Beginning in 1982 and at intervals over the next four years Ferdinando Camon traveled to Turin for a series of meetings with Primo Levi. This book is the record of their dialogues. Levi spoke of the war, of anti-Semitism, of the camps, of German guilt, of Israel's emergence, and of his own extraordinary life and work. The give-and-take of the discussion, its tone, its lucidity, its intelligence, lift it well above the level and format of the usual journalistic interview with a celebrated author.
FERDINANDO CAMON: Primo Levi era un meraviglioso conversatore: preciso, scrupoloso, con frequenti e pertinenti associazioni di memoria... Levi non gridava, non insultava, non accusava, perché non voleva gridare, voleva molto di più: far gridare. Rinunciava della propria reazione in cambio della reazione di noi tutti... La sua mitezza, la sua dolcezza, il suo sorriso – che aveva qualcosa di timido, quasi di infantile – erano in realtà le sue armi.
PRIMO LEVI: Tutti i giudizi generali sulle qualità intrinseche, innate di un popolo mi sanno di razzismo. Intendo esserne immune, magari con sforzo.
Io non credo molto alla tesi tolstoiana della storia che nasce dal basso, della marea su cui i Napoleoni galleggiano come sugheri.
Ma i miei compagni di lager non erano dei politici, erano la schiuma della terra, erano degli infelici che avevano alle spalle cinque anni di persecuzioni continue, erano gente che dalla Germania nazista era scappata magari in Polonia o in Cechoslovacchia, per essere poi raggiunta dall’ondata nazista, era scappata a Parigi, per essere raggiunta anche lì e approdare finalmente ad Auschwitz; oppure poveri diavoli dell’Ucraina, della Bielorussia, della Polonia Orientale, senza contatti con la civiltà occidentale, scaraventati di colpo in una condizione che non capivano. Era questo materiale umano quello che avevo intorno a me. In mezzo a questi infelici non c’era solidarietà, non c’era; e questa mancanza era il primo trauma, il trauma più grosso.
...Si può e si debe estendere al popolo tedesco l’accusa di viltà: i tedeschi avrebbero potuto sapere molto di più sullo sterminio se lo avessero voluto, se i pochi che sapevano avessero avuto il coraggio di parlare; ma questo non è avvenuto. Chi sapeva taceva, chi non sapeva aveva paura a fare domande: occhi, orecchi e bocche restavano chiusi. È certamente vero che il terrorismo di Stato è un’arma fortissima, a cui è ben difficile resistere; ma è vero anche che il popolo tedesco, nel suo complesso, di resistere non ha neppure tentato.
Riassumendo, gli scopi del lager sono stati tre: terrore; sterminio; manodopera. Lei mi chiedeva come mai non è mai uscito un chilogrammo di gomma [dalla Buna]. Non è difficile rispondere. Questo cantiere, dove nasceva la fabbrica, doveva entrare in funzione all’ingrosso alla fine del’43; ogni volta che comparivano nelle bacheche gli avvisi: “La produzione del reparto inizierà il giorno tale”, il giorno prima veniva “un” aereo – non so se fosse russo o americano o altro – e sganciava “una” bomba sulla centrale termica o sulla centrale elettrica in modo da paralizzare la produzione, ma non distruggere la fabbrica. Io credo che ci fosse un accordo tra gli alleati, in questo: così la fabbrica non ha mai prodotto, ma è stata poi trovata alla fine della guerra, integra.
Su “Se questo è un uomo”: Sentivo un bisogno così prepotente di raccontare, che raccontavo a voce... Mentre scrivevo “Se questo è un uomo” io non ero convinto che sarebbe stato pubblicato. Volevo farne quattro o cinque copie e darle alla mia fidanzata e ai miei amici.
“Ivan Denisovič” l'ho letto con in mano una matita rossa e blu, segnando in rosso le cose che erano proprio come da noi, e in blu le cose che invece erano diverse. Ebbene: molte cose sono comuni. In primo luogo, la mancata solidarietà; là il prigioniero si chiama zek: chi è il primo nemico dello zek? l'altro zek.
