Un ritorno alle origini alla ricerca delle radici. Un viaggio dal Nord al Sud dell’Italia, per ritrovare un luogo magico e ideale.
Situato sul fianco di una montagna, non lontano dal mare, separato dal resto della vallata da un ponte malfermo che gli abitanti non attraversano mai, Appetricchio è il posto dove tornare per far pace con noi stessi e capire chi siamo. È qui che è nata Rosa, la madre di Mapi e Lupo, gemelli di Brescia che ad Appetricchio hanno trascorso tutte le vacanze della loro infanzia. In paese vivono personaggi la maggior parte di loro si chiama Rocco, in onore del santo patrono, nessuno ha un cognome e ognuno parla un dialetto che sembra una lingua straniera, strana e imprevedibile. Andando in auto verso Appetricchio, i protagonisti ricordano con nostalgia le avventure semplici e i rapporti genuini vissuti in quel posto che è sempre rimasto nei loro cuori, fino a svelare, con un inaspettato colpo di scena, il motivo che li ha tenuti lontani per un periodo così lungo della loro esistenza. Un romanzo unico e originalissimo, dall’atmosfera avvolgente e piena di rimandi, capace di creare un sentimento nostalgico di forte immedesimazione con la descrizione del paese sospeso nel tempo che qui assume una valenza quasi universale. Diverso a ogni pagina, in grado di sorprendere il lettore con il suo stile pirotecnico e le sue vivaci trovate linguistiche, Appetricchio è un libro spiazzante e soprattutto una lettura appassionante in cui chiunque potrà ritrovarsi. Con la sua penna brillante e un’ironia tutta speciale, Fabienne Agliardi crea un mondo nuovo dando vita a un inedito racconto corale costruito con una lingua ricca di sfumature, dalla notevole forza narrativa.
«Un libro lieto e prezioso che protegge la realtà dei paesi e dei suoi ultimi abitanti animandola con una lingua sorprendente». Franco Arminio
«Si possono descrivere realtà attraverso cose che non esistono così, attraversando un ponte sgarrupato, s’arriva a Petricchio, luogo dove le voci possono farsi memoria, sguardo, gesto, e un silenzio ch’è guardiano di rovine vive. Leggiamo pagine che parlano di noi. Bisogna solo ascoltare. Come ogni libro, Appetricchio rivela un atto d’amore.» Remo Rapino
Leggere questo libro è stata un’esperienza particolare visto la struttura del libro, ambientato tra ieri e oggi, (ai tempi del Covid), ricco di termini in dialetto che hanno reso la narrazione davvero frizzante, particolare e senza tempo. Ma Petricchio è più di un libro, è più di un luogo… ognuno di noi ha un Petricchio nella propria vita, perché si intende un luogo magico, ideale che rende sereni, tranquilli. Può essere quindi il luogo d’infanzia o il luogo che rende felici in generale. Petricchio è il posto dove tornare per far pace con noi stessi e capire chi siamo. Petricchio è un borgo senza voce nascosto da un bosco, un posto abitato da massimo 25 abitanti e per metà sordomuti, abitanti per la maggior parte chiamati Rocco, in onore del Santo Patrono. Pochi abitanti ma stravaganti, particolari e divertenti; ognuno senza cognome che parla un dialetto imprevedibile. Storie che si intrecciano tra ieri e oggi, avventure passate e presenti, gli abitanti di Petricchio non restano inosservati, soprattutto Rosa, la madre di Mapi e Lupo, gemelli di Brescia che ad Appetricchio hanno trascorso tutte le vacanze della loro infanzia. Un libro originale che immerge il lettore in tempi lontani dove regna la pace e la vita tranquilla, lontano dalla realtà circostante spesso frenetica, caotica e stressante.
Brescia, 7 marzo 2020: due giorni antecedenti l’intero lockdown per l’Italia, in casa Bresciani così si discute: - Bah, vista la situazione, in effetti potremmo fare un salto - Un salto: a casa Bresciani era sempre tutto un salto: un salto al supermercato, al mare. Un salto in garage, dal vicino…
Così ha inizio Appetricchio, il romanzo della giovane scrittrice Fabienne Agliardi che la casa editrice Fazi ha saputo riconoscere tra i nuovi talenti letterari. Il “salto” cui la protagonista Mapi e un suo familiare fanno riferimento non è proprio dietro l’angolo: è un viaggio nel passato lontano sia nel tempo sia nello spazio. Si tratta di un viaggio verso il paese d’origine di Rosà, madre di Mapi, un borgo della Lucania, “Petricchio”, per tutti “Appetricchio”.
"Terra di mezzo tra montagna e mare, Petricchio era come Narnia: un posto immaginifico escluso dalle mappe e fuori dalle rotte, diviso dal resto del mondo da un ponte malfermo e da un bosco di serpi. Nemmeno chi ci abitava sapeva dov’era. Se ne stava ammucchiato nella Chiana Stinnecchia, un pianoro che si stiracchiava per ettari giù giù, fino al mare…… Il resto del mondo si chiamava laffòra e tanto bastava. E così a Petricchio, che non aveva piazze e non aveva vie, era tutto un lannànz e un larrète, labbàsh e langòppa, laddìnta e laffòra."
