« En 1977, alors que je travaillais à Libération, j’ai lu que le Centre d’éducation surveillée de Belle-Île-en-Mer allait être fermé. Ce mot désignait en fait une colonie pénitentiaire pour mineurs. Entre ses hauts murs, où avaient d’abord été détenus des Communards, ont été « rééduqués » à partir de 1880 les petits voyous des villes, les brigands des campagnes mais aussi des cancres turbulents, des gamins abandonnés et des orphelins. Les plus jeunes avaient 12 ans.Le soir du 27 août 1934, cinquante-six gamins se sont révoltés et ont fait le mur. Tandis que les fuyards étaient cernés par la mer, les gendarmes offraient une pièce de vingt francs pour chaque enfant capturé. Alors, les braves gens se sont mis en chasse et ont traqué les fugitifs dans les villages, sur les plages, dans les grottes. Tous ont été capturés. Tous ? Non : aux premières lueurs de l’aube, un évadé manquait à l’appel.Je me suis glissé dans sa peau et c’est son histoire que je raconte. Celle d’un enfant battu qui me ressemble. La métamorphose d’un fauve né sans amour, d’un enragé, obligé de desserrer les poings pour saisir les mains tendues. » S.C.
La mensa del carcere per minorenni dove si mangiava, come Chalandon rimarca più volte, avendo di fronte la schiena del dirimpettaio di modo che gli sguardi non potessero incontrarsi.
Chalandon parte da un fatto di cronaca: l’isola bretone di Belle-Île-en-Mer fin al 1977 è stata sede di un una famigerata colonia penale per minori; un luogo di torture, stupri e violenze su bambini e adolescenti di diverse età. I minori finivano in quel luogo – che definire riformatorio è un eufemismo, in quanto era un luogo dove il soggiorno era reso un incubo e dal quale non era facile uscire, spesso si finiva sepolti – perché erano poveri, orfani, avevano rubato una mela e altri “reati” del genere. Nel 1934 avvenne il fatto cui Chalandon fa riferimento: un’evasione in massa, circa sessanta ‘reclusi’ fuggirono. Ma furono riacciuffati tutti nel giro di pochi giorni, grazie anche all’aiuto dei ‘volenterosi’ abitanti e turisti del luogo che per la ricompensa di venti franchi erano ben disposti a partecipare alla caccia collettiva e denunciare i fuggitivi. Ma uno non fu ripreso, rimase alla macchia e riuscì a fuggire. Chalandono lo sceglie come io-narrante e inventa il modo in cui si salvò, che nella realtà è rimasto sempre ignoto.
Dal film di Carné.
La vicenda fece sensazione in Francia: Jacques Prévert scrisse una poesia pubblicata col il titolo di Chasse à l’enfant, poi anche musicata; Marcel Carné riprese la storia e nel 1947 diresse un film intitolato La Fleur de l’âge. Prévert diventa anche personaggio nel libro, Chalandon s’inventa una sua presenza sull’isola e un incontro con il protagonista.
Basta iniziare la lettura e viene subito in mente The Nickel Boys di Colson Whitehead. Più avanti, viene in mente il film di Don Siegel con Clint Eastwood, Escape From Alcatraz (1979).
La colonia penale con la nave scuola piantata nel cemento.
Chalandon adotta una voce che giustifica il titolo: furiosa. Rabbiosa. E alla lunga l’ho trovata stancante, eccessiva. Anche se le violenze subite dall’io-narrante e dai suoi compagni di sventura la giustificherebbero pienamente, la mia lettura se n’è appesantita. Altro problema è stato il fatto che Chalandon tratti e faccia comportare il suo protagonista (Tigna, al secolo Jules Bonneau che, anche se scritto in altro modo, nella pronuncia rimanda direttamente al leader della famosa banda Bonnot) in modo non confacente alla sua età: a volte lo descrive e tratta come se fosse un bambino, a volte come se fosse un adolescente. Mentre Jules, per quanto recluso all’età di tredici anni, all’epoca dei fatti ne aveva venti: ed essendo cresciuto per strada e in prigione, i suoi vent’anni nel 1934 ne facevano un giovane uomo a tutti gli effetti.