[Non poter comunicare linguisticamente] era fisicamente mortale: loro avevano l'impressione di morire di freddo o di fame, e c'era anche questo, naturalmente, ma la causa primaria era l'isolamento linguistico. Se lei guarda le statistiche, gli ebrei dell'Europa Centrale, insomma, gli ebrei che parlavano tedesco, sono sopravvissuti in proporzione almeno dieci volte più di noi. [...] in lager mi sono imposto di succhiare il tedesco dall'aria intorno a me; tanto che il mio tedesco di reduce era il tedesco delle SS e della Wehrmacht, e non lo sapevo... come uno che abbia imparato l'italiano in un bordello...
[Ad Auschwitz] Non credo di esse diventato più buono. Ho capito alcune cose, ma non sono diventato buono.
Non c'era un campo di Auschwitz; ce n'erano 39. C'era Auschwitz città e dentro c'era un lager, ed era Auschwitz propriamente detto, la capitale del sistema; più sotto, a 2 chilometri, Birkenau, cioè Auschwitz secondo: qui c'era la camera a gas; era un enorme lager, diviso in 4-6 lager confinanti; e più in alto invece, c'era la fabbrica, e presso la fabbrica c'era Monowitz, o Auschwitz terzo: io ero lì; questo lager apparteneva alla fabbrica, era stato finanziato da essa; in più, tutt'intorno, c'era altri 30-35 piccoli lager (miniere, fabbriche di armi, aziende agricole, ecc.) Il lager più lontano era Brno, in Moravia: distava a 100 chilometri circa, in linea d'aria, e apparteneva alla gestione di Auschwitz. Nel mio lager eravamo circa 10 000; ad Auschwitz centro 15 0 20 000; a Birkenau molto di più: 70-80 000; più altri 20 000 sparpagliati in questi lager piccoli, che erano tutti lager spaventosi, di miniera, dove si lavorava tra la fame e il freddo; erano campi di punizione. Però l'amministrazione era per tutti Auschwitz uno, e il campo di sterminio era Birkenau.
C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. [Sul dattiloscritto, a matita, ha aggiunto: Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.]
CAMON: È un mistero che resterà in gran parte tale: quale meccanismo, psicologicamente parlando, è stato fatto scattare in un intero popolo, e con che mezzo. LEVI: Secondo me, è stato il mezzo della propaganda. È il primo caso della storia, in cui un uomo particolarmente potente e violento, insomma un tiranno, si è trovato in mano l’arma spettacolosa della comunicazione di massa. Mussolini aveva fatto bene la sua parte, come organizzatore di adunate oceaniche; ma Hitler ha moltiplicato tutto questo per 10, per 20. Le cerimonie naziste, i giuramenti, le adunate, hanno innegabilmente un fascino, esercitano un richiamo. Non per noi, naturalmente, non per i “segnati”. Quando centinaia di migliaia gridavano “Lo giuriamo”, con un solo grido, era come se fossero diventati un solo corpo. CAMON: La spiegazione, dunque, viene fa quella scienza che si chiama psicologia della massa. LEVI: Sì. La manipolazione della massa è stata usata er la prima volta da fascisti, nazisti e sovietici: prima non si poteva: prima non c’erano le masse; c’era qualche migliaio di persone, che ascoltavano l’oratore riunite in piazza.
"But I sincerely don't think I share this drastic judgment of yours about the Germans, which goes all the way back to the Teutons. Any overall judgment on the intrinsic, innate qualities of a people to me smells of racism. I mean to be immune to it, even if sometimes I have to make an effort. Actually I'm very interested in German culture, I've been studying - for some years now - the German language, and I have German friends. I absolutely don't feel the equivalent of the anti-Jewish aversion expressed by Hitler's Germans. It hasn't produced any conditioned reflexes in me. On the contrary, I'd say that the lasting curiosity I feel about the Germany of then and now excludes hatred."
Primo Levi is humanity personified.
I wouldn't recommend reading this book until you have first read "Survival in Auschwitz", but would absolutely recommend reading it after.
The conversations between Levi and his interviewer Ferdinando Camon took place over a number of sittings in the 1980s, the last of their chats coming shortly before Levi sadly took his own life in '87.
While Camon's questions sometimes seem ignorant, or even arrogant, Levi is confident enough to disagree with Camon's own assertions and to tell him why he is wrong. I could never tire of listening to this man who endured so much and never let it defeat him. Every word is eye-opening.
