Février 1944, à Asti, dans un Piémont occupé par les nazis. Cesco Magetti, un jeune soldat sans histoires, membre de la Garde nationale républicaine ferroviaire, se voit confier une bien curieuse mission : établir en une semaine une carte des chemins de fer du Mexique. Un ordre qui viendrait des hautes sphères du Reich, inexplicablement parvenu jusqu’à lui. Tilde, rêveuse bibliothécaire dont il tombe aussitôt amoureux, lui suggère un ouvrage qui pourrait l’aider. Mais le livre est en prêt et circule de main en main tel un insaisissable furet. Se tisse dès lors une narration tentaculaire, celle d’un roman-monde, émouvant et enjoué, où l’ironie sert toujours de rempart au désespoir. Puisant dans les registres les plus divers, avec une richesse langagière impressionnante, Gian Marco Griffi nous emmène de l’Italie au Mexique, en passant par l’Allemagne nazie, dans un roman picaresque virevoltant et d’une folle originalité.
Sono oltremodo incuriosito da questo strano e affascinante – a cominciare dal titolo – caso editoriale. Come fa il libro di una piccola – e indipendente - casa editrice, libro di ben ottocento pagine, esordio nel romanzo di un pressoché sconosciuto quarantasettenne, con all’attivo solo racconti pubblicati in due raccolte, nulla di eclatante, autore che viene dalla provincia (della provincia), estraneo ai circuiti letterari, a finire nella dozzina dello Strega (che è ormai diventata importante quasi come la cinquina, chissà mai perché), a vendere già almeno venticinquemila copie, di prossima traduzione e pubblicazione da parte della prestigiosa Gallimard, e chissà quante altre lingue straniere a seguire. E probabilmente avrei dovuto concludere il lungo periodo con il punto interrogativo.
Non ho risposte. Marketing? Senz’altro. Passaparola? Senz’altro. Ma rimane comunque qualcosa di atipico e di difficile ripetizione.
Tuttavia, per quanto il mio entusiasmo sia più moderato di quello che ho scorto in giro, anch’io mi sono sciroppato questo tomo di un numero di pagine spropositato – per me fattore di detrimento già in partenza – e nonostante abbia più volte avuto tentazioni d’abbandono – un po’ per noia, un po’ per scarso interesse, un po’ per la sensazione che non occorre bere tutta la botte per capire com’è il vino – sono comunque arrivato in fondo. Come mai, mi chiedo. E mi rispondo: perché è scritto con scrittura potente, piacevole, divertente, fresca e spumeggiante, innestata di neologismi e dialettismi che è un piacere. Per un dono raro che credo Griffi possieda, quello del ritmo. Anche quando ci sono sacche di ripetizioni e lungaggini e lentezze, non sono mai troppo estese, il ritmo del racconto riprende presto ed è perlopiù molla che motiva la lettura e la sospinge in avanti. Per quel continuo slittare da voce narrante in terza a voce narrante in prima, perlopiù singolare ma talvolta anche plurale, a conferma di una narrazione che si può definire corale. Per come mischia alto e basso, colto e popolare, poesia e prosa. Perché il fantomatico libro di cui si continua a parlare in questo lunghissimo romanzo picaresco, Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en Mèxico, vera e propria “quest”, si trasforma in un santo Graal. Perché dopo settecento pagine di fantasie e favole c’è uno scarto di registro che si fa improvvisamente più duro e crudo e io ho goduto. Per il lieve aspetto fantascientifico quando introduce come se niente fosse oggetti e macchinari che all’epoca non esistevano. Per le ripetizioni e gli elenchi (che però entrano anche nella pars destruens che segue, volendo, il mio cahiers de doléances).
Ecco, appunto, la pars destruens. Eccessivamente e inutilmente lungo: poteva durare duecento pagine o duemila, invece di ottocento. Poteva anche non fermarsi mai. Perché la trama è pressoché inesistente, e vive di accumulo, grappoli di continue digressioni e ramificazioni e innesti e stramberie ed eccentricità (i sentieri che si biforcano, come si cita più volte nel testo). Le ripetizioni e gli elenchi: a volte li avrei saltati, a volte li ho letti con piacere. I momenti sturmtruppen (tutti quelli che coinvolgono nazisti, ambientati in Germania o in Italia), nei quali Griffi sembra voler imitare Quentin Tarantino, che nel suo ultimo film ha riscritto la cronaca (nera) e invece Griffi sembra voler riscrivere addirittura la Storia. La propensione a un universo popolato di “cuor contenti”, a mettere in scena un protagonista (e svariati altri personaggi) comico e distratto, avvolto da un’aura di serenità imperforabiletalmente buono e disponibile, stralunato e sognatore e strampalato, che io ritrovo spesso nei narratori che arrivano dall’italica provincia (e dalla provincia della provincia, come in questo caso).
Ma per me le ferrovie del Messico rimangono quelle che mi ha mostrato Sergio Leone…
Per le prime trecento pagine sono rimasta inebetita dal potere sciamanico di Griffi, spregiudicato manovratore di registri linguistici. Raggiunta la metà ho pensato che nonostante la cifra stilistica vertiginosamente alta, fosse tutto sommato un gran minestrone. Le ultime trecento pagine mi hanno consegnato la certezza che avevo in mano una cosa molto simile a una poesia, lunga 800 pagine, e che il minestrone fosse in realtà l'inutile tentativo di dover etichettare tutto, cercando per forza un punto di partenza o di arrivo che suoni come tale per le nostre annodate sinapsi abituate al déjà vu letterario. È un bel libro? Oltre. Stamattina, inciampando su una pianta d'edera malconcia ma aggrappata disperatamente a un tutore improvvisato, l'ho portata a casa e l'ho chiamata Cesco Magetti. Giudicate voi il mio grado di affezione alla sua storia.
Un consiglio? Da leggere ascoltando in sottofondo Joaquìn Rodrigo. Più precisamente, Fantasia para un gentilhombre.
signore e signori il Thomas Pynchon italiano... potenzialmente un romanzo infinito
questo romanzo unisce pynchon e bolano
per me che ho letto detective, 2666, notturno, contro il giorno, v, arcobaleno della gravità, l'incanto, vineland, mason e dixon questo romanzo è una gioia. Sono convinto che se i romanzi da me citati prima formassero un consiglio per decidere se accogliere nei loro ranghi Ferrovie del Messico sorriderebbero tra di loro e direbbero a Ferrovie del Messico "Benvenuto"
Contentissimo che sia tra i 12 dello strega 2023
ma i giurati dello strega si son fumati un cannone? hanno fatto perdere il miglior romanzo italiano degli ultimi 20 anni per uno strega postumo dato sull'onda dell'emotività?
La versione breve è che questo libro mi è piovuto in mano.
La versione lunga, per chi se la sente, è quanto segue.
Ferrovie del Messico è un romanzo d’avventura ma, a dispetto del titolo, è ambientato solo in minima parte in Messico, e in parte ancora minore sulle sue ferrovie. La storia principale, che racconta le peripezie di Francesco (detto Cesco) Magetti, si dipana nell'arco di un paio di settimane nell'astigiano, nel febbraio del 1944. Sicuramente non il periodo storico migliore per visitare il nord Italia, ecco.
Cesco è un vile, un soldato smidollato che lavora per il comando della guardia nazionale repubblicana ferroviaria di Asti, ormai completamente assoggettato al controllo delle SS. I suoi amici sono morti, o dispersi, o dati alla macchia, o tutte e tre le cose insieme. Cesco ha il mal di denti e nessuna voglia di disobbedire agli ordini, più per quieto vivere che per chissà quali ideali più o meno nobili. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, gli viene chiesto di procurarsi una mappa delle ferrovie del Messico, e Cesco Magetti si mette all'opera. Non dico che sia un compito facile, nel febbraio del '44, ma detta così non sembra nemmeno un'impresa epica cui dedicare 800 pagine, no?
Il punto è che Ferrovie del Messico è un libro talmente esagerato ed esondante che non so cosa raccontarvi, perché per me è stata un'esperienza fulminante, un colpo al cuore di quelli che capitano di rado, e che sarebbe meglio affrontare alla cieca, senza tanti preamboli.
Il suo più grande pregio è la scrittura: piena, viva, carica di lirismo feroce e di sfrontata ironia, che cita e omaggia, più o meno apertamente, tantissima letteratura contemporanea da Jorge Luis Borges a Georges Perec, che non teme i confronti (innumerevoli) coi mostri sacri della letteratura postmoderna come Thomas Pynchon, col realismo magico di Juan Rulfo o con la fantascienza distopica di Ray Bradbury, ma al tempo stesso si tuffa a capofitto e con tutte le scarpe in un'epopea storica e labirintica che non avrebbe sfigurato tra le mani di un Umberto Eco.