Il paese basco di Guernica dopo il bombardamento del 26 aprile 1937 a opera delle forse aeree italo-tedesche.
Per fortuna Chalandon è sufficientemente bravo da evitare di ricostruire o peggio imitare qualsivoglia parlata, sia d’epoca sia da adolescente analfabeta, e predilige la forma del dialogo. Bello l’incrocio della storia di finzione con quello della guerra civile spagnola e del massacro di Guernica.
Terza o quarta isola francese per dimensioni, si trova al largo della costa sud bretone.
Il n'y a que Sorj Chalendon pour me raconter une histoire avec autant de puissance.
Autant vous dire que l'histoire d'un gamin dans un centre de détention sur Belle Île en Mer en 1930 avait a peu près rien pour me plaire.
Et il a suffit de 30 pages pour que la rage de La Teigne me captive, Pour que le destin de ces enfants me révolte, pour que ces rages et cette violence présentes partout me pénètrent.
La violence dans le style, l'urgence de lire. J'ai tourné les 400 pages sans m'en rendre compte, mettant de côté mon quotidien pour me plonger dans le leurs.
“Non sapevo che farmene della pietà o della bontà. Soltanto la mia vita, soltanto la mia faccia. Soltanto la mia ombra sul muro di cinta, che cercava di arrampicarsi fino ai cocci di bottiglia per raggiungere i gabbiani.”
Ecco Jules Bonneau, un adolescente nutrito dalla propria furia.
Perché come si può resistere a lungo e ogni giorno, in un riformatorio per orfani che in realtà è una colonia penale, un luogo di soprusi e inenarrabili violenze, se non diventando duri e bastardi e refrattari a ogni possibile correzione? Diventando cioè “la Tigna”, soprannome che Jules si è guadagnato sopportando tutte le vessazioni, le sadiche punizioni, i lavori forzati, le umiliazioni… senza mai cedere all’autocommiserazione, alla semplice compassione, alla follia e al pianto. Trovando nella propria rabbiosa immaginazione un rifugio e uno sfogo al bisogno di giustizia: aggredire, sventrare, accoltellare, infliggere le più strazianti punizioni agli oppressori, alle guardie, agli aguzzini, ai persecutori di bambini, a chi non verrà mai punito.
Fino a quando l’immaginazione rompe il vetro impercettibile e sottile che separa la fantasia dalla realtà, fino a quando cinquantasei ragazzi si ribellano, spaccano tutto, saltano sui tavoli, urlano, picchiano, feriscono chi li ha feriti, scavalcano i muri…scappano.
Ma Belle-Île-en-Mer, nome soavissimo per una orrenda prigione, si trova su un’isola: piccola, impervia, delimitata da aspri confini e protetta dall’oceano intorno. E così tutti verranno catturati, complici i bravi francesi che si guadagnano venti franchi per ogni bambino consegnato, tutti tranne uno, colui che ci sta raccontando questa storia: Jules Bonneau, detto la Tigna.
Un narratore con cui Chalandon, per la sua storia personale (vedi “La professione del padre”) si identifica. La terribile prigione, istituita in Francia negli anni Venti, dove molti poveri ragazzi abbandonati e sbandati vennero rinchiusi con il pretesto di essere raddrizzati e corretti, è cronaca vera, e anche quella sfortunata evasione è accaduta veramente.
Sui rari documenti ritrovati il giornalista/scrittore costruisce questa toccante, intensa, grandiosa storia di sopraffazione e volontà di riscatto. Una storia di formazione (o de-formazione) ma anche di denuncia sociale e politica. All’interno di un periodo storico fibrillante e teso che porterà all’affermazione dei peggiori regimi totalitari in Europa.
Una storia toccante che avvince e coinvolge, fa tremare di rabbia e di dolore. Una storia che, una volta iniziata, non si può più smettere di leggere. E mentre vediamo quella furia devastante distruggere ancora, sappiamo che per guarire dovrebbe diventare una cosa soltanto: giustizia che cura.
6/5. Parfaitement, 6/5, c'est mon espace, j'ai le droit.
