V13 (bekroond met de Prix Aujourd’hui 2022) is het grote verhaal van het proces over de aanslagen van vrijdag de 13e november 2015 die in Parijs dood en verderf zaaiden.
Tussen september 2021 en juli 2022 volgde Emmanuel Carrère het proces in het Parijse Palais de Justice tegen de verdachten van de terroristische aanslagen op vrijdag de 13e november 2015 (V13). Bij die aanslagen vielen 130 doden in het Stade de France, op terrassen in een uitgaansbuurt van Parijs en in de concertzaal Bataclan. Hij beschreef zijn indringende observaties in kronieken voor L’Obs: 14 aangeklaagden, 1800 overlevenden en nabestaanden, 350 advocaten en een dossier van 53 meter hoog. Carrère toont ons drie perspectieven: dat van de slachtoffers, de verdachten en het hof. Het bijwonen was ‘vaak overweldigend en fascinerend’ en steeds als het saai dreigde te worden was er een verrassende wending die voortschrijdend inzicht bracht.
Emmanuel Carrère is a French author, screenwriter, and director. He is the son of Louis Carrère d'Encausse and French historian Hélène Carrère d'Encausse.
Carrère studied at the Institut d'Études Politiques de Paris (better known as Sciences Po). Much of his writing, both fiction and nonfiction, centers around the primary themes of the interrogation of identity, the development of illusion, and the direction of reality. Several of his books have been made into films; in 2005, he personally directed the film adaptation of his novel La Moustache. He was the president of the jury of the book Inter 2003.
V13 sta per vendredi 13: cioè, venerdì 13 novembre del 2015. Giorno, o meglio, sera degli attentati a Parigi: Bataclan, due bistrot e anche fuori lo Stade de France. Centotrentuno morti, di cui novanta nella sala concerto, e circa quattrocentocinquanta feriti. Niente di simile né in Francia dopo la seconda guerra mondiale né in Europa dopo gli attentati dell’11 marzo 2004 a Madrid (stazione di Atocha). Il processo si è svolto a partire dal settembre 2021 al luglio 2022. Ci sono voluti quasi sei anni per arrivarci. Ma poi, giorno dopo giorno, dal lunedì al venerdì da mezzogiorno e mezzo alle 19 e trenta, in circa dieci mesi si è arrivati alla sentenza. Il processo si è svolto in un’aula bunker costruita ad hoc, una specie di gigantesca scatola bianca senza finestre. Per tutta la durata è stato in vigore l’obbligo di indossare la mascherina come misura di prevenzione al covid. Il che, presumo, abbia complicato distinguere e riconoscere le decine di persone che sono intervenute.
Emmanuel Carrère lo ha seguito, pressoché quotidianamente, producendo una rubrica settimanale (il giovedì) per il Nouvel Observateur. Tali pezzi sono qui raccolti e rielaborati: il libro è un terzo più lungo di quanto è uscito sul giornale. Carrère scrive con gran potere di sintesi, e al contempo con eloquenza. Scrive con semplicità, chiarezza, precisione. Non dimentica l’ironia. Ma sa dove emozionare, e anche commuovere. Dice esplicitamente che il cuore batte per le vittime, i sopravvissuti (e il loro immancabile senso di colpa), i familiari parenti amici. Dice esplicitamente che quanto è successo è orribile e mostruoso. Senza retorica, aggiunge che comunque il cuore batte meno e per meno tempo per tutte le vittime, le donne i bambini gli anziani uccisi con le bombe intelligenti, coi droni, con la guerra chirurgica che l’ovest è alquanto propenso a combattere in casa d’altri. In Siria a questo giro, in Iraq o Afghanistan a quello precedente.
Il finale toglie il fiato, smuove dentro, crea groppo in gola: Nadia torna al Cairo tre anni dopo gli attentati nei quali ha perso la figlia; l’ultima volta era stata al Cairo proprio con sua figlia. Un poliziotto le dice che il parco è in chiusura e lei deve uscire. Nadia non vuole uscire (Nadia è rimasta nel cuore di Carrère) e comincia a raccontare in arabo al poliziotto quello che è successo a sua figlia al Bataclan. L’uomo ascolta senza interrompere. Poi conclude: tua figlia e gli altri sono i martiri… non gli assassini. Non gli assassini che nella loro crassa e strumentalizzata ignoranza si attribuivano quel titolo
Credo di poter dire d’essermi riconciliato con Emmanuel Carrère. Era da molti anni che me ne tenevo lontano, pur se le prime letture erano state anche più che apprezzate. Ritengo perché stremato dal suo narcisismo. E anche da frasi così: Quando penso alla letteratura, al genere di letteratura che faccio, di una sola cosa sono fermamente convinto: è il luogo in cui non si mente. recita un breve passaggio di Yoga. Epperò la ex moglie ha detto che Emmanuel ha mentito, e pure parecchio, in modo consistente sgradevole e abbastanza ignobile. Magari però è la ex moglie che ha mentito. Magari invece no, non direi proprio che lui ne sia uscito convincente. Ma confondere la persona con la sua arte è pericoloso, e sbagliato, lo sappiamo. Però, a volte, come si fa a non farlo?
Che libro pazzesco V13. Questo sì che è un reportage e andrebbe studiato nelle scuole di giornalismo e nei corsi di scrittura. Carrère firma un racconto Doloroso, sincero, pieno di dubbi sul confine fra giustizia e condanna in una società civile, occupandosi del lutto, degli imputati - del loro odio e della loro crassa ignoranza - e del valore delle lacrime dei sopravvissuti, fra i ricordi, il sangue, gli incubi. Ci sono capitoli stupendi e altri meno ispirati, dando conto del susseguirsi delle udienze, l’intrecciarsi delle storie, le voci degli inquirenti, le tesi degli avvocati, il racconto cadenzato dei fatti, l’orrore che si prende tutta la pagina. Ciò che resta è il suo libro meno egoriferito. Il più forte. Il più necessario, formando un’esperienza collettiva che prende l’orrore degli attentati commessi in Francia, il 13 novembre 2015 e lo rielabora, attraverso la cronaca di un processo durato dieci mesi nel centro di Parigi.
