padre di Verdiana; il capo della guardia cittadina, Tarpeio, padre di Clizia. Clizia e Verdiana sono le due protagoniste, i personaggi meglio riusciti della storia sia in quanto singoli che nel modo in cui si relazionano agli altri: sono due sacerdotesse di Desteria, la Nume tutelare di Mesio simile alle “Grandi Madri della terra” di matrice classica, e, tra le donne situate in una società marcatamente patriarcale, rientrano tra coloro che hanno più potere in quanto scelte dalla divinità. Clizia è una ragazza per natura “diffidente” rispetto alla fede che deve dimostrare di professare, diversamente da Verdiana, il cui animo è totalmente devoto alla dea; l’una è tenera e ama profondamente la sua amica, l’altra è integerrima e adora essere ammirata molto più che amata; l’una ha uno splendido rapporto con gli uomini della sua famiglia, l’altra detesta il proprio padre con tutta sé stessa; l’una, innocentemente, non sa arrivare all’altro e guarda prima alla sua situazione, l’altra è invidiosa e carica di rabbia repressa; l’una ama incondizionatamente, l’altra crede di farlo, ma non è così. Clizia e Verdiana pullulano di pregi e difetti, sono diversissime tra di loro, eppure si completano; la loro relazione, di cui ho sperato vedere “di più” – ma intuisco il motivo per cui Giorgia ci ha voluti tenere sulle spine, costringendoci proprio a farci dire “ancora” riguardo al loro rapporto – evolve in qualcosa di sempre più atavico e diffidente, come se la certezza che l’una possa sempre contare sull’altra crollasse da un momento all’altro. Tra tutte le sacerdotesse – quali ricordo la mentore Mirta, la saggia Tosca, la diretta Flaminia e la dolce Iris – sono quelle che più si distinguono quanto a carattere, e ho amato anche il modo in cui sono state calate nel contesto familiare di riferimento. Attorno a loro non solo i propri padri ambigui, ma anche le loro famiglie: il defilato Elvius da parte di Verdiana, l’affabile Zeno, Galatea e Prisca per parte di Clizia. Menzione d’onore al mio protetto, Lelius, personaggio maschile meglio riuscito della storia, così come al cane Ferus, che ci regala una delle scene più commoventi dell’intero libro. Se persino un animale riesce a entrare dentro, allora devo complimentarmi con Giorgia per il magistrale lavoro di caratterizzazione dei personaggi, che è poi ciò che rende “Il Tredicesimo Nume” un romanzo 𝘤𝘩𝘢𝘳𝘢𝘤𝘵𝘦𝘳-𝘥𝘳𝘪𝘷𝘦𝘯. Credo che la cosa più necessaria sia approcciarsi al romanzo con la testa non troppo piena, viste le tinte oscure e la suspense elevatissima e tesissima (gestita in maniera davvero eccelsa), concentrandosi soprattutto sui suoi punti di forza che sono l’atmosfera generale e i personaggi. 𝗟𝗼𝗱𝗲 𝗮𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗡𝘂𝗺𝗲! E lasciatevi venerarlo accompagnati dalle due forti presenze di Clizia e Verdiana.
Il Tredicesimo Nume è il primo romanzo di Giorgia D'Aversa è questo va sicuramente tenuto in conto. È un libro a cui avrei voluto dare più stelle, ma purtroppo ha delle problematiche non trascurabili. La peggiore, a mio parere, è quella che mi ha reso la lettura veramente pesante: il ritmo monotono e lento. Ad alcuni piacerà sicuramente il ritmo compassato da passeggiata nei boschi, ma quando non cambia mai, nemmeno nelle scene d'azione, diventa semplicemente noioso. Il secondo è la quantità enorme di riflessioni (per dirla in modo gentile) dei personaggi. Riflessioni molto ridondanti, dal momento che ci dicono sempre le stesse cose, e che arrivano addirittura a riempire le scene d'azione. Se si tagliassero anche solo la metà di questi pipponi mentali, diventerebbe una novella di un centinaio di pagine. Ma è una tendenza che sto notando molto in tutti i libri Acheron e che mi porta a pensare che sia la CE stessa a richiederle. Altro, ma non trascurabile, punto dolente è che di questo Tredicesimo Nume del titolo non si viene a sapere niente, nemmeno un nome o di cosa sia la divinità (anche se quest'ultima cosa si può intuire). Se le protagoniste avessero passato un po' meno tempo a farsi pipponi e un po' di più sulle ricerche o a interrogare il nume, forse lo avremo scoperto. E se fosse una saga, non sarebbe un problema, ma essendo un volume autoconclusivo resterà una questione irrisolta. La storia si prende il suo tempo per entrare nel vivo, qualcosa come dieci o dodici capitoli. Un lungo preambolo che potrebbe essere stato meglio speso per raccontarci del passato delle protagoniste e cosa le ha portate a innamorarsi l'una dell'altra, o a farci conoscere meglio le altre sacerdotesse con cui vivono gomito a gomito, che sono poco più che tratteggiate. Tutto questo avrebbe portato a empatizzare di più con le protagoniste e farci tenere alla loro storia d'amore, invece ci viene detto che questi sentimenti esistono, come un semplice dato di fatto. Anche la città che raccoglie tutta la vicenda è a malapena abbozzata e ciò rende difficile preoccuparsi per le sue sorti. Il finale avrebbe potuto essere più forte, invece pare un po' sbrigativo dopo la lunga lievitazione. E mi rode tantissimo, perché la storia per il resto ha un'ottima struttura e le protagoniste sono molto ben caratterizzate. Ho amato molto Verdiana, mentre Clizia mi ha delusa non poco. Ma anche solo il fatto che una personaggia possa deluderti, significa che sei arrivatə a tenerci a lei e alle sue scelte, che non è poco. Non ho potuto fare a meno di pensare che con i giusti accorgimenti poteva essere un capolavoro. Davvero, mi rode più di quanto possa esprimere. Spero che questa recensione possa essere utile non solo ai lettori, ma anche all'autrice e le auguro tanta fortuna e una lunga carriera 💚
Nella città di Mesio le sacerdotesse della Nume a cui la città è consacrata, Desteria, vanno incontro a presagi oscuri: il rito propiziatorio per benedire le messi non funziona, anzi, lascia una delle sacerdotesse, Clizia, ferita e scossa da terribili visioni. E questo è solo l’inizio di un pericolo che rischia di essere la fine per la città e per i suoi abitanti. Nel clima disperato le persone sono l’una contro l’altra dando il peggio di sè. La storia si concentra su Verdiana e Clizia, due sacerdotesse molto diverse tra loro ma amiche da sempre, legate da un sentimento forte che, nel bene e nel male, si intensificherà con esiti terribili. Particolarmente apprezzabile questa dualità, la caratterizzazione distante e inconciliabile per certi versi delle due protagoniste permette una visione molto diversa della stessa situazione.
Principalmente è una storia che parla di donne, di legami famigliari, di aspirazioni, desideri e devozione. Non si risparmia nel raccontarci del male dell’esistere come donne, dei limiti che si valicano per il proprio tornaconto o per quello che si ritiene giusto. Il tutto immerso in un setting che ricorda il periodo romano, che ci riporta le tradizioni e il misticismo dei popoli antichi.
A me la storia è piaciuta, Verdiana in modo particolare mi è sembrata una personaggia molto interessante, divisa tra i suoi doveri come sacerdotessa e la sua rabbia per il sistema ingiusto in cui è intrappolata. Sta facendo del suo meglio, cerca di salvarsi da sola e percorrere il sentiero del giusto ma la sorte difficile la mette alla prova diverse volte, alimentando la sua rabbia. Con questo forte crescendo di ‘non si può più chiudere un occhio’ che minaccia il peggio. Un personaggio combattivo che si spinge fino in fondo al suo cammino, dovunque la porti.
Clizia invece non sono riuscita a capirla. Ha un animo più buono, vuole vedere il bicchiere mezzo pieno fino a quando non è davanti ai fatti; non ho percepito la sua manchevolezza o il suo lato oscuro, mi sembra una personaggia che si trova in balia di eventi terribili e reagisce come può. Non siamo riuscite a trovarci purtroppo, forse il mio problema è che il confronto con la profondità di Verdiana non le rende giustizia.
Mi è piaciuto molto l’aspetto tradizionale, come sono state portati in scena i riti e le benedizioni, la magia divina che incontriamo nel testo. Sappiamo che Giorgia è molto preparata su questo, d’altra parte. Ho trovato un peccato che il worldbuilding fosse poco approfondito perchè quelle poche informazioni che ci sono mi fanno desiderare di averne di più. Sapevo che era una storia character driven, è proprio nel marketing di questo testo, però avrei voluto vedere un pò di più del contesto perchè mi avrebbe affascinata maggiormente. La prima parte l’ho trovata più lenta, piena di dettagli di descrizioni che mi facevano perdere il filo, che mi distoglievano l’attenzione mentre la seconda mi sembra molto più on point e me la sono goduta di più.
Una lettura interessante e forte che sono contenta di aver fatto.
