Alla fine degli anni Ottanta, Antonio Tabucchi ha intitolato “Amazzonia di carta” un articolo su un bel libro di Silvano Peloso a proposito dell’immaginario amazzonico. Da artista e da studioso dei mondi di lingua portoghese, sapeva che i luoghi più risonanti vibrano soprattutto nell’immaginario. Che più un luogo è speciale più produce parole, canzoni, storie. Come quelle del bacino amazzonico: risalendo il Rio dalla foce verso Manaus, attraverso il verde rigoglioso della vegetazione e il chiarore magico dell’umidità concentrata, è possibile ripercorrere, in maniera non lineare ma per parole chiave, l’essenza prima e ultima dello scenario amazzonico. Così, tra imbarcazioni, mercati, pontili ma anche specchi e bestie il tempo sembra perdersi. Grazie alle voci letterarie di Mário de Andrade e Milton Hatoum, Daniele Petruccioli restituisce al lettore la sua Amazzonia, fatta di amache appese a travi di legno, sapori unici e barlumi di luce nel folto della vegetazione. Un viaggio all’indietro nel tempo, scivolando tra fiumi di carta, in fondo ai quali si rischia di farsi sorprendere alle spalle dal futuro.