Ca fait très longtemps que j'ai envie de lire Sorj Chalandon, alors quand ce roman m'est tombé sous la main, je n'ai pas résisté. Je suis partie avec l'idée préconçue que c'était un livre sur Bonnot, mais non, il s'agit d'un différent Jules Bonneau, et puis ce n'est pas la bonne époque.
Que dire qui rende justice à ce livre ?... Il est puissant, il prend aux tripes. Il commence avec un rendu de l'humanité qui n'est vraiment pas brillant : les parents, les grands-parents, les "colons" eux-mêmes (les plus forts contre les plus petits), les gardiens, le directeur de la colonie, les coups, les violences sexuelles, les humiliations, l'exploitation.
Heureusement, ça s'améliore par la suite, mais n'allez pas imaginer que tout se passera forcément bien et facilement. Le pire dans tout ça, c'est de voir comment tout le monde tombait à bras raccourcis sur des enfants, comment des adultes poussaient des gamins au suicide et que tout ça, naturellement, c'était la faute des gosses. Comment voulez-vous que ces gamins ne deviennent pas des enragés ? Des enragés dont la vie vaut 20 francs.
Ce livre m'a fait penser à Victor Hugo, à Jules Vallès (ils sont cités, d'ailleurs) mais j'ai été très heureusement surprise de voir apparaître Jacques Prévert dans cette histoire, il a écrit un poème sur ces chasseurs d'enfants dans son recueil Paroles qui se trouvera ci-dessous.
Ce roman parti d'un fait divers m'a collé une grande baffe dans la figure. Et quoi lire juste après ça, hein ?! J'ai lu d'excellents livres cette année, mais celui-ci remporte la première place sans contestation. N'hésitez pas à lire des interviews de Sorj Chalandon sur la genèse de ce livre, ça en vaut la peine.
La chasse aux enfants de Jacques Prévert :
Bandit ! Voyou ! Voleur ! Chenapan! Au-dessus de l'île on voit des oiseaux Tout autour de l'île il y a de l'eau Bandit ! Voyou ! Voleur ! Chenapan ! Qu'est-ce que c'est que ces hurlements Bandit ! Voyou ! Voleur ! Chenapan ! C'est la meute des honnêtes gens Qui fait la chasse à l'enfant Il avait dit J'en ai assez de la maison de redressement Et les gardiens à coups de clefs lui avaient brisé les dents Et puis ils l'avaient laissé étendu sur le ciment Bandit ! Voyou ! Voleur ! Chenapan! Maintenant il s'est sauvé Et comme une bête traquée Il galope dans la nuit Et tous galopent après lui Les gendarmes les touristes les rentiers les artistes Bandit ! Voyou ! Voleur ! Chenapan ! C'est la meute des honnêtes gens Qui fait la chasse à l'enfant Pour chasser l'enfant pas besoin de permis Tous les braves gens s'y sont mis Qu'est-ce qui nage dans la nuit Quels sont ces éclairs ces bruits C'est un enfant qui s'enfuit On tire sur lui à coups de fusil Bandit ! Voyou ! Voleur ! Chenapan ! Tous ces messieurs sur le rivage Sont bredouilles et verts de rage Bandit ! Voyou ! Voleur ! Chenapan ! Rejoindras-tu le continent rejoindras-tu le continent ! Au-dessus de l'île on voit des oiseaux Tout autour de l'île il y a de l'eau.
Un livre puissant et surchargé d’émotions qui donne envie de découvrir davantage l’œuvre de Chalandon. En reconstruisant l’histoire de cet adolescent « enragé » coincé dans une colonie pénitentiaire, il donne à voir la tranche d’une époque où les violences se mêlent, s’opposent, se rencontrent à tous les carrefours. Malgré quelques maladresses dans l’écriture des dialogues, malgré l’hésitation presque constante entre un ton familier ou plus soutenu (comme un duel entre le personnage narrant et le narrateur-personnage), malgré un récit et une morale parfois trop explicites, le récit, passé les premiers chapitres, peut se lire d’une traite et on peine à en sortir.
« Mais il n’y a que nous, ton poids dans mes bras et le ciel qui porte l’orage. »
Uno dei migliori romanzi di Chalandon, duro come un pugno nello stomaco, ma anche pieno di umanità. Non puoi fare a meno di affezionarti a Jules e fare il tifo per lui, fino alla fine.