Now Nominated for the National Book Critics Circle Barrios Book in Translation Prize 2024 Carrère's new book is based on his reporting on the V13 trial, meaning the court proceedings around the terrorists attacks that happened in Paris on Friday, the 13th (so vendredi 13, V13) of November 2015: The Bataclan massacre during the Eagles of Death Metal concert, the shooting in front of the Stade de France during a televised, sold out soccer match between France and Germany, and the attacks on restaurants and bars in the lively 10th and 11th arrondissement. 130 people died, more than 350 were physically injured, many of them severely. Hired as a reporter by L'Obs, Carrère attended the trial against 14 men who participated and helped the Islamist operation (six of the main perpetrators killed themselves with suicide vests), a trial that went from September 2021 until June 2022, with around 1800 coplaintiffs and 300 lawyers. The judiciary chronicle (that's the French subtitle of the book) are his news reports, sometimes lenghtened with material that did not fit into the space assigned to the reporting in the magazine.
In the first part, Carrère lets the victims speak, and he does not hold back: We hear about the "meat confetti" reigning down on the Bataclan, about the huge holes shot into bodies, how corpses are re-assembled when it's hard to find all parts, how blood soaks through piles of bodies (some dead, some alive), how people watched others scream, beg, and be executed. The worst part is the apparent glee with which the terrorists slaughtered the concert goers, and Carrère parallels this with the beheadings of Daesch (the Islamic State): This is less about spreading religion, and more about indulging in sadism. There are many stories from those who lost their loved ones, a particularly moving testimony comes from a Muslim mother and teacher of Arabic who was at home listening to religious music while her daughter was killed by Islamists.
Then, there are the terrorists, and Carrère openly struggles to understand (which is not at all the same as sympathize with!) why they did what they did. He is intrigued by a statement made by one of them, who says that to comprehend Daesch and terror, you need to read the book from the beginning, and not start in the now. Carrère tries and ponders the caliphate, the surroundings in Molenbeek (a terrorist breeding ground in Brussels), and the individual stories of the defendants. It's hard to read, and I was particularly intrigued by the youg lawyers who took on the task of defending the terrorists, in order to uphold the French justice system (also a way to fight barbarism).
Carrère puts himself in the book as a moral and psychological investigator (mind you: Shortly before that, he had a severe breakdown and depressive episode, as described in Yoga), and he is strong because his role is not about subsuming the events under the law, it's about empathy. He talks to victims, people who lost loved ones, defendants, lawyers, reporters - and often to himself, trying to detect how he would judge the case, and why. This is a fantastic document of the trial, a reflection of contemporary history, an investigation into terror, written in sparse, held-back prose that underlines the monstrosity of the attacks. Great, great reporting.
«Il male immaginario è romantico, romanzesco, vario; il male reale incolore ... desertico, noioso. Il bene immaginario è noioso; il bene reale è sempre nuovo, meraviglioso, inebriante». Si parla troppo, e con troppa compiacenza, del mistero del male. Essere disposti a morire per uccidere, essere disposti a morire per salvare: qual è il mistero più grande?”
Venerdì, 13 novembre 2015: al teatro Bataclan, la Francia è messa in ginocchio da uno degli attentati più cruenti dalla seconda guerra mondiale. V13 è il nome dato al processo ai responsabili degli attentati del 13 novembre 2015: un teatro dell’orrore attraverso cui la Francia elabora il lutto di tutte quelle vittime.
“Questo processo insegna due cose. La prima è che il V13 ha messo in luce le falle dei servizi di intelligence. Soggetti di cui si sapeva che erano radicalizzati, addestrati in Siria e annoverati fra quelli da tenere sotto osservazione sono stati lasciati liberi perché non avevano ancora compiuto nessun reato, e l’opinione pubblica non tollera più questi tentennamenti legalistici: bisogna colpirli prima che siano loro a colpire. La seconda è che la minaccia terroristica sta cambiando pelle. Il prossimo grande attentato – poiché per forza di cose ce ne sarà uno – potrebbe venire non dai jihadisti ma dai loro emuli e nemici giurati: i suprematisti bianchi.”
Con la bravura che lo contraddistingue, Carrère emoziona, sconvolge e trasporta il lettore indietro nel tempo, a quei tragici eventi, per aiutarlo a comprendere perché ci sono stati tutti quei morti, senza giudizio.
“Al V13 accade il contrario. Le cinque settimane di deposizioni delle parti civili ci hanno sconvolto, devastato, e ciò che riaffiora a quasi quattro mesi di distanza sono i loro volti messi a nudo dalla tragedia. E gli imputati, dopo tutto questo? Pensavamo che i loro interrogatori sarebbero stati avvincenti, in realtà non lo sono granché, perché non hanno niente da dire. Insomma, niente... È sciocco dire niente, perché significa soprattutto che noi non abbiamo saputo ascoltare. Non abbiamo cercato di capire. Abbiamo dimenticato il grande precetto di Spinoza: non deridere, non compiangere, non condannare, comprendere soltanto. (La posizione opposta è stata sostenuta dal nostro primo ministro dell’epoca, Manuel Valls, con queste parole virtuosamente indignate: «Spiegare è già voler giustificare». Non sono d’accordo con Manuel Valls).”
Il vicedirettore della redazione dell’Obs scrive alla fine: “Ed ecco come, ogni giorno, con i suoi colleghi dell’«Obs», una resistenza da maratoneta e un grosso taccuino rosso su cui, a volte, nel corso dell’udienza si mette a scarabocchiare qualcosa, questo giornalista è andato a relegarsi nel cuore di Parigi, con un cordino arancione intorno al collo, in una grande scatola di legno bianco dove ha passato dieci mesi seduto su delle panche scomode. Come ogni settimana, dal 2 settembre 2021 al 7 luglio 2022, ha raccontato nei dettagli per i lettori dell’«Obs» la brutta storia, piena di lacrime e sangue, di quel maledetto 13 novembre 2015. E come, per quasi un anno, ogni mio weekend si è concluso con un rito che già mi manca: la rilettura, attentissima, delle circa 8000 battute che mi spediva Emmanuel Carrère.”