Questo libro è un'avventura nel senso più profondo della parola, un'avventura sterminata, ricca di sentieri che si biforcano (op. cit. all'interno del romanzo stesso) in direzioni strampalate che a volte non conducono da nessuna parte, e capisco che alcuni potrebbero non apprezzare questo suo aspetto. Per me invece è un altro dei suoi innumerevoli pregi.
Ferrovie del Messico è un romanzo di ottocento pagine scritto da Gian Marco Griffi. Chi?, direte giustamente voi. Grazie per la domanda.
A quanto pare, nella sua vita privata, Griffi è segretario sportivo presso un golf club in Piemonte. Nei ringraziamenti a fine libro, si premura di spendere una buona parola per i DPCM che lo hanno costretto in casa nel 2020, senza i quali questa sua opera non avrebbe mai visto la luce.
Ma io non gli credo.
Perché Griffi, in realtà, ha già (auto)pubblicato un altro romanzo cinque anni fa, «Più segreti degli angeli sono i suicidi», che sfiora le 700 pagine, e una raccolta di racconti, «Inciampi» (più esigua), nel 2019. Insomma, è uno a cui in testa ronzano un bel po’ di idee, su questo non ci piove, DPCM o meno.
Ma per tornare alla domanda iniziale: chi è Griffi? Non ne ho idea. Dove se ne stava nascosto un simile portento, perché nessuno si era mai preso la briga di pubblicarlo su larga scala, respinto come è stato da più case editrici, ignorato dai premi letterari, relegato allo scaffale delle novità indipendenti da Feltrinelli? Vorrei dirvi che l'ho scoperto completamente per caso, e sarebbe anche vero, nel senso che l'ho acquistato davvero senza saperne nulla. Non fosse che in realtà, dalla sua prima pubblicazione nel maggio 2022 ad oggi, Ferrovie del Messico è diventato il caso letterario italiano dell'anno, grazie a un paio di piazzamenti strategici (libro del mese per Fahrenheit a giugno, primo nella classifica di qualità di ottobre su Indiscreto) senza i quali io, piccola sprovveduta che compra libri sull'impulso del momento, non me lo sarei mai trovato davanti in libreria, fresco della sua terza ristampa.
Per cui.
Che dirvi? Leggetelo se non vi spaventa l'idea di trovarvi immersi in una storia che si muove senza sosta tra le oscure trame della burocrazia nazista, piccoli villaggi misteriosi del centro America, leggende islandesi, sconfinati cimiteri di provincia, studi dentistici e rifugi partigiani.
Leggetelo se vi piacciono le storie senza fine- letteralmente: non nel senso di storie prive di un finale, ma sconfinate, grandi quanto un continente o due.
Sin da quando è uscito questo romanzo, quasi un anno fa, l’unico pensiero a pelle che ho fatto è stato “merita di essere letto”, per una serie di motivi non razionali, determinati solo dall’energia emanata dallo stesso.
Finalmente sono riuscita a leggerlo e non mi sbagliavo! Che grande romanzo ha scritto Gian Marco Griffi!
Degno di essere accostato alla grande letteratura latino-americana, in primis, e poi mondiale, la cosa che mi ha stupito di più è che sia stato invece scritto da uno scrittore italiano. E spero che non me ne vogliate per questo paragone: all’interno di questo romanzo ho riconosciuto echi di Jorge Luis Borges, Octavio Paz, Thomas Pynchon, Eduardo Galeano, Roberto Bolaño e a tanti altri. E credo che l’autore abbia voluto omaggiarli, dando ai personaggi dei nomi assonanti con quelli menzionati da me. La scrittura è altamente poetica e ci sono alcuni periodi che dopo averli letti ti fanno esclamare un “oh…” per quanto sono belli:
«… brinderemo a tutto, e mangeremo masticando la memoria come niente fosse; poi azioneremo il ricordo della radio, per farci compagnia, e ci perderemo in certi lessici famigliari che rendono le parole buffe e malleabili come l’impasto del pane, e lacereremo l’intuizione del consumarsi degli eventi fino a strapparla, per amarci un momento senza clessidre, senza meridiane, senza tempo».
L’ambientazione storica abbraccia il biennio 1943-1945, ad Asti, con flashback nel 1929 e nel 1933 e dei salti nel futuro, ambientati nei giorni nostri.
L’espediente narrativo è semplice: il protagonista, Cecco Magetti, deve disegnare una mappa delle Ferrovie del Messico e per farlo ha bisogno di un libro molto raro “Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México” di Gustavo Adolfo Baz con illustrazioni di Eduardo Gallo.
Un romanzo divertente (in alcuni punti mi ha ricordato anche le avventure di Don Chisciotte), picaresco e al tempo stesso ricco di spunti di riflessione. Un libro che si propone come romanzo d’evasione, visto che è ambientato durante il Fascismo e la Seconda Guerra Mondiale, e che prova a dare ai protagonisti la possibilità di vivere realtà parallele.
“Ora l’autocarro è già lontano, Cesco lo osserva sparire dietro la curva, i naufraghi camminano e camminano, fermandosi solo per pisciare, camminano e camminano fermandosi solo per piangere. Dopo l’ultima curva un camion si ferma e li fa salire, la strada è spoglia e si alza la polvere, dove andate?, chiede il conducente, dove andate voi, dice Cesco. finisce a Locarno a lavarsi presso un pozzo, e il volto che emerge dal riflesso tremolante e increspato sul pelo dell’acqua è il volto di un altro, che ancora non conosce.”
Libro mondo, merita di vincere il Premio Strega.
🏆 Libro incluso tra i dodici candidati al Premio Strega 2023; Libro vincitore del Premio Libro dell'anno di Fahrenheit, del Premio Mastercard Letteratura e del Premio letterario Mario La Cava 2023.
🏆Proposto da Alessandro Barbero al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione: «È un romanzo colto e fluviale. Su uno spunto narrativo di per sé semplicissimo, benché alquanto bizzarro – nel febbraio del ’44 un milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria della Repubblica di Salò, sede di Asti, viene incaricato di compilare una mappa delle ferrovie del Messico – l’autore innesta una quantità impressionante di storie collaterali, divagazioni, novelle, sogni, lettere, visioni, che spaziano dal Piemonte al Messico, da Berlino all’aldilà: il tutto peraltro ricondotto a una conclusione tanto imprevista quanto credibile. Ferrovie del Messico merita di essere candidato al Premio Strega per la novità, e l’ambizione, del concetto e della trama, come per la qualità della scrittura: il romanzo è scritto in una lingua versatile e mutevole, spesso apparentemente orale ma in realtà letteratissima, che attinge a tutte le risorse dell’italiano, delle parlate regionali, dei linguaggi specialistici, e financo a gerghi furfanteschi e fantastici».
Non sono assolutamente in grado di scrivere cose intelligenti su questo romanzo, perché è troppo colto e colmo di riferimenti - Gadda, Pynchon, Bolaño, Borges...e già vengono i brividi solo a metterli in fila, ma poi ciascuno di noi sarà capace di cogliere altre citazioni e stralci di poesie (io solo Wordsworth con le sue onde vagabonde e i suoi narcisi giunchiglie, ma mi ritengo soddisfatta) - ma è al tempo stesso un romanzo godibile, a tratti divertente, romantico, tragico, trascinante, che proprio per tutti questi motivi, al quale aggiungo l'uso di una lingua che si fa mutevole ed è capace di usare registri differenti (un "parlato letterato", come lo chiama l'autore), come mutevoli e differenti fra loro sono le storie che racconta spalancando universi e mondi fantastici, invito a leggere senza averne timore nonostante la mole e le (mie) poche e confuse premesse.
La sinossi, scritta dallo stesso Griffi: Cesco Magetti, un milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria di Asti, e molti altri personaggi (tra cui un paio di attori, un gerarca nazista, un poeta frenatore) debbono fronteggiare le forze soprannaturali che agiscono a nostra insaputa sulle sorti dell'umanità. Alcuni di loro saranno sconfitti, altri dovranno fuggire, altri ancora otterranno un risultato più o meno soddisfacente. O forse sono tutte stronzate, e non esistono forze soprannaturali che agiscono sulle sorti dell'umanità. Anche se, per dirla con Ennio (un personaggio di Ferrovie del Messico), l'amore è certamente una forza soprannaturale che agisce sulle sorti dell'umanità (eccome se agisce). E ce ne sono anche molte altre.
A parole mie: Asti 1944, Cesco Magetti, soldato repubblichino in forze presso la guardia nazionale ferroviaria, afflitto da mal di denti insopportabile che non cura per irrazionale paura dei dentisti, riceve dal suo superiore l'incarico di disegnare una mappa delle linee ferroviarie del Messico, in pochi giorni, perché la notizia, volando veloce di bocca in bocca e di stazione in stazione, si è trasformata anch'essa e ora sembra proprio che questa misteriosa mappa sia diventata indispensabile per le sorti del Reich.
