Una donna entra in un negozio e compra una gonna. La indossa al suo primo e unico appuntamento con l'uomo che la ucciderà. Quando tutto è compiuto, l'uomo raccoglie quella stoffa, la porta via con sé. Fermagli, ciocche di capelli, collane, anelli. Sono trofei, l'assassino li conserva per avere un ricordo delle sue prede. Sono feticci, proiettano nella sua mente scene di sangue, di sesso e violenza, il piacere e la paura, legati per sempre. I trofei sono cose, ma mantengono la memoria delle persone alle quali sono stati strappati. L'uomo torna a casa con la sua prossima vittima. Prepara la messa in scena per il suo macabro rituale di tortura e sopraffazione. Ma questa sera i trofei rifiutano di mettersi in posa.
Oggi vi parlo di "Trofeo", novella di Emanuela Cocco.
Una scrittura affilata, secca, cruda, cattiva. Una narrazione claustrofobica, intensa, straziante. "Trofeo" è una storia atipica, una storia che ha per protagonisti degli oggetti, i resti delle vittime di un serial killer. I trofei del carnefice, riposti insieme come una collezione d'orrore.
Quella fornita da Emanuela Cocco è una prospettiva del tutto nuova. Gli oggetti non sono semplici cose, ma parlano tra loro, pensano e provano emozioni. Prendono vita nella morte del portatore, un rituale iniziatico di sangue, una nascita blasfema. Feticci che racchiudono l'essenza della vittima brutalmente uccisa, custodendo i ricordi, le immagini, le parole, ma soprattutto la paura. Una paura non filtrata, primitiva, capace di annichilire e sconvolgere. I trofei descrivono e sopportano quello che l'essere umano non è in grado di fare, ovvero l'orrore della realtà, terribile e immaginifico.
Poche pagine, ma di assoluta qualità. Dolorose, atroci, disturbanti. Da leggere.
Se siete in tempo, non leggete la trama di questo racconto e leggetelo a scatola chiusa. Lasciatevi guidare dalla voce di una fredda gonna blu attraverso l'intrico di stanze e di vite in cui è ambientata questa storia. Un groviglio di pensieri e di sensazioni e di immagini che l'autrice racconta mettendo una accanto all'altra parole che insieme formano un'armonia bellissima e terribile. Alcuni accostamenti mi sono piaciuti proprio tanto.
È una storia di oggetti che per qualcuno significavano qualcosa e che per qualcun altro significano... qualcuno.
Consigliato a chi cerca il brivido & il gore & uno stile di scrittura ammaliante.
"Le cose che vede sono avviluppate in quelle che lui desidera e immagina, le cose che lui sa sono state sostituite da quelle che lo terrorizzano, le cose che accadono, le cose che contano, continuano a restare fuori dai margini della sua consapevolezza."
Ci sono cose, in quella casa. Ci sono feticci. Che prima appartenevano a qualcun altro ma che adesso appartengono a Lui. Ci sono trofei. Oggetti di vite spezzate che per qualche motivo conservano i ricordi e le parole delle "loro persone". Di coloro che li avevano indossati, vissuti. Amati. Sono oggetti spogliati dalle loro vite precedenti che adesso orbitano intorno a Lui, alle sue pulsioni, ai suoi orrori. E queste cose - questi trofei - imparano le parole. Imparano a pensare, imparano a raccontarsi, imparano a essere. Seppure in modo incompleto. Seppure senza il tempo che servirebbe loro per imparare a sognare.
Ma se quelle cose, quei feticci, quei trofei non fossero solo "cose"? Se fossero le persone che incontriamo di sfuggita, le emozioni che sforiamo, le opportunità che non cogliamo perché ci manca il coraggio per farlo o il tempo per sognare? Se fossero opportunità perdute, smarrite nei corridoi di una vita - la nostra - che ci cannibalizza fino a costringersi in una sola stanza fatta di rancori e di ossessioni? Emanuela Cocco riduce il tempo, comprime lo spazio. Ci costringe in un cassetto, ci obbliga a mescolare le nostre parole con quelle di altri trofei sconosciuti, rapiti, rubati. Destruttura i nostri desideri e li obbliga a confrontarsi con una rabbia cieca che fingiamo di non conoscere ma che tutti abbiamo sfiorato e che ha imparato a conoscerci, che ha preso qualcosa di noi. Proprio come i trofei hanno assorbito parte della vita di chi li possedeva. Diventiamo Lui. Senza volerlo. Senza immaginarlo. E senza la possibilità di nessun compromesso. E quando camminiamo tra le stanze deserte della sua (nostra?) vita, capiamo che tutti quei trofei non sono mai stati davvero suoi. Non sono mai stati davvero nostri.