Clizia cammina a piedi nudi sulla terra, seguita dal suo fedele cane, Ferus. Affonda le mani tra l’erba e le radici, cerca un contatto con Desteria, la Nume a cui si è votata e la stessa che protegge la città di Mesio, e solo dopo aver ricevuto risposta torna alla sua vita nel sacerdozio. La fede di Clizia, però, vacilla. Non è salda come quella di Verdiana, altra sacerdotessa per cui la devozione nei confronti di Desteria viene prima di ogni altra cosa, anche dei rapporti personali. Clizia si permette ancora di immaginare una vita al di fuori del tempio che ormai chiama “casa”, di non allontanarsi dagli affetti familiari e soprattutto dall’influenza paterna, di aggrapparsi a quell’amore proibito per la sua migliore amica.
Quindi, perché Desteria ha deciso di risparmiare un contatto con lei quando, improvvisamente, sembra aver abbandonato le sue fedeli sacerdotesse e la sua amata città?
Il suolo di Mesio, prima rigoglioso e fertile, ora è sterile e destinato a macchiarsi con il sangue dei suoi cittadini. La guerra civile è alle porte, i silenzi di Desteria continuano. Clizia e Verdiana non possono far altro che mettersi a indagare, anche a costo di svelare un segreto pericoloso, destinato a incrinare irrevocabilmente il loro legame.
Queste sono le basi de “Il Tredicesimo Nume”, romanzo d’esordio di Giorgia D’Aversa pubblicato dalla Acheron Books.
In questo fantasy ispirato alle tragedie greche, Giorgia D’Aversa inserisce all’interno della sua storia un personaggio la cui presenza non è mai stata formalizzata, ma che è sempre percepibile, e dilaga sia tra gli uomini che nella terra: la corruzione. Dipingendo una cornice inizialmente idilliaca, infatti, con campi di grano pronti alla mietitura dove le sacerdotesse possono correre spensierate, l’autrice non perde tempo nel mostrare quanto sia facile rompere questo equilibrio e lasciare che nel cuore degli uomini si insinui la sfiducia e l’odio. È proprio questo uno degli elementi che più ho apprezzato del libro. A mio avviso, viene perfettamente delineata la reazione che le persone hanno in momenti di crisi inaspettati, la risposta che si dà quando qualcosa su cui si è fatto sempre affidamento (in questo caso la protezione di una Nume) viene a mancare. Lo si può vedere sia nel comportamento dei cittadini di Mesio, che dallo sconcerto passano presto alla diffidenza e alla paranoia, sia nella relazione tra le due protagoniste, Clizia e Verdiana. Unite sin da bambine da una profonda amicizia e poi da un grande amore (per il quale ho fatto il tifo fino alla fine), si ritrovano a percorrere strade diverse che le porteranno a non fidarsi l’una dell’altra, a non comunicare, a scoprire vecchi rancori e gelosie. Il lavoro di corruption arc che viene fatto su questi due personaggi è stato magistrale, e non mi sarei aspettate diversamente.
C’è da dire, infatti, che il punto forte de “Il Tredicesimo Nume” sia l’introspezione dei personaggi. È un romanzo character-driven, come si suol dire. Ma se da una parte viene dato il giusto tempo alle emozioni e ai percorsi dei personaggi di svilupparsi, lo stesso non accade per il worldbuilding. Le informazioni che vengono date riguardo la Gallea (il mondo in cui è ambientata la storia) sono sporadiche, non abbastanza per avere un’idea chiara delle limitazioni ed estensioni del sistema magico. Essendo una grande amante di queste descrizioni nei fantasy, ne ho risentito l’assenza. Tuttavia, il finale aperto del libro mi lascia sperare che il libro possa avere un seguito, magari ambientato in una delle altre città di cui si parla nella storia e che ciò comporti un approfondimento del worldbuilding.
Un’altra nota dolente che voglio evidenziare è stata l’utilizzo di esclamazioni e imprecazioni che, anche se simpatiche e senza ombra di dubbio originali, qualche volta ho trovato ripetitive e anticatartiche (es. “Che Desteria vi faccia diventare le braghe dello stesso colore della terra”). Questa, però, è l’unica critica che mi sento di muovere verso lo stile di scrittura di Giorgia D’Aversa, perché per il resto la sua prosa è accattivante e scorrevole.
Reputo quindi “Il Tredicesimo Nume” un validissimo esordio e ne consiglio la lettura a tuttə gli appassionatə del genere e a chi, come me, è cresciuto amando le tragedie greche.
Infine, ringrazio la Acheron Books per avermi fornito una copia del libro in cambio di una recensione onesta.
Il Tredicesimo Nume è un romanzo fantasy dalla tinte oscure, ambientato nell'immaginaria regione della Gallea, formata da dieci città comunicanti ma indipendenti tra loro e che ricorda alla lontana la Grecia con le sue città-stato.
Ogni città è dedicata al culto di uno dei dieci numi: nella città dove è ambientata la storia, si venera la nume Desteria ed esiste un culto di sacerdotesse a lei dedicate. Tra queste sacerdotesse troviamo anche le nostre protagoniste, Clizia e Verdiana, due giovani donne che, nonostante le differenze caratteriali, nutrono un affetto sincero l'una per l'altra.
La storia si apre durante il periodo del raccolto quando qualcosa di misterioso e funesto inizia a succedere. Le protagoniste dovranno fare i conti con questi presagi, con le trame politiche della città, in cui sono coinvolti i rispettivi padri, e con i sentimenti nascosti che provano l'una per l'altra.
D'Aversa ha creato una storia avvincente, ben costruita e bilanciata, che vi lascerà sofferenti ma soddisfatti. L'autrice ha disteso fili di trama per tutto il romanzo e nella seconda metà li ha tirati rivelando una trama ben congegnata e intrecciata su più livelli.
Le due protagoniste hanno voci ben distinte che permettono al lettore di vedere entrambi i punti di vista e di capire come ragionano, cosa provano e il perché delle loro scelte.
Un consiglio: evitate di leggere in pubblico come ho fatto io, che poi vi fissano tutti mentre piangete ✌🏽
Il Tredicesimo Nume è un romanzo che si prende i suoi tempi. Tempi per analizzare la psicologia delle protagoniste, per scavare nei loro sentimenti, per raccontare della loro routine da sacerdotesse e per rendere viva l'atmosfera di questo secondary world ispirato alla mitologia greco-romana. Un secondary world che, appunto, non viene esplorato nel dettaglio ma riesce comunque a risultare convincente grazie alle suggestioni che vengono seminate qua e là, come tanti semi buttati nel vento. Ci sono altri Numi oltre Desteria, di qualcuno sappiamo anche il nome, ma non si scende mai nel dettaglio, perché non è necessario per raccontare questa storia. Clizia e Verdiana sono due ottime protagoniste tratteggiate in maniera molto convincente, anche se ho trovato che lo svisceramento di Verdiana sia andato un po' a perdersi verso l'ultimo atto del romanzo, quando il ritmo accelera (forse troppo) e le cose si fanno un pelo confusionarie. In ogni caso il finale è soddisfacente e anche bello dark, davvero molto apprezzato. Avrei apprezzato un po' di dettaglio e risposte in più sulla figura del Tredicesimo Nume, ma anche senza, il romanzo è davvero buono. Complimenti all'autrice!
Il Tredicesimo Nume, ambientato in un periodo pseudo-greco, in cui il mondo denominato Galea si divide in città-stato guidate ognuna da un Nume diverso. Ci ritroviamo a seguire le vicende delle sacerdotesse della nume Desteria della città di Meseo. Come ci si aspetta la società è oligarchica e comandata da uomini che governano secondo i loro interessi e per le loro cause, a discapito dei ceti inferiori e delle donne relegate a meri oggetti.
Premessa interessante, ma fin dalle prime righe ho riscontrato una scrittura troppo didascalica e priva di anima. Le prime 140 pagine sono una ripetizione continua di sacrifici e preghiere. Il resto è noia.
La Nume sa che ci ho provato, sarà empietà? ma per me è un grande no.
Ringrazio ancora l’Acheron Books per avermi dato l’opportunità di leggere questo romanzo in anteprima!