Il viaggio che ne consegue, alla ricerca dell'unico testo che potrebbe aiutarlo a portare a termine il suo incarico (la Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México) è una caccia al tesoro, una discesa all'inferno (eh sì, anche la Divina Commedia qua e là si respira a pieni polmoni e penso che nessuno mi tirerà pomodori o frutta marcia se dico che a un certo punto ho pensato che Tilde, la prima ad accompagnare Cesco nella sua ricerca, potesse essere un personaggio ispirato a Beatrice - e anche le tante sfumature dell'animo di molti dei suoi personaggi ne sono in parte testimonianza), un vortice caleidoscopico di personaggi, storie, lingue, paesi, che quasi fanno perdere di vista lo scopo del viaggio: ma come diceva qualcuno, non è tanto il viaggio in sé, la strada che si percorre, ma il come la si percorre e ciò che si incontra lungo il cammino e dunque, va bene perdersi un po'.
E a questo punto, per evitare di perdermi e far perdere ulteriormente chi mi ha letta fin qui, preferisco fermarmi anziché continuare a girarci intorno scrivendo il nulla, ma prima di farlo mi piace sottolineare che in questo romanzo ci sono veramente tanti personaggi bellissimi: il mio preferito, e sarà forse puro campanilismo, perché dopo tanto piemontese (di cui la lingua conviviale che Griffi usa è contaminato), lo sfogo invettiva che lo vede protagonista mi ha fatto respirare a pieni polmoni e intravedere il mare fra le colline del Monferrato, è sicuramente l'aiutante capo Morucci da Civitavecchia. Ma, a pensarci bene, anche il partigiano Steno. O il samoano Epa. O il dentista che, o don Tiberio che invece... tutti personaggi che potrebbero benissimo continuare a vivere di vita propria e dare il via a nuove storie e a nuovi romanzi. Insomma, citazione per citazione, la sensazione che Griffi ci abbia fatto uno scherzo infinito, consegnandoci un romanzo infinito a sua volta, già da un po' ha iniziato a farsi strada (sulle rotaie verso il Messico). Quello che è certo, e che Gian Marco Griffi - scrittore del lunedì come ama definirsi perché nei restanti sei giorni dirige un circolo di golf fra le colline astigiane - ci ha tenuto a precisare, è che questo è un romanzo profondamente antifascista.
Ecco gli esordi (non è vero, non è il primo libro ma come se) di cui in pochi parlano, che si fa fatica a scoprire, che si leggono in periodo lungo (io ci ho messo quasi un mese) ma che valgono ogni pagina letta, ogni parola spesa, ogni riga sottolineata.
Un librone mastodontico, che parte da un'idea e la porta avanti per 900 pagine tra decine di digressioni, storie, miti, racconti, personaggi minori e storie minori, campi da golf e boschi in cui si nascondono i partigiani. Griffi (direttore di un capo da golf dove, giuro, prima o dopo andrò a fare nove buche solo per parlare con lui) si è imbarcato e ha tenuto in piedi un romanzone come non ne leggevo da tempo. Una lunga avventura costellata di vite degli altri e di storia e di storie.
Un librone diviso in capitoli, con riferimenti temporali e di luoghi che dovrebbero servirti a tenere in piedi la storia ma, che dopo un po', dimentichi per farti trascinare dalla vita di Cesco Magetti, dal suo dente dolorante e dall'impresa che gli è toccata: disegnare una mappa delle ferrovie del Messico. Perché? Perché è un ordine, lui è un soldato, siamo nel 44 e dalla Germania hanno deciso così. Ce la farà? Chi lo aiuterà? E la guerra?
Leggetelo se avete voglia di un'avventura tra mille citazioni letterarie. Ci vuole tempo, ma che bello.
Non è vero che gira a vuoto ha una trama ben definita che l'autore mette in scena perché, come dice un altro noto autore italiano, per andare dal punto A al punto B non è detto che la strada migliore sia una linea retta bensì anche un civettuolo arabesco, come quando esci dall'autostrada e pensi di esserti perso ma finisci per scoprire paesaggi, borghi, radure che diversamente non avresti mai conosciuto, il mondo fuori dal mondo.
Che poi sono 800 pagine, d'accordo, ma il formato del libro, molto elegante e edito da una sconosciuta Casa Editrice tal Laurana Editore Milano, è piccolo e i caratteri sono grossi e la lettura non è difficile, si fa vorace e costantemente in discesa.
C'è estro, c'è una lingua alta a tratti lirica e immaginifica, c'è storia quella collettiva e quella individuale, c'è avventura e c'è una leggiadria quasi comica, ma soprattutto una solida architettura che tiene saldamente insieme le parti.
Ci sono due punti fermi, salvagenti a cui il lettore si aggrappa in questo mare meraviglioso di parole e che non fanno mai perdere il filo: il mal di denti di Cesco Magetti e la mappa delle ferrovie del Messico. Che Cesco Magetti è un milite della Guardia Nazionale ferroviaria che soffre di un mal di denti che anche il lettore si porta appresso, come se fosse nostra la fitta acuta di dolore al suo molare sinistro superiore. E c'è un compito, tanto ambizioso quanto apparentemente vacuo, che viene affidato a questo piccolo milite in stanza ad Asti ai tempi della Repubblica Sociale Italiana (Repubblica di Salò): redigere in una settimana una mappa della rete ferrovia del Messico, ordine che viene dall'alto molto dall'alto, addirittura dal comando tedesco e pare fino ad Hitler.... imperscrutabili segreti di guerra. La mappa diventa il punto focale da cui con una forza centripeta ed entropica si dipanano le storie che l'autore inscena. I personaggi sono sempre sul punto di portare a termine qualcosa ma poi cominciano a divagare e si perdono come quando stai sognando che devi fare qsa, che so come prendere un treno o sostenere l'esame di maturità ma continuano ad accavallarsi una infinità di impedimenti che allontanano dall'obiettivo, ma gli impedimenti, nel sogno come in questo straordinario romanzo, non sono meno interessanti dell'obiettivo stesso.
E Ferrovie del Messico è uno dei candidati degli Strega di quest'anno. Chiaramente ciò non aggiunge nulla alla sua bellezza, ma non deve nemmeno togliervi nulla, per mero pregiudizio. Mi vedrà sua prima tifosa morale, per ciò che vale e potrò, e non tanto perché vinca lo Strega ma perché venga letto, perché leggendolo non si finisce di ringraziare che la letteratura esista. E che sia paragonato a Pinchon o altri autori non mi cale, perché tanto Pinchon non l'ho mai letto, ma se Pinchon è come Ferrovie del Messico finirò per leggerlo. E perché dimostra, contro tutti i suoi detrattori, che la letteratura italiana non è moribonda. Fnalmente un romanzo (italiano) che non guarda all'ombelico dell'autore dando vita al solito romanzetto di formazione.
L'autore, il perfetto sconosciuto astigiano Gian Marco Griffi, un outsider che viene dal nulla direttamente dal mondo del Golf, in una intervista ha ringraziato i DPCM che nel 2020 lo hanno obbligato in casa, senza i quali forse questo libro non avrebbe visto la luce, quindi grazie Conte.
