Molto è stato detto per celebrare la figura eroica di Paolo Borsellino. Molto poco invece si sa degli ultimi 56 giorni della sua vita, dalla strage di Capaci all’esplosione di via D’Amelio, quando qualcuno decide la sua condanna a morte. Lo Bianco e Rizza ricostruiscono quei giorni drammatici con l’aiuto delle carte giudiziarie, le testimonianze di pentiti ed ex colleghi magistrati, le confidenze di amici e familiari. E ci restituiscono le pagine dell’agenda scomparsa nell’inferno di via D’Amelio, in cui Borsellino annotava le riflessioni e i fatti più segreti. Qualcuno si affrettò a requisirla: troppo scottante ciò che il magistrato aveva annotato nella sua corsa contro il tempo, giorno dopo giorno. Chi incontrava? Chi intralciava il suo lavoro in Procura? Quali verità andava scoprendo? E perché, lasciato solo negli ultimi giorni della sua vita, disse: “Ho capito tutto… mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia… Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”?
Un libro che ricostruisce gli ultimi mesi di vita di Paolo Borsellino, ucciso nell'attentato di Via d'Amelio, dove risiedeva la madre. Ciò che mi ha colpito maggiormente è come sia stato lasciato solo, come sia stato sovraesposto attraverso nomine a ruoli che non intendeva ricoprire... Mi ha colpito il coraggio di Borsellino, che sapeva di morire (diceva: è arrivato il tritolo per me), che sapeva che non era la mafia a volere la sua morte ma solamente ad eseguirla materialmente, sapeva che con lui sarebbe morta la scorta, che per lui era una protezione inutile... Mi ha colpito come si dedicasse in continuazione al lavoro pur sapendo tutto questo... Scriveva sempre tutto in quell'agenda, che dopo l'attentato è subito sparita... Mi ha colpito come ha cercato di proteggere la sua famiglia da un rischio che il suo lavoro porta ogni giorno... Mi ha colpito la telefonata di Giammanco che gli ha dato la delega solo poco prima che morisse, Borsellino voleva quella delega da tempo, e Giammanco lo chiamò di sera tardi (non lo faceva mai, non avevano rapporti tali da chiamarsi a qualsiasi ora) per dargliela e gli disse contento: "La partita è chiusa"; Borsellino gli rispose infuriato: "La partita è ancora aperta". Persino i pentiti volevano parlare con lui, sapevano che era un uomo umanamente illustre, e serio nel suo lavoro, ma Giammanco dopo molte disapprovazioni cede solo inviando altri 3-4 colleghi nominati da lui... Diceva che non erano i pentiti a scegliere con chi parlare, ma doveva essere lui... Il collega Canale è stato accusato di avere rapporti con la mafia, e mentre Borsellino scriveva, il collega gli fece una battuta sul fatto che stava sempre a scrivere nell'agenda, Borsellino rispose in malo modo e disse che doveva scrivere, e che ce n'era anche per lui... Persino il vetro dell'ufficio non era blindato, la casa della madre dove si recata spesso non aveva il posto fisso che alla facciata... Sembra che sia stata spianata la strada per il suo omicidio, più che contrastata... Spero che non ci sia più bisogno di eroi per combattere i mali della società, ma che siano tutti, ognuno facendo il proprio dovere...