“Il Tredicesimo Nume” di Giorgia D’Aversa è il suo romanzo d’esordio, un libro dalle tinte greco-romane ambientato a Mesio, una cittadina che mi ha ricordato uno dei tanti paesini del centro-sud Italia, immersi nella natura. Desteria, una dei dieci Numi, sta sparendo e con essa anche la fede dei cittadini. Qualcosa di strano e sinistro avvolge Mesio e le nostre due protagoniste, Clizia e Verdiana, si troveranno a dover fronteggiare delle forze antiche e misteriose. Un romanzo d’atmosfera carico di suspence, il verde è ciò che primeggia in qualsiasi scena, dall’inizio alla fine. Probabilmente è stata una delle cose che più ho apprezzato durante la lettura: come la natura fosse un vero e propio essere senziente e non facesse da semplice sfondo. Le descrizioni dell’autrice sono state di grande aiuto, hanno dato forma e colore all’ambientazione, soffermandosi sul rapporto che essa ha con le due protagoniste. Infatti, ognuna di loro ha un modo diverso di approcciarsi a Desteria e ciò sarà una parte essenziale sia della trama che del loro rapporto. Clizia, una giovane donna dall’animo tenero e fragile che spesso ammette di sentirsi fuori posto nella veste di sacerdotessa, non ha paura di mettere in dubbio i rituali e alcuni dei modi usati per venerare la Nume. Non ha timore di mostrarsi inorridita dinanzi la pratica barbarica dei sacrifici e di mostrare pietà per i poveri animali, doni sacrificali. Ho apprezzato molto il personaggio di Clizia. Nonostante i suoi dubbi, si è sempre dimostrata forte e fedele, pronta ad aiutare chiunque si trovi in difficoltà. Come Verdiana, ha molti difetti. Spesso, non si rende conto della malvagità altrui, cercando sempre il buono negli altri. È una ragazza ingenua e sognatrice, per questo è molto facile rivedersi in lei. Dall’altro alto abbiamo Verdiana. Anche lei una giovane sacerdotessa che professa sin da subito un grande attaccamento verso Desteria. Soprattutto i primi capitoli sono ricolmi di pensieri in tal senso che denotano la sua devozione. Come dicevo precedentemente, si tratta di un modo completamente diverso di credere nella Nume, un modo che molto spesso andrà a scontrarsi con quello di Clizia. Verdiana nasconde una grande rabbia dentro di sé, un odio che inizialmente nemmeno lei sapeva di celare. Man a mano che la storia procede, quest’odio si fonderà a disperazione e vendetta, perfetto per il clima che attanaglia Mesio. Verdiana ha un carattere davvero molto particolare e difficile da apprezzare in certe occasioni. Capisco le sue scelte, ma in alcuni casi mi sono trovata in completo disaccordo con i suoi pensieri, soprattutto quando riguardavano Clizia. Probabilmente il suo carattere è molto diverso dal mio, motivo per cui non sono riuscita a legare molto con lei. Un punto focale della storia è l’amore tra le due protagoniste. Un amore proibito non solo a causa del sacerdozio. Anche quando ciò che provano sembra più importante di qualsiasi altra cosa, la diversità tra le due diviene insopportabile. Una diversità che si accentua con lo svolgersi della vicenda. Ho adorato le loro interazioni, ma ho apprezzato ancor di più l’evoluzione (e l’involuzione) graduale del loro rapporto. L’ho trovato genuino e ben costruito, un qualcosa in più che aggiunge spessore ai personaggi. La scrittura è scorrevole e ben equilibrata: non ci sono descrizioni eccessive, quelle presenti sono necessarie per far sì che il lettore possa immaginare e percepire Desteria stessa; i dialoghi sono pressoché verosimili, anche se alcune volte li ho trovati troppo artificiosi; come ho già detto, i personaggi, anche quelli secondari, vengono ben caratterizzati anche se l’attenzione resta sempre e comunque su Clizia e Verdiana. Gli antagonisti, le altre sacerdotesse e gli altri personaggi restano abbastanza da sfondo. Avrei apprezzato maggiore approfondimento del cambiamento del rapporto tra Tarpeio e Clizia, sarebbe stato bello vedere l’amore paterno e la completa fiducia di Clizia nei confronti di suo padre demolirsi poco a poco, ma ho trovato il tutto un po’ troppo veloce. La conclusione della storia è abbastanza affrettata, soprattutto gli ultimi capitoli. Capisco il volersi non dilungare troppo e inutilmente, ma in alcuni casi la narrazione così veloce non ha dato la giusta attenzione a scene importanti. Concludo dicendo che Il Tredicesimo Nume si è rivelato essere un valido esordio e non vedo l’ora di leggere qualcos’altro dell’autrice.
Mi sono preso un po' di tempo da quando ho finito la lettura de Il Tredicesimo Nume a ora, che sto scrivendo la recensione. Ho scelto di far decandare un po' le sensazioni che la storia mi ha lasciato, per provare a parlarne con un po' più di lucidità. Perchè, come detto in un'altra recensione da cui mi permetto di rubare una citazione, questo libro ha una qualità importante per una storia: ti lascia con tanto di cui parlare.
Premetto che non conoscevo l'autrice prima della pubblicazione de ITM, non la seguivo come booktuber e sono arrivato tutto sommato scevro da pregiudizi sulla storia e sull'autrice, incuriosito dall'ambientazione, dalle premesse della storia e dal legame tra le due protagoniste.
Giusto due coordinate. Mesio, una città della Gallea in questa ambientazione ad ispirazione greco-romana, è dedita al proprio nume tutelare, Desteria, dea delle messi e della fertilità. Le due protagoniste, Clizia e Verdiana, ne sono sacerdotesse.
Mi era stato detto che l'ambientazione fungeva da sfondo, che non era quello il focus del romanzo. Che il vero core era il rapporto tra le due protagoniste. Ed è vero. L'ambientazione è uno sfondo, abbozzato, tratteggiato e sfumato. Per i miei gusti troppo vago. Le persone, e i personaggi, sono forgiate da un misto tra carattere e ambiente, sfocare quell'ambiente toglie consistenza e peso ai personaggi in scena. E rischia di creare situazioni contraddittorie. Il vero problema di questa ambientazione infatti non è tanto la sua vaghezza o la poca presenza, come molti sottolineano, ma quanto il fatto che sotto diversi aspetti (e direi anche quelli più importanti, attorno ai quali si muovono molti temi del libro) è incoerente e contraddittoria con sé stessa.
Provo a spiegarmi meglio. In un mondo dove gli dei esistono, sono reali e manifestano il proprio potere, in una città dove questo potere è un potere benefico, legato alle messi e alla fertilità, tangibile e reale, come può manifestarsi la sfida al potere divino? In una società dove questo potere è espresso esclusivamente tramite sacerdotesse donne, come mai tutto il potere, politico, militare e soprattutto religioso, è in mano maschile? Emblematica la figura del Gran Sacerdote, diretto superiore delle sacerdotesse di Desteria, il quale non ha alcun potere divino, non ha alcuna comunione con la dea, al contrario delle sacerdotesse, eppure comanda lui, come un burocrate qualsiasi, buono a mettere timbri e tagliare nastri. Queste domande ovviamente non hanno una risposta univoca, ma il libro non le affronta, portando avanti quella che, purtroppo, sembra una trasposizione 1:1 di problemi del nostro mondo in un secondary world. Ed è un vero peccato, sono assolutamente convinto che la questione femminile, la disparità di potere e il sessismo interiorizzato siano enormi problemi della nostra società. Sono tematiche importanti, fondamentali. In questo parlo di occasione sprecata, di trattazione fin troppo didascalica del tema e, a volte, fuori registro (il confronto finale con il re di Mesio l'ho trovato anticlimatico, riassumibile con l'immagine di Maccio Capatonda che fa il gesto con le mani e urla SCOPARE, nel mentre attorno infuria la fine del mondo). La sensazione di trasposizione paro paro in un mondo che segue regole diverse si riflette in altri aspetti, dal veganesimo di Clizia ai body issues di Verdiana, così attuali ma così fuori luogo, a mia interpretazione, nell'ambientazione che richiama la grecia antica del romanzo.
D'altro canto il rapporto tra le due protagoniste funziona. Nonostante un inizio decisamente lento, che poco si concede di raccontare i pregressi del rapporto tra Clizia e Verdiana (anche qui, peccato, stando ai miei gusti) funziona. C'è una cosa che mal sopporto in narrativa. Quando dei conflitti tra i personaggi si creano semplicemente perché questi non si parlano. Quando basterebbero due parole e invece i rapporti si deteriorano e tutto va in malora per esigenze di trama. Il "ma perchè non vi parlate e basta?". Ecco, Il Tredicesimo Nume non ha questo problema. Clizia e Verdiana si parlano, tentano di avvicinarsi, di capirsi. Ma è il contesto e il loro carattere più profondo che impedisce di salvare il salvabile. È una storia che non poteva andare altrimenti, e non perché i personaggi per esigenze di trama non si sono parlati. Non entrano in conflitto perché sì. Ed è un aspetto che ho apprezzato molto, il conlitto tra le due è costruito bene, ed è molto interessante.
Ho trovato molto affascinante, interessante e ben gestito il personaggio di Verdiana nel suo arco, efficacie nella tragedia che si sviluppa attorno a lei. Di Clizia alcuni aspetti li ho apprezzati (la gestione del rapporto con la famiglia, i metodi d'approccio ecc), mentre ho sinceramente trovato davvero pesante il suo lato più... vegano cruelty free? Non saprei bene come descriverlo. La sacerdotessa della dea dell'abbondanza che inorridisce davanti ai sacrifici animali rituali? Eh... Oltre che la sua visione bucolica del mondo alla lunga è diventata... un po' troppo. E quel cane, che davvero, no. Tolte queste che ho percepito come idiosincrasie forzate nel contesto dell'ambientazione, ho comunque apprezzato la figura di Clizia, il suo arco opposto a quello di Verdiana e di come le due si siano interconnesse tra di loro.