FdM, come inizia la mia storia? Lo vedo citare online sempre più spesso, do un’occhiata alla sinossi, mah, boh, un po’ troppo realismo magico, chissà. Agli italici sono allergica, finiscono sempre per avvilupparsi attorno all’ombelico. Poi arriva nella long list dello Strega addirittura come potenziale vincitore (ah ah, maschio bianco storico, praticamente una Barbie stereotipo, non aveva alcuna possibilità), sicuro segno di libro da evitare, però su GR c’è il fedele Krodi (fedele nel riproporci le strega-list) che incalza, così lo riprendo in mano (figuratamente), ma lo scarto a favore de L’Affaire di Trellini (Bel-lis-si-mo!), però il gruppo degli ex-acosiani incalza, viene proposto un GdL (gruppo di lettura, per i non addetti) “da un’idea di Lise-charmel”. Passano i giorni, i mesi, viene eliminato dalla long list dello Strega, le sue quotazioni ai miei occhi risalgono, e GdL sia, e per costringermi a leggerlo prendo in mano l’organizzazione del GdL (che così diventa “da un’idea di Lise-charmel powered by Tittirossa”. Insomma, lo inizio. E precipito nel vortice delle FdM. Non riesco a smettere. L’abbiamo (noi del GdL, non l’Autore) diviso in 6 tappe in 6 settimane, ma a metà della terza, torno indietro e reinizio da capo tenendo traccia delle voci narranti e non smetto più di leggere. E’ un pastiche di stili tenuti insieme a mo’ di divertissement? Può essere, anzi, sicuramente lo è. E’ un continuo citazionismo con richiami a opere, mondi, opere-mondo, autori dire fare baciare testamento? Può essere, anzi, sicuramente lo è. E’ una metafora del fascismo, dell’italiano medio prima fascista poi antifascista, dello spirito di una nazione, dell’insensatezza dell’esercizio del potere per il potere? Può essere, non sono sicura che lo sia sicuramente, cioè è la mia interpretazione, Griffi non lo ha detto esplicitamente. E’ la rappresentazione della casualità dell’essere e del potere salvifico della letteratura? Può essere, non sono sicura che lo sia sicuramente, etc. E’ una storia d’amore (più di una) e di amicizia (più di una)? Può essere, anzi sicuramente lo è. Ecco, FdM è tante cose, alcune certe (la bellezza di certi capitoli autoconcludenti, la magnificenza della storia, la capacità di intrecciare tante storie, la padronanza ammaliante* dello stile) altre meno certe (che vorrà dì Leto? E la curandera? E Graf? E Hitler? Giustina? Il prete pedofilo? La mappa delle ferrovie? I colori che uccidono? Etc.). Ma è soprattutto un magnifico libro che ti prende e ti porta via (certo, ci sono sbavature, imprecisioni, cose così, ma sono perdonabili, sta qualche spanna sopra la media degli scrittori italici che vincono lo strega). 5 stelle se le merita tutte (4 per il libro, e 1 per il GdL grazie al quale ho colto le millemila citazioni che nella mia ignoranza non avrei mai notato😊 )
Edit: mi sono appena resa conto che il titolo è FERROVIE e non LE FERROVIE, sono sicura che quell'articolo mancante vuole dire qualcosa :-) ma non so cosa (uno dei tanti misteri insoluti)
Siamo ad Asti nel 1944 e a un giovane milite della polizia ferroviaria viene affidato il compito di comporre con urgenza la mappa delle Ferrovie del Messico. Lo spunto narrativo porterà il giovane Cesco Magetti a incontrare una vasta serie di personaggi che altrimenti non avrebbero mai gravitato nella sua orbita, dalla bellissima bibliotecaria Tilde, colta ma tremendamente sensibile e depressa ai becchini costruttori di ferrovie. Ma il romanzo porterà il lettore anche in Germania, alle prese con un Hitler fuori luogo, esperimenti coi colori e nell'assurdità del totalitarismo. Incontreremo disertori, curandere, partigiani, bambini messicani in punto di morte, il tutto sotto il fuoco incrociato di una lingua scoppiettante, variopinta, sfaccettata. Si ride, si piange, si sogna e ci si innamora in Ferrovie del Messico, indubbiamente il romanzo dell'anno 2023 (per me).
Cosa complicata dare un’idea di questo romanzo. Raccolgo più che altro sensazioni prese in diretta. Intanto è un libro che per molte pagine, soprattutto nella prima metà coinvolge, emoziona, affascina (almeno per me è stato così). Per lunghi tratti entusiasma proprio. Per la scrittura fantasmagorica, per i personaggi (la Lei e i becchini una spanna su tutti), per le atmosfere che crea, per i paesaggi e l’ambientazione storica nel ventennio, per la ricostruzione che offre di tipi e situazione. Il piacere che ho provato a leggerlo: questa è la cosa più importante che ho da trasmettere. È un romanzone e dice qualcuno che poteva forse essere anche tagliato (ma perché? Ci si sta così comodi dentro). È vero che in certi passaggi la lettura si appesantisce, il piacere accenna vagamente a virare a noia, ma si va talmente di corsa, la velocità dei quadri che passano davanti è tale che l’accenno di noia lo puoi scambiare per vertigine, addirittura viene il sospetto che sia un effetto voluto o inerziale.
Certo è che mano a mano che corre, nella seconda parte soprattutto, il libro, dietro alla precaria maschera di romanzo picaresco di avventure surreali, svela la sua natura di gioco letterario costellato di rimandi più o meno evidenti, la sua ambizione di pura magia affabulatoria. Le parentele, evidenti o presunte, parlano di Pynchon, Bolano, Borges (io ci metterei anche e forse soprattutto Paradiso di Lezama Lima), ma rischiano di essere fuorvianti. Perché non rendono la spensierata leggerezza che attraversa il romanzo e frustrano la leggerezza di spirito con cui va affrontato.
E infine dico che lo si legge volentieri per l’anomalia (la bella anomalia) che rappresenta nel grigiore autobiografico della letteratura italiana di questo periodo. Una specie di fiore nel deserto: un fiore di originalità, colore, coraggio. E anche di furbizia. Si è mascherato così bene ed è cosi fuori contesto che l’ha pubblicato una piccola casa editrice, si è fatto pubblicità con il passaparola e prima di convincere il singolo lettore a farsi leggere deve saltare un muro di diffidenza e di paura alto così. Non so quante volte me lo sono rigirato in mano in libreria prima di comprarlo. Poi la lettura è una corsa in discesa, a scavezzacollo.
Dico solo: tenere duro, si svela progressivamente ripagando il lettore del continuo accomodamento fatto in lettura.
Opera originale, degna di nota, rincuora nell'appiattimento monocorde dell'editoria nostrana.
Sarebbe piaciuto a Calvino.
CI PROVO, oggi 1 agosto
Una lunga ricerca di taglio quasi omerico e un lungo peregrinare di taglio quasi dantesco con tanto di discesa agli Inferi, salite in carrozza e sperate di trovare il binario giusto. Non è a scartamento ridotto questa ferrovia, il romanzo è bello corposo, non viaggia in maniera lineare, segue piuttosto le stazioni dell'anacronia. Accomodatevi e non guardate troppo dal finestrino: le divagazioni oniriche, le storie abbozzate, le citazioni letterarie, le riletture storiche, potrebbero stordire.
Abbandonatevi alla storia che avete sotto mano, una tranquilla storia di formazione, un ragazzotto che diventa uomo e si specchia alla fine del viaggio, non riconoscendosi più. È perfino guarito quel maledetto mal di denti che lo ha assediato. Non è un eroe Cesco Magetti, no, affatto, è piuttosto la proiezione dell'italiano medio, quello che aspetta che passi, il mal di denti come il fascismo. Vive un'odissea, il Fato gli ha riservato intrepida missione: ha tempo una settimana per far avere ai suoi superiori una dettagliata mappa delle ferrovie del Messico.
Una nuova odissea quella di Cesco Magetti, il più anonimo ragazzotto della milizia repubblicana, l'unico fra gli amici che non ha fatto la guerra e nemmeno la rivoluzione civile contro il regime. Non può, non è un eroe, se ammazza lo fa senza appartenenza ideologica, per pura pressione individuale.
La storia non consegna eroi, regala storie, destini, follie, visioni, suggestioni, non c'è bisogno di altro per capire da quale parte stare.
Non certo ad Asti, labirintica e asfissiata, non lungo i binari di una ferrovia, là potreste incappare in qualche cadavere, nemmeno in Svizzera, mi raccomando; volendo si potrebbe tentare un viaggio in Messico, magari a Santa Brigida, se riuscite a localizzarla in mappa. Piccolo aiuto: è nei pressi di un ponte… buona lettura, beati voi!
Terminato. Confermo il mio precedente giudizio. Storia inesistente tirata in lungo per 800 pagine (formato 19x12 e caratteri corpacciuti, fortunatamente). Nel complesso un romanzo banale e pretenzioso, a tratti imbarazzante come il diario di un adolescente che si cimenta con i primi versi, spesso irritante come quegli scritti che superfetano subordinate sostantivi aggettivi avverbi per dissimulare la propria vacuità. Molto noioso sempre, con personaggi che sono macchiette bidimensionali, come i cartonati del giornalaio. Fondamentalmente l'ho detestato.
*** Faticosamente giunta al giro di boa del 60% del tometto (direi tomino, ma non vorrei incorrere in qualche forma di shaming, ché oltretutto sono semi-sabauda anch'io), posso anticipare che lo trovo orribilmente tedioso, verboso, ampolloso e vacuo (non finisce in -oso, ma non ho trovato un sinonimo). Facendo appello al mio super-io ipertrofico che mi impedisce di sospendere la lettura, proseguo soffrendo. (sono quasi l'unica cui non è piaciuto, e non me me capacito, perché questo romanzo è veramente una sola)
Un romanzo multiforme e cangiante, in cui l’avventura, il lirico, il picaresco, il fantastico, l’onirico, la farsa, la tragedia, la poesia, il grottesco, il folkloristico, il surreale, il pastiche, il Mito, la Storia e la Geografia si alternano e si fondono insieme, in un funambolico e rutilante racconto epico di ampissimo respiro.