Abbiamo letto ogni settimana su Robinson gli articoli scritti da Carrère sull’Obs, tradotti in italiano. Sapevo che sarebbe stato un libro. Ero sicura che anche in questo libro, Carrère sarebbe stato l’immenso Carrère di sempre. Non immaginavo però che sarebbe riuscito a superarsi.
Devo dire che Carrere, ancora una volta, si rivela molto bravo.
Tutto si gioca sulla sua capacità funambolica di trovare quell'equilibrio sottile che gli consente di non cadere nel retorico o addirittura nell'osceno.
Dapprima le deposizioni delle vittime. Qualche recensore prima di me ha parlato di ossimori emotivi. Glielo rubo perché ben esprime ciò che si prova leggendo. Ho letto tutta questa parte con una costante angoscia, un grosso macigno al centro del petto. Ma a tratti il racconto, grazie non so quale magia, forse sta proprio lì il talento di Carrere, riesce pure a strappare un sorriso.
Poi le testimonianze degli accusati. O le non testimonianze. Le menzogne. Ma pure le loro verità Che precisa bene Carrere, non sono le parole dei responsabili diretti del massacro, coloro cioè che hanno sparato coi kalashnikov o hanno ucciso facendosi esplodere. Perché questi sono tutti morti. Ma le persone che con loro avevano avuto a che fare, volenti o nolenti, coscienti o meno di chi stavano aiutando e per quali obiettivi. Oltre a chi all'ultimo momento si è tirato indietro, decidendo di non farsi esplodere per vigliaccheria o per sopraggiunto senso di colpa in zona cesarini.
E infine le arringhe degli avvocati, che dovrebbero stare lì non per mostrare la loro bravura, ma per garantire che venga fatta, tramite il diritto, giustizia, in quanto è impossibile ricucire il sipario strappato. «Il terrore è la scomparsa di quel sipario dietro il quale si nasconde il nulla e che normalmente permette di vivere tranquilli. Il terrorismo è la tranquillità resa impossibile. La vostra sentenza non permetterà di rammendare il sipario strappato. Non guarirà le ferite, visibili e invisibili. Non riporterà in vita i morti. Ma potrà almeno assicurare ai vivi che, qui, sono la giustizia e il diritto ad avere l’ultima parola».
compliqué de noter un livre comme celui-ci tsais tu vas pas noter la démarche du mec tu vas pas noter la qualité de l'émotion du truc c'est genre le plus gros procès terroriste de la décennie en France c'est compliqué d'être là en mode "oui là c'était triste mais là j'ai trouvé que c'était pas assez bien écrit"
non blague à part c'est vraiment chouette que ce livre existe, j'avais un peu peur de ce que ça allait donner avec Carrère aux manettes parce que je tenais vraiment pas à ce que sa première personne soit trop mise en avant dans le récit et parce que de façon générale j'aime pas trop la démarche de raconter la vie des autres tout en se mettant en scène soi genre juste choisis mec mais j'ai trouvé que c'était plutôt maîtrisé ici - alors bien sûr je suis pas passée à côté des deux trois remarques vaguement classistes qui m'ont bien fait rouler des yeux, mais dans l'ensemble, Carrère a trouvé une juste place d'observateur et de chroniqueur, et il a vraiment très très bien fait le taf de compilation et narration de ces neuf mois de procès, en arrivant à nous les rendre fluides et compréhensibles et touchants, ce qui n'était pas donné quand on sait combien une audience peut être aride à suivre (alors à lire !...)
pas trop d'élucubrations psychologisantes, beaucoup de place pour la parole des victimes, des perspectives vraiment intéressantes sur le fonctionnement de la justice française, bref, je suis contente d'avoir lu ça, et ça restera avec moi pendant un petit bout de temps
Pocos como Carrère para la crónica judicial, detalla los momentos más importantes del juicio en contra de quienes cometieron los atentados en el Bataclan en París. Desde testimonios de familiares de las víctimas, hasta el paso a paso de como se orquestó el atentado. La objetividad con la que narra me parece importante en libros como este.
“Todo lo que dicen ustedes sobre nosotros los yihadistas, es como si leyeran la última página de un libro. Lo que habría que hacer es leer el libro desde el principio”.
Uno de esos libros que mantiene el interés de principio a fin. Como lo dice su título, se trata de una crónica judicial acerca de los hechos que sacudieron al mundo no hace mucho: viernes 13 de noviembre de 2015 básicamente en el centro de espectáculos en París llamado el Bataclan. La crónica está compuesta por la descripción de algunos de los hechos y sus preparativos, así como por los testimonios de sobrevivientes del atentado y los de algunos perpetradores; además del ilustrativo contexto e interpretaciones que nos va aportando el autor.
La crónica está centrada en lo sucedido en el Bataclan, sin embargo también habla de otros atentados llevados a cabo el mismo día en una escala menor en el Stade de France y en algunos cafés y terrazas de París.
A pesar de que se les respete qué difícil es tratar de entender las palabras Corán, Alá, Mahoma, Islam, Yihad, Musulmán, Siria, Sham, Raqa, Molenbeek; en lo particular y después de leer este libro del brillante escritor francés Emmanuel Carrère (1957) estas palabras ahora no sólo no las entiendo sino que me producen una especie de terror. No cabe duda que vivimos en mundos radicalmente opuestos, en civilizaciones que no pueden comprenderse la una a la otra.
Nosotros (y no sé quién se incluya en ese nosotros) asociamos en gran medida al Islam como el producto de una sociedad enferma y cruel. Ellos seguramente nos consideran así a los "infieles" y es muy probable que, a pesar de todo, se sientan los héroes del mundo.