Novella breve, scritta da un punto di vista originale e ben sviluppato.
La scrittura tende al weird e al grottesco, con numerose ripetizioni e un narratore inattendibile.
Il tema del serial killer è rovesciato applicando il punto di vista dei trofei, feticci che trattengono i ricordi e le emozioni della persona a cui sono appartenuti.
Interessante la riflessione sulla natura degli oggetti e sul significato della parola.
È un genere non nelle mie corde, non tanto per la violenza insistita quanto per l'esagerazione della lingua e le continue ripetizioni di parole e concetti, anche se funzionali alla creazione un certo tipo di atmosfera che credo sia la nota distintiva della casa editrice, Linea 42.
Di sicuro una lettura che non lascia indifferenti.
Trofei, feticci, ricordi. Souvenir spaventosi di crimini atroci. Il punto di vista più agghiacciante e disturbante dal quale raccontare una storia thriller.
“Essere e restare incomprensibile. In me ci sono cose che nessuno conosce, la fluidità necessità di tormenti che non ti appartengono, l’ondeggiare di minuti incubi listati, notturni, finissaggi urlanti tinte che non hanno posto nel vocabolario. Prima di te non sapevo di essere questo, solo ora so dirlo.”
Le parole creano intelaiature di mondo scaturendo dalla nostra coscienza, dal nostro inconscio, possono essere uno dei nostri beni più preziosi ma possono rivelarsi anche uno dei nostri mali. Alla loro carne si sedimentano energie, suoni, emozioni. Sono capaci di creare mondi brutali, orripilanti, stabilire connessioni tra diverse coscienze o catapultarci in diversi stati di coscienza scarnificandoci in particelle elementari e prive di peso.
Emanuela Cocco è pifferaia delle parole, crea un linguaggio che si adatta ad ogni momento scenico di questo racconto. Ogni tassello è cucito con maestria e l’autrice non lesina scene crude, a volte dure da digerire.
“Sentiamo anche lui. Sentiamo che ci somiglia più di quanto voi che siete le nostre persone potrete mai assomigliarci.”
Trofeo è un dramma teatrale che si dipana attraverso parole chiave, spiegandosi come un rotolo di seta sporco di fango, sperma, alcol e sangue. Sono dieci le sue parole: disincanto, illusione, presagio, amore, marionetta, tempo, spettacolo, irrumatio, fetale, finire. Trofeo è la storia di un serial killer raccontata dal punto di vista dei suoi feticci, oggetti sottratti alle sue vittime; attraverso le loro voci, conosciamo lui e le vite delle persone che le hanno possedute. Una gonna, un fermaglio e un gingillo (che porta dentro di sé la storia più raccapricciante).
Gli oggetti acquisiscono coscienza attraverso la morte dei loro padroni come se la coscienza dell’umano fosse travasata nell’inumano in un rapporto metafisico tra oggetti e persone. Ed il racconto, che potremmo definirlo anche come una storia di formazione degli oggetti, un progredire da uno stato di felicità per esser divenuti coscienza alla disillusione e all’orrore della verità, è un continuo vacillare tra uno stato d’esistenza ad uno di non esistenza. Il serial killer è separato dal corpo della storia, dissociato, è lui stesso una cosa tra le altre cose, vede la vita come una rappresentazione, la violenza come una continua messa in scena, che si premura di riprodurre in un set utilizzando i suoi trofei. Ma il set non è reale, è l’unica camera della sua mente addobbata dai suoi orrori, l'unica in cui lui riposa e vive. C’è un pensiero che condivide con gli oggetti che lo circondano, perché i feticci oltre che a dialogare con i loro padroni sono in grado anche di sentire e capire il carnefice: “il mondo esiste ma non per noi. Questo che è terribile”.
Questo nodo, se vorrete leggerlo, vi porterà a pensare: “Ora lo so, so che è attraverso il sogno e il tempo che le cose diventano magiche. È così che succede, diventano magiche oppure spaventose”. Cercherete una parola, ma qual è la parola?
Come potevo resistere ad un racconto del genere? Preso e divorato, ma è rimasto su uno scaffale fino ad oggi. Rielaborando quello che ricordavo, insieme ad una scorsa delle pagine, mi sono rituffata in questa storia così particolare dal riuscire a raccontare cose estremamente efferate da un punto di vista diverso, collegato alle vittime ma estraneo (anche se in certi punti entriamo nella testa di lui). Quello dei trofei di un serial killer.