Una superlativa invenzione romanzesca, in cui i molteplici registri linguistici adoperati da Griffi alimentano il motore perpetuo che scuote e rimescola le molte storie qui racchiuse, fatte di topoi letterari reinventati e citazioni poetiche mimetizzate in misura così abbondante che sarebbe impossibile, oltreché inutile, stilarne un elenco esaustivo.
Il risultato è un romanzo-specchio, in cui ogni lettore, guardandoci dentro, vedrà riflessi gli echi delle proprie letture passate; ad ognuno ricorderà autori diversi, passi di libri già letti chissà dove, sfogliati chissà quando, e non è determinante sapere se Griffi si sia ispirato davvero ai riferimenti che ciascuno di noi crederà di cogliere, perché il concerto polifonico che prorompe dal romanzo è talmente trascinante che tanto basta per bearsene.
Un'opera anomala nel panorama italiano contemporaneo e lontana dal gusto che va per la maggiore; non saprei dire se la letteratura italiana abbia bisogno di altri libri così, ma io sicuramente sì, ne ho assoluta necessità.
La nostra vita è un labirinto inestricabile, un gomitolaccio aggrovigliato da un beffardo artefice, i cui capi stanno sommersi in abissi che non raggiungeremo mai.
per una serie di questioni che per brevità chiamerò povertà, quest’anno ho stabilito un budget di 20 euro per le ferie, e la scelta alla fine è caduta su “Ferrovie del Messico” di Gian Marco Griffi; dopo cento pagine godevo della scelta fatta; l’ho finito oggi, 14 agosto e ribadisco, la scelta s’è rivelata perfetta.
"La libertà possiamo costruircela una briciola per volta, mettendo insieme le ragioni di tutti."
Siamo ad Asti, più diffusamente nel Monferrato, e siamo, per lo più, negli anni 1944/1945. Anche se ci sono diversi tuffi nel passato che ci portano nello spazio e nel tempo in luoghi assai più esotici: Messico, ad esempio, ma non solo.
Ad Asti facciamo la conoscenza del nostro eroe. Cesco Magetti. Ventitreenne. Milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria della repubblica di Salò, tormentato dal mal di denti dall'inizio alla fine delle sue avventure, incaricato di compilare una mappa delle ferrovie del Messico: l’ordine, seppur inspiegabile, viene dall’alto, molto dall’alto.
Il romanzo lo definirei picaresco se non fosse che Cesco non è un furfante o un imbroglione, ma un ragazzo giovane e inesperto che, per portare a termine l'ordine impartitogli, diventerà adulto incontrando l'amore, la vita e la morte. Non per volere di Dio (che in questo romanzo è in sciopero) ma del Deus ex Machina che lo ha voluto protagonista di questa storia. Mirabolante, avventurosa, che tocca tutti i registi sia letterari che di genere (si passa dal comico al tragico, parecchio comico e parecchio tragico) quasi senza soluzione di continuità.
E non si può che rimanere ammirati e storditi dalle capacità e (anche) dalla cultura di questo direttore di campo da Golf del Monferrato, capace di immaginarsi il mondo che è questo romanzo.
Cesco, Tilde col suo Steno, i becchini, il prete pedofilo, Giustina, Feliciano, l'orribile Kraas, indimenticabili... ma i personaggi tutti di questo incredibile racconto che pur attingendo al metaletterario, tiene avvinti fino all'ultima pagina. "Essere lirici e ironici è la sola cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta. Io abito il mio lirismo, Cesco, per continuare ad amare la vita: ogni evento vissuto non può che tradursi in queste due forme d’esistere, lirismo e ironia, perché la terza sarebbe la disperazione, e a quella non saprei porre rimedio. Non c’è altro."
Grazie a Gatta e Paolo che hanno fatto in modo che lo leggessi.
Bello. Davvero bello. Romanzo riuscitissimo, romanzo-fiume fatto di storie solide che si intersecano, si rincorrono, deflagrano, in bilico tra Storia, invenzione, a volte fantascienza, e che bilanciano tragico e grottesco, comico e poetico mediante una prosa magmatica straordinariamente mai noiosa. Storia, struttura, personaggi, dialoghi, tutto è ben riuscito. "Ferrovie del Messico" sa parlare al Tempo, nel Tempo, alla Storia e all'Uomo, sia nella Storia che nella semplicità del quotidiano. Un viaggio e un'esperienza che si legge e si fa leggere d'un fiato. 5/5
Una bella sorpresa, Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi, a cui do 5 stelle proprio per lo stupore e la gioia di leggere finalmente un libro italiano ambizioso e d'inventiva non banale. L'idea originale di affidare a Francesco Magetti, giovane milite della Guardia Nazionale Repubblicana ferroviaria, la ricerca della mappa delle ferrovie del Messico, per richiesta delle alte gerarchie di Berlino, è il motore di una quest mitologica e piena di fantasiosi racconti di un Sudamerica perduto nella Asti del 1944. Non si esce mai da Asti, infatti, se non attraverso i racconti dei personaggi che incontra Cesco, che sono tantissimi e ci fanno viaggiare nelle più sperdute regioni e comunità del Messico e del Piemonte, con storie dure e magiche, con fatiche di altre ricerche (di padri, di avventure) che allargano il confine a dismisura. C'è spazio quindi per raccontare il grande amore per la giovane bibliotecaria Tilde, per l'incontro con gli addetti cimiteriali Lito e Mec che incontrarono Gustavo Baz (autore del mitologico e inafferrabile Historia poetica y pintoresca de los ferrocarriles en Mexico), per le storie degli orfani Giustina, Ettore e Nicolao, per il partigiano Steno fidanzato di Tilde, per l'accabadora sarda che vive nei boschi, per i poeti frenatori avanguardisti che vivono in una chiesa sconsacrata, per il dopolavoro ferroviario l'Aquila Agonizzante che è un po' teatro e un po' locale di disperata resistenza umana, e poi ancora per un siparietto di Hitler al ballo e uno di nazisti che giocano a golf sulle colline piemontesi. Questo è un libro-mondo che ha regole tutte sue, con il tempo della stagione 1943-44 che va un po' avanti e un po' indietro (con qualche punta indietro nel 1933 e qualche punta molto più avanti nel dopoguerra) dando ancora di più la sensazione di potersi allargare all'infinito. Con questa proiezione temporale aperta possiamo anche conoscere - e in parte intuire e continuare a immaginare- la vita futura di Tilde segnata per sempre dalla sua sensibilità atipica, e quella avventurosa e ricca di Cesco e ripensare la ricerca della mappa del Messico come la più fondante e formativa esperienza della sua giovane vita, e tutta la storia narrata come un romanzo di formazione allargato, dove la formazione è di Francesco Magetti, ma anche di un popolo che sta per uscire dalla guerra e sta per cambiare per sempre, e ancora non lo sa. Qualcuno dice che in questo libro ci sono troppe pagine, che qualche episodio è superfluo -e forse qualche passaggio lo è - ma senza dilungarsi tanto in dettagli e personaggi l'autore non avrebbe potuto dare al lettore la sensazione di essere dentro un mondo inedito, pieno, lirico e magico, con una potenza tutta sua, come la letteratura stessa del Sudamerica ha insegnato. A Griffi va dato atto anche di aver scritto un libro colto senza mai essere pedante, usando una lingua ampia, un po' piemontese e spesso inventata, come un Gadda moderno, mai stucchevole ma giocoso. È un libro quindi che diverte, appassiona, porta lontano, se si ha voglia di essere portati via senza farsi troppe domande.
Essere lirici e ironici è la sola cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta Dopo un libro così mi dispiace di non sentirmi in grado di descrivere tutto il bello che mi ha brillato dentro durante la lettura. Uno di quei libri dove la trama, semplice, scarta su binari diversi, per seguire storie differenti, verosimili o fantastici, e che ti apre matrioske di racconti incredibili, con rimandi a letture che sai di aver fatto, che fatichi a ricordare ma che hai li’, sulla punta della lingua. Borges, Sàbato, Bolano, e poi chi altro? Mille personaggi ognuno con la sua postura, con la sua storia, con il bene e il male dentro di sé, e con un suo proprio modo di raccontarli. Su tutti magnifici i due becchini del cimitero di San Rocco, ma tanti altri che formano un caleidoscopio che ti porta di qua e di là nel tempo, nello spazio tra gli emisferi, senza che tu possa sentirti stanco. I colori, gli odori, i ritmi del funerale di Firmino mi hanno fatto venire un groppo alla gola, sprazzi di poesia con poche pennellate del paesaggio del Monferrato a fare da sfondo al febbraio ’44 in una Asti alle prese con la occupazione nazifascista. Uno di quei libri che centellini con la voglia di finire e la speranza di non farlo, che poi sai che ti rimarrà il vuoto dentro, dove non conta la storia ma il modo di raccontare, dove la lingua ti apre mondi, ricordi, sensazioni che non puoi aver vissuto ma che hai dentro chissà come. “difficile capire se siano frutto di scrupolosa documentazione o di fantasia debordante”, ma non importa, quello che conta è che mi ha fatto volare via, stregata dalle parole. E alla fine mi sono chiesta come mai non ho mai sentito parlare di questo Gian Marco Griffi, ma grazieaddio che abbiamo scrittori così, c’è ancora speranza, e chisenfrega se non vincerà il Premio Strega, non entrerà nemmeno nella cinquina, sestina ma che il diavolo se li porti tutti quanti.