En el texto de esta obra viene una frase de Baruch Spinoza (1632-1677) que dice: “No juzgar, no deplorar, no indignarse, únicamente comprender”. Sin embargo cuesta mucho trabajo tratar de comprender una religión y una cultura tan ajenas a nosotros, tan lejos de nuestros principios, valores y criterios de vida, sobre todo cuando se escuchan frases como la que dice uno de los acusados: “Los infieles son nuestros enemigos. Ódialos con toda tu alma, pero no lo demuestres”. Se pueden leer continuamente otras frases de ese estilo que reflejan una intolerancia total, una intransigencia proverbial y que le adjudican a la vida humana un valor muy diferente al nuestro.
Muy buen esfuerzo del escritor para lograr articular todo el material que recopiló y a la vez darle sentido e interés a la crónica a la que le incorpora su sapiencia y talento de escritor ya consagrado por un muy extenso público lector.
J'ai attendu les derniers jours de mon prêt à la bibliothèque pour lire V13. Je l'avais pris en passant, en numérique, entre mille autre petites tâches d'une journée bien remplie. Je n'aurais pas dû vouloir me berner. Avec ma soirée du 13 novembre 2015, qui ressemble au final à celle de tant d'autres Parisiens, en particulier de mon quartier, avec mon besoin de tout mettre dans des textes, et de vouloir tout y trouver, c'était évident que je lirais V13. Et je ne vois pas comment j'aurais pu faire autrement, car Emmanuel Carrère n'est jamais aussi bon que quand il parle d'autres vies que la sienne. V13 a soigné quelque chose en moi. Déjà l'angle est le bon. On est invités à suivre le procès avec le guide que se propose d'être Carrère, avec sa subjectivité qui soulève toujours de bonnes questions. Il nous fait visiter, écrit les enjeux de ce procès hors-normes. Il dit ce qui le traverse lors des différents récits, et cela devient ce qu'on traverse, nous, à leur lecture. Lorsqu'il rend visite à la mère d'une victime, cette femme si digne et pertinente qu'il a rencontrée lors d'un témoignage mémorable, on ne doute pas qu'on est un peu avec eux dans cet appartement. Sa façon de relater et synthétiser ce qu'il a entendu pendant ces longs mois d'audience est un répit, les choses n'ont toujours pas de sens mais du moins elles sont ordonnées. Rien ne laisse penser qu'on est en train de lire des chroniques hebdomadaires parues dans le Nouvel Obs, ce que sont ces textes au départ . Le livre tient en une série de gros noeuds méthodiques, si bien serrés qu'on ne peut pas imaginer qu'il ait existé la possibilité d'une autre forme. Surtout Carrère croque en quelques mots l'attitude d'un accusé ou d'une victime, d'un avocat. C'est un texte admirablement peuplé. La partie sur les accusés est particulièrement intéressante de ce point de vue. A l'image de ces pages dans lesquelles il rapporte comment on a pris soin des victimes lors du procès, je me suis dit que, malgré des passages très difficiles, forcément, le texte avait pris soin de moi .
Doloroso, straziante, necessario per il ricordo e per la giustizia. Una strage di innocenti impossibile da dimenticare e difficile da capire che porta con sé strascichi per tutti: sopravvissuti, famiglie, comunità, estranei. Questo libro contiene la cronaca del processo per gli episodi di terrorismo avvenuti il 13 Novembre 2015 a Parigi, tra lo Stade de France, i bistrot e il Bataclan. La prima parte del libro risulta più marcata rispetto alla seconda, che va perdendosi un pò di chiarezza e di intensità, se così si può definire. Nonostante questo, è un libro da leggere per ricordare, riflettere, rispettare.
On 13 November 2015 Islamic State terrorists attacked Paris in three groups -
1) Stade de France, the national football stadium. This attack went wrong, so to speak - the three suicide bombers got there too late to get into the stadium, anyway they didn’t have tickets so they were refused entrance. Suicide bombers need tickets to get in, just like anybody else. So bizarrely they blew themselves up outside, killing one other person. I nearly wrote only one other person.
2) Three other attackers fired on customers outside and inside various cafes and restaurants. One attacker went to a final restaurant and blew himself up. 39 dead, 40 seriously injured.
3) The Bataclan theatre massacre – the other attackers went into a rock concert and killed 90 people with hundreds of others injured. Two blew themselves up, the other was shot by police.
Total body count – 130 dead, 350 plus injured. Immediate result : bloody chaos.
A good two weeks later we found another one of the terrorists’ legs.
The cops arrested a group of 14 aiders and abettors, the actual perpetrators being dead. Of these four were the main organisers and the others were bit part players. This trial lasted from 8 September 2021 to 29 June 2022. Emmanuel Carrere reported on this trial every day. He was there day in and day out.
The trial was massive, elaborate, ponderous, operatic, French – meaning not anything like a British or American trial in many ways. For one thing, it began with 5 weeks of testimony from The Plaintiffs, that is, the victims of the attacks and their families. Emmanuel sums up this first part :
Too much suffering, too much horror. It’s very unfair to the witnesses who were slotted in towards the end or testify late in the afternoon when attention is waning … To describe what was no doubt an equal amount of suffering, some found the right words and moved their listeners, others reeled off cliches and bored them
This whole thing of there being plaintiffs in a terrorist trial is strange to me. In the UK the state takes over the entire proceeding, and the victims and their eventual compensation is dealt with elsewhere.
NOT WHAT I WAS EXPECTING
In 2000 the author wrote a fantastic true crime book called The Adversary. So I knew he could spellbind me with a complex narrative. But this book did not do the same. Eventually, even though EC is a fine writer, a keen, wry and humane sensibility and a crafter of arresting sentences, the vastness of this trial overwhelmed this book. Or to put it another way, I thought I was going to get the story of the attacks and the story of the trial and the story of the perpetrators and I didn’t quite get any of that. I got the mordant dour grim and despairing semi-diary of a guy sitting in a courtroom and hanging with the other reporters and some lawyers for a year.