Altro aspetto che ho apprezzato molto, superato l'inizio lento, è che effettivamente quando le cose iniziano ad andare male, quando la storia inizia ad ingranare... il ritmo è estremamente incalzante. Nonostante i problemi di cui sopra, ho sempre voluto girare pagina per vedere dove portava la storia, quando male potesse andare a finire il tutto (spoiler: tanto). E la crudezza non edulcorata dello scenario è un altro elemento che fa onore all'autrice.
Per tirare le somme direi bene sui personaggi (tralasciando alcuni aspetti che fanno molto "2020 nell'antica grecia"), molto bene il rapporto tra le due protagoniste, vero pilastro del libro, meno l'ambientazione e il contesto in cui si svolge la vicenda.
E,utima cosa. Il cane. So che l'ho gi detto ma... Mi spiace, ma il cane proprio no. Senza sarebbe stato tranquillamente mezzo punto in più. E quella scena finale, con il cane... No. Decisamente no, mi spiace davvero ma con il cane non ce l'ho proprio fatta <:D
Ho avuto l’onore ma anche il piacere di leggere questo libro in anteprima, e pur sapendo già che direzione avrebbe preso, non ho potuto fare a meno di rimanere incollata alle pagine nelle fasi finali (Giorgia ha le prove, ci sono i messaggi). Il modo in cui l’atmosfera di questo romanzo ti risucchia al suo interno è stato inaspettato, piacevole, ma anche devastante—soprattutto quando ti guardi indietro e confronti la fine con l’inizio. Clizia e Verdiana mi hanno emozionata, mi hanno fatto arrabbiare, mi hanno fatta angosciare; insomma, hanno decisamente lasciato il segno. Così come tutta la vicenda, che è viscerale come piace a me.
Leggere questo romanzo è stato come entrare in un altro mondo, antico, e sentire l’aria che si respira lì, anche a costo di rimanerne travolti. E sono contenta che tante altre persone potranno fare questa esperienza.
Ci sono alcuni libri che nonostante i difetti riescono a tenerti incollata alla pagine. Hanno quel qualcosa che ti cattura e ti spinge a non abbondare fino alla fine i personaggi, sia mai che senza la tua supervisione si mettano nei guai (Spoiler: lo fanno comunque).
È stato così per Il Tredicesimo Nume, solidissimo esordio di Giorgia D'Aversa e ottima aggiunta nel panorama del fantastico italiano.
Un Dark fantasy stand-alone e character-driven, con un worldbuilding di ispirazione greco-romana (non mancano richiami alla tragedia greca) in cui seguiamo Clizia e Verdiana che si ritroveranno, loro malgrado, a destreggiarsi in un mondo sull’orlo del caos.
Il mondo dove si muovono le nostre protagoniste, la Gallea e più precisamente la città di Mesio, è un luogo avvolto da una patina dorata, idiliaca e accogliente, che va però a celare un’oscura e marcescente decadenza.
Una superficie luminosa che nasconde tradimenti, invidie, ingiustizie e, infatti, basta poco per far degenerare tutto in una spirale di violenza. Non a caso Giorgia D’Aversa getta uno sguardo su questioni attualissime e sebbene non siano trattate in modo approfondito, questi dettagli danno sicuramente spessore al racconto.
La storia che seguiamo è brutale, cupa. Una storia viscerale che di certo non fa sconti, soprattutto a Clizia e Verdiana.
Come ho accennato, il libro è fortemente character-driven quindi abbiamo modo di conoscere nel profondo le due protagoniste. Di coglierne ogni aspetto, immergendoci nei loro pensieri ed emozioni. Sono il cuore pulsante del romanzo ma entrare in sintonia con loro non è stato però immediato, proprio perché sono ritratte in tutta la loro umanità con imperfezioni, dubbi ed errori. Tuttavia, durante il loro percorso, ho finito per apprezzarle e comprenderle sempre di più.
Di aspetti positivi questo libro ne ha da vendere ma vi ho parlato di alcuni difetti, in sintesi:
🌾Qualche dettaglio in più nel worldbuilding non avrebbe guastato! Alcuni aspetti rimangono fumosi e poco chiari, un peccato perché la Gallea ha decisamente tanto potenziale…e personalmente mi ha davvero intrigata!
🌾Abbiamo una parte iniziale che si prende il suo tempo per mettere al posto tutti e tasselli, dando modo al lettore di avere informazioni e coordinate per orientarsi nella lettura, e una parte finale invece molto, molto più frettolosa!
Il Tredicesimo Nume si è rivelata un’ottima lettura, un Dark Fantasy di tutto rispetto con una storia coinvolgente, personaggi sfaccettati e un’ambientazione cupa (proprio come piace a me). Un bel mix che potrebbe interessare anche a chi vuole approcciarsi al fantasy italiano e non sa da dove iniziare!
Solitamente scrivo recensioni molto brevi, non sono un'amante delle cose troppo lunghe, ma questa sarà un'eccezione. Perdonatemi se ci sarà qualche errore di battitura o di ortografia per questo motivo.
Cosa dire di questo libro? Anticipo che per me è un 3.5. Che nella mia visione delle cose non vuol dire che il libro è brutto o è mediocre. Se si pone il mouse sulla terza stellina su Goodreads, il sito stesso dice: I liked it. Lo premetto, perché so che molti considerano 3 stelle un brutto voto. Non lo è. Ho deciso di arrotondare a 4 per due motivi. Uno, io sono una mollatrice di libri di professione, ma non ho mai voluto mollare questo libro. Due, è comunque una mezza-prima prova per l'autrice. Chapeau. Fatte queste premesse, questo libro ha dei pro e dei contro. E aggiungo che, prima di leggerlo, ho letto delle recensioni per capire se fosse nelle mie corde. Di conseguenza, molte delle mie impressioni saranno in risposta - senza citarle - ad alcuni problemi sollevati da altri utenti. Sempre per questo motivo, la recensione sarà spoiler.
Vorrei iniziare dal worldbuilding. Le prime 60 pagine circa si prendono il loro tempo (forse anche un po' troppo) per descrivere Mesio e il mondo che ruota attorno alla città. Inizialmente non soffrivo la mancanza di contesto e, anzi, mi chiedevo cosa avesse fatto nascere quelle recensioni. Andando avanti con la trama, quando inizia a correre (e anche questa volta, forse un po' troppo), ho iniziato a sentire la mancanza di alcuni punti fermi. Come funzionano le relazioni con le altre città, le preghiere, la vita in città. Se si indaga il testo qualche risposta c'è, ma sono nascoste sotto righe e righe di testo, quindi da una parte capisco chi desiderava qualcosa in più, soprattutto riguardo Caduta, le altre città, i Numi eccetera. Molti hanno già sollevato il problema del maschilismo detto, ma non mostrato. In questo caso sì, forse un approccio meno "diretto" avrebbe funzionato meglio. Tuttavia, credo che questo aspetto funzioni comunque. Non ho ben compreso, invece, l'intrigo politico. Si accenna a diverse famiglie nobili - correggetemi se sbaglio - eppure nella trama esistono solo il re e le famiglie delle protagoniste. Questo intrigo mi risulta un po' vacuo nel momento in cui... cosa si guadagna? Grano in più? Per farci cosa? Insomma, non mi è chiaro cosa si ottiene da questo conflitto, se non di sedere su un trono. Che okay, bello, ma cosa si ottiene di fattuale? In aggiunta al fatto che in una riga il padre di Clizia in qualche modo giustifica la sua azione come una vendetta, perché l'amicone gli ha rubato la ragazza. Potrei anche essere io che, viceversa, non ho compreso che il succo dell'intrigo sta proprio qua: nella sua vuotezza. In questo caso, allora, diremo che è un mio gusto personale. Piccolo nitpicking: il popolo viene descritto fondamentalmente come una massa stupida che si sveglia e decide di volere condizioni più giuste solo perché si fa convincere da un dio malvagio che vuole portare scompiglio. Andato il dio, tutto dovrebbe tornare più o meno in ordine col tempo. Ovvero popolo che sgobba e nobili che si beccano il grano. Mmm. Guardiamo il lato positivo: di nobili sono rimasti in cinque, o qualcosa del genere.