Quando a fine maggio mi sono recato alla presentazione di "Ferrovie del Messico" presso il Salone Internazionale del Libro di Torino, sono rimasto a dir poco estasiato dalle parole usate dallo storico e divulgatore Alessandro Barbero nel raccontare questo romanzo, da lui stesso letto e apprezzato, mentre intervistava l'autore Gian Marco Griffi. Sono tornato a casa e non ho resistito neanche una settimana prima di lanciarmi in questa avventura tra le ferrovie del Messico, e devo dirvi la verità, sono stati dieci giorni di straordinaria lettura.
Il romanzo è ambientato nel Piemonte occupato dai nazisti tra il 1943 e il 1945, e racconta le vicende di Francesco Magetti, detto "Cesco", membro della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria di Asti. Cesco soffre di un atroce mal di denti che, pur di non farselo curare dai dentisti di cui ha tanto paura, cerca di lenire con vino, idrolitina e acquavite, e soffre anche dell’amore per Isotta, partita per l’Africa per non tornare più. Un giorno il protagonista di questa bizzarra storia viene incaricato di disegnare una mappa delle ferrovie del Messico, e l'ordine arriva dai più alti piani del Reich tedesco. Per realizzare la mappa, Cesco si mette alla ricerca di un libro che sembra introvabile, la "Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México" di Gustavo Adolfo Baz, che dovrebbe essere la chiave giusta per risolvere l'arduo compito assegnatogli.
Da questa quanto mai semplice ed incredibile storia si dirama però qualcosa di davvero unico e straordinario. Come un impetuoso fiume che supera il livello di piena e rompe gli argini, l'autore esonda con tutta la sua immensa capacità e abilità narrativa, sorprendendo continuamente il lettore. Capitolo dopo capitolo infatti, Griffi presenta al lettore una serie di personaggi che definire sublimi è a dir poco riduttivo. E insieme a loro prendono vita diverse storie parallele, che si intrecciano, si collegano e si influenzano attraverso svariati flashback. Il racconto non si complica mai, ma continua a scorrere libero e selvaggio come la penna di Griffi. I capitoli in cui Cesco conosce Tilde sono oggettivamente tra le pagine più belle che abbia mai letto in vita mia. Quelli su Feliciano e Firmino a mio avviso potrebbe sciogliere persino il più duro dei cuori. L'avventura al cimitero lascia davvero esterrefatti, e mentre in svariati pezzi del romanzo si immagina di luoghi esotici e lontani dell'America latina, si viene di continuo riportati alla cruda, dura e terribile realtà che vivono i personaggi; una realtà costellata da odio, violenza, omicidio e barbarie. Anche se in fondo, la seconda guerra mondiale fa solo da contorno alla storia, poiché per la gran parte del libro si ha l'impressione di essere trasportati in un'altra dimensione, su un altro pianeta.
"Ferrovie del Messico" è un diluvio universale di bellezza sopraffina che è davvero difficile incontrare nei romanzi contemporanei, e più si legge, più si ha l'impressione che Griffi ci stia raccontando una storia sempre più straordinaria, sempre più ricca, che si dirama sempre più. E' come una di quelle celle temporalesche che si autoalimenta con la calura estiva, più avanza, più prende forza. L'autore non si pone limiti e decide intenzionalmente di buttarsi tutto intero nel testo che sta scrivendo. Ad un certo punto Griffi decide che il romanzo è finito, ma l'impressione che ho avuto da lettore è che con grande piacere avrei continuato a leggerlo ancora e ancora, senza sosta. Questa sensazione di infinito, di cui parla nella postfazione del libro Marco Drago, è palpabile. "Ferrovie del Messico" a tratti sembra un antico poema epico-cavalleresco, con un testo così elastico da poter essere teso oltre i limiti fisici.
Ma ciò che davvero mi ha convinto a dare 5 stelle a questo romanzo, includendolo nell'Olimpo dei miei libri preferiti, è senza alcun dubbio lo stile di scrittura di Gian Marco Griffi. I cambi di registro stilistico sono portentosi: si passa da uno stile alto, quasi aulico, al grottesco, passando per il comico e l'ironico. Il lettore viene letteralmente travolto da una prosa che sa di nuovo, di fresco, se ne resta ammaliati e affascinati, ci si lascia trasportare dalle metafore, dalle allegorie, dagli infiniti riferimenti letterari, e da vocaboli dei quali neanche si conosceva l'esistenza. Da un punto di vista linguistico si passa dal piemontese al sardo logudorese, dallo spagnolo al tedesco, da lingue nordiche ad altri dialetti italiani come il romano.
"Ferrovie del Messico" è un romanzo riuscitissimo che non manca di nulla, in cui la magia delle parole si sprigiona in tutta la sua straordinaria bellezza grazie al talento di un superbo scrittore.
Da un filo sottile e surreale, un fante repubblichino incaricato di compilare una mappa delle ferrovie del Messico per l'esercito nazista, parte una girandola di storie e personaggi impossibile da riassumere.
Una ricerca del Graal che come tutte le quest si fa romanzo d'avventure, romanzo di formazione, storia d'amore, e che rimbalza tra luoghi diversi e anche futuri inediti. Il protagonista, Cesco, è forse il più improbabile degli eroi, ma grazie alla sua poca grazia fa risaltare le tante luminose figure che ne accompagnano il cammino.
Scritto con uno stile mimetico, pieno di citazioni nascoste, a volte grottesco, lirico, canzonatorio, pieno di echi di Borges e Joyce, Pynchon e Eliot, il libro cattura il lettore, anche se richiede una attenzione costante, a volte maniacale per capire chi sia, capitolo per capitolo, la voce narrante.
Una inventiva strabordante e tante storie che vi resteranno addosso. Arrivi alla fine delle 800 pagine con l'impressione che fossero pure poche per raccontare tutto.
Il romanzo FERROVIE DEL MESSICO è complesso dal punto di vista epico, in quanto descrive “avventure” di vario tipo in diversi territori: dall’Italia del Nord (Asti-Piemonte) alla Germania e al Messico. Il filo rosso principale è la mappa che il protagonista Cesco Magetti, soldato fascista che presta servizio nella Guardia Nazionale Repubblicana Ferroviaria nel ‘44, deve disegnare su ordine del Führer stesso.
Ciò che a Griffi riesce a meraviglia è il gioco linguistico, infatti direi che questo romanzo, più che un cumulo di avventure è (soltanto?) un enorme puzzle linguistico, un grande miscuglio di registri, idiomi, dialetti, espressioni, semplicemente parole accatastate, per il puro gusto dell’autore, in lunghi elenchi disarmanti e, perché non ammetterlo (?), noiosi.
È esattamente questo il punto dove si perde la visione d’insieme. Dove la lingua prende il sopravvento sulla trama e sulla caratterizzazione dei personaggi. Tanto che, dopo continue descrizioni di luoghi ed eventi, scopriamo che non stiamo (più) empatizzando con nessuno dei personaggi descritti, molti dei quali compaiono per brevi momenti soltanto per aggiungere storie ad altre storie elevando all’ennesima potenza un già elevato livello di saturazione.
Allora ci si affida al virtuosismo lessicale, visto che a questo, sembra, sia stato dato il compito di tenere insieme l’opera, ma si scopre presto che tale virtuosismo conferisce al discorso un tono satirico, esagerato, irrealistico – ed è proprio questo il momento in cui si perde completamente la fiducia del lettore.
È soltanto un mio problema? A giudicare dalle molteplici valutazioni e recensioni molto positive, direi di sì. Mi spiace!
Francesco Magetti, detto Cesco, è un milite della Guardia Nazionale Ferroviaria a cui viene affidato un incarico alquanto bizzarro: disegnare una mappa delle Ferrovie del Messico, nazione di cui conosce solo vagamente l’esistenza. Per farlo ha bisogno di un libro molto raro “Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México” di Gustavo Adolfo Baz con illustrazioni di Eduardo Gallo. Come si può facilmente intuire il compito non sarà facile.
La storia in sé si svolge ad Asti tra gennaio e febbraio del 1944 ma il romanzo esce dai canonici binari e compie salti spazio- temporali che s’intersecano in una trama altamente grottesca e surreale.