So you won’t get a clear idea of the attacks themselves or the police response at the Bataclan or the hunt for the gang; even when the sentencing arrives it’s almost presented offscreen.
THE BIG WHY
Moreover, I was wanting a dive into the jihadi mind. Here’s how he describes this homicidal gang :
The defendants come across as good kids who’re somewhat lost, moderately religious…big smokers of weed…who go in and out of prison to a steady beat of petty offences
So how did these stoners get galvanized into committing horror? How did they get “radicalised”, to use the tiresome word? Well, who knows. We don’t get to find out. They just did. And what was their rationalisation, if that’s not a ridiculous term? We get very little about that. But there’s this :
I heard him say “There, that’s for our brothers in Syria, if you don’t like it talk to your President Hollande.”
And one of them said in court :
I can understand that people feel sorry for those killed and hurt in the attacks, but…when you’re being killed in Syria, it’s normal to come and kill in France
It seems all jihadi attacks are based on this straightforward Biblical idea
Deuteronomy 19 : 19-21
Then shall ye do unto him, as he had thought to have done unto his brother: so shalt thou put the evil away from among you. And those which remain shall hear, and fear, and shall henceforth commit no more any such evil among you. And thine eye shall not pity; but life shall go for life, eye for eye, tooth for tooth, hand for hand, foot for foot.
So when a missile shot by a Western country hits a target in, say, Afghanistan or Iraq or Syria, and kills the intended targets, but also kills a few dozen unintended human beings, the phrase that is used is “collateral damage”. No strikes can possibly be as surgical as the public would like them to be. And this is by no means uniquely modern, it's not like suddenly the Western governments have become morally unmoored, it happened in all wars and on all sides. But now we are investigating why some guys would want to murder people at a rock concert in Paris or as they were sipping lattes in a café. These guys would say well, it’s simple, this is your turn for some collateral damage.
Emmanuel Carrere comments :
We hold a trial of historic proportions, shoot films, write books like this one. But 131 Syrians or Iraqis killed by American bombs (or by Bashar or Putin for that matter)? Nobody cares, it’s a Reuters dispatch, and that’s that.
RESPONSIBILITY
Are we responsible for the actions of the government we voted for? And are we responsible for what our friends or partners or children are cooking up on the internet?
WWJD
Matthew 5 38-39
Jesus said .Ye have heard that it hath been said, An eye for an eye, and a tooth for a tooth: But I say unto you, That ye resist not evil: but whosoever shall smite thee on thy right cheek, turn to him the other also.
I know, pretty difficult to take that seriously. Resist not evil ? Ridiculous. We have to resist evil, surely. Must be a mistranslation.
"El pavor es la desaparición de la cortina tras la cual se oculta la nada que normalmente permite vivir tranquilo. El terrorismo es la tranquilidad imposible. No curará las heridas visibles e invisibles.No devolverá la vida a los muertos. Pero al menos podrá garantizar a los vivos que la justicia y el derecho tienen aqui la última palabra."
Extrem erschütternde Schilderung des Prozesses zu den Terroranschlägen am 13. November 2015 in Paris.
Im Zentrum stehen nicht nur die Angeklagten, sondern vor allem die Geschichten der Überlebenden, der Eltern von Getöteten, auch Eltern von Tätern. Viele Beschreibungen sind kaum zu ertragen, ich fand es unmöglich dieses Buch in einem Zug zu Ende zu lesen.
Carrères Zugang zu diesen Geschichten ist sehr persönlich, er hat sich während des Prozesses mit einigen der Betroffenen angefreundet und deren weiteren Lebensweg verfolgt. Bei allem Entsetzlichen ist der empathische und literarische Stil Carrères fast tröstlich.
V13 raccoglie gli articoli settimanali che Carrere ha scritto nell'arco di un anno, mentre seguiva il processo ai complici degli attentatori degli attacchi del novembre 2015 (Bataclan, Stade de France, i bistrot). Carrere, in questi articoli, si mette da parte, è sempre presente, per carità, ed è anche attraverso il suo sguardo esterno in cui noi ci immedesimiamo, che possiamo avvinarci, mantenendo la dignità di imputati e vittime, al processo. La sua è una scrittura partecipata, che non nasconde simpatie o pensieri, ma al contempo è una scrittura che cerca continuamente di sollevare domande, aprire crepe nelle posizioni del lettore. Il che acquista anche un profondo significato etico nel riuscire a realizzare realmente un processo che sia giusto, ovvero che non sia la vendetta delle vittime, ma che al contempo tenga conto di loro. Cioè: gli imputati sono terroristi (alcuni di loro), porsi delle domande, interrogarsi su quale sia la giusta pena, senza dare per scontato e implicito che la giusta pena sia gettarli in prigione e buttare via la chiave, è ciò che distingue la giustizia dalla vendetta, fra le altre cose. Altrettanto straordinaria e fondamentale dal punto di vista etico è il modo in cui Carrere tratteggia sia le vittime che gli imputati. Da una parte, le vittime, Carrere ne raccoglie le testimonianze e le riporta nella prima parte del libro, in una settantina di pagine che sono difficilmente sopportabili, tanto sono crude e dirette, e, beh, umane. Ma non c'è alcuna pornografia del dolore, alcuna ricerca dello shock o della sorpresa. Quello che fa Carrere è un lavoro di scrittura che va di pari passo con l'etica, tutto nell'ottica di rendere belli e pieni di dignità i racconti di queste persone. Dall'altra, quasi agli antipodi, ci stanno gli imputati. Qua, nella loro descrizione, si percepisce anche il fatto che questi articoli siano stati scritti nel corso di un anno, e come l'impressione di Carrere nei loro confronti sia lentamente mutata, in particolar modo come da figure scure, quasi macchiettistiche, siano diventate delle persone - persone ridicole, spesso piccole, che hanno, in alcuni casi, compiuto azioni atroci. Ma persone. La grande forza etica di V13 - e di Carrere - è quella di riuscire a restituirci queste persone, attraverso squarci, che ci ricorda come non sia un processo a delle idee o a delle figure astratte, ma, appunto, delle persone. V13 è intriso di umanità, nel senso più profondo e concreto del termine. Ci ricorda costantemente come tutti - imputati, giudici, avvocati, vittime - siano persone a 360 gradi, persone reali, concrete. In tutto questo, infine, si inserisce, inevitabilmente, il rituale laico del processo. V13 è anche una celebrazione del processo e del suo ruolo all'interno di una società veramente civile. Un ruolo e un senso che si può trovare soltanto se ci si ricorda che i processi si fanno alle persone e non al senso di vendetta delle vittime. Cosa che, almeno leggendo Carrere, il processo pare sia riuscito a essere. "Questo è ciò che è, o dovrebbe essere un processo: all'inizio si depone la sofferenza, alla fine si rende giustizia". Insomma, per me, V13 è un libro straordinario almeno per tre motivi: la sua scrittura, la sua portata etica, ciò che racconta.