Chalandon vertrekt hier van een waargebeurd feit, nl de ontsnapping van 56 kinderen uit een kinder(straf)kolonie in Belle-île-sur-Mer (Bretagne) - 27 juli 1934. 55 van die 56 worden al snel terug opgepakt met behulp van heel het dorp, de aanwezige toeristen inbegrepen. Iedereen die een kind binnenbrengt, krijgt bovendien een premie, de motivatie is groot... Nr 56 wordt echter nooit teruggevonden.
Wat er met hem gebeurd is, weet niemand en dat zal ook nooit achterhaald worden.
Chalandon maakt van deze nr 56 het hoofdpersonage van zijn roman en vertelt zo het fictieve verhaal van 'La Teigne' - de rotzak, zoals hij in de wandelgangen van de strafkolonie genoemd wordt - voor en na die bewuste ontsnapping. Je krijgt als lezer een inkijk in het leven binnen zo'n instituut voor jeugdige delinquenten, vaak hadden ze niet meer gedaan dan een kip of wat appelen stelen. Heel vaak kwamen ze ook uit gebroken gezinnen. Maar er waren evengoed kinderen daar die totaal niets misdaan hadden maar die toch daar geplaatst werden louter en alleen omwille van het feit dat ze geen familie meer hadden en de maatschappij niet wist wat er mee aan te vangen. Een trieste mix dus.
In het fictieve verhaal worden ook nog heel mooi enkele waargebeurde feiten verwerkt, nl Jacques Prévert die toevallig aanwezig was op het eiland toen de klopjacht op de kinderen georganiseerd werd. En hij schrijft erover : La chasse à l'enfant. (Niet zijn beste stukje poëzie, maar na het lezen van dit verhaal toch de moeite) zie onderstaande YouTube-link.
Mooi gebracht verhaal. (Nog) geen Nederlandse vertaling.
Nel 1934, su un'isola al largo della Bretagna, una cinquantina di 'coloni' fuggono da un riformatorio-lager. Bambini o giovanissimi, magari con l'unica colpa di essere stati abbandonati dalla famiglia, verranno braccati come delinquenti e riacciuffati spesso da locali e villeggianti per poterne riscuotere la taglia di 20 franchi. Tutti, meno uno.
Ispirato da questa storia vera, Chalandon ha deciso di immaginare e regalarci la storia di Jules Bonneau, la Tigna, l'evaso mai ritrovato dalla colonia penale per minori di Belle-Île-en-Mer. Facendoci venir voglia di essere con lui, nella colonia a guidare la rivolta o sul mare agitato tirando le reti o brindando in bretone e basco o verso Parigi e il futuro.
Non si riesce sempre a spiegare perchè ci si innamora di certe storie così. Forse per i sentimenti vissuti di dolore e rabbia, o le suggestioni politiche e sociali su istituti minorili e diritto all'aborto o nazionalismo e lotta di classe, per l'eterna lotta tra il bene e il male, o altro. Ma so che questa storia è stata intensa, dura, bellissima e mai scontata.
E per ciò al buon Sorj anch'io dico in basco 'milesker', grazie.
Comme d'habitude avec Chalandon, j'ai passé un excellent moment. Chalandon imagine qui était l'évadé de la colonie pénitencière de Belle-Isle... et c'est génial. Une colère palpable malgré la bienveillance occasionnelle. J'adore.
Empiezo esta reseña diciendo que es una historia real, o al menos basada en un hecho real, una historia en la que el autor se identifica de forma personal. La trama en si es sencilla, nos encontramos en Belle-Ile-en-Mer, que se supone que es un centro penitenciario, un centro que más bien es una prisión, en una isla pequeña e inaccesible, delimitada muros y protegida por el océano, un lugar aislado del mundo. Esta prisión creada en Francia en los años veinte, acoge a muchos niños que simplemente o son pobres, o han sido abandonas, asique fueron encerrados con el pretexto de corregirlos, pero os podéis imaginar por todo lo que pasaban estos críos cuando deciden escaparse, sabiendo que las posibilidades de que eso salga bien son prácticamente nulas. Tras escaparse todos son de nuevo capturados salvo uno, Jules Bonneau que será el narrador de esta historia. Con la poca documentación que hay sobre este hecho, el autor ha construido una historia de opresión, una historia de denuncia social y política. Una historia que conmueve y emociona, aunque también te va hacer rabiar, escrito de una forma que al principio me costo meterme en ella, incluso hay partes que tuve que releer, y con un final no me esperaba para nada.