Passiamo alle personagge. Clizia per la prima metà non brilla, ma è un personaggio accettabile. Nella seconda metà, terribile. E non lo dico in stile oh no le donne che piangono voglio solo donne forti. Un libro intero passato con il prosciutto sugli occhi, e okay, manipolazione, ma dico io due fratelli su due, la madre, praticamente tutti vedono il padre per quello che è, ma lei prosciutta fino all'ultima pagina. Dall'altro lato, l'unica intelligente che capisce cosa succede. Mah. E lei regina alla fine? Aiuto, pregherò per la città. Decisione che per me non ha senso, né per il suo personaggio, né per quel mondo, ma ovviamente non sono l'autrice. Ah, io sono team Lelius. Proteggetelo ad ogni costo. Passiamo a Verdiana. Non mi ha totalmente conquistata, ma sicuramente personaggio più interessante di Clizia. Molti decantano il suo arco del personaggio e in gran parte concordo. Il suo disinnamoramento per Clizia mi è sembrato un po' brusco, così come la sua fiducia per un Nume che è chiaramente malvagio. Dai, come quei personaggi che si fidano di qualcuno che allo spettatore appare sospetto. E lei era la furba/intelligente delle due. E sì, il trauma, la disperazione, tutto quello che vogliamo. Ritorna il gusto personale. Ultimo punto sulle personagge. Finalmente una rappresentazione saffica, olé. Purtroppo mi sento di dire che, sebbene si dica ogni 5 righe che le due si amano, non ho trovato alcuna chimica sulla carta. Non saprei indicare bene cosa me lo ha fatto pensare, purtroppo questo è quello che si è sedimentato nel mio cervello. Non le trovo compatibili, anzi, in alcuni punti si insultano dicendosi le peggio cose - nel senso, cose che si dicono proprio perché si sa che feriranno l'altra. E va bene una e due volte, alla terza forse non vi amate così tanto. Dicono di conoscersi benissimo, due minuti dopo litigano perché non si capiscono.
Infine, lo stile. Scorre bene, si inceppa raramente, ho beccato solo qualche svista nelle ultime pagine (una lettera non maiuscola, ad esempio). Motivo per cui non mi è mai venuta voglia di mollarlo lì. Le uniche cose che non mi hanno convinto molto sono alcune metafore un po' azzardate, che mi hanno fatto ridere nei momenti sbagliati o mi hanno sbalzata fuori della sospensione dell'incredulità. Forse troppe invocazioni di Verdiana nella prima metà. Dice più O mio dio (versione Desteria e Numi) questa donna di me, e io ne dico tanti. Tantissimi.
Potrebbe sembrare una recensione negativa, ma come si suol dire: se una cosa funziona, spesso non si nota. Ho apprezzato l'ispirazione alla tragedia greca (anzi, avrei voluto qualche conflitto di ideali in più, piuttosto che l'intrigo politico), l'ambientazione (motivo per cui avrei voluto di più), i personaggi (tranne Clizia), mi sono persino commossa per la morte di Ferus. In conclusione, come prima prova non è male, anzi. Rimango in attesa di altri libri dell'autrice.
LELLE! (Questa è stata la mia reazione all'inizio del libro, perché io li metto il lista ma poi passa talmente tanto tempo che mi scordo qual'era la trama per cui li avevo messi in lista e in alcuni casi sempre piacevoli sorprese)
Ora, io ho avuto un rapporto particolare con questo libro, perché mentre lo leggevo ero davvero molto presa dalla vicenda, volevo andare avanti e mi stava interessando, complice il fatto che ha un trope che adoro e che non si trova spessissimo e che mi aveva proprio tenuta incollata alle pagine (e mi ha fatto anche commuovere nel finale). Sentivo che ci fosse qualcosa che non andava durante la lettura, ma non mi dava abbastanza fastidio perché ero troppo presa. Poi però il caldo della lettura si è raffreddato e ora non riesco più a non vedere anche le magagne. Credo che il problema sia che una di queste coinvolge direttamente la ragione principale per cui il libro mi è piaciuto: se non ci fosse stata quella, sarei passata volentieri e vi avrei consigliato anche di passare sulle altre, quella ha fatto scendere un attimo l'entusiasmo per ciò che all'inizio mi aveva coinvolto e mi ha aperto gli occhi. Quindi ora vi spiego cosa mi ha convinto, cosa no, con la premessa che io il libro, se volete leggere di saffiche lovers to enemis comunque lo consiglierei, al netto di tutto.
Partiamo dallo stile. A me il filone in cui si inserisce l'autrice non piace, poi c'è chi lo fa in modo che non sia fastidioso (come lei) e chi lo fa peggio, però qui è proprio una questione di gusti. E nel suo caso lo dico soprattutto perché per me i dialoghi sono una componente fondamentale in una storia, per me se azzecchi i dialoghi tra i personaggi hai fatto l'80% del lavoro e questo tipo di stile lo impedisce. Tra la necessità di mettere i commenti del POV per farti capire cosa prova (che è inutile, se metti bene il dialogo lo si capisce da quello che dice) e il non voler usare verbi di dialogo, nemmeno il "disse", i dialoghi non sono quasi mai immediati in botte e risposte, sono sempre intervallati da altro che la maggior parte delle volte rallenta il ritmo. Può essere che voi non ci facciate attenzione, a me... insomma, in un libro che si basa sul conflitto fra due personaggi, i loro dialoghi li avrei preferiti più incisivi, con meno introspezione perché, ripeto, se uno è bravo a far dire le cose giuste l'introspezione la si capisce da lì.
Non sono d'accordo invece con le critiche al worldbuilding. Nel senso, non lo consiglierei a chi cerca un libro superapprofondito e originale, ma non è questo lo scopo del libro, che infatti ne mette QB (quanto basta). In maniera furba, utilizzando un'ambientazione classica, all'autrice basta dare qualche riferimento per permettere al lettore di visualizzare le cose utilizzando l'immaginario comune di quel periodo, mentre le descrizioni sono più focalizzate a riprendere gli stati d'animo e a seguire l'andamento della storia che altro. Per me funziona ed è voluto, l'autrice lo mette chiaro e tondo subito nell'assonanza Desteria-Demetria. In quello che sono d'accordo sono invece alcune tematiche moderne, buttate lì (è chiaramente qualcosa a cui l'autrice tiene) ma che di fatto non hanno alcun tipo di conclusione. Un esempio lampante è la storia del patriarcato, che già è un pochino scricchiolante sulla base delle premesse, ma che non serve a nulla. Se i padri delle protagoniste fossero state due madri in una società matriarcale la storia sarebbe andata nel medesimo modo (che paradossalmente è la ragione per cui in fondo a me questi scivoloni non hanno dato poi tutto questo fastidio). Avrei detto la stessa cosa del worldbuilding anche per il sistema magico ma ammetto che a ripensarci a mente fredda mi sono venute un paio di domande (tipo: ma se lei è l'unica a cui è rimasto il potere, non dovrebbe essere l'unica guarita, dato che è quello che fa la dea?) Però la magia è funzionale anche qui al rapporto con la protagonista, per cui tutto sommato durante la lettura mi è andata bene.
Sui personaggi, a parte le protagoniste, gli altri sono macchiette. I cattivi riescono abbastanza, gli altri sono proprio funzionali come luce riflessa delle protagoniste, del loro rapporto e del loro cambiamento. Anche questo credo che sia voluto, tuttavia in alcune parti credo sarebbe stato più interessante approfondirlo. Lo dico soprattutto nel caso del fratellastro di Clizia, perché se il loro sviluppo è basato sullo sviluppo del rapporto di Clizia con il padre (o avrebbe dovuto esserlo, ma di questo ne riparliamo) e in questo funziona, mi è mancato qualcosa. Ho solo un appunto da fare, che è anche generale: basta, basta nei contesti storici mettere gente che fa i piangina perché deve sposarsi per interessi politici. Leggetelo un libro di storia, è pieno di gente che si fa gli amanti, vivono in un contesto dove sono abituati a non sposarsi per amore, è un conflitto non coerente con l'ambiebtazione e io bollo come negativi i personaggi che piangono su questa storia.
Ma passiamo invece alla cosa più riuscita, cioè le due protagoniste e il loro rapporto. A mio parere l'autrice fa un buonissimo lavoro a tratteggiarci due personaggi con un modo molto differente di relazionarsi con l'ambiente e la situazione che le circonda e descrive in modo soffuso questa tensione che c'è fra di loro, sempre nascosta, finché le circostanze di un mondo che credevano eterno cambiano e si trovano a confrontarsi con i loro sentimenti e soprattutto con le loro differenze. Queste due parlano, è che vivono su due piani diversi e credo che la loro storia non avrebbe funzionato nemmeno in tempo di pace, e forse è questa la tragedia più grande. Mi è piaciuta. Verdiana a mio parere è quella riuscita meglio. La sua fede sfocia nel fanatismo e a tratti risulta fastidiosa, ma l'ho trovato quel tipo di fastidio voluto nella lettura, perché è anche quello che in definitiva la porta a prendere determinate scelte. La sua tragedia è proprio quella di non essersi accorta di quanto fanatica fosse, ma ci cade dentro con tutte le scarpe. Clizia invece... lei mi è piaciuta all'inizio, perché era questo personaggio fin troppo pacifico, che evitava i conflitti (forse si poteva rendere meglio che nel ripetere contino "aprì la bocca e la richiuse" però funziona nel mostrare che alla fine rinuncia sempre a far valere le sue ragioni). Mi aspettavo che arrivasse il momento di farlo, di liberarsi dal gioco del padre, ma questo non avviene mai se non in modi davvero molto blandi che non danno soddisfazione e di fatto danno ragione a Verdiana, mentre il punto di questo tipo di storie è che la tragedia sia che entrambe hanno ragione e torto e non riescono a mettersi d'accordo. Qui quando Verdiana parla di Clizia ha ragione, mentre quando Clizia parla di Verdiana ha torto marcio, il che sposta l'asse della ragione verso Verdiana, per la quale sentiamo tutte le motivazioni per cui ha finito per fare quello che ha fatto, mentre Clizia alla fine non è mai davvero riuscita a prendere una posizione. Non aiuta che la storia sembri essere pro-Clizia, soprattutto visto il finale. Ma la realtà è che il libro mostra uno scollamento fra quello che Clizia dice di provare per Verdiana e quello che fa, perché lei nonostante tutte le nefandezze compiute dal padre non riesce a superare l'amore che ha per lui, mentre per Verdiana basta un gesto e lei s'incazza come una biscia come mai le abbiamo visto fare prima o con il padre. Il punto è che tutto il resto non le importava perché di fatto non la toccava davvero di persona, il che significa che tutto sommato Verdiana aveva ragione e Clizia non l'ha mai davvero amata. Questo squilibrio fra i due sentimenti è quello che mi ha un po' fatto crollare tutto, perché essendo la loro storia il fulcro, arrivare in fondo e voler sputare in un occhio a Clizia non è quello che volevo provare, io volevo piangere per la loro tragedia, ma alla fine ho pianto per Verdiana e a Clizia avrei voluto dare due schiaffi e questo dubito che fosse voluto. Purtroppo è la ragione per cui alla fine ho visto anche tutti gli altri difetti, ma l'aver provato anche questi sentimenti forti nei confronti delle protagoniste e senza dubbio una cosa buona.