L’argomento di cui si tratta è noto a tutti e non mi pare necessario soffermarsi ulteriormente nel merito. Il successo di “V13” risiede soprattutto nella capacità di Carrère nel cogliere e mantenere lungo tutto l’arco del libro un delicatissimo e difficile equilibrio senza cadere nella retorica, nel pietismo o nella distaccata cronaca, nell’esibizione ostentata e strumentale dei dettagli più atroci o nella fredda analisi storica degli eventi.
Ne risulta un formidabile documento che a tratti sottende tutti gli elementi di cui sopra, ma ne sublima l’insieme ad un livello più elevato procurando al lettore una comprensione dell'insieme che è quanto di più vicino alla realtà si possa ottenere nei confronti di un avvenimento talmente gravido di molteplici interrogativi, implicazioni e riflessioni, talora oggettivamente contraddittorie.
Un Carrère particolarmente ispirato sa disciplinare questa volta perfino il suo leggendario ego che in passato ha rischiato di infastidire ed incrinare nella nostra percezione l’integrità dei suoi pregevoli saggi e romanzi come un elemento negativo con cui cimentarsi. Grazie ad un abile montaggio, viene evitato con maestria anche il pericolo di una possibile frammentarietà, insito nell’origine del testo da una raccolta di articoli redatti e pubblicati con cadenza settimanale per l’Obs, quindi ricompattati in un insieme unico.
Non trovo molto altro da dire se non che “V13”, nell’ambito della contemporanea prosa non-fiction, mi è sembrato rasentare la perfezione abbinando alla chiarezza di affabulazione, cifra quasi costante degli scritti dell’autore, una rinnovata stabilità e una lucidità che mi ha lasciato ammirato.
La mia lettura migliore dell'anno, e credo rimarrà tale, non immagino un libro altrettanto potente nella sua unicità e nel suo stile così equilibrato eppure incisivo ed emozionante. sei là con loro, su quelle panche scomode della scatola bianca, ad ascoltare vittime, carnefici, accusa e difesa. Questo libro è anche un inno al sistema giuridico di un paese civile, e dà risalto a uomini e donne di legge che si sono impegnati in questo processo a "trasformare l'emotività in diritto, anziché lasciare che vada persa. Questo è ciò che è, o dovrebbe essere, un processo: all'inizio si depone la sofferenza, alla fine si rende giustizia".
Eine literarische Gerichtsreportage über den Prozess der Anschläge vom 13. November 2015. Emmanuel Carrère hat den ganzen neunmonatigen Prozess in 2021 / 2022 verfolgt und über diesen wöchentlich im Nouvel Obs' eine zweiseitige Kolumne geschrieben. Diese machen ca 2/3 des Inhalts vom Buch aus, sind allerdings nicht näher gekennzeichnet. Das Buch ist eingeteilt in Geschädigte (sehr brutal, aber auch empathisch), Angeklagte (eher analytisch, wie sind sie zum Islamismus gekommen, sind wirklich alle Terroristen) und Gericht (Anklage, Plädoyers, Rechtsprechung).
Non Fiction vom Feinsten! Eine unfassbar packende, teils kaum auszuhaltende, erzählte Reportage über den Gerichtsprozess gegen die überlebenden Hintermänner der Pariser Terroranschläge.
“È talmente incomprensibile, dice Nadia. Pensare che quelli che l’hanno uccisa avevano la sua età. L’età di tutti loro, fra i venticinque e i trent’anni. Che sono stati accompagnati a scuola tenendoli per mano, come lei accompagnava Lamia, tenendola per mano. Erano dei bambini che venivano tenuti per mano.”
E poi sono diventati l’uno il carnefice e l’altra la vittima. Come è possibile?
“Due padri che hanno perso i figli si parlano. Poichè gli assassini erano tre, c’è una possibilità su tre che il figlio dell’uno abbia sparato il proiettile che ha ucciso la figlia dell’altro. Leggendo il loro dialogo, ci si chiede: che cosa è peggio? Avere un figlio assassino o una figlia assassinata?”
Questo libro sconvolge e turba. Le testimonianze dei sopravvissuti sono atroci. Alcuni di loro sono rassegnati, hanno avuto la capacità di reinventarsi. Altri si portano dentro (giustamente, dico io) un rabbia feroce. Tutti hanno un dolore enorme da raccontare e, attraverso la maestria di Carrere, quel dolore arriva dritto al lettore. Ma anche la parte degli imputati è tosta. Si avverte una tensione crescente che culmina nella ricostruzione degli ultimi giorni prima del 13 novembre e il 13 stesso, parti che ho letto più volte, con i brividi. Tuttavia si avverte anche l’umanità (si può parlare di umanità?) dei terroristi. Alcuni di loro provano paura durante il processo e si dimostrano pentiti e sinceramente addolorati per le perdite delle vittime. Che sia per addolcire la pena o che provino veramente quelle cose non lo sapremo mai e forse non è neanche una domanda rilevante. La domanda che invece mi rimarrà sempre impressa è questa: come è possibile che un essere umano si senta in diritto di togliere la vita a un altro essere umano?