C'est un cri de rage, ce roman, un livre où l'auteur réussit à se mettre de côté pour mieux faire transparaître son personnage, lui donner toute la place, les tripes, la peur, la douleur ressentie par Jules tout le long de sa vie.
C'est l'histoire, encore une fois, des bagnes pour enfants - mais là où Olmi ou Whitehead se détachent de leurs personnages, à tort ou à raison, chaque raison est bonne de le faire, Chalandon donne intégralement la voix à ce gosse moulé dans la violence, la déshérence, la pauvreté et le mépris d'une société qui a toujours voulu l'écraser.
On sent cependant que Chalandon veut trop bien faire, trop traiter, à intégrer la politique et l'atmosphère délétère d'un entre deux guerre dans ce qu'il a de plus sombre - et vouloir faire intervenir de vraies personnes, au final, n'a pas la portée profonde que voudrait donner l'auteur.
Il reste que c'est là quelque chose qui prend au ventre, dans son écriture, dans son traitement, dans les personnages qui gravitent autour de Jules et qui permettent d'apaiser et donner une autre vision des crises d'un homme-enfant qui ne sait plus que répondre par la violence et la haine.
Il est des lieux où l'humanité a quitté depuis longtemps les hommes. La colonie pénitentiaire de Belle-Île-en-Mer était l'un d'eux. Que s'y passait-il ? Quelle est l'histoire de cet Enragé, qui a réussi à fuir sans se faire rattraper ? Comment accepter de prendre la main qu'on nous tend quand nos poings se tiennent prêts depuis des années ? Sorj Chalandon nous emmène dans une parenthèse de l'histoire, où la révolte des opprimés s'émulsionne dans l'Europe fasciste, où le désir de liberté, la vraie, apparaît comme seule lumière. Divin.
Le style de Sorj Chalandon ! Des phrases courtes, percutantes. Peu de mots beaucoup d’images ou de sentiments. La rage qui habite ce roman, rage de vivre libre, rage contre les oppresseurs, les dénonciateurs, les geôliers, les maîtres chanteurs. Faire confiance ? Comment faire confiance quand tout le monde vous abandonne ? Jules va devoir pourtant remettre son destin dans les mains de Ronan… un début d’apaisement dans sa vie ? À lire absolument
Erstklassiger Ausbrecherroman. Macht Spaß. Kurzmeinung: Im französischen Nachbarland bereits ein Hit – wird auch hier ein Bestseller werden!
Inhalt: Der Start ins Leben ist für Jules Bonneau nicht gut verlaufen, er verliert früh seine Eltern und wächst bei den Großeltern auf, die ihn vernachlässigen. Hunger verleidet ihn zum Diebstahl. Schwupps gilt er als kriminell und weil wir das Jahr 1932 schreiben und der Sozialstaat in seiner heutigen Form noch nicht Einzug gehalten hat in die Gesellschaft und man von der Antike an bis ziemlich weit in die Neuzeit hinein keinerlei Kinderrechte per se kannte, Kinder waren „Eigentum“, kommt Jules in eine Besserungsanstalt. Dort erlebt er mit vielen anderen Zöglingen die Hölle auf Erden. Eines Tages gelingt ihm die Flucht.