Disorientato è il protagonista che vive tempi sconcertanti e riceve ordini ancora più incredibili. Tempi strani, confusi in cui giorno dopo giorno si allarga la corrosione di un paese mentre la carie tormenta Cesco:
”…fuggì dalla carie ideologica che aveva scavato una fenditura nel cemento dell’Italia (…) Fuggì dalla solitudine di un mondo in cui niente è mai risolto, e cinque minuti dopo era davanti all’ingresso della biblioteca, dove si rannicchiò per riprendere fiato e fiducia negli esseri umani.”
E confusa è anche questa narrazione che non procede certo in modo consueto ne per tempi, né per luoghi né, tanto meno, per modi. Con una lingua in bilico tra il desueto e l’invenzione di vocaboli (a tratti un Queneau, a tratti un Doblin soprattutto in un capitolo dove s’innesca un gergo da Berlin Alexanderplatz ma il romanzo contiene in sè una miriade di citazioni e parodie letterarie) e poi elenchi di parole, di immagini surreali.
Leggendo m’impressiona la facilità con cui passa da una prosa lineare fatta di azioni e dialoghi coerenti tra loro, ad una serie di immagini metaforiche, ermetiche inanellate tra loro senza che ci siano legami eppure le senti scivolare una sull’altra con naturalezza.
Esempio:
”Torna domani, Cesco Magetti, quando avrai imparato il sonno ondeggiante del gabbiano, le vele spettrali che si incrociano su qualche foglio illustrato, la libertà quando la libertà ti imprigiona come l’attrazione gravitazionale, il pianto dell’amante, la zolla sognante delle praterie, torna quando avrai appreso il vassoio dell’infinito sfavillante di stelle che allucciolano nottivaghe e il cieco crogiolo di spazio folle senza fine che io sono, che noi tutti siamo, ricoperti da patine di polvere e follia, nascosti dagli uomini come i pesci dei fondali abissali, celati ai predatori e alle baleniere, torna quando avrai deposto lo sgomento per il mostruoso, per lo stravagante, per il discorde. Torna quando avrai vissuto l’amore tra Spyridon e Payayota sulle spiagge di Malvasia tormentate dalla burrasca.”
Contemporaneamente si aprono a ventaglio altre storie. Ogni incontro contiene la storia di altri personaggi che incontrano altre persone. Una struttura a matrioska che rende difficile , se non impossibile, non solo riassumere ma anche individuare un’unica tematica portante.
Ed è probabilmente questa la forza di un romanzo così particolare (e direi eccezionale nel panorama della narrativa italiana contemporanea).
Uno sguardo sulla Storia e sull’esistenza che mescola e amalgama come la visione di Tilde il personaggio che maggiormente rappresenta l’anomalia:
”È come se la mia corazza d’amore per la vita fosse continuamente sbocconcellata dal pesce del grottesco e da quello del tragico, e l’unico modo per proteggermi, per ripararmi, è un certo modo di guardare al mondo, un lirismo. Essere lirici e ironici è la sola cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta. Io abito il mio lirismo, Cesco, per continuare ad amare la vita: ogni evento vissuto non può che tradursi in queste due forme d’esistere, lirismo e ironia, perché la terza sarebbe la disperazione, e a quella non saprei porre rimedio. Non c’è altro.”
E��� come se la mia corazza d’amore per la vita fosse continuamente sbocconcellata dal pesce del grottesco e da quello del tragico, e l’unico modo per proteggermi, per ripararmi, è un certo modo di guardare al mondo, un lirismo. Essere lirici e ironici è la sola cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta. Io abito il mio lirismo, Cesco, per continuare ad amare la vita: ogni evento vissuto non può che tradursi in queste due forme d’esistere, lirismo e ironia, perché la terza sarebbe la disperazione, e a quella non saprei porre rimedio. Non c’è altro.
In queste parole di Tilde, personaggio chiave di questo capolavoro di Gian Marco Griffi, troviamo l’esatta chiave di lettura di “Ferrovie del Messico”: il lirismo e l’ironia. La poesia e il sorriso sarcastico, il sentimento e l’iperbole, la commozione e l’assurdità voluta. Niente è a caso, niente risulta fuori posto. Griffi costruisce il romanzo su questo bilanciamento che non stona mai, e su quello si muove esplorando generi diversi, dallo storico all’avventura, dal drammatico al sentimentale. Un progetto ambizioso per un romanzo picaresco, divertente, frenetico e avvincente: un romanzo pienamente riuscito. La storia principale che lo mette in moto è piuttosto semplice: siamo in pieno regime fascista e al giovane Cesco Magetti, milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria, viene impartito lo strano ordine di costruire, nel minor tempo possibile, una mappa delle Ferrovie che attraversano il Messico. Lui, che a malapena sa dove si trova il Messico, non ne capisce il motivo e allo stesso modo il suo superiore. A noi lettori, invece, viene detto: in Germania, un libro preso in prestito da un uomo di nome Bardolf Graf, un semplice impiegato amministrativo, che lui ha la malaugurata idea di leggere durante il lavoro, viene perquisito e al suo interno vengono rivenuti indizi in merito a una fantomatica arma di massa che si troverebbe solo in Messico e che stuzzica le fantasie dei nazisti…ma come ritrovarla? L’ordine di trovare o costruire una mappa ferroviaria del paese arriva dalla Germania all’Italia, in particolare ad Asti, e finisce fra le mani del povero Magetti. Il quale si mette alla ricerca di libri, informazioni, dettagli ed esperienze al fine di obbedire a questo illogico e incomprensibile ordine che gli arriva dall’alto…così come molte altre cose, ai quei tempi, erano illogiche e incomprensibili. La sua ricerca lo porta a contatto con personaggi del tutto diversi, rocamboleschi, strampalati, furbi o disperati, e ciascuno apporta il suo contributo o meno, narrando a sua volta le vicende del suo passato che ruotano attorno a questo paese dell’America del Sud tanto distante quanto sconosciuto. E nel frattempo, in Italia come in Germania, la guerra continua a mietere vittime, spazzando sogni e libertà. In “Ferrovie del Messico” ogni personaggio è, di fatto, un vero e proprio personaggio che, con i suoi racconti tra il lucido e l’ironico illumina una realtà grigia e soffocante. Di rimandi, diretti o meno, ad altri testi, opere e racconti ne troviamo a bizzeffe, così come possiamo cogliere il ricorso al simbolismo di numerosi tratti o aspetti, primo far tutti il mal di denti che affligge il protagonista da quando gli viene impartito l’ordine della mappa, che lo insegue nelle sue disperate disavventure senza accennare a diminuire e che alla fine, quando sopraggiunge la sua libertà dopo un atto delittuoso, improvvisamente scompare, rendendolo più leggero: è il simbolo del peso che si porta addosso, quello di essere cresciuto all’ombra del nazifascismo e di dover rispondere a logiche a lui del tutto incomprensibili. In tutto questo, saltellando fra un piano narrativo e l’altro, in perenne bilico su questa linea tra lirismo e ironia, Gian Marco Griffi si muove anche agilmente e perfettamente tra un registro stilistico e l’altro, a seconda del personaggio e della situazione e dando prova di una maestria nello scrivere davvero ammirevole. Un esempio? Il siparietto tra Hitler ed Eva, credibilissimo tra la sua megalomania e il suo buffo affetto, o ancora gli interrogatori, iperbolici e stralunati degli ufficiali nazisti, che, con la loro mania di ordine e autocontrollo, ci ritroviamo a leggere a mezzavia tra un sorriso amarognolo e gli occhi sbarrati. In conclusione, azzardo un oscar virtuale per premiare “Ferrovie del Messico”, perché qui le cinque stelline non bastano.
Ho letto Ferrovie del Messico in compagnia ed è stata la mia salvezza. Di solito non funziono bene nei gruppi di lettura, vado troppo avanti o resto troppo indietro, ma questo gruppo mi ha aiutata tantissimo, credo che senza le interpretazioni, le osservazioni, i commenti degli altri, mi sarei arenata attorno a pagina 200. Non che il libro sia pesante in sè, ma sicuramente l’inizio mette un po’ alla prova perché si aprono un sacco di storie ed a volte è difficile individuare le diverse voci narranti, inoltre non sono pochi i riferimenti, i divertissement letterari, i termini astigiani... Insomma c’è davvero tanto, ma ad un certo punto poi, qualcosa si innesca e la lettura diventa un vortice, si crea un legame affettivo con i personaggi e non si riesce a metterlo giù finché non è finito. Non ho mai affrontato pynchon perché lo reputavo “troppo” per me, ma sentendo paragonare la sua scrittura a quella di Griffi credo che mi farò coraggio... Ci sono parti in cui si ride, parte in cui si prova orrore, parti ricche di sarcasmo e parti infinitamente commoventi. Non riesco a decidere a quale personaggio mi sono affezionata di più e non riesco a scegliere una sola scena, è un romanzo davvero appassionante e nonostante sia pieno di riferimenti è godibile anche se non si riescono a cogliere tutti.