Con linguaggio colorito ma originale ed efficace, Fabienne Agliardi ci narra le vicende di questo luogo sperduto, dei suoi abitanti sia nativi che acquisiti soprattutto per unioni matrimoniali. Così era avvenuto per la famiglia Bresciani in cui la moglie Rosa, nativa di Petricchio, si era spostata al nord, a Brescia per l’appunto, dopo il matrimonio con Guidodario Bresciani, il farmacista che nello sperduto paese veniva soprannominato “O’ Scienziato”. Dalla felice unione erano nati due gemelli: Mapi, contrazione di Maria Piera e Lupo che nei sogni di Guidodario avrebbe dovuto essere Leone in onore appunto della leonessa d’Italia ma il cui nome invece era stato mutato per volere di Rosa. La famiglia Bresciani dall’Ottanta in poi trascorre per anni le vacanze nel piccolo paese non così distante da quel mare al quale, però, nei loro vent’anni a Petricchio, i gemelli Bresciani non erano mai riusciti ad andare, se non una volta sola. La vita nella comunità dei petricchiesi poteva all’apparenza sembrar monotona ma, come in tanti altri piccoli borghi d’Italia, era assai viva sia per la singolarità di molti abitanti sia per gli eventi che coinvolgevano un po’ tutti.
Attorno a Mapi e Lupo ruotano molti personaggi assai caratteristici: tanti si chiamano Rocco, in onore del santo protettore del paese, tanti sono sordomuti ma sulle cause della patologia nulla si diceva e nessuna ricerca era stata fatta. Il luogo di ritrovo era “la Fundana” attorno alla quale i gemelli avevano trascorso tanti anni perché quello era come un “pensatoio a cielo aperto” dal quale passavano tanti dei petricchiesi.
Tra questi c’era nonna Milù, mamma di Rosa e di altre sei femmine; a lei dopo tanti anni di lontananza a Buenos Aires scrive Adelina che le annuncia il suo ritorno. Sarà questa una ricomparsa un po’ ingombrante per alcuni e per Mapi e Lupo un susseguirsi di domande senza risposta, soprattutto in riferimento alla vita quotidiana della donna. A far da coro agli eventi c’erano le zie maritate, gli zii Rocco Butteglia e Rocco Bidello, i cugini, il Greco che s’era finto morto per fuggire alla guerra, Marisella, Rocco Cantune, Nonno Occhei e tanti altri, tutti accomunati da una vita semplice in cui l’arrivo del telefono e della televisione nelle case pareva a fine anni Ottanta ancora un lusso e una grossa novità. Ma tra le mura di quel paese, a casa di nonna, si cela il ricordo di un evento che mai sarebbe dovuto accadere. Sarà Mapi a ricordarlo e a rendere i lettori consapevoli di quanto mai si sarebbe potuto immaginare.
La storia è bella, coinvolgente e allo stesso tempo raccontata con quella spontaneità tipica dei luoghi e della gente più semplice, ma non per questo meno arguta. Fabienne Agliardi non è solo una promessa: con Appetricchio si fa forte la certezza per le sue qualità di scrittrice. Il romanzo è un lungo susseguirsi di palpitanti fotogrammi che, seppur frutto di fantasia, paiono reale racconto di vita vissuta; la narrazione è calata così vivamente nella realtà da rendere i lettori, anche quelli dell’Altitalia o dell’Ininsvizzera, come a Petricchio venivano chiamati, partecipi dei tanti eventi ma anche d’una inaspettata vicenda.
Malinconia, ironia, sapore di infanzia anni Ottanta e di paese. Di questo romanzo ho amato tutto, anche i colpi di scena che, in narrazioni dedicate alla provincia, solitamente mancano
Difficilmente leggo storie che non sono nelle mie corde, che non mi attraggono un minimo per dare un senso a ciò che sto leggendo, dando così una valutazione quantomeno discreta al lavoro di uno scrittore. In questo caso sono stato però generoso a dare due stelle, avrebbe meritato una stella. Da linguista apprezzo il tentativo della Agliardi di entrare in una lingua che non gli appartiene, quella della Basilicata, ma credo che lo stile caricaturale dato al romanzo abbia finito per impoverire la storia più che impreziosirla. So che era nel suo intento, ne sono certo, le parodie sono il suo cavallo di battaglia, da sempre, ma questo rende difficile al lettore di immedesimarsi nei dialoghi, di affezionarsi ai personaggi, questo perché non solo la lingua è immaginata ma ciò che ci viene presentato è popolato da macchiette grottesche e improbabili che si muovono da nord a sud da sud a nord verso questo paese immaginario che non ha una funzione precisa, se non proporre degli stereotipi su sagre e rituali da paesello provinciale senza alcun tipo di valore storico, o che faccia incatenare il lettore nel voler approfondire l'umanità del romanzo qui presente. Il risultato? Ci viene presentata una commedia forzatissima che non rende giustizia alla complessità della cultura lucana, mescolando voci inautentiche e caricaturali, appesantito da una scrittura fatta di code switching e code mixing senza criterio, e da chi ha studiato lingue dovrebbe sapere che hanno sempre un peso, una metodologia esatta per essere usati. Non basta presentare un lavoro come parodia per giustificare tutto ciò.