Il tredicesimo nume (ITN) è un libro dalle diverse sfaccettature e offre diversi spunti per potervi riflettere sopra. L’ambientazione simil-greca sembra dare buona importanza al worldbuilding ma ben presto si capisce che l’autrice non voglia concentrarsi sull’aspetto esoterico della tragedia di Mesio ma su un aspetto altrettanto oscuro: una relazione umana. Due amanti, per la precisione, Clizia e Verdiana, il sole e la luna, legate dalla fede nella dea protettrice della loro città Mesio, shakespearianamente divise da due padri in conflitto per il potere che rendono il loro amore impossibile. La città è destinata alla rovina e il libro racconta le vicende della sua caduta e a tratti ritrovo molto dei dubbi e delle crisi identitarie tipiche dell’epoca moderna: in primis il romanzo ha luogo in un momento di passaggio, liminale, (adoro questa parola) angosciante, in cui la fede vacilla e i conflitti scoppiano con facilità e il sangue scorre. In secundis, l’autrice ha anche trattato diverse tematiche sociali al centro del dibattito pubblico (sacrosante) e il libro infatti è anche una rivolta contro l’ordine costituito, maschile, sessuale e sessualizzante e infatti è un’idea di potere comunemente associata al maschile. Non trovo che, però, mi permetto, il messaggio si la efficacemente veicolato dato che le sacerdotesse hanno effettivamente dei poteri che rendono manifesta e presente la divinità in loro e ciò stride con il fatto che l’alto sacerdote sia un uomo. Il rapporto tra le due viene mostrato solo nel momento della rottura e nei tentativi di capirsi senza, però, giungere alla riconciliazione, il motivo della tragedia. Una buona scrittura porta il lettore attraverso un inizio un po’ lento che poteva concedersi qualche informazione in più verso un secondo e un terzo atto dal ritmo molto più serrato e incalzante che, però, portano ad una conclusione con scene d’azione che non mi sono sembrate da tragedia greca, a tratti un po’ kitsch. Le protagoniste hanno una psicologia benndefinita che rende la loro rottura credibile, attualissima, senza che i personaggi si separino forzosamente ma per delle motivazioni che non possono non dividere chiunque. Un duo caratterizzato dall’incomunicabilità dell’amore ma anche dall’incomunicabilità del dolore, che non viene metabolizzato e spiegato ma che porta alla rovina di Mesio ed emblema della corruzione che allontana i cittadini dalla divinità: Mesio è perduta per colpa di una classe dirigente corrotta e parassitaria e non si può che volerla distruggere. Ad ogni punto positivo corrisponde uno negativo, ergo: 3/5
This entire review has been hidden because of spoilers.
Ho avuto il piacere di seguire il cammino de `Il Tredicesimo Nume` fin dai suoi esordi, quando Verdiana era ancora Vania e il mondo della Gallea solamente un abbozzo nella mente della sua autrice. Nei mesi successivi, grazie al racconto portato avanti da Giorgia sui social, ho assistito con partecipazione alla nascita di questo romanzo, consapevole di come creare un mondo da zero e popolarlo di personaggi credibili sia uno dei compiti più difficili – ed entusiasmanti – che uno scrittore sia chiamato ad affrontare. Da questo punto di vista, in un mercato editoriale ormai saturo di re-telling del mito, è davvero apprezzabile la scelta dell’autrice di dar vita a una storia completamente nuova, capace di affondare le radici nel mondo della tragedia antica, ma provvista della forza necessaria per germogliare di vita propria.
Evidente, in tal senso, è il debito che `Il Tredicesimo Nume` nutre nei confronti della letteratura classica e, in particolare, della tradizione epico-tragica che da Sofocle ed Euripide conduce fino a Seneca, Lucano e Stazio. Alla maniera degli antichi, infatti, le vicende del romanzo si sviluppano in un conflitto di forze contrastanti, all’interno del quale la virtù dei singoli individui si rivela sostanzialmente incapace di arginare il dilagare del male o di contrastare il vortice delle passioni. Alle diverse vicende tragiche e sanguinosissime fa così da sfondo una realtà dai toni cupi e atroci, in cui la lotta delle forze avverse investe tanto la psiche umana quanto le forze della natura e l’intero mondo circostante.
Un male oscuro, infatti, grava sulla città di Mesio: la Nume Desteria, divinità protettrice della natura e dei raccolti, ha smesso di rispondere alle preghiere dei propri fedeli. È ormai il tempo della mietitura, eppure i campi iniziano a imputridire e corrompersi, i cittadini si ammalano e muoiono, mentre una pioggia incessante sembra voler affogare la città e tutto ciò che contiene. In questa realtà in rapida trasformazione si muovono le protagoniste Clizia e Verdiana, due giovani sacerdotesse devote a Desteria e unite tra loro da un legame all’apparenza indissolubile. In virtù del loro sacerdozio, infatti, esse sarebbero tenute alla castità e alla devozione, eppure faticano a nascondere il sentimento che le lega, un amore delicato e sensuale che l’autrice descrive in poche scene con sensibilità e accuratezza.
Nel mondo del `Tredicesimo Nume`, tuttavia, c’è ben poco spazio per l’amore e l’affetto reciproco: a seguito della scomparsa di Desteria, infatti, Cliziae Verdiana si trovano a dover affrontare non solo la perdita dei propri poteri e il dilagare della violenza a Mesio, ma anche il deterioramento del loro stesso rapporto. In tal senso, l’autrice dimostra di saper gestire con abilità il trope “lovers to enemies”, dividendo sempre più le sue protagoniste e mettendole progressivamente l’una contro l’altra. Se in un fantasy canonico, infatti, Clizia e Verdiana sarebbero riuscite ad appianare le loro divergenze e ad allearsi in nome del bene comune, nel `Tredicesimo Nume` le due non fanno altro che ferirsi reciprocamente, commettendo sempre più errori e rinunciando del tutto a comunicare tra loro. Accade così che il loro amore, che all’inizio del romanzo vediamo appena sbocciare, appassisce davanti ai nostri occhi come i campi di grano affogati dalla pioggia, contaminato da sentimenti di invidia e rancore, oltre che dalla rivalità che da tempo oppone le loro famiglie.
Clizia e Verdiana si rivelano così due eroine sostanzialmente imperfette, chiamate a vincere i limiti del proprio carattere prima ancora dell’empietà che sta devastando Mesio. Se infatti l’empatia di Clizia giunge ben presto a trasformarsi in insicurezza e incapacità di agire, l’attivismo di Verdiana si tramuta allo stesso modo in testardaggine e in una rabbia impossibile da controllare. Ed è proprio il punto di vista di Verdiana e la sua tragica evoluzione a costituire, a mio parere, la parte migliore di tutto il romanzo: abituata a governare energicamente la propria vita e a fare un uso razionale dei propri poteri, ella si trova all’improvviso privata di ogni certezza, incapace non solo di arrestare la decadenza di Mesio, ma anche di aprire gli occhi alla sua migliore amica. Ed è infatti Verdiana ad essere la protagonista di alcune delle scene più riuscite di tutto il romanzo, . L’autrice non mostra infatti alcuna remora nel far soffrire le sue protagoniste – e il lettore con esse –, descrivendo scene spesso violente e atroci e sacrificando sull’altare della storia i personaggi più innocenti. .