Ferrovie del Messico fa molti, moltissimi, innumerevoli inchini (leggi omaggi) vuoi a Borges, vuoi a Pynchon e al postmodernismo, vuoi a Joyce, ma anche a Cervantes e ai romanzi cavallereschi in genere, a Omero, Dante e sì, anche alla Bibbia, ancora a Ariosto, ai miti antichi della nostra tradizione e ai miti dell'Europa del Nord, al realismo magico e chissà a che altro che non ho colto. Tanta roba, ma Griffi si inchina molto elegantemente e senza ostentazione per cui tutto risulta centrato, piacevole, disinvolto, mai involuto. Tragicomica vicenda, a volte molto comica come le pagine che coinvolgono alcuni nazisti, un campo da golf e una pallina dispettosa che finisce precisamente nel posto meno consono (leggetelo, le risate!), a volte molto commovente come tante scene che riguardano Tilde, il mio personaggio preferito, ragazza 'strana', 'diversa', molto coraggiosa, integra, meravigliosamente se stessa fino in fondo, boicottata e poi spenta dalla società dell'epoca (gli anni della Seconda Guerra Mondiale). A leggere questo romanzo (è proprio un romanzo e non un memoire grazie a dio e finalmente) mi sono divertita tanto, puro intrattenimento ma di quello di letteratura vera perché Griffi usa con talento svariati registri di scrittura tra i quali si destreggia con agilità, crea personaggi sfaccettati e li muove avanti e indietro nel tempo e nello spazio, racconta con maestria, come si faceva una volta oralmente, quando i bambini si incantavano e ascoltando sognavano. Non è perfetto, qualcosa non mi è piaciuto del tutto nel finale che, secondo me, è la parte più debole del libro, pare affrettata, tarpata, pare stonare con le 750 pagine precedenti; ho trovato inoltre un eccesso di realismo magico a concludere la storia di Tilde, forse non giustificato. Ma i difetti non offuscano la bellezza di questo romanzone, la bravura dell'autore e il piacere che se ne trae leggendolo, e io lo voglio proprio ringraziare Griffi perché mi ha ridato la fiducia nella letteratura italiana e la voglia di leggerla.
Inizio la recensione di questo chiacchierato libro con una citazione difficile da dimenticare: “Ad ogni tonitruante peto prodotto dal mio tafanario, uno scrittore Salanistro istupidisce e viene privato del commercio della parola.” La trovo esplicativa, questa citazione, del commercio estremo delle parole in Ferrovie del Messico. Il libro è estremamente verboso, ripetitivo, labirintico in modo quasi stordente. L'uso eccessivo di termini, aggettivi, anafore, dialoghi secchi a botta e risposta ( es: mi dice, le dico, mi dice, le dico), ledono l'attenzione del lettore. Dico questo perché la trama, a causa del dirompente uso di cambio di punto di vista, personaggio, luogo, periodo, si dissolve quasi nel nulla. Non ci sarebbe nulla di male, in tutto questo, cioè nella coralità e nella presenza di tanti personaggi, se la trama fosse salda e le ripetizioni ridotte almeno del cinquanta percento. Purtroppo la ricerca del bizzarro qui è portata all'estremo. L'uso di termine il più possibile ricercati - e qui ho immaginato un lavoro molto lungo di ricerca per trovarne di più assurdi - fa arricciare il naso. A me il libro ha comunicato uno sforzo indicibile di rivelarsi il più originale, il più verboso. Io però penso che la grandezza di un libro non stia nella verbosità portata agli estremi, ma anche nella sobrietà e nell'equilibrio. Manca di equilibrio e di qualsiasi tipo di freno. Il libro è costituito, come già detto, da cambi continui di punti di vista. Si susseguono episodi molto brevi, con personaggi che non avranno alcun peso, oppure con personaggi che peso ne hanno ma vivono momenti assurdi che sfiorano l'idiozia. Oppure completamente nonsense. E per nonsense non intendo solo umorismo paradossale, ma voglio dire proprio senza alcun senso. Alcuni episodi assomigliano a piccoli sketch televisivi dimenticabili. Ciò che mi ha irritato è il compiacimento che trapela da ogni pagina. Questo libro si ama troppo, e si sente. Succede che quando passi tutta la vita a leggere queste cose le senti. Mi ha irritato notare come sia un enorme - lunghissimo - esercizio di stile per dimostrare di avere un ottimo vocabolario. Infatti pensavo sempre che l'autore deve possedere una bella parlantina. Senz'altro è riuscito a farmi credere questo. Altro elemento di irritazione: i personaggi femminili. Tilde, il personaggio femminile che potrebbe definirsi l'unico evidente, che compare molte volte, è uno stereotipo. La ragazza stramba, bellissima, un po' ninfa fata quello che volete, che lascia il ragazzo di turno - in questo caso Cesco, il protagonista - senza parole. Una ragazza che trascina il ragazzo in avventure mistiche, letterarie, prodigiose, e che ha delle belle tette piccole ma sode! Meno male (?) Questa rappresentazione del corpo femminile è insopportabile, e ricorrente. Cito un episodio in cui l'autore voleva fare del sarcasmo sui nazisti, e le loro strambe e orrende trovate, e ha messo su il racconto di una fabbrica di colori che provocano eventi fisici gradevoli e sgradevoli. In questa fabbrica lavorano donne a cui è stata fatta la mastoplastica. Queste donne, viene ripetute troppo, hanno seni enormi e prosperosi. E colui che visita la fabbrica, narratore del segmento, non fa che ripeterlo. E poi c'è una scena in cui tocca il seno di una di queste donne, con risultati che non ripeterò qui. Ew. Ecco cosa ho pensato: un grosso ew. A parte alcuni pareri strettamente personali, come questi che ho condiviso, credo che il libro sia troppo lungo e che si perda il filo del discorso. In quarta di copertina si parlava di un libro avventuroso e questo elemento, insieme alla presenza del Messico, mi aveva attirato. Ma sinceramente l'enorme quantità di divagazione mi ha fatto dimenticare cosa stesse cercando il protagonista - un libro - e tutto risulta di una inutilità tremenda. Mi sembrava di leggere discorsi a caso, di cui alla fin fine non mi importava. Va bene il lirismo, perché in alcuni contesti mi piace molto, ma qui è davvero troppo. Lirismo a caso, lirismo che tra poco mi usciva dagli occhi. Come lato positivo gli riconosco di essere diverso dal resto della narrativa italiana che si vede in giro, e che ho letto anche io. Ma a questo punto non so quanto sia positivo, visto che il libro nemmeno mi è piaciuto. Peccato.
Più che un romanzo quello di Griffi è un’esperienza. Mai letto una cosa così coinvolgente, cangiante e vulcanica come “Ferrovie del Messico”, un romanzo-enciclopedia (per dirla à la Marco Drago), un romanzo-labirinto, un romanzo senza fine che gioca con molti generi letterari e registri - dal comico al grottesco, dalle lettere all’ucronia - e che mostra le infinite possibilità della narrazione. Attraverso la storia di Cesco Magetti della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria di Asti e il suo compito di scrivere una mappa sulle ferrovie del Messico, Griffi ci mostra come sia possibile narrare infiniti mondi e infinite storie a partire da pochi elementi. Il sottotitolo è “un romanzo d’avventura” perché quella di Griffi è l’avventura della scrittura, di questi sentieri che si biforcano fra citazioni vere (appare l’Arturo Belano di Bolano e il capitolo di Steno ricorda molto Astolfo sulla luna dell’Orlando furioso) e fittizie e richiami a precedenti lavori - una frase ricorrente è infatti “più segreti degli angeli sono i suicidi”, romanzo d’esordio di Griffi. “Ferrovie del Messico” non solo è un viatico contro la monotonia della quotidianità e un destino già scritto, ma anche contro la finitezza dell’essere umano.
Beh, che dire. Appare incredibile che un libro del genere sia stato scritto in Italia in questo periodo. Librone che attraverso la finzione, la meta-narrativa e l’ironia ricostruisce uno spaccato di storia italiana nel periodo della RSI e della resistenza partigiana. Pur non essendone questo l’intento però: nei fatti Griffi ci propone una semplice avventura tragicomica, scritta nel più semplice stile post-moderno. Un mattone che scorre incredibilmente e che lascia tanti spunti di riflessione, tante nozioni storiografiche poco conosciute ma soprattutto tante scene esilaranti ed indimenticabili.