Der Kommentar und das Leseerlebnis: Der Roman „Herz in der Faust“ ist ein klassischer Abenteuerroman mit hohem Spannungsfaktor und ebenso hohem Identifikationspotential. Ich lese ihn gerne. Seine Actionlastigkeit reißt mit. Plakative Szenen der von den sogenannten Erziehern ausgeübten Brutalität gegenüber den ihnen hilflos ausgelieferten Jungs wecken Emotion und Mitgefühl. Das Herz wird ergriffen, als ein Ausbruch gelingt, der Puls schlägt schneller bei einer Verfolgungsjagd und man lässt sich rühren durch einige der Läuterung dienenden Jahre des ausgebrochenen Jules bei einem intellektuellen Fischerehepaar. Na ja, ein paar Unwahrscheinlichkeiten lasse ich durchgehen, es ist so schön gefühlig, diese Idylle bei Fischers. Raue harte ehrliche Arbeit, faire Heuer, Kameradschaft und Solidarität. Loyalität. Familienanschluss. Ein kärgliches Leben zwar, doch in welchem „ein Mann- ein Wort“ gelebt wird. Einfache moralische Richtlinien.
Von dem Roman „Herz in der Faust“ wird man emotional eingesogen. Trotz des zum Teil brutalen Geschehens, ist es ein Wohlfühlroman! Der Abgesang des Romans weist dann noch auf die französische Resistance hin, diese Wendung ist wundervoll französisch-patriotisch und macht Jean endgültig zum Hero der Herzen. Zeug zum Bestseller hat der Roman nicht nur in Frankreich, weil seine einfache-pathetische Sprache verbunden mit der unkomplizierten linearen Handlungsführung einen schnellen Lektürezugang bietet und mit seiner Schwarzweißmalerei den Zeitgeist bedient. Man hat genug von komplizierten Zusammenhängen, genug von Menschen, die sowohl als auch sind. Man hat moralisch-ethische Dilemmata und unlösbare Probleme satt. Das Leben ist ja schwierig genug. „Herz in der Faust“ macht es einem tatsächlich leicht: trotz der mitnehmenden Handlung, kann man sich tiefenentspannen. Das ist jedenfalls bei mir der Fall. Hier die Guten, dort die Bösen. Die Guten sind nur gut und wenn sie dann doch einmal nicht gut sind, dann deshalb, weil man es ihnen verunmöglicht und sie Opfer der Umstände sind, sie können also nichts dafür; die Bösen aber sind einfach böse. Erst am Ende wartet der Autor dann doch noch mit einem Dilemma auf: Blut wird vergossen, ein Mord geschieht. Wäre Schuld vermeidbar gewesen? Oder ist das Böse plötzlich das Gute und kommt es nur auf Motivation und Perspektive an? Denn auch 007 tötet! Und alle finden es gut. Allerdings glaube ich nicht, dass viele Leser die fragwürdige Moral des Romans eruieren werden oder dieses Dilemma überhaupt bemerken: es wird nämlich nicht thematisiert, steckt nur immanent im Geschehen. Man ist bereits zu eingelullt von der vermeintlichen Einfachheit eines Abenteuerromans. Doch die Frage bleibt – kann ein Mord gutgeheißen werden, je nach Motivation? Ein klares Nein von mir. Kein klares Nein vom Roman! Das ist seine Schwäche! Sollte einen Stern kosten, aber … ein Chandalon!
„Herz in der Faust“ hat mir fesselnde und entspannte Lesestunden geboten. Es ist ein ausgezeichnet geschriebener Ausbrecherroman mit viel Action, Grausamkeit und Blut und mehreren Prisen Pathos, es ist der Kampf gegen Ungerechtigkeit und Unfreiheit, mit anderen Worten, der Kampf Gut gegen Böse. Das klassische Motiv eines Abenteuerromans! Der Roman erinnert an den „Grafen von Monte Christo“ von Dumas. Schon damals ging das Konzept voll auf. Und auch an Papillon von Henri Charrière. „Herz in der Faust“ liegt wohl irgendwie dazwischen. Der Roman ist versehen mit zeitgeistig-historischen Anwandlungen, so wirkt er modern und nicht so verstaubt wie Dumas und Charrière.
Fazit: Ausbrecher wecken unsere Empathie. Davon zeugen zahllose Kinofilme! Der Roman ist absolut unterhaltsam mit eingebauter Betroffenheitsgarantie, allerdings literarisch unbedeutend. Er arbeitet mit voyeuristischen Elementen, da beißt keine Maus den Faden ab, er spielt mit Klischees und reflektiert nichts. Es ist halt ein Bestseller, den man hin und wieder mit Vergnügen liest. Nur wenn man genau hinschaut, entdeckt man mehr.