Ci porterà in questo viaggio una gonna. Un pezzo di tessuto comprato ed indossato per la prima ed ultima volta da una donna, senza sapere che l'acquisto sarebbe stato una sorta di regalo al suo assassino. La stoffa prende vita, quel poco che è stata con la donna le ha regalato qualcosa di lei, della sua vita, della sua personalità, ma troppo poco per rendere il rapporto profondo ed impregnare la stoffa di lei. Come invece è accaduto ad altri trofei che incontrerà nella casa di lui. Con una specie di coscienza abbozzata, mi sta a ricordi vaghi di quella donna, inizia a pensare, immaginare, quasi sognare. Il tutto però non avrà vita lunga, le cose cambieranno in fretta quando invece di un altro trofeo porterà a casa una vittima ancora in vita.
Questo giusto un idea di cosa andreste a leggere. C'è la frivolezza di alcuni trofei che si sentono amati, desiderati e felici di stare con lui. Mentre altri rifuggono, si nascondono, perché ciò che erano stati è troppo da rivivere o persino raccontare. I giochi, mentre fantasticano di avere una vita, ma anche su questa nuova ragazza e di cosa potrebbe restare di lei finendo insieme a loro per finalmente stare insieme.
Una storia in cui questo tessuto lentamente evolve il pensiero e comprende solo verso la fine quanto tutto sia terribile e triste. Un racconto che ci porta in un luogo oscuro, dove regnano desideri raccapriccianti. Attraverso questo espediente, questi narratori così strani ed imprevisti ci raccontano le loro vite di prima. Crudo a tratti, delicato in altri. Non per tutti, ma decisamente una bella lettura
Un libro che offre un'esperienza narrativa unica, dando voce ai feticci, oggetti carichi di significato e terrore appartenenti alle vitt!me di un ser!al k!ller. Un viaggio che affrontiamo attraverso i loro occhi inanimati, sono stata trasportata in un mondo oscuro e claustrofobico, dove le emozioni e le sensazioni si mescolano con la paura e il dolore. La trama é avvolta da un'atmosfera straziante e terrorizzante, ci trasporta attraverso scene crudeli e vivide, offrendoci un punto di vista diverso dal solito e questo approccio narrativo mi é sembrato davvero originale e geniale, è stato una vera sorpresa per me, un elemento che non mi sarei mai aspettata di trovare in un libro!
La scrittura di Emanuela Cocco è affilata come una lama, penetrante e diretta, capace di colpire nel profondo del cuore e della mente, infatti più volte mi sono ritrovata con il fiato sospeso per via delle scene descritte con intensità. Il dolore e l'orrore che permeano il testo sono palpabili, Emanuela Cocco ci spinge a riflettere sul significato delle parole e dei sentimenti che possono essere attribuiti agli oggetti appartenuti alle vitt!me
Lo consiglierei a chiunque abbia il coraggio di affrontare la crudele realtà descritta senza essere troppo sensibili, poiché certe scene le ho trovate estremamente forti. Nonostante la sua brevità, questa novella ha avuto un impatto così profondo che ci ho riflettutto per giorni dopo averla terminata e se vi piace il genere e cercate un titolo originale dovete assolutamente recuperarlo.
Segnatevi il nome di Emanuela Cocco sul cuore. Marchiatelo sulla porta del frigo, dentro il forno, appendetelo accanto alle chiavi di casa, se mai vi venisse il dubbio su cosa significhi essere scrittrici. In questo fulminante, abbacinante, angoscioso, crudele e lucidissimo libro, in questa novella di 90 pagine in cui ogni singola parola è pregna, significa, senza la quale il resto crollerebbe su se stesso, Cocco, con il consueto controllo clinico e stroboscopico della sua scrittura, ridefinisce i termini del crime, e pone al centro della narrazione i trofei di un serial killer. Una gonna, una ciocca di capelli e Gingillo stravolgono gli equilibri di potere in una storia già sentita e già scritta ma che Cocco eviscera senza riserbo e con estrema partecipazione, non risparmiando l'oscurità ma nemmeno l'epifania dell'umano. Un testo che va letto e riletto, perché le possibilità combinatorie di una penna come quella di Emanuela Cocco rianimano di nuova linfa anche i corridoi più consunti della narrativa.