Si existe Auschwitz, no puede existir Dios, un título contundente y parte de una de las respuestas que le da Primo Levi al entrevistador Ferdinando Camón.
Me ha resultado curiosa la visión de Primo Levi después de haber sufrido las penurias y maltratos durante un año en el campo de concentración de Auschwitz. Es un hombre con unas ganas de vivir y con una bondad que se aprecian en el hecho de que intenta no juzgar al pueblo alemán cuando le preguntan por el mismo. Él cree que todos los juicios generales sobre las cualidades intrínsecas de un pueblo suenan a racismo.
Primo Levi escribió la trilogía de Auschwitz y, según cuenta su entrevistador en el prólogo, nadie quería traducirlo, ni publicarlo....sospechoso...quizás los temas que trataban en estos textos no interesaban demasiado a las editoriales.
Es increíble escuchar (leer) a Primo hablar de para qué se utilizaban los campos de concentración y de la distinción que había entre los mismos. Unos estaban hechos para los presos políticos, otros para la mano de obra 'gratis' que los alemanes necesitaban en sus fábricas y otros para exterminar. Espeluznante.
Me parece importante escuchar a los supervivientes del Holocausto porque siempre tienen enseñanzas que ofrecer a las siguientes generaciones y sobre todo, para que el ser humano no repita aquella atrocidad.
Un breve libro che riporta un’intervista fatta a Primo Levi, che racconta la sua esperienza nel campo di concentramento, condividendo, con estrema lucidità la sua testimonianza. Il testo è molto breve ma evoca non solo gli orrori dell’Olocausto, ma anche i meccanismi di propaganda che hanno portato alla forza della dittatura nazista, il ruolo delle persone comuni tedesche e il bisogno incessante di raccontare (per Levi attraverso la scrittura). È un libro interessante per avvicinarsi al pensiero di Primo Levi in un tempo contenuto. Vi consiglio comunque di leggere direttamente una sua opera per approfondire la sua storia e la sua eleganza stilistica. Un libro che cerca di dare risposte a tante domande, non ultima l'esistenza di Dio in un mondo che ha permesso l’orrore di Auschwitz.
Al ser una entrevista, Primo Levi deja ver su visión de las cosas sin ningún tipo de floritura literaria. Es lo primero que leo suyo más allá de biografías o su importancia histórica en la literatura post WW2. A raíz de este libro tengo muchas ganas de leer la trilogía de Auschwitz. Se hace muy ameno e interesante. Eso sí, un poco tibia su posición respecto a la creación de Israel, supongo también por la fecha en la que se hizo la entrevista pero me lo hubiera esperado más crítico al respecto por lo ya vivido...
⭐5⭐ This book was published around 1989 and is partially about the experience lived in the lagers and the second world war. However it is highly informative about how history was shaped that way, what was the consequence of it and actually it's very useful to understand the historical period we are living in at the moment (scary I know). Nevertheless it's also a book full of positive thoughts, hopeful and it's admirable how Primo Levi lived his life after the war.
Interviews and discussions, a dialogue between one of the greatest living Italian writers, Ferdinando Camon, and Primo Levi. "Primo Levi didn't want to scream, he wanted much more: to make people scream." The author of "If this is a Man" tells his experience of Italian fascism, the Lager, Auschwitz, his ability to survive thanks to his practice of German language, Israël, etc. A short but very inspiring text -published at the end of the 80s- resulting from encounters between two major figures of the Italian literary scene.
If you’ve read If This is a Man, The Truce and The Drowned and the Saved: you should definitely read this book - important conversations between Primo Levi and Ferdinando Camon ending only a year before Primos death.
If you haven’t read the three books mentioned: Read them! Then read this.
Ferdinando Camon conducted a half dozen interviews with Primo Levi during the 80's which ultimately resulted in this small book. While this isn’t the book I’d recommend for readers who are new to the Italian's writing (start with Survival In Auschwitz), it does provide a number of interesting insights from Levi's nearly forty years of thinking and writing about his experiences during the Holocaust.
A short collection of sometimes funny, sometimes tragic, always insightful conversations between Ferdinando Camon and Primo Levi, mostly regarding the question of German character, the organizational peculiarities of concentration camps, and the craft of writing. Best characterized as a resource for people who already love Levi's books and want to know more about what he was thinking when he wrote them.