Non sono né un eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell'aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento… Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno. Paolo Borsellino
Roma, mercoledì 1° luglio 1992
Questo è un racconto dettagliato dei 56 giorni dalla strage di Capaci a quella di Via D'Amelio, che ci riporta una persona speciale, di grande umanità, ma non un eroe, che è stato lasciato solo e per nulla protetto. Borsellino sapeva che con la morte di Falcone, oltre ad aver perso un buon amico era sparito il suo scudo. Si rende conto di essere isolato e molte delle persone che avrebbero dovuto aiutarlo, compreso il suo capo, cercano di delegittimarlo. Sono due mesi in cui il magistrato lavora incessantemente, a volte giorno e notte, per cercare di capire il perchè della morte di Giovanni e questo nella consapevolezza di essere la prossima vittima. Infatti negli ultimi giorni lui dice "Ho capito tutto!" In tutto ciò si inserisce la famosa Agenda Rossa, sulla quale Borsellino segnava i suoi spostamenti, gli appunti, i pensieri e i particolari scottanti di cui era venuto a conoscenza sulla mafia e ma anche sui mandanti, che opportunamente è sparita dalla sua borsa il giorno dell'attentato. La valigetta è stata restituita ai famigliari, con tutto il contenuto di quel giorno, persino le sigarette, ma non la preziosa Agenda Rossa. Anzi alla richiesta della figlia Lucia, le è stato risposto se stava delirando. Finito il libro ho voluto rileggere la prefazione di Marco Travaglio e voglio riportarne un pezzetto: Questo non è soltanto un libro su un’agenda scomparsa. Questo è anche e soprattutto un libro su una storia scomparsa: la storia degli ultimi giorni di Paolo Borsellino e della sua morte violenta insieme agli uomini della scorta, il 19 luglio 1992 in via Mariano D’Amelio a Palermo. È incredibile, leggendola, scoprire quante cose la gente non sa anche del pochissimo che se ne sa. Da leggere!
Ricostruzione dei due mesi che passarono dall'uccisione del giudice Falcone all'assassinio del giudice Borselino. Gli anni 92-93 sono stati anni bui e delicati per il nostro paese con la manifesta incapacità della classe politica di affrontare la crisi morale ed economica del paese, l'esplosione di Mani Pulite e la strategia stragista della Mafia. Gli autori, due giornalisti siciliani, forniscono una ricostruzione molto precisa e dettagliata ma non arida, dando molto spazio ai fatti e poco alle ipotesi politiche e lasciando in sospeso della scomparsa della famosa agenda rossa di Borselino, dove il giudice appuntava tutti i suoi pensieri, gli appuntamenti e le informazioni relative al suo lavoro investigativo. Ho apprezzato in particolar modo l'attenzione dedicata all'aspetto umano del giudice Borselino e dei suoi rapporti con la famiglia, gli amici ed i colleghi.
Un libro che ogni italiano dovrebbe leggere. Triste, frustrante, impietoso. Una fotografia di un paese che si autodstrugge e distrugge chi cercava di salvarlo. Credo che la memoria di Falcone e Borsellino sia stata troppo facilmente ridotta a una celebrazione di un giorno di Maggio, assente nelle scuole (almeno quelle dove ho insegnato io), solo vagamente ricordata, di passaggio, in qualche programma televisivo stagionale. La loro memoria, invece, è la base per una ripartenza, che purtroppo non c'è stata. Il libro è scritto bene, ha uno stile molto scorrevole che facilita la fruizione del testo già di per sé pesante a causa dei contenuti. Si legge velocemente. Sono riportati dei fatti, non sono congetture e teorie dell'autore, semplicemente si narra ciò che è accaduto e ciò che Borsellino ha esternato in occasione di alcuni di quei fatti.
Il titolo parla da sé, un'agenda mai ritrovata e celata chissà da chi. Un libro che ti lascia alla triste e dura realtà di un uomo abbandonato volontariamente dallo Stato perché scomodo nella sua lotta contro la criminalità organizzata e alla connessione della stessa con i politici, tanto da non venire neanche protetto.
Letto prima di fare un viaggio in Sicilia. Veramente interessante e importante, per capire meglio la realtà della mafia e la forza di chi l’ha combattuta.
Tutti dovremmo leggere questo libro perché tutti insieme dovremmo lottare, a modo nostro, denunciando, informandoci, sensibilizzando, guardandola negli occhi (Elia Minari Guardare la mafia negli occhi) contro la criminalità organizzata di stampo mafioso. Tutti insieme dovremmo scalzare dalle poltrone del Parlamento, da tutte le poltrone dei centri istituzionali di questo Paese, le persone che hanno avuto rapporti con le mafie e che tutt’ora giocano sporco nel bel paese, affondandolo in un mare di negazionismo frutto di tanti anni di distorsione della realtà. Tutti dovremmo smettere di guardare da un’altra parte: perché i problemi sono qui, in casa nostra, da troppi, lunghissimi e infiniti, anni. LA MAFIA È UNA MONTAGNA DI MERDA!
Angosciosa cronaca di un omicidio annunciato. Rabbia per l'immobilismo politico che tutt'oggi si riempie la bocca di belle parole ma in pratica ha insabbiato tutto.