"Appetricchio" cattura dalla prima pagina e non ti molla più. Una girandola di personaggi unici, di intrecci coinvolgenti e mai scontati, tutto calato in un paesaggio che con poche pennellate si stampa nella mente e pagina dopo pagina si fa sempre più dettagliato e tridimensionale. Petricchio è il paese delle origini di ognuno di noi, è l'agglomerato di voci e pettegolezzi di ogni cena di famiglia, è il luogo di villeggiatura da idealizzare e da rifiutare, da cui rendersi indipendenti e in cui tornare. I suoi abitanti sono tutti i personaggi di questa storia, ma soprattutto la sua lingua così espressiva e memorabile: italiano, petricchiese, francese, bresciano, spagnolo, e ancora gli schiocchi, i fischi, le parole dei sordomuti, i detti, e la fusione di tutto questo in un equilibrio leggero, divertente, estremamente comunicativo. Una lingua che resta nelle orecchie, risuona, intesse richiami, dona corpo a luoghi e persone.
Appetricchio si apre agli occhi del lettore a Brescia, nel 2020, pochi giorni prima il lockdown a causa del covid. Mapi, una delle nostre protagoniste, decide di far “un salto” come si dice da sempre nella sua famiglia, nel luogo d’origine della sua mamma Rosa. Ma in questo viaggio Mapi non sarà sola.
Rosa, originaria di Petricchio si trasferisce al nord dopo aver sposato Guidodario, farmacista, chiamato da tutti in paese "O' Scienziato". Un matrimonio felice che dà vita a Mapi e Lupo. Petricchio resterà per sempre un posto del cuore, perché la famiglia Bresciani trascorrerà le vacanze lì, ed i ragazzi non riusciranno ad arrivare al mare non più di una sola volta.
Ma perché Mapi decide di tornare nel luogo delle vacanze, nel luogo che sente un po’ casa? Perché la vita si mette di mezzo e come ben sappiamo sa togliere tanto.
Tra una narrazione al presente ed una al passato, le storie e le vite di Petricchio ci vengono raccontate in modo sublime con una scrittura incalzante ed emozionante.
Ci sono avvenimenti che vorremmo tenere nascosti per sempre, ma bisogna affrontare la realtà.
“Ma Petricchio esiste? […] Petricchio esiste nella misura in cui vogliamo farlo esistere. Come il posto delle nostre estati da criaturi, ovunque esso sia. Da qualche parte c'è una Petricchio per tutti. Petricchio è mare, montagna, lago, campagna. E Narnia, Roko-voko, Hogwarts. È il quartiere e il cortile in cui abbiamo disegnato i nostri momenti felici. Non importa dov'è. Importa che esista.”
Petricchio è una vita, un ricordo, una parola, un battito di cuore, una casa d’infanzia, una lacrima lasciata andare dopo un sorriso. Petricchio è emozione.
Il posto in cui ebbi il piacere di alloggiare per nemmeno tre giorni fu davvero ospitale, molto carino esteticamente parlando, e parecchio rumoroso. I suoi abitanti erano rintanati nelle loro case, ma era possibile ascoltarli persino dal selciato delle strade più vicine. Era gente umile intenta a sgomitare nel bel mezzo della miseria ma abbracciando la vita con quella gioia, quella serenità che li contraddistingue e rendono quel cammino impervio della vita più luminoso di quel che si crede. L’immacolata bianchezza di figure che nonostante la vita li abbia prostati, mantengono intatto il loro splendore. Un tipo di luminosità, luminescenza che ho rappreso nelle mie mani come del latte ancora fresco, ma rosato come un fiore. Silenziosamente la mia anima si era posata sopra tutto questo, e teneramente c’è rimasta. Anche se quella di Appetricchio è quel genere di storia che forse, fra qualche mese, dimenticherò, il suo essere eccezionale, il suo essere particolare, estraneo a qualunque cosa si legga o si incontri nel panorama italiano o straniero, era il suo essere un contenitore imperfetto, una malia che avviluppò la mia coscienza mediante usi e costumi tipici dei paesini, che tuttavia cozza con il dramma, l’impossibilità di tornare al passato e che ingenuamente conferisce sorti di speranza e di cambiamento. Era quel luogo dei ricordi perduti che sotto il cullare di una voce secca ma semplice sapeva di già visto, più precisamente ai romanzi di Italo Calvino, per l’uso di un dialetto o una lingua conoscibile e comprensiva, un flusso narrativo costellato da salti temporali che un pò disorientano ma fagocitano nel suo fervore. Calibrato da forme di equilibrio, fra ragione e sentimento, possibile e impossibile. Andai via dalla mia banalissima vita, mi allontanai, con le cuffie nelle orecchie e il mio bloc notes, alla mano. Ci sono sempre e solo due modi, per me, per estraniarmi da chi mi circonda: nel silenzio fitto e quieto che aleggia nelle prime luci dell’alba e, nel pomeriggio, con la musica sparata nelle orecchie, affinché il mondo esterno non mi sovrasti con il suo lento fragore. In entrambi i casi però il processo di lettura è sempre lo stesso, e, alla fine, ciò che