Gorge serrée, envie de révolte. Très grosse claque pour ma part, j'ai pas su m'arrêter de lire cette histoire si violente et humaine. Franchement à lire +++ mais attention âmes sensibles s'abstenir
Bon, j’allais à reculons vers Sorj Chalandon. C’est un fait. Que je reconnais à regret. Ce roman est exceptionnel (je ne sais pas si tous les autres le sont également mais croyez bien que je vais vérifier tout cela personnellement). A la croisée des chemins de l’enfance en danger (avant qu’on l’appelle comme cela), de la facilité des trajectoires carcérales de ceux qui encombrent, quel que soit leur âge ou leurs actes, de l’histoire (la petite, la grande, la pas belle à voir ou à savoir), il y a Jules Bonneau, celui dont on ne sait que faire et qui pousse, sans affection et sans confiance à donner. Cette petite Teigne nous donne à voir un pan très réaliste (car très certainement particulièrement documenté) des bagnes d’enfants, antichambres de Biribi ou des Bat’ d’Af. Il donne aussi à voir un joli portrait des gens de mer, de ceux qui risquent leur vie pour la gagner, humbles pêcheurs de sardines, en profitant ainsi pour évoquer un certain nombre d’événements historiques qui ponctuent ainsi le récit : les journées de 1848, puis plus tard les Penn Sardines qui tiennent fermé ou la tragédie de Guernica. Alors pardon @sorjchalandon d’y être allée à reculons.
« Tout devenait possible, alors que rien ne l’avait jamais été. »
Cette œuvre, car oui, il ne s’agit pas simplement d’un livre ou d’un roman mais plutôt d’une œuvre littéraire soigneusement écrite qui tourmentera son prochain lecteur. Assurément.
On y retrouve Jules Bonneau, un délinquant abandonné par sa famille et à la recherche de repères après s’être évadé de la colonie pénitentiaire. Au fil de l’histoire on s’attache à Jules, on comprend sa colère et sa violence. Et on ressent beaucoup d’empathie envers Jules, étonnamment. On se surprend à vouloir son bien, à lui souhaiter une vie meilleure. À espérer.
Ce livre m’a fait réfléchir sur la mort, la délinquance et l’importance d’une famille, peu importe la forme qu’elle prend.
Je recommande sans hésiter, pour lecteurs avertis !
« Mais il n’y a que nous, ton poids dans mes bras et le ciel qui porte l’orage. »
Trebuie să recunosc că mă așteptam la altceva, cumva, de la această carte. Nu mi-a displăcut, din contră, dar am rămas cu un gust amar după această lectură.
O carte grea, dură cu copii, despre copii și nedreptatea unui sistem bolnav, a unor vremuri în care drepturile omului erau pur teoretice, iar protecția copilului era un vis. Micii huligani nu au nicio șansă de reabilitare, fiind duși în închisori mascate în colonii și reeducați prin tortură și sclavie.
Cu toate astea, Râie reușește să evadeze, să arate incompetența sistemului și a autorităților. Pe o insula mică, șansele de scăpare sunt mici, dar el le demonstrează autorităților că se poate. Nu singur, însă. Mereu se va găsi cineva să îți întindă o mână de ajutor.
A fost o lectură grea, sufletește vorbind. Mi-a lăsat un gust amar și multe teme la care să mă gândesc. Totuși, parcă mă așteptam la altceva, nu știu mai cum sau ce mai exact, dar simt și puțină dezamăgire. Dar o recomand din suflet celor cu inima tare și curiozitate.
Ce roman au début percutant illustre la ligne mince entre l’ordre civil et la cruauté humaine : un fil tordu et fauve qui nous guette tous et chacun(e). Le personnage principal nous est présenté comme un voyou criminel qui ne mérite que la prison et les coups de fouet, mais sa complexité et ses origines nous laissent douter qu’un processus systémique plus vaste en serait la cause.
J’ai adoré l’histoire, mais j’ai trouvé le langage peu adapté à notre époque considérant qu’il est sorti en 2023. Quelques longueurs, surtout au début et vers la moitié du livre, ont rendu la lecture ardue, mais les évènements en ont valu la peine.