"Entrar al palacio de justicia durante el juicio del v13 es como embarcar en un avión, además si tienes una botella de agua bebes un trago para demostrar que no es TAP ese liquido explosivo que los yihadistas llaman "la madre de satan". Librazo, todos los que estudian periodismo deberían de leerse este libro.
Emmanuel estuvo durante meses sentado en un banquito incómodo escuchando cientos de testimonios de las víctimas y de las familias de las víctimas de los atentados de París apenas en el 2015. Es una historia que nos tocó vivir a todos y por eso la importancia de leer a detalle lo que Emmanuel plantea este libro. Escuchar los alegatos de los abogados defensores, a los terroristas, pero sobre todo a los que fueron daños a terceros. No hay un solo juicio de valor por parte de Emmanuel, eso nos lo deja a nosotros, los espectadores y lectores.
Así cómo están los testimonios de las víctimas, está a detalle los días previos y movimientos de los terroristas, y también es una manera de denunciar al sistema de justicia de Francia y de Bélgica. De todos los que tenían que explotar sus cinturones, solo uno de ellos no lo hace, el único que puede contar qué pasó se apega a su derecho al silencio, así que no tendremos la otra parte de a historia, el motivo, el por qué.
Emmnuel nos lleva a conocer los barrios de migrantes, los cafés, sus actividades, sus escondites y más que exhibirlos es tratar de entender qué pasó los días previos al V13. Y la vida después de que eres un sobreviviente de una masacre, tu vida jamás volverá a ser la misma.
Apasionante y tedioso a partes iguales. No es la primera vez que me ocurre con Carrere: alguno de sus libros me ha parecido una maravilla y otros, en cambio, aburridos. En este ambas sensaciones se combinan: una página interesante, tres pesadas, una interesante, tres pesadas…
Dividido en tres partes, Carrere aborda el proceso judicial por los atentados del viernes 13 ocurridos en Francia. Cubrió personalmente el juicio durante meses, hay un enorme trabajo en este libro. Pero para mi gusto, ofrece demasiados detalles irrelevantes (bueno, irrelevantes para mí, claro). Por suerte, no tira de lo morboso ni lo escabroso del suceso, algo que ya esperaba que no hiciera. Y su particular voz y forma de narrar, tan cabal y humana, están presentes.
En resumen, cubre el juicio y nos habla de las víctimas, sus familiares, los acusados por colaborar de alguna manera en los atentados e incluso los abogados.
Secondo me va esauriendosi un po' prima del tempo, ma rimane comunque una delle opere cardine dell'autore e più in generale degli ultimi anni. Coincidenza - non voluta - vuole che abbia letto questo libro dubito dopo la Banalità del male, col quale ho trovato molti punti in comune. Proprio come il libro di Hannah Arendt, questo saggio presente alcuni momenti di profondissima analisi sociologia, etica, morale; roba da mettere i brividi per le domande che vengo poste e le risposte che si prova a dare. Nel libro di Carrére forse l'unico difetto è che divanta un po' meno interessante man mano che ci si avvicina alla sentenza, e già lo è durante gli interrogatori degli imputati. C'è insomma uno sbilanciamento tra prima parte - dove si ascoltano le vittime e si ricostruiscono i fatti - e seconda. A prescindere da ciò, fondamentale.
WOW, en serio. no se cómo describir este libro pero es de esas historias reales horrorosas, tan pero tan bien abordadas que merecen la pena ser leídas y recomendadas salvo por el detalle de que estás recomendando la crónica de un juicio por un atentado terrorista con descripciones crudísimas de los hechos. Carrere es un genio y acá la rompe mal. Lúcido, único y de una calidad arrasadora. Por favor, léanlo.
Souvent insoutenable (les cent premières pages de témoignages), toujours humain, avec une volonté d’objectivité et de compréhension de l’incompréhensible, d’une pertinence folle et qui ouvre la porte à beaucoup de sujets de réflexion.
Ao proclamar o califado, em 2014, o porta-voz do Estado Islâmico, apoiado na radicalização do Islã, faz o convite para “uma punição para o Ocidente, os americanos e sobretudo os franceses malvados e sujos”, atingindo, assim, àqueles que vivenciaram ou viram a viver os constantes ataques das nações ocidentais contra o Iraque e à Síria, partindo para uma série de atentados em especial contra a França.
Emmanuel Carrère nesse contexto se propõe a visitar diariamente por mais de 9 meses o julgamento e portanto, a reconstituição daquilo que foi uma série de ataques em 13 de novembro de 2015 na França, vitimando 131 pessoas e destruindo a vida dos que sobreviveram. Os depoimentos, tanto dos sobreviventes, como dos poucos jihadistas de origem Síria que sobreviveram à destruição que foram propagar é narrado exaustivamente porém de forma precisa pelo escritor.
Lendo todo o livro e não somente a última página, como acusado por um dos réus que deveria ter se explodido, Carrère nos leva pela expedição de se tentar entender o porquê se faz o que faz, em qual discurso ampara a visão de mundo de cada qual e em especial, não se furta de mencionar que “o discurso dos terroristas é que os atentados são uma resposta legítima ao terrorismo de Estado praticado pela França no Iraque e depois na Síria: vocês massacram inocentes do nosso lado, nós viemos massacrar inocentes do lado de vocês.”
Eu tive uma leitura cansativa e teria preferido não ter conhecimento de um fato aqui descrito. Fora isso, o livro cumpre o propósito pretendido.