considero maggiormente importante è il viaggio intrapreso. Le sensazioni o emozioni suscitate, viaggi di carta e inchiostro apparentemente banali, che, in una manciata di pagine, divengono speciali, straordinari. Questo romanzo, pur quanto sia stata una lettura davvero molto carina, non è divenuto indimenticabile. La memoria sicuramente annienterà qualunque ricordo serbo, ancora intatto, della sua lettura. Ma amando tanto leggere, ed essendo parecchio veloce, questi sono disgraziatamente le conseguenze cui vado incontro, ma che evocano gli albori di qualcosa che c’è stato e che il tempo perpetuerà per il resto dei nostri giorni. O forse no, perché quella della Albienne è sicuramente una storia molto carina, un omaggio da parte dell’autrice nel ricordare la sua terra natia, ma traballante e poco << popolato >> che ha intonato una melodia, un coro di voci concitate ma che non hanno attanagliato il mio cuore, le mie viscere. Ma che felicità quella di rievocare un’altra epoca, quanto possa essere tenace l’amore che cede il posto al passato, su uno sfondo apparentemente familiare ma distante e guardare dalla finestra virtuale della tua casa il paesaggio non proprio attinente a ciò che mi aveva sussurrato il cuore, ma di cui la Albienne avrà tratto ispirazioni da autori del calibro prima di lei. Quando non mi affacciavo a questa finestra il mondo distante di cui si parlava non mi sembrava non così distante dal mio, un frammento storico che avrebbe potuto essere approfondito ma oppresso da un sudario di vicissitudini recisi dal tempo che seppur fulcro primordiale di ogni cosa, svaniscono così come appaiono: nel nulla. Recentemente le mie letture prevedono romanzi di narrativa italiana in cui non mi mostro restia, quanto alquanto curiosa di buttarmi a capofitto affinché la sete di curiosità che attanaglia generalmente le mie viscere si acquieta, comodamente seduta sulla mia poltrona preferita, col Kobo sulle gambe a mo’ di leggio. Fabienne Albienne non è la Elena Ferrante che amo, né tanto meno si avvicina – mi spiace, ma è così. Ma Appetricchio, di cui fortunatamente non è stato scritto da nient’altro se non dal bisogno di rievocare un frammento del passato, il suo e più precisamente quello della sua terra natia, con una sferzata di sentimentalismi ed emozioni varie che effettivamente travolgono e coinvolgono in un quadro italiano prettamente carino, impressionistico, e il cui linguaggio pittoresco è emblema di coraggio, determinazione ma non forza perché quando i suoi abitanti avrebbero dovuto apparire, spiccare per la loro <> predisposizione di farsi sentire, il motore che la spinge ad abbracciare tutto questo, si consolida in un viaggio letterario normalissimo, un viaggio davvero carino e appassionante. Ma in cui si avverte questo desiderio di essere libera e soprattutto cosa esso comportò In relazione al periodo storico, all’approccio con il prossimo, agli eventi che, come piccoli tasselli di un puzzle, sono stati sparsi qua e là in un paesaggio apparentemente familiare ma esacerbato. Vedere Appetricchio “muoversi” non come un posto qualunque,, ma come emblema di riscatto e libertà. Diretta in nessun posto in particolare, né filo conduttore di un progetto architettonico le cui basi sono debolucce, poggiano sulla fantasia anziché sulla realtà, parecchio scarno ma che si alimenta di emozioni. Sentimenti scaturiti dalla semplice lettura di missive, messaggi, spesso mai raggiungibili, di cui io ho osservato imbambolata ma dibattendomi fra il possibile e il discutibile. La sua autrice avrebbe portato messaggi, questo romanzo avrebbe dovuto trasmettere qualcosa. E nonostante la semplicità, delle volte confusa con banalità, per me è stato così. Conservando questo aspetto peculiare ma non sfogando negli scambi individuali che il rievocare certi ricordi dovrebbe comportare né la presenza di anime che avrebbero dovuto perpetuare il suo ricordo nella mente di chi legge quanto conferma come anche lei, la stessa autrice, sia stata una figura di passaggio.
Tornare ogni anno nello stesso posto e ritrovare di volta in volta il filo lasciato, quasi le vite andassero in sospensione o procedessero nei mesi di distacco solo per rari eventi epocali. Questo per dirci come le nostre esistenze siano composte soprattutto da episodi che poco ci spostano da dove siamo. Il distacco doloroso arriva infatti solo a seguito di un evento che coglie i personaggi e il lettore all'improvviso. Un distacco lungo viene interrotto solo per un altro evento epocale capace di far prendere decisioni importanti. È la storia di tanti ritorni e di come le radici siano resistenti anche quando si pensa di averle estirpate dal proprio animo.
Appetricchio di Fabienne Agliardi è disponibile a partire dal 5 settembre in tutte le librerie e negli store online.