Qualche anno fa, nell'ambito di un progetto scolastico di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, ho visto una mostra intitolata "Ma com'eri vestita?", facile capire perché. Agghiacciante: erano normalissimi vestiti che parlavano, raccontavano esperienze, conservavano memorie. Normalissimi. In questo libro Emanuela Cocco è andata molto più a fondo, ha compiuto un'operazione se vogliamo estrema, indagando la vita segreta delle cose, la loro coscienza. Il punto di vista rende questa narrazione originale, a tratti lo sforzo raggruma il linguaggio in frasi dense di significati che non si svelano al lettore distratto. Quasi una coscienza immanente che parla, rincorre un'urgenza di comunicazione in comunione di più cose, oggetti che conservano memorie terribili e assistono a scene raccapriccianti. La violenza non è mai stata raccontata in questo modo, crudo eppure in qualche modo ingenuo perché privo dei filtri di un'umanità troppo carica di sovrastrutture culturali. Le cose ci abitano, le abitiamo, diventano noi per una piccola parte del nostro viaggio. A volte ci sopravvivono, e continuano a pensare, a raccontare. Fredda, una gonna, ci parla. Ascoltarla non è semplice, ma si deve. Libro necessario, forse non per tutti, ma comunque da leggere al più presto.
Se cerchi una roba strana, no weird ma di più, allora sei nel posto giusto. E se non è strano questo, amici miei... Il racconto non lo si può riassumere o spiegare, altrimenti si perde il gusto stesso della lettura. Mi limito a scrivere che è molto violento, ma di quella violenza che ti si appiccica addosso con un senso di repulsione piuttosto inteso. Eppure il gore non è mai descritto o mostrato, come in uno splatter, eppure è lì e si sente. Unica nota dolente, se così la si può chiamare, è che in alcuni momenti la scrittura si fa forbitissima e si usano forme piuttosto arzigogolate che rallentano un pò il ritmo. Ritmo che però viene dato da una o più fonti inanimate, quindi qualche trucco magico-letterario ci sta. Attendo romanzone spaccaossa di Emanuela, magari un pochino meno ricercato nella scrittura... ma sono io di bocca buona, quindi va bene anche così.
è così difficile scrivere x me una recensione... Difficile xchè la lettura è un viaggio e un percorso che non vorrei svelare.. Trofeo, come da titolo, parla dei feticci di un serial killer... Anzi a dire il vero i feticci parlano di lui, e delle vittime.. Ma attraverso lo svelarsi di 10 parole, parlano molto di più... Di dolore, delusione, amori e abusi, di possesso e oggettificazione In poco meno di 90 pagine, con una prosa e un linguaggio ricercato, una storia potente che non può lasciare indifferente Dovete leggerlo x capire E fatevelo questo favore
Con una capacità di scrittura fuori dal comune, Emanuela Cocco dà voce all'orrore dei trofei, oggetti strappati alle vite di cui custodiscono i frammenti.
Cosa raccontano di noi i nostri oggetti? Cosa resta di noi negli oggetti?
Una storia romantica e macabra. Affascinante e inconcepibile, come la notte.
"Ora lo so, so che è attraverso il sogno e il tempo che le cose diventano magiche. È così che succede, diventano magiche oppure spaventose."
Idea, prosa, suspense, lirismo, introspezione: in questa novella non manca nulla. “Trofeo” è il canto ipnotico di un oggetto più umano dell’uomo, che servendosi delle parole umane ne sviscera gli impulsi non così contradditori di dolcezza e perversione. Pregevole anche la variazione sul topos del serial killer, inserito all’interno di una cornice soprannaturale.
“Sono un pupario e un manto splendido, il peplo fragrante del tuo desiderio”
Prosa particolare così come il punto di vista del racconto. I trofei del serial killer ci "raccontano" e ci portano per mano in questo abisso di violenza e oscurità. Apprezzato molto, io certamente non sono così avvezzo a questo tipo di storie ma mi ha decisamente attratto, incuriosito fino alla fine. Devo leggere altro della Cocco.
Lo stile di scrittura non mi è piaciuto, ma la storia è da brivido! Libretto corto ma composto da parole e situazioni pesanti, narrate dal punto di vista dei ninnoli che un seria killer si porta a casa dopo aver compiuto i propri omicidi...da pelle d'oca.
Breve, morboso, disturbante: proprio nelle mie corde. Avevo già letto l’autrice ma questa, forse, è la sua opera che ho preferito. Consigliato se vi piacciono le narrazioni in seconda persona, i pov insoliti e se avete voglia di un sorso amaro e crudele.
sicuramente super orginale, decisamente diverso da quello che mi aspettavo. non è esattamente nelle mie corde però devo dire che nulla parte finale sono riuscita ad apprezzarlo un po' di più.
‘Io sono una cosa senza sogni, ecco cosa mi è mancato. Il sogno, mi è mancato il sogno, e mi è mancato il tempo, il tempo perché avvenisse l’incantesimo. Ora lo so, so che è attraverso il sogno e il tempo che le cose diventano magiche. È così che succede, diventano magiche oppure spaventose.’