Emmanuel Carrère è uno scrittore a cui piace raccontarsi tanto quanto raccontare. Non si è mai posto obiettivi che non fossero abbastanza ambiziosi da soddisfare, almeno per un po’, la sua inestinguibile sete di vita vera. Ma questa volta l’impresa è titanica e spaventosa: tornare al venerdì 13 novembre 2015, la sera in cui Parigi fu sconvolta dagli attentati terroristici di matrice islamica che coinvolsero lo Stade de France, vari bistrot e pub ma soprattutto il teatro Bataclan nel pieno di un affollatissimo concerto. E Carrère decide di tornare a quella sera non una volta, ma ogni giorno per quasi 10 mesi, assistendo a uno dei processi più complessi e iconici della nostra Storia, tanto da meritarsi un nome proprio: V13.
La vita di Carrère si ferma. Per tutta la durata dell’azione giudiziaria si stringerà nella scatola bianca gomito a gomito con giornalisti, avvocati, ma soprattutto con loro, le vittime e gli imputati. Nessuna pillola viene indorata, quando si gioca sul livello delle grandi stragi umane fare sconti è proibito e dunque sì, questo libro è una discesa negli inferi e nell’orrore. È una questione di estremismo religioso, sadismo, guerra, disuguaglianze sociali e soprattutto umanità. Carrère, ben noto per il suo narcisismo, fa un passo indietro stavolta e pur non risparmiandoci i suoi commenti e l’inevitabile coinvolgimento emotivo, ci permette di ascoltare, commuoverci, indignarci ed elaborare un nostro pensiero, una nostra giustizia.
Perché la giustizia non è cosa facile da applicare: le testimonianze degli imputati sono contraddittorie e le vittime sono molteplici e affrontano il trauma in modi spesso inaspettati. La tolleranza e l’ottimismo per il futuro coesistono con la violenta indignazione e il dolore più intenso. Gli avvocati della difesa sono brillanti e convincenti almeno quanto quelli dell’accusa, anzi di più, visto il loro ingrato compito. E il lavoro di Carrère è uno dei più complessi che sia mai stato trasposto su carta.
Fa più male avere un figlio assassino o una figlia assassinata? Quali figli o genitori o amici sarebbero morti se gli obbiettivi non fossero stati revisionati all’ultimo minuto? È possibile lasciar fuori la grande T del terrorismo da questo processo? È giusto punire i meri complici presenti con la stessa rigidità con cui avremmo condannato i principali colpevoli, se non fossero già tutti morti?
Nessuna di queste domande trova una risposta facile e l’autore non ci prova nemmeno a schierarsi. Ma assiste dal primo fino all’ultimo minuto a questo grande evento e ci porta con sé giù fino all’ultimo gradino di quella piramide infernale rovesciata. E poi, ormai rimasti senza fiato e senza più lacrime, con il cuore stretto e la tensione al massimo, finalmente la luce, il punto di arrivo, da cui tutto riparte. Deve ripartire.
Creo que Carrère es mejor cronista que novelista. Y con esto ya digo bastante. Con El adversario se coronó como el Truman Capote contemporáneo, y esa experiencia de haber cubierto el juicio de un asesino que mató a su propia familia cuando su castillo de naipes acerca de su vida se derrumbó, le sirvió para componer este libro, que no es más que una colección de crónicas periodísticas cronológicas del proceso de juicio por los atentados terroristas del 11 de noviembre de 2015 en París, en donde murieron 131 personas y hubo más de 400 heridos. Este libro, que previamente se publicó como entregas semanales en la revista L'Obs mientras Carrère asistía al juicio que duró casi un año, es un conjunto de relatos sobre las audiencias, los abogados, los terroristas implicados, las declaraciones, los testimonios de las víctimas y sus historias. Aunque ha sido revisado, corregido y aumentado para su publicación como libro, seguramente sí se siente por momentos algunos vacíos (me hizo falta sin duda el testimonio del vocalista la banda, Eagles of Death Metal, que tocaba en Bataclan, la sala de conciertos, mientras los terroristas del E.I disparaban a los asistentes), pero su acento cronológico es obediente a su formato original, la crónica periodística por entregas, por lo que cada relato tiene a la vez que una narrativa redonda con inicio y conclusión, una estructura de suspenso que anuncia una próxima entrega. Y es por eso que el ritmo narrativo es trepidante y hasta adictivo. Y esto último lo señalo porque el propio autor declara como "adictiva" a su propia experiencia en las audiencias del juicio, en las que en un principio creyó que duraría unos cuantos días y finalmente no pudo abandonarlas hasta el último día. Tal cual como la experiencia de la lectura de esta obra. Es un libro sumamente interesante no solo por los hechos que relata y los estremecedores testimonios de las víctimas, sino por todo el análisis del entorno que hace Carrère. Análisis que está desplegado desde lo humano, lo psicológico, pero también desde lo legal y desde el mismo sistema de justicia francés. Carrère es un gran observador del comportamiento humano pero también un analista de las instituciones, en este caso, de la judicial. La narración en primera persona como observador activo y como personaje (pero que no centra la narración en sí mismo) es precisa y muy efectiva, un gran recurso narrativo. Un libro sumamente recomendable.
Emmanuel Carrère is one of my favourite writers and in V13 he returns to what he does best: a mix of reportage, law and memoir that is humane, accessible and chilling all at the same time.
V13 is the term the French use to refer to the horrific terrorist attacks of Friday 13 November 2015 in Paris (Bataclan, terraces, Stade de France) in which 130 people lost their lives.
In 2021, the 'trial of the century' started and Carrère followed it intensively, attending the court hearings almost daily for a year.
The book follows the chronological set-up of the trial, starting from the victims and their harrowing testimonies.
Next are the perpetrators, Salah Abdeslam being the only surviving member of the suicide commando, but there are quite a few aides in the box too and their guilt is not always evident. Here the facts of the case are presented, the preparation, but also their personalities and their defense strategies.
The third and final part is about the organisation of the court and the French criminal system and how it comes to a judgment.
The book makes an impression, because of its subject matter. But Carrère also manages to find little interesting details, he is touched, he doubts and he suffers, and so does the reader with him. I couldn't put it away.