Situato sul fianco di una montagna, non lontano dal mare, separato dal resto della vallata da un ponte malfermo che gli abitanti non attraversano mai, Appetricchio è il posto dove tornare per far pace con noi stessi e capire chi siamo. È qui che è nata Rosa, la madre di Mapi e Lupo, gemelli di Brescia che ad Appetricchio hanno trascorso tutte le vacanze della loro infanzia. In paese vivono personaggi stravaganti: la maggior parte di loro si chiama Rocco, in onore del santo patrono, nessuno ha un cognome e ognuno parla un dialetto che sembra una lingua straniera, strana e imprevedibile. Andando in auto verso Appetricchio, i protagonisti ricordano con nostalgia le avventure semplici e i rapporti genuini vissuti in quel posto che è sempre rimasto nei loro cuori, fino a svelare, con un inaspettato colpo di scena, il motivo che li ha tenuti lontani per un periodo così lungo della loro esistenza. Un romanzo unico e originalissimo, dall’atmosfera avvolgente e piena di rimandi, capace di creare un sentimento nostalgico di forte immedesimazione con la descrizione del paese sospeso nel tempo che qui assume una valenza quasi universale. Diverso a ogni pagina, in grado di sorprendere il lettore con il suo stile pirotecnico e le sue vivaci trovate linguistiche, Appetricchio è un libro spiazzante e soprattutto una lettura appassionante in cui chiunque potrà ritrovarsi. Con la sua penna brillante e un’ironia tutta speciale, Fabienne Agliardi crea un mondo nuovo dando vita a un inedito racconto corale costruito con una lingua ricca di sfumature, dalla notevole forza narrativa.
Un romano estremamente vivace, appassionante e travolgente.
Fabienne Agliardi, con il suo stile molto semplice, scorrevole e magnetico, parla di Petricchio - o meglio Appetricchio, come la chiamano gli abitanti- come se ci stesse presentando la Narnia di C.S. Lewis.
‘’Terra di mezzo tra montagna e mare, Petricchio era come Narnia: un posto immaginifico escluso dalle mappe e fuori dalle rotte, diviso dal resto del mondo da un ponte malfermo e da un bosco di serpi.’’
Nel corso della lettura avrete modo di conoscere Rosa, nata proprio ad Appetricchio, la madre dei gemelli Mapi e Lupo di Brescia ‘’che ad Appetricchio hanno trascorso tutte le vacane della loro infanzia’’ e non solo.
Scoprirete che quasi tutti gli abitanti si chiamano Rocco, in onore del santo patrono, nessuno ha un cognome e che ognuno di loro parla un dialetto che sembra una lingua a sé,straniera.
Grazie all'utilizzo di espressioni dialettali e dialoghi che alle volte vi sembreranno quasi surreali, Fabienne ci presenta Petricchio in tutte le sue sfumature, prestando particolare attenzione a come gli abitanti, del paesino e del mondo intero, hanno reagito alla pandemia del coronavirus.
Una lettura estremamente travolgente e - a tratti - spiazzante. Nonostante la mia difficoltà nel leggere e comprendere le espressioni dialettali contenute in questo libro, ne ho fortemente apprezzato la lettura. L'ambientazione, i personaggi ben caratterizzati e i dettagli sono estremamente favolosi.
280 pagine volate. Letteralmente.
L’aspetto che ho particolarmente apprezzato di più in Appetricchio è stato questo continuo ripescare i ricordi del passato, riviverli - per quanto possibile - e provare nostalgia al solo rammentare le avventure e i rapporti genuini di un tempo.
Incredibile, davvero.
Ringrazio infinitamente la Fazi Editore e Cristina per avermi dato l'opportunità di leggere Appetricchio in anteprima in cambio di una recensione sincera. Grazie infinite!!
''Un ritorno alle origini alla ricerca delle radici. Un viaggio dal Nord al Sud dell’Italia, per ritrovare un luogo magico e ideale.''
Appettricchio di Fabienne Agliardi è un romanzo un po’ fuori dagli schemi, non facile da definire dalla trama o dalla lettura di qualche capitolo, ma bensì solo alla sua conclusione, quando è possibile fare un quadro generale della storia e dello stile dell’autrice.
Un viaggio tra i ricordi di infanzia per ritrovare quei momenti veramente felici e spensierati, in un paese immaginario dove la vita ha un proprio ritmo, quasi in un universo parallelo al fluire del tempo nel resto d’Italia.
È possibile una cosa del genere?
Di chi è la colpa di tanta arretratezza e ignoranza?
L’autrice ci fa comprendere che non si tratta né dell’una né dell’atra, ma bensì di una scelta degli abitanti di quel paese che hanno deciso di prendere la vita con calma, per assaporarne ogni attimo, per comprendere cosa sia veramente importante in un mondo che spinge sull’acceleratore inseguendo lo sviluppo industriale, penalizzando tradizioni e legami familiari.
E quindi Appettricchio diventa un’oasi nel deserto che disseta l’arsura di chi non vuole dimenticare il dialetto, gli antichi mestieri e tradizioni che hanno sostenuto per secoli le famiglie, non facendo mancare niente.
Per Mapi e Lupo, i gemelli di Brescia tornare ogni estate ad Appetricchio è un’avventura: scoprono il sapore campestre della vita e la complessità di un mondo che non vuole essere dimenticato.
E Mapi racconta con molta malinconia i suoi ricordi, sentimento che avvolge tutto il romanzo e il cui motivo ci è svelato solo alla fine. E intraprende un nuovo viaggio, tornare lì dove è stata felice…
Ma cos’è la felicità?