Le condizioni disumane in una struttura detentiva per minori sono il motore e lo sfondo di un racconto dal sapore ottocentesco, pur essendo ambientato tra le due guerre. La costruzione dell'arco narrativo è convincente, partendo da un fatto di cronaca del 1934, e Chalandon si conferma un narratore convincente e dallo stile asciutto ma carismatico.
Sorj Chalandon donne place à ces enfants qui naissent avec peu d’outils et qu’on pousse parfois vers le bas plutôt que vers le haut. Dans ce livre, il s’agit d’une colonie pénitentiaire pour mineurs, mais on peut faire le rapprochement avec bien d’autres institutions. Un roman très fort, qui frappe en plein cœur!
3.5 ⭐️ « Les Rolin avaient été condamnés par les juges de papier journal. Et se dédire n’était dans leurs mœurs.»
Je n’étais pas le public visé pour cette lecture. Elle fait beaucoup réfléchir aux situations précaires chez les enfants et adolescents, dans des moments clés où tu dois être bien entouré et avoir une liberté d’évoluer. Il avait aussi une réflexion sur le poids de préjugés que la société a envers des populations vulnérables. Le manque de ressources disponibles dans les contextes de réhabilitation. Il a eu plusieurs passages extrêmement touchants et troublants, dont plusieurs qui traitent de violence (de toutes les sortes) envers des mineurs. Par contre, c’était raconté dans de longues descriptions avec un jargon que je n’étais pas familière. Comme mentionné aux personnes avec qui je lisais le livre, mon manque de vocabulaire et d’intérêt coupaient la fluidité du livre. Je l’aurais DNF.
Forse sarà un’opinione controversa ma per me: Prima parte del libro da cinque stelle, seconda parte da tre stelle scarse. L’autore parte da un fatto realmente avvenuto: nel 1934, 56 ragazzini fuggirono da una colonia penale per minori in Bretagna, 55 vennero ritrovati e riportati in carcere, uno non venne mai più ritrovato. L’autore immagina cosa possa essere successo a quell’unico ragazzino che chiama Jules Bonneau, soprannominato la tigna. Nella prima parte ci viene raccontata la vita nella colonia penale dal punto di vista della tigna, entriamo nella sua testa, sentiamo tutta la sua rabbia che, insieme all’immaginazione (ma non è il tipo di immaginazione “buona e dolcina”) è ciò che gli permette di sopravvivere in un ambiente così difficile. I prigionieri vessati dalle guardie e incapaci di particolare solidarietà sono ragazzini che hanno fatto piccoli reati come furti o anche semplicemente orfani che non hanno un altro posto in cui stare, in generale sono tutti non desiderati, ignorati dalle famiglie, di solito indigenti. Il tutto viene raccontato senza arrivare alla pornografia del dolore, il che non è per niente scontato. La parte più interessante è sicuramente la fuga e la cattura con la buona società che tanto buona non è e i cittadini per bene che organizzano cacce di bambini per 20 Fr. Nella seconda parte il libro per forza di cose cambia ambientazione, all’inizio c’è un percorso di crescita di Jules che pian piano abbandona il suo lato da Tigna che ho apprezzato. Poi però vengono inseriti troppi temi e argomenti che in realtà non c’entrano niente con la prima parte della storia. Sono probabilmente temi che stanno a cuore all’autore e per questo gli ha inseriti. Ma sono veramente troppi: . Per dare spazio a questi temi viene tolto sempre più spazio alla voce di Jules. Che invece quello che funziona meglio del libro. E pian piano Jules diventa un fantasma, solo una figurina nel libro di cui è protagonista. Gli eventi raccontati, legati a questi temi, diventano via via sempre meno credibili, inoltre potrebbero essere eliminati senza che nella storia cambi effettivamente qualcosa. Il finale con risolleva la narrazione. Il libro dovrebbe finire così. Purtroppo non finisce così. Il brevissimo capitolo finale, ambientato qualche anno dopo è una nota stonata, avrei preferito un finale più aperto, più speranzoso, ma l’autore ha preferito
Wow ! J’ai rarement vu un personnage aussi vivant ! L’histoire et la prose sont un tour de force ! Je vais assurément lire d’autres livres de cet auteur.