Al netto di alcuni difetti nel ritmo narrativo e del mancato approfondimento dei personaggi secondari – Lelius e Zeno su tutti –, il `Tredicesimo Nume` appare un esordio solido e convincente, che segna il debutto di una voce molto interessante nel panorama del fantasy italiano. La Gallea, in particolare, è un mondo dal notevole potenziale: gli accenni sul sistema delle dieci città e i rispettivi Numi – di fatto molto limitati, ma coerenti con il POV di due sacerdotesse con ben poca esperienza del mondo al di fuori di Mesio –, lasciano al lettore la voglia di saperne di più e di approfondire le vicende narrate. L’autrice potrebbe infatti ambientare molte altre storie nel mondo da lei creato, collocando le vicende in città diverse e giocando con gli usi e i costumi dei popoli del passato – non sarebbe infatti difficile immaginare Taura come una novella Sparta o Sunder come un reame silvestre popolato da tribù germaniche. In attesa di leggere altro firmato da Giorgia D’Aversa, non posso far altro che promuovere questo suo primo romanzo, consigliandolo a chiunque sia affascinato dal mondo antico e ami le narrazioni atmosferiche pervase dalle voci dei suoi personaggi.
Non so quanto tempo è passato dall'ultima volta che ho concluso un libro in tre giorni senza perdermene una parola. Forse neanche quando avevo tredici anni. Sono stato trascinato dalle radici di Mesio un po' alla volta dentro a un mondo che a pelle credevo non mi interessasse, mentre al termine della lettura sono riemerso dai suoi paesaggi bucolici disastrati quasi contro voglia. Forse è la prova che continuo a mentire a me stesso e che i mondi fantasy creati bene sono davvero la mia seconda casa.
Avevo un ricordo generico del pitch presentato da D'Aversa a Pitchnado, ma ho iniziato a leggere il romanzo senza nemmeno dare un'occhiata alla quarta di copertina, per cui mi sono perso le anticipazioni della natura tragica del romanzo. Il progressivo deteriorarsi dell'ambientazione bucolica l'ho quindi vissuto come uno sviluppo inatteso e interessante. Da quel momento (la risata di Simonius), è cambiata la mia percezione dell'ambientazione e dello sviluppo delle due protagoniste. Il loro rapporto di amore-allontanamento-collisione è qualcosa che ho sentito da un lato come inevitabile ma in parte anche come naturale, scatenato cioè dai tratti distintivi della loro stessa personalità.
Come i migliori personaggi delle migliori tragedie (greche, orientali, hollywoodiane) il loro modo di essere me le ha fatte sentire da un lato affini (la tendenza di Clizia a perdonare tutti) e dall'altro simili a ciò che vorrei essere (la certezza di essere sempre nel giusto di Verdiana). Di conseguenza la sofferenza di vederle allontanarsi in maniera definitiva non ho potuto non sentirla. Non so perché ma ho percepito poi quasi sfumature da scontro fra due personaggi di un manga, sul finale, anche se credo che il riferimento più probabile sia La Vendetta dei Sith, il migliore Star Wars mai fatto insieme a Rogue One (altra tragedia).
Unica cosa su cui mi permetto di dissentire: "i cani sono meglio delle persone che dicono che i cani sono meglio delle persone". Capisco l'amore di Clizia per Ferus, capisco la sua capacità di perdonare, ma che dopo la morte del padre (che probabilmente meritava) lei sia ancora disposta a perdonare Verdiana, mentre solo dopo la morte di Ferus finalmente percepisca l'irredimibilità dell'amica l'ho percepito come straniante.
This entire review has been hidden because of spoilers.
In un mondo fantasy d’ispirazione greco-romana, seguiamo le vicende di Clizia e di Verdiana, due sacerdotesse che, nella città di Mesio, si dedicano al culto della Nume Desteria. A turbare l’apparente serenità delle due ragazze, già in difficoltà a causa dei reciproci e inconfessati sentimenti provati l’una per l’altra, subentra una strana calamità. All’improvviso, infatti, tutte le sacerdotesse di Desteria perdono i propri poteri e si ritrovano a dover fare i conti con un inaspettato silenzio da parte della loro Nume.
“Il tredicesimo Nume” è, come accennavo prima, un romanzo fantasy autoconclusivo d’ispirazione greco-romana e dalle tinte saffiche, opera d’esordio di Giorgia D’Aversa, nota nel “mondo social” come @passioneretorica. L’hype che ha preceduto l’uscita del romanzo avrebbe potuto essere, a mio avviso, un’arma a doppio taglio: è bene che ci sia voglia e interesse, da parte del pubblico, di leggere una nuova uscita ma, allo stesso tempo, subentrava l’arduo compito di dimostrarsi all’altezza delle aspettative.
“Il tredicesimo nume” però, pur non essendo un romanzo perfetto, non delude affatto. Ha il grande pregio di riuscire a dare tutto ciò che promette: una storia ben congeniata e con un finale più che soddisfacente, una lettura scorrevole e piacevole senza uno stile che risulti artefatto o semplicistico, un trope originale. Se infatti si legge fin troppo spesso di enemies to lovers, qui abbiamo una sorta di lovers to enemies che mi ha intrigata non poco.
Se dovessi proprio trovare dei difetti al romanzo, direi forse che personaggi, eccetto Clizia, la vera protagonista, e il world building sono poco approfonditi, ma d’altronde immagino che l’autrice si sia trovata davanti una scelta: approfondire a dovere, sfociando nella serialità, o scegliere a cosa rinunciare e dedicarsi ad un romanzo con un suo inizio ed una sua fine. A mio parere, ha scelto bene.
Un esordio davvero convincente. Ho divorato questo libro in pochi giorni e mi sono affezionata facilmente a Clizia e Verdiana (soprattutto alla prima, devo confessarlo) così come all’evocativa ambientazione tratteggiata dall’autrice, a partire dalle scene più innocenti e bucoliche arrivando a quelle più oscure e crude della parte finale. E non solo le protagoniste, ma anche i personaggi secondari sono ben delineati e caratterizzati. La trama ha una buona costruzione e trovo ben riuscito il cambio di atmosfera precedentemente accennato. Adoro lo stile adottato, nel quale traspare l’estrema naturalezza delle azioni e tante forti emozioni nei momenti di introspezione. Il world building è soft ma non lo considero un difetto, solo una caratteristica da segnalare, e ad ogni modo credo che ci sia il potenziale per tante altre belle storie. Nella mia testa sono ancora ferma alla corsa verso la quercia…
Recensione veloce per un libro che mi è piaciuto davvero tanto. Tra gli appassionati del mondo greco, la tragedia presenta uno dei punti cardine per la conoscenza del mito. Un’esperienza tanto catartica quanto rituale dove gli spettatori ne uscivano cambiati. “Il Tredicesimo Nume” di Giorgia D’Aversa è, a parer mio, indubbiamente figliə di questo modello. Ha un pacing iniziale molto lento ma che a parer mio è essenziale per entrare alla perfezione nei panni delle due protagoniste, Clizia e Verdiana, e nella loro forma mentis. La drammaturgia degli avvenimenti si sposa molto bene con lo stile asciutto, che permette al libro di esser molto scorrevole. Tutti i personaggi, anche i secondari, li ho trovati molto riconoscibili ed empatizzabili. Che fosse il fratellastro di Clizia e il padre, capo della guardia cittadina, oppure il fratello di Verdiana, tutti avevano il loro ruolo o la loro voce. Questo libro ha solo pregi? No, certamente no, ma d’altronde quale opera non ha difetti? Personalmente mi sarebbe piaciuto più spazio ai personaggi secondari, anche una semplice paginetta in più. È difficile dare una motivazione a così tanti personaggi in 300 pagine scarse, ma quello che mi fa schioccare la lingua è che ci stava riuscendo! Una seconda problematica di cui tengo ad avvisare te, lettore che stai spulciando le recensione per decidere se vale la pena leggerlo (e sì, secondo me ne vale molto la pena), è la mancanza di dettagli nel worldbuilding. Se sei quel tipo di lettore che si emoziona a vedere 40 cartelle di spiegazione sulla cultura di un popolo, sul sistema magico e sulla politica, questo libro potrebbe non fare per te. Tuttavia, a parer mio, dire più di quello che è stato detto non era e non è necessario. Noi veniamo a conoscenza solo della storia di Mesio proprio perché ai fini della storia di Clizia e Verdiana solo Mesio è importante, e tutto il resto sarebbe stato d’impiccio. Inoltre, sono fiducioso che questa non sarà la prima e l’ultima volta di cui sentiremo parlare della Gallea e dei suoi Numi.
In sintesi, per concludere, secondo me “Il Tredicesimo Nume” è uno dei migliori esordi che io abbia letto negli ultimi anni e uno dei migliori libri del catalogo Acheron. Leggetelo, non ve ne pentirete.
P.s. Citando il Mortali nazionale, io Verdiana l’avrei presa a testate.
Dark fantasy dalle atmosfere suggestive, di ispirazione classica, tra campagne e templi prima luminosi, poi sempre più oscuri, in cui è bello camminare fino a perdersi, intrecciando i nostri passi ora con Clizia, ora con Verdiana, sacerdotesse devote a Desteria, alla Terra e a un amore segreto da coltivare con cura. O forse da lasciare appassire, quando a germinare saranno le discordie civili, l'empietà e il caos che annunciano la Caduta, in un clima da guerra civile o tragedia greca.