In Appettricchio emerge un particolare: il passato ci segna fortemente e quando si è fragili da legarsi ad esso, senza comprendere che dobbiamo lasciarlo andare per vivere il presente e preparare il cammino al nostro futuro, non potremo mai essere felici, non troveremo mai la nostra realizzazione.
Un conto in sospeso rappresenta per Mapi il suo viaggio, e in quanti sono nella sua stessa situazione?
L’autrice però si focalizza sull’idealizzazione dell’infanzia e dei suoi ricordi, che la protagonista rivive con gli occhi di bambina, trovandone conforto. Il conforto che ha sempre cercato nella sua vita per voltare pagina. Ci sarà riuscita?
C’è un Appettricchio dentro ciascuno di noi, dove il tempo fluisce con i suoi ritmi, la vita è sempre meravigliosa, e in cui non si smette di ritrovare le energie per ricaricarsi in una lunga e calda estate fatta di avventure e risate, dove si parla in dialetto e ci si può chiamare tutti Rocco, ma ciascuno di noi avrà sempre la propria individualità e sarà ben distinto all’interno della comunità o della famiglia.
Oggi sono qui per parlarvi di un'altra bellissima opera arrivata nelle nostre librerie. Come sapete sono una grande amante del genere, quindi potevo mai farmelo scappare? Assolutamente no. A Petricchio, ovvero Appetricchio, vediamo la famiglia Bresciani che ogni anno per abbandonare la città affronta un viaggio davvero come al limite dell'impossibile e pieno difficoltà. Ma il luogo esiste davvero, sapete? Anche se con poche case abitate e pochi abitanti. Inoltre i turisti non sono visti molto di buon occhio e, sinceramente, i paesani sono anche felici così, loro sono chiusi nel loro mondo e meno gente entra a rovinarlo meglio e. Li si vive inoltre come se si fosse ancora in un'epoca lontana, guardando il mare in lontananza, ascoltando il grido della Muratella o ballando e festeggiando San Rocco.
" Terra di mezzo tra montagna e mare, Petricchio era come Narnia: un posto immaginifico escluso dalle mappe e fuori dalle rotte, diviso dal resto del mondo da un ponte malfermo e da un bosco di serpi. Nemmeno che ci abitava sapeva dov’era. "
Se ci si vuole però arrivare comunque, o ci si vuole provare, ogni turista ha bisogno di un lasciapassare. Un luogo che si vuole lasciare ma che in un modo o nell'altro ti fa sempre tornare. Radicato nella sua mentalità, certo, ma magico nonostante alti e bassi, specialmente la chiusura mentale.
" Era quello che chiamavano l’appetricchiamento: una malia di avviluppamento a usi e costumi, a gesti e parole, a sapori e profumi. Stabilirono un codice, una lingua tutta loro che, dopo un onesto rodaggio, era diventata un filo rosso di confidenza. (..) Tuttavia a Petricchio si parlava poco. Chi proferiva verbo – perlopiù sconiugato e inventato – lo mescolava a onomatopee, semplificazioni e coniazioni. Nel tempo si era pasciuto di ingegnosi suoni che scorrevano bene sul labiale, rafforzati da un deciso gesticolare a beneficio dei sordomuti, tanto che l’idioma era ormai diventato incomprensibile. "
Insomma, leggere che questo paese esiste davvero forse non mi ha dato l'emozione totale che cercavo ma al tempo stesso mi ha dato tanto, specialmente da pensare. Lo so, che in alcuni posti anche in Italia siamo indietro per tante cose. Ma io vorrei che un giorno questa rarità fosse cultura, ma una cultura che si apra al mondo e non lo lasci, anche se in modo piccolo, troppo indietro, ancora.
Il libro di cui vi parlo oggi è "Appetricchio", una nuova uscita targata Fazi Editore e che ho avuto la possibilità di leggere in anteprima. Per questo motivo, ci tengo a ringraziare la CE per la fiducia!
"Terra di mezzo tra montagna e mare, Petricchio era come Narnia: un posto immaginifico escluso dalle mappe e fuori dalle rotte..."
Petricchio o meglio Appetricchio, come la chiamano i suoi abitanti, è una cittadina sperduta e nascosta fra le montagne. Non sappiamo se esista davvero, ma è quel posto di cui ognuno di noi ha davvero bisogno per tornare a respirare. In questo posto speciale e lontano dal mondo reale conosciamo la storia di Milù e delle sue figlie, dei nipoti Lupo e Mapi di Brescia, di Adelina tornata dall'Argentina e mai perdonata e di tanti altri personaggi molto particolari. Tante storie che ne formano una sola, la quale ci insegna che casa è dove ci sono i nostri ricordi più cari.
"A ogni giro Petricchio si avvicinava con il suo carico di ricordi."
Lo stile di scrittura dell'autrice è scorrevole e semplice. Lei racconta di Appetricchio come se stesse raccontando di Narnia. Ho molto apprezzato gli intercalari dialettali, i quali hanno ben rappresentato la mentalità e le credenze dei cittadini del paesino. Inoltre, l'autrice ha voluto anche rappresentare Petricchio e il suo modo di affrontare la pandemia che tutto il mondo ha vissuto nell'anno 2020.