Ci ho impiegato più di un mese per finire questo libro di nemmeno 300 pagine, e una ragione c'è. Anzi, più di una. Il Tredicesimo Nume aveva tanto potenziale, sia dal punto di vista dell'ambientazione e dell'atmosfera sia da quello della trama e dei personaggi. Potenziale che però non è stato sfruttato.
Iniziamo dell'ambientazione. Ho capito le intenzioni dell'autrice (come ha anche specificato sui suoi profili social): creare un mondo la cui priorità fosse trasmettere una determinata atmosfera piuttosto che concentrarsi più di tanto sulla propria solidità interna. E sì, l'atmosfera cupa e di incertezza si percepisce, ma è difficile ignorare quanto il worldbuilding sia sottile. Il mondo viene a malapena tratteggiato, al lettore vengono date quelle poche nozioni necessarie a capire dove i personaggi si stiano muovendo, ma poi basta. L'aspetto della città di Mesio non viene descritto (e si capisce che abbia influenze greco-romane, ma non tutti potrebbero coglierlo), del resto della Gallea sappiamo i nomi di qualche città e basta. Non viene mai spiegato in cosa sia consistita nel dettaglio questa famosa Caduta, tantomeno vengono approfonditi i Numi, che dovrebbero essere il fulcro del romanzo. Sono tutti elementi importanti affinché non sembri che i personaggi si muovino in una bolla dal soffitto di carta, dove ciò che circonda il setting principale è tutto abbozzato a matita.
La narrazione è davvero lenta e almeno 100 pagine si sarebbero potute tagliare tranquillamente. Mi è sembrato che venissero raccontati gli stessi episodi in continuazione, tutto per far capire che, sì, Mesio sta lentamente marcendo dall'interno, eccetera eccetera. Abbiamo capito. Questo non aiuta a immergersi nella storia, che già presenta una prosa un po' pesante e prolissa. Ho fatto davvero fatica a rimanere concentrata, e il 90% delle volte già a metà pagina mi accorgevo di essermi distratta e di non aver capito nulla di ciò che avevo appena letto.
Clizia mi è piaciuta come personaggia. Verdiana invece ho fatto fatica a sopportarla, ma questo aspetto lo approfondirò più in basso con un bello spoiler warning. La relazione amorosa tra le due l'ho trovata senza senso; poteva essere rimossa e nulla nella storia sarebbe cambiato. Non ho percepito alcuna chimica, e la loro relazione è come se fosse avvenuta nella testa delle due e basta, visto che le loro interazioni amorose sono praticamente inesistenti.
E infine, una cosa che proprio mi ha fatto stringere i pugni: le rivelazioni più importanti vengono sussurrate dal vento. Sì, sussurrate dal vento. E mai fatte sentire al lettore. Semplicemente le personagge dicono: "Sì, il vento mi parla. Ora ho finalmente svelato il mistero principale del romanzo, ovvero che [...]" Embè, ma fallo sentire anche a me. Mi sono sentita esclusa da una rivelazione così importante, tanto da chiedermi: "Ah... that's it? Sarebbe questa la grande rivelazione che aspettavo da inizio libro? Mi devo fidare di quello che mi sta dicendo tal personaggia?"
Tutto questo ha contribuito a rendere la storia una vera occasione persa. Si capisce che l'autrice ha potenziale e sa quello che sta facendo, appunto le auguro di poter accogliere queste critiche, che vedo essere condivise da molti altri lettori, e usarle per esprimere al massimo le sue capacità, che sicuramente non mancano.
Ma per concludere:
🚨🚨🚨 Attenzione spoiler 🚨🚨🚨
L'arco di trasformazione tragico di Verdiana è stato reso davvero male. Non ho trovato sufficienti ragioni per comprendere perché una sacerdotessa che è sempre stata così devota alla sua Nume decida da un giorno all'altro non solo di ripudiarla e di iniziare a venerare un dio distruttore, ma arrivi a voler annientare un'intera città piena di persone che non le hanno fatto nulla e SOPRATTUTTO voler uccidere la donna che ha sempre detto di amare. Capisco che si è sentita abbandonata da Desteria, suo padre l'ha tradita, suo fratello è stato tragicamente ucciso e la donna che ama non vuole accettare le colpe del padre, ma così mi sembra davvero una trasformazione eccessivamente drammatica e soprattutto repentina. Forse avrebbe avuto più senso se fosse stata sviluppata in un numero maggiore di pagine e con più gradualità. Così non sono proprio riuscita a prenderla sul serio.
Bonus per un divertente gioco alcolico: take a shot every time they say "empio" o "empietà". Coma etilico garantito a pagina 30.
Partiamo dalle note positive: Il Tredicesimo nume ha avuto il pregio di tirarmi fuori da un reading slump pazzesco, in cui faccio fatica a finire qualsiasi libro. Si è fatto leggere con facilità e mi ha lasciato la voglia di andare avanti e sapere come procedeva la storia, che resta un grande merito. Ci sono poi tutta una serie di cose che mi sono piaciute, a cominciare dall’ambientazione ispirata all’antichità classica, che si incontra molto poco nel fantasy. Mi sono piaciuti anche tanti elementi di trama, come la presenza del divino, la componente politica, il focus sulla sfera religiosa della società, tutti elementi particolarmente nelle mie corde.
I problemi de Il Tredicesimo nume però per me sono insormontabili. Ce ne sono due molto importanti e molto interconnessi: la scrittura e la resa dei personaggi. La scrittura è scolastica, didascalica, senza alcun guizzo personale e di stile; tutto ci viene detto, ridetto, spiegato, esplicitato allo sfinimento, con molta poca fiducia nelle capacità di inferenza di chi legge. Annoia. Si sente proprio un che di acerbo, che si focalizza molto sulle regole della buona scrittura ma senza diventare mai accattivante. Risulta talmente piatta che appiattisce anche i pov delle due protagoniste: Verdiana e Clizia, nonostante le differenze caratteriali (che appunto ci vengono dette) pensano uguale, hanno la stessa identica voce, le stesse identiche preoccupazioni, tant’è che spesso - soprattutto nella prima metà, prima cioè che i rispettivi plot personali le dividano in maniera più chiara - ero costretta a tornare in cima al capitolo per ricordarmi di quale delle due stavo leggendo.
Nessuna delle due mi è apparsa come una personaggia a tutto tondo, concreta, realistica, con uno sviluppo organico; per essere un romanzo che in apparenza si direbbe character driven, in realtà ciò che ho avvertito era proprio l’opposto: la trama domina i personaggi, li piega al loro volere. Clizia e Verdiana fanno quello che fanno non perché sono mosse da una spinta che viene da dentro, qualcosa che sembra una conseguenza diretta del loro carattere, ma piuttosto perché la mano dell’autrice dice loro cosa devono fare e quali scelte devono compiere, perché la trama deve andare in quella direzione.
Allo stesso modo, nessuno dei personaggi di contorno sembra discostarsi da questo generale piattume. Il gioco degli specchi messo in atto per tutto il libro, dove nessuno è come sembra e tutti si rivelano l’opposto di quanto ci viene detto all’inizio, può funzionare e sorprendere per una o due situazioni, ma se diventa la norma non è più interessante, solo prevedibile. Nemmeno l’idea che ci sia un bias da parte delle protagoniste salva la cosa: se chi legge non ha indizi che chi sta narrando non vede tutta la verità, o, meglio, non vede la realtà per quella che è, com’è questo il caso, l’espediente non regge.
Il finale è disastroso, ed è quello che ha fatto scendere la valutazione alle 2 stelline: la parte che più dovrebbe essere d’azione manca totalmente di tensione narrativa, si capisce come andrà a finire fin da subito e si dilunga inutilmente in introspezioni ripetitive. Mi è sembrato, inoltre, che a una delle due protagoniste sia mancata una reale conclusione, come se il suo arco narrativo abbia raggiunto l’apice proprio in quegli ultimi capitoli e lì abbia subito una frenata pazzesca e sia stato tranciato via. L’epilogo, poi, ce lo potevamo proprio evitare (io non ho capito il senso, raga).
Ultima cosa: davvero, davvero insufficiente la gestione della relazione amorosa tra le due protagoniste. Anche qui: ci viene detto, ridetto, ririridetto, che Clizia e Verdiana si amano, ma il 90% del loro rapporto, nel concreto, lo passano a dirsi una cattiveria dietro l’altra, a non fidarsi l’una dell’altra, a nascondersi cose. Ho poi avuto la - brutta - impressione che, in quanto storia saffica, dovesse per antonomasia essere fatta tutta di sfioramenti di mano, brividi lungo la schiena e pensieri di vita bucolica insieme. News flash: le donne che amano le donne possono anche volersi zompare male, a volte.
In conclusione, l’idea era molto, molto, molto buona, e la storia aveva molto, molto potenziale, peccato però per lo svolgimento mal riuscito.