Per quanto riguarda i personaggi, mi sono piaciuti tutti. Tra i miei preferiti ci sono Adelina, all'inizio una figura misteriosa e della quale scopriremo l'intera storia solo alla fine e i due gemelli Mapi e Lupo. Due bambini, che una volta cresciuti hanno imparato ad amare Petricchio e a sentirne la mancanza.
"Petricchio esiste nella misura in cui vogliamo farlo esistere. Come il posto delle nostre estati da criaturi, ovunque esso sia."
Un romanzo davvero consigliato, dall'aria quasi trasognata e surreale.
Ringrazio innanzitutto Fazi Editore per avermi inviato la copia digitale #giftedby
Che dire? Mi sono innamorata di Appetricchio. Scritto da Fabienne Agliardi ha uno stile tutto suo.
Fin dalle prime pagine mi è sembrato di avere accanto una persona cara, che parlava un po' il petricchiese, se così si può dire. È stato piacevole ricordare le cose belle legate a questa persona.
Questo libro è bellissimo. Ti riporta in luoghi in cui da piccoli si andava in vacanza, almeno questa è stata la mia impressione, perché andavo proprio in un paese come Petricchio, solo situato in Liguria.
Mi ha dato tantissime emozioni positive e ci voleva proprio in questo periodo.
La storia narra della vita famigliare di Rosa, petricchiese doc, che sposa Guidodario, bresciano doc, da cui nascono due gemelli, Mapi e Lupo. Tutti gli anni scendono a Petricchio e incontrano tutti gli abitanti del paese, che non sono poi molti. Nonna Milù, nonno Pietro, il Rocchettano, Nonno Occhei, Rocco Ponte, Mariella, il Greco, Perciasepe, don Sproccolo. E Adelina, che nel 1980 dall'Argentina torna a Petricchio. Per gli abitanti di Petricchio loro sono sempre stati i turisti!
La vita di Petricchio procede come sempre, tra monotonia e routine quotidiana, tra una discussione e un giro in quei vicoli che sanno di casa, che mi hanno ricordato tantissimo i caruggi liguri.
La storia si snoda tra il 1980, quando nascono i gemelli, e il 2020, quando inizia la pandemia. I turisti si ambientano pian piano, diventano parte delle ricorrenze e delle abitudini di Petricchio, come la festa di San Rocco, che in petricchiese è Assanrocco! In fondo al libro c'è un glossario petricchiese, in cui si può leggere il significato di molte parole che trovate tra le pagine.
Vale assolutamente la pena leggere Appetricchio, se non altro per l'atmosfera di paese che ti accoglie mentre leggi.
🦄 Ah, un'ultima cosa: non scordatevi di cercare (e trovare) l'unicorno. Io l'ho fatto.
I luoghi della nostra infanzia si cristallizzano nella nostra memoria come custodi di ricordi felici e spensierati. Cosa ci spinge, quindi, ad allontanarci da questi posti carichi di suggestione e di magia? E per quale motivo decidiamo di farvi ritorno quando cerchiamo un rifugio in cui sentirci al sicuro?
Pochi giorni prima del lockdown nazionale, la famiglia Bresciani, di cognome e di fatto, decide di mettersi in viaggio lungo l’Italia per ritornare dopo oltre vent’anni a Petricchio, il paesino lucano dove è nata mamma Rosa e dove i gemelli Mapi e Lupo hanno trascorso le loro vacanze d’infanzia, con la speranza di trovare una serenità perduta e risposte mancate.
“Appetricchio” (Fazi, 2023), secondo romanzo di Fabienne Agliardi presentato dagli Amici della domenica al Premio Strega 2024, è il racconto di un ritorno alle origini verso la Petricchio di ognuno di noi, verso quel «posto immaginifico escluso dalle mappe e fuori dalle rotte» in cui «abbiamo disegnato i nostri momenti felici».
Un libro scritto nella lingua di mia nonna e di mio nonno, penso il primo e forse l’ultimo, e mi ha fatto ridere perchè lo strambo dialetto lucano della mia famiglia è improvvisamente diventato grande letteratura. Ma pure mia nonna e mio nonno lo sono diventati, perché boh sarà il caso, sarà che i paesi della Lucania sono tutti accomunati dallo stesso principio universale, ma la signora Milú e il signor Pietro so spiccicati i miei nonni. A me sta roba mi ha pure mezzo dato fastidio, perché una cosa è leggere su un libro le stronzaggini della nonna Milú, altra è riviverle nelle macerie della tua famiglia e del luogo da cui provieni e in cui sono seppelliti i tuoi morti. Appetricchio è il posto da cui vengo, che sa di capocollo e sauzizz, e suona come i silenzi di mio nonno, che come tutti i Rocco di questo romanzo, a una certa ha smesso di parlare, e come le urla di mia nonna, che come Milú non è mai riuscita a passare sopra le cose. Che dolore questo libro, chissà però che non abbia in qualche modo avviato il processo catartico auspicato dall’autrice di riappetricciarmi.
Romanzo molto originale, un omaggio alle estati dell'infanzia trascorse in piccoli paesi pieni di ricordi felici, luoghi quasi mitologici dai quali crescendo si sente il bisogno di prendere le distanze, per poi magari sentire il desiderio di tornarvi a distanza di molti anni. Una storia dai toni retrò, a volte malinconica ma anche allegra, con un carosello di situazioni buffe e di personaggi variopinti e ben caratterizzati. Vi è una peculiarità stilistica davvero importante: la scrittura utilizzata è una forma dialettale mischiata all'italiano. Ciò avviene quasi sempre nei dialoghi, ma anche, spesso, nel resto della narrazione. Per i cultori dei dialetti potrebbe essere considerato il punto forte del libro, ma, purtroppo io ho fatto una gran fatica. Utilizzando uno dei termini ricorrenti: nonneccòsa. Simpatica come idea eh... le prime pagine lette così mi sono anche piaciute, ma alla lunga non mi ci sono trovata, mi spiace.
Ho comprato e letto questo libro come nipote di nonni lucani. Petricchio può rappresentare indistintamente un qualsiasi paesino dell'entroterra della Basilicata. Un paese con severissime regole sociali non scritte, dove ogni abitante è identificato con il suo mestiere o da un suo tratto caratteristico. Non ci si affaccia 'laffòra', perché quattro case arroccate possono rappresentare per alcuni l'intero universo per tutta la vita. Petricchio però viene anche valorizzata dagli emigrati: terra di vacanze e avventure quando si è bambini, culla solida e malinconica in età adulta. Le espressioni dialettali, sebbene ostiche per un lettore dell'Altitalia, sono indispensabili nei concisi dialoghi tra i personaggi. La lettura è scorrevole, inerpicata tra le vite di personaggi peculiari e ben caratterizzati. Appetricchio è un'ode che ridona vita a quei piccoli borghetti collinari lucani sempre più disabitati e spogli, ma con tante storie nascoste da rispolverare.
Un romanzo dall'impostazione corale che ci trasporta letteralmente a Petricchio, un luogo popolato da personaggi che si impara a conoscere (e ad amare) attraverso i loro coloriti modi di dire e il loro agire singolare. Non sempre ricordavo chi fossero, lo ammetto; quelli principali, tuttavia, mi sono rimasti nel cuore (Mapi e Lupo, Guidodario, Rocco Ponte, Milù). Ho seguito gli eventi con abbastanza interesse, sebbene manchi quella coesione che porterebbe a ritenere "Appetricchio" un romanzo vero e proprio (sembra più una raccolta di racconti). Mi è comunque piaciuto per il senso di appartenenza che riesce a comunicare, l'appartenenza ad un posto che è reso casa non dalle sue caratteristiche intrinseche, bensì dai ricordi e dai sentimenti che lo rendono vivo.
03/2025 Petricchio è un paese lucano dimenticato da tutti e ben nascosto dal resto del mondo. La storia inizia nel 1980 quando la famiglia Bresciani, residente a Brescia, ritorna nel paese di origine della moglie con dietro i due gemelli nati quell'anno. Il racconto narra le estati e le vacanze invernali passate nel paese e descrive i pochi abitanti ognuno con il suo soprannome e con il proprio attaccamento alla terra. Si alternano capitoli ambientati nel marzo 2020 con una fuga, di non si sa chi, da Brescia fino a Petricchio epr passare il lockdown. solo dipo la festa di San Rocco 1999 si capirà chi sta tornando al Sud. Libro pieno di dialetto petricchese (abbastanza comprensibile per un meridionale) che caratterizza al meglio tutti i personaggi. A chiusura del libro c'è un piccolo dizionario petricchese italiano veramente molto carino.
Ho riso. Fino alla penultima pagina. Lì, invece, ho pianto. Di amarezza e un po' di nostalgia dei tempi Appetricchiani andati. Uno dei passaggi più esilaranti? "Gesticolava di uomini vrusciati e uomini biondi che sputavano nell'erba proprio come lui, che parevano incazzati e poi s'abbrazzavano, con stu prevete che correva in mezzo e soffiava in un piccolo liscia fuoco -ma li fuoco non ce n'era". (racconto Appretricchese dei Mondiali '82).
Non c'è che dire, Appetricchio è un libro bizzarro e frizzante, in cui tornare bambini e sentirsi a casa. La narrazione particolare, con dialoghi quasi esclusivamente in dialetto, sarebbe stata difficile da leggere ma ascoltata in audiolibro l'ho trovata davvero godibile, e posso dire di essermi "appetricchiata" un po' anche io 😉
Terra di mezzo tra montagna e mare, Petricchio era come Narnia: un posto immaginifico escluso dalle mappe e fuori dalle rotte, diviso dal resto del mondo da un ponte malfermo e da un bosco di serpi.
Potenzialmente un gran bel tema da trattare ma non ho espresso al massimo la sue potenzialità. un linguaggio ibrido che però non convince (agliardi non è né gadda né tolkien).un po troppo macchietta stereotipata senza profondità dei personaggi
Non è nelle mie corde. Alcuni passaggi sono poetici, alcune idee apprezzabili, il luogo ideale tra montagne e mare, tra passato e presente, l'uso di termini dialettali legati ad un paese da sogno, ma tutto troppo